UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 1 luglio 2025

 IL CAPITALE UMANO
di Angelo Gaccione


 
Sul fenomeno che da alcuni decenni sta producendo la desertificazione di intere aree del nostro Paese mediante la fuga e l’abbandono, quella che viene da più parti definita “emigrazione di ritorno”, non si è riflettuto abbastanza. La si è liquidata con una certa sufficienza, e addirittura si sono voluti vedere solo aspetti positivi: lo spostamento in altre realtà sia interne, sia europee che extraeuropee, conferiscono a chi lascia il proprio luogo sottosviluppato e privo di risorse, stimoli e opportunità in grado di consentirgli una gratificante emancipazione sia economica che intellettuale. Non viene però affrontato l’altro corno del problema. Se il primo e più importante capitale di un qualsiasi luogo è sempre quello umano, se ne dovrebbe facilmente dedurre che deprivato di tale capitale, quel luogo sarà fatalmente destinato alla sua cancellazione. La prova empirica la può fare facilmente chiunque ha, per un tempo significativo, lasciato la propria abitazione e vi è ritornato a distanza di alcuni anni. Se l’ha lasciata incustodita e nessuno vi ha messo piede, la troverà greve di umidità e di muffa; di ragnatele, di singole parti sconnesse e deteriorate. Se la casa possedeva un piccolo giardino e nessuno se ne è preso cura, al ritorno lo si troverà secco, rovinato e pieno di sterpi. 


Cervelli in fuga

Lo stesso discorso vale per i luoghi: nei quartieri abbandonati sono già visibili agglomerati di case dai tetti e dai muri crollati; all’interno delle corti sono cresciute piante ed arbusti che hanno rovinato il pavimento e gli infissi, e i rami si sono fatti largo in tutto il perimetro scardinando persino le porte. Lo stesso patrimonio pubblico, anche di notevole pregio architettonico e storico, in alcuni parti è risultato compromesso e in alcune perduto per sempre. Considerando che ad emigrare sono ora le generazioni giovani, il luogo di partenza si priva delle intelligenze più vive e dinamiche, delle più forti dal punto di vista della salute e della capacità di prendersi cura fisicamente del territorio. Il sottosviluppo conduce allo spopolamento e lo spopolamento sancisce il sottosviluppo: questa tragica dicotomia non può che produrre una totale deriva. Al contrario, i luoghi di arrivo si avvantaggeranno di questo capitale umano per progredire e marcare ancora di più il proprio vantaggio. Spostare l’intrapresa e la ricerca più avanzata lì dove il rischio di scomparsa di una intera entità geografica si sta verificando, è il solo modo per impedire un esodo dagli esiti disastrosi.  



P. S. Avevo scritto questa breve nota un po’ di tempo fa ed era rimasta in cartella. Ieri ho letto su “il Fatto Quotidiano” l’articolo di Alfonso Scarano e me ne sono ricordato. Ho scoperto che il documento sulle aree interne e le parti spopolate del Paese (Piano Nazionale della Aree Interne), sono state dichiarate dal Governo in carica perdute per sempre. Ecco il passaggio: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza (…) hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. Tradotto nella lingua delle persone normali significa che mentre si spenderà il 5% del Prodotto Interno Lordo per l’industria criminale della guerra e della distruzione, non verrà speso un centesimo per tutte quelle zone della nazione da cui fuggono le nuove generazioni rimaste senza lavoro e senza servizi, per invertire la condizione di declino che le politiche dei vari governi hanno contribuito ad aggravare. Una decisione delinquenziale, ma tacciono tutti: a cominciare dall’egregio Presidente della Repubblica. Aspetteranno semplicemente che si spenga l’ultimo anziano rimasto in quei luoghi depressi del Paese, soprattutto Sud e Isole. Lasceranno che il territorio vada lentamente ed inesorabilmente in rovina, e che di tutto ciò di cui era composto (boschi, colline, centri storici preziosi, culture e quant’altro) si possa tornare a dire: hic sunt leones.

IL GOVERNO HA VIOLATO LA COSTITUZIONE
di Luigi Mazzella
 
Il Governo se la ride

Mettono a rischio la Nazione, la riempiono di debiti di guerra, ma fanno finta di niente.
 
Facciamo un po’ di ordine, mettendo da parte l’emotività e ricorrendo solo al raziocinio. Quando scoppia una guerra tra due Paesi al rumore assordante degli spari e delle bombe si sovrappone il suono delle fanfare propagandistiche: ognuna delle parti in causa rivendica di stare dalla parte della vittima e accusa il nemico di aggressione. È sempre stato così, “da quando il mondo è mondo” e solo gli acefali possono negarlo. Così è stato anche per il conflitto russo ucraino. Putin ha accusato Zelensky di non avere dato applicazione a ben due trattati (Minsk 1 e 2) stipulati per la protezione delle minoranze russofone e filo russe, sottoposte, per giunta, a massacro dai battaglioni neonazisti Azov al servizio della nuova Ucraina: Zelensky ha negato alla Russia il diritto di intervenire nei suoi territori a protezione delle minoranze delle zone di confine e ha parlato di aggressione. Naturalmente, nei Paesi terzi, la gente si è divisa su basi di palese emotività. Solo gli uomini saggi e i Paesi governati bene si sono astenuti da gesti inconsulti e parole a vanvera. Non così, purtroppo, gli Stati Uniti d’America governati da Joe Biden né i Paesi aderenti alla NATO che sono entrati in guerra contro la Russia e a favore dell’Ucraina violando clamorosamente l’articolo 5 del trattato che prevede solo gli interventi armati a difesa di un Paese NATO e non di altri.
Comunque, non è di ciò che intendo parlare oggi. L’ho già fatto più volte.
Qui voglio ribadire la validità di un brocardo romano: cuius commoda eius incommoda (ovvero: ubi commoda, ibi incommoda). Chi governa un Paese, se sbaglia clamorosamente, se dissangua i contribuenti con costosi invii di armi e di congegni di alta tecnologia a uno dei belligeranti, se espone la popolazione al rischio, tutt’altro che ipotetico, di soccombere anche fisicamente per la ritorsione del Paese attaccato con il lancio (previsto dalle leggi di guerra) di missili e bombe non può scrollare le spalle e dire: ho sbagliato ma continuo a governare! Deve spiegare perché ha violato apertamente una norma fondamentale della nostra Costituzione che sancisce il ripudio della guerra, non essendo valido il richiamo “giustificativo” alle norme NATO che sono state altrettanto clamorosamente violate.
Solo che “le leggi son ma chi pon mano ad elle” se anche l’opposizione è altrettanto ignorante o colpevole drammaticamente di palese correità, se ha fatto una cosa addirittura più grave, votando per un riarmo assurdo contrario agli interessi del Paese già in “brache di tela” (riarmo rifiutato da Sanchez per la Spagna) e favorevole soltanto all’industria delle armi americana e alla conversione dell’industria automobilistica tedesca.
È vero che nella nostra terra caecorum mancano anche i monoculi, ma il silenzio su un fatto così rilevante da parte di politici e giornalisti (che intendano rifiutare di essere considerati politicanti e pennivendoli), per invocare una discussione sul punto senza veli o ipocrisie di Stato, è di una gravità colossale! E invece, la stampa quasi al completo, la televisione di Stato, le reti di Mediaset e di altri ci intrattengono su diversivi lontani dagli argomenti seri. Perché? È troppo attendersi qualche risposta?
 

 

 

 

A MILANO UNIVERSITÀ STATALE




IN MOSTRA
Mantova Casa del Mantegna

 
GIUSEPPE MORANDI - fotografie ritrovate
dal 12/07/2025 al 24/08/2025
 
Inaugurazione sabato 12 luglio 2025 ore 18.00.
 
Da martedì a venerdì dalle 10.00 alle 13.00.
Sabato 9.30-12.30 e 16.00-19.00.
Domenica 9.30-12.30 
 
Ingresso gratuito
 
 
A cura di: Lega di cultura di Piadena, Pantacon
con il patrocinio della Regione Lombardia in collaborazione con la Provincia di Mantova, con il sostegno del Gruppo TEA.


Giuseppe Morandi
 
La mostra ripercorre attraverso oltre 100 scatti - per lo più inediti - l’attività di fotografo di Giuseppe Morandi (Piadena 25/08/1937-14/11/2024), straordinario artista e organizzatore di cultura, fondatore della Lega di cultura di Piadena insieme a Gianfranco Azzali nel 1967 e recentemente scomparso. Morandi ha lasciato oltre 10.000 fotografie scattate tra la fine degli anni ’50 del XX secolo e oggi che sono state oggetto di pubblicazioni e mostre in Italia e nel mondo. Con Mazzotta ha pubblicato I paisan (1979), Volti della Bassa Padana (1984), Cremonesi a Cremona (1987), Quelli di Mantova (1991), La mia Africa (2001), Vecchi e nuovi volti della Bassa Padana (2011). Le sue fotografie sono state esposte a Berlino, Lisbona, Cambridge, San Francisco, Washington, Madeira.
 
Giuseppe Morandi è nato al Vho di Piadena (Cr) da una famiglia contadina e operaia. Inizia a raccontare il mondo che lo circonda senza nessuna presunzione o censura, concentrandosi soprattutto sui paisan - salariati e braccianti agricoli - e su quella civiltà contadina cui sentiva di appartenere e alla quale voleva “restituire voce, dignità e storia” in un momento di trasformazione - e trapasso definitivo - a seguito del processo di meccanizzazione dell’agricoltura. Un mondo fatto di saperi, riti, tradizioni ma soprattutto di persone che Morandi chiamava con nome, cognome e spesso scurmai (soprannome), sempre a sottolineare il rapporto umano e la relazione che stava dietro le sue immagini: “non sono il fotografo delle immagini rubate o delle fotografie messe in posa… quando fotografo ho già visto tante volte quello che fotografo, l’ho vissuto con le persone che fotografo”.



 
Le fotografie di Morandi sono state accostate alla ricerca sociale di Walker Evans e Dorothea Lange che tra il 1932 e il 1939 furono protagonisti del progetto di documentazione dei problemi sociali legati alla depressione delle aree rurali negli Stati Uniti, lavorando anche per il Dipartimento per l’Agricoltura americano. E ancora similitudini sono state riscontrate con il lavoro di August Sander che nella Germania pre-nazista pianificò un catalogo della società tedesca attraverso una serie di ritratti di lavoratori e lavoratrici. Con la differenza che Morandi appartiene al mondo che rappresenta e conquista non solo “il diritto all’immagine” ma addirittura la padronanza degli strumenti della rappresentazione quali macchina fotografica, cinepresa, ciclostile, magnetofono.
 

 

 

 

A MONTICHIARI LIBRAMENTE
Giardino della Biblioteca Comunale.





A PIACENZA CON STEFANO TORRE




lunedì 30 giugno 2025

SPIGOLATURE
di Angelo Gaccione


Boris Vian
 
Il disertore.
 
Sono passati 71 anni dal quel 27 maggio del 1954 in cui il cantante francese Marcel Mouloudji eseguì, messo in musica, il testo poetico che Boris Vian aveva composto in quello stesso anno. La Francia era in guerra con l’Indocina ed il poeta aveva scritto una poesia di forte impatto dal titolo Le déserteur (Il disertore), destinata a diventare una celeberrima e orecchiabile ballata famosa in mezzo mondo. Dopo quella prima esecuzione toccò allo stesso autore, e poi vennero interpreti del calibro di Serge Reggiani, Richar Anthony, Johnny Hallyday, Claude Vinci, Dan Bigras, Leni Escudero, Dédé Fortin, e via via fino a Joan Baez che l’adoperò durante le marce pacifiste, e a tanti altri che la tradussero e l’adattarono alle loro esigenze vocali. In Italia è stata ripresa per la prima volta da Margot in lingua originale; erano gli anni di Cantacronache (1958/1960). Successivamente venne tradotta dal cantautore genovese Luigi Tenco che gli cambiò il titolo in Padroni della terra


Giorgio Calabrese

La versione approntata da Giorgio Calabrese, con delle modifiche al testo, ha ancor più esaltato lo spirito profondo del messaggio in chiave antimilitarista. A dimostrazione della sua grande fortuna, la quantità davvero numerosa degli interpreti italiani. Ornella Vanoni la incide nel 1971, Reggiani l’anno seguente, Ivano Fossati nel 1992, i Marmaja nel 2022, i Folkabbestia nel 2006, Zibba e Almalibre nel 2013. Nel 2018 Antonella Ruggiero la inserisce nell’album Quando facevo la cantante, e Luca Barbarossa la canta in piazza San Giovanni a Roma nel concertone del Primo Maggio nel 2022. Ma l’hanno eseguita anche Ricky Gianco, Alberto Patrucco, Moni Ovadia, Roberto Vecchioni, Giorgio Conte, Pan Brumisti, Juan Carlos “Flaco” Biondini, Skiantos, Gerardo Balestrieri, Luis Eduardo Aute, Paolo Simoni, Milva, Têtes de Bois, Luca Bonaffini, Massimo Ranieri, Peppe Voltarelli, Joan Isaac, Francesco Baccini, Max Manfredi, e Giovanni Block. Notevole la versione di Fiorella Mannoia accompagnata al pianoforte e particolari quelle realizzate in dialetto piemontese, ligure e in lingua occitana.
 
 
Le tragiche vicende internazionali, con i numerosi conflitti in pieno svolgimento, hanno ridato a questo testo poetico nuova vita e nuovo vigore, e non è raro ascoltarla nelle piazze, nei cortei e nei circoli in cui si discute di pace e di rifiuto della violenza. Negli ultimi tempi la voce e la chitarra del cantautore Renato Franchi sono tornate ad emozionarmi, perché ogni volta che la sento non posso fare a meno di meditarla a fondo. In questa, di cui riporto il link, Renato Franchi la canta accompagnato dalla The Kanzonaccio Band.
https://www.youtube.com/watch?v=QppWUABPECQ


The Kanzonaccio Band 

Il disertore è un testo poetico composto da dodici strofe sotto forma di lettera inviata a Monsieur le Président da parte di un uomo che, avendo ricevuto la chiamata alle armi, rifiuta di arruolarsi perché vuole vivere in pace con la sua famiglia senza uccidere ed essere ucciso. Le ultime due quartine sono un vero pugno allo stomaco ed il testo venne più volte censurato. Eccole nella mia traduzione: “Se bisogna donare il proprio sangue/andate a dare il vostro/voi siete un buon apostolo/Signor Presidente/Se mi perseguirete/avvertite i vostri gendarmi/che io non avrò armi/e che potranno spararmi. Diffusa in una molteplicità di lingue è diventata la poesia-ballata simbolo del pacifismo e della nonviolenza internazionale. 


 

La versione italiana di Giorgio Calabrese
Il disertore
 
In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà.
 
La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest’altro lunedì.
 
Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me.
 
Io non ce l’ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.
 
Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.
 
Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà.
 
Quand’ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età.
 
Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.
 
Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò.
 
Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.
 
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà.
 
E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.


 

 
Le déserteur
di Boris Vian
 
1
Monsieur le Président
je vous fais une lettre
que vous lirez peut-être
si vous avez le temps.
 
2
Je viens de recevoir
mes papiers militaires
pour partir à la guerre
avant mercredi soir.
 
3
Monsieur le Président
je ne veux pas la faire
je ne suis pas sur terre
pour tuer des pauvres gens.
 
4
C’est pas pour vous fâcher
il faut que je vous dise
ma décision est prise
je m’en vais déserter.
 

Depuis que je suis né
j’ai vu mourir mon père
j’ai vu partir mes frères
et pleurer mes enfants.
 
6
Ma mère a tant souffert
elle est dedans sa tombe
et se moque des bombes
et se moque des vers.
 
7
Quand j’étais prisonnier
on m’a volé ma femme
on m’a volé mon âme
et tout mon cher passé.
 
8
Demain de bon matin
je fermerai ma porte
au nez des années mortes
j’irai sur les chemins.
 
9
Je mendierai ma vie
sur les routes de France
de Bretagne en Provence
et je dirai aux gens:
 
10
Refusez d’obéir
refusez de la faire
n’allez pas à la guerre
refusez de partir.
 
11
S’il faut donner son sang
allez donner le vôtre
vous êtes bon apôtre
Monsieur le Président.
 
12
Si vous me poursuivez
prévenez vos gendarmes
que je n’aurai pas d’armes
et qu’ils pourront tirer.

  

TUTTI I DUBBI DEL DECRETO SICUREZZA  
di Guido Salvini


 
Il Decreto legge cd Sicurezza, convertito in legge il 4 giugno, non è nato affatto bene perché è frutto di una approvazione accelerata e contratta volta a “saltare” le critiche in merito al suo contenuto essenzialmente repressivo con l’introduzione di nuovi reati e l’aumento di molte pene visti come unica soluzione. Quell’insieme di norme, infatti, invece di rimanere nell’alveo di un disegno di legge che permette una ampia discussione in Parlamento, che era già iniziata, sono state trasformate in un Decreto-legge adottato dal Governo che per sua natura è immediatamente operativo ed è passibile solo di qualche ritocco al momento della sua conversione in aula. C’è stato quindi uno svilimento del ruolo del Parlamento. Il Massimario della Cassazione, forse proprio per questa ragione e cioè il modo affrettato con cui sono state redatte le numerose nuove norme, ha preparato una relazione in cui, oltre a sottolineare come mancassero requisiti della necessità ed urgenza per procedere con un Decreto-legge, sono esposte le criticità e contraddittorietà di molti articoli e il loro possibile passaggio al vaglio della Corte costituzionale.
Per non peccare di atteggiamento critico a tutti i costi vi sono nel Decreto da segnalare che alcune innovazioni certamente condivisibili. Ad esempio in tema di occupazione abusiva di alloggi, al di là dell’eccessivo aumento delle pene per questo reato, è giustamente prevista la reintegrazione immediata del possesso dell’immobile per chi ne sia stato spogliato, soprattutto quando era l’unica abitazione effettiva, con una procedura rapida che prevede l’intervento del Pubblico Ministero e del giudice. Sono anche certamente condivisibili gli interventi previsti a sostegno delle vittime di usura, in particolare nella procedura per concedere mutui agevolati in favore di chi sia stato rovinato da tale reato. E così gli interventi penali volti a fronteggiare, anche con la possibilità dell’arresto in flagranza, il fenomeno delle truffe in danno degli anziani.
Altre modifiche invece appaiono inutilmente repressive. Ad esempio per l’impedimento alla circolazione su strada ordinaria o ferrata, e cioè il cosiddetto blocco stradale, non è più prevista una semplice sanzione amministrativa ma una sanzione penale sino a 2 anni di reclusione anche se il reato rimane del tutto indefinita per cui può scattare anche a seguito dell’occupazione di una strada per brevi momenti, soprattutto in occasione di manifestazioni sindacali o comunque di protesta e con il rischio quindi di entrare in contrasto con la libertà di manifestazione. È introdotta poi la punibilità, con pene severe, anche della semplice resistenza passiva senza violenza in occasione di proteste in carcere, con il rischio di sanzionare anche il semplice rifiuto del cibo o di partecipare all’ora d’aria. Nel contempo non è affrontato in alcun modo il problema della vivibilità nel sistema carcerario. Negli ultimi 6 anni sono 23.500 i detenuti che lo Stato ha dovuto indennizzare per le condizioni inumane della vita in carcere in violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.



Nel Decreto vi è anche un restringimento del trattamento in favore delle madri che dovrebbero essere detenute in carcere in esecuzione di una pena. Ora diventa solo facoltativo e non più obbligatorio non applicare ladetenzione carceraria per le madri che hanno un figlio di età inferiore a un anno, anche se la pena dovrà essere scontata in un ICAM, cioè in un Istituto di custodia in forma attenuata per le madri con figli minori, certamente più vivibile. Per le madri con figli inferiore ai tre anni la detenzione in un ICAM, invece di un carcere normale, diventa però solo facoltativa. Sul piano umanitario e dell’attenzione verso i diritti dei minori queste restrizioni danno luogo a molti dubbi soprattutto perché non si accompagnano ad un impegno ad allestire nuovi ICAM, indispensabili quando vi siano bambini in tenera età. Attualmente ce ne sono solo quattro in tutta Italia.
Anche il divieto di vendita della cd Cannabis light, e cioè le infiorescenze della pianta, appare eccessivo in mancanza di evidenze scientifiche in merito ad una loro pericolosità data la bassissima percentuale di THC, cioè la sostanza a effetto psicotropo, che contengono. Del resto in molti altri Paesi europei il divieto non esiste e quei prodotti sono in libera vendita.
Un discorso a parte meritano le modifiche in tema di “garanzie funzionali” degli appartenenti ai Servizi di sicurezza cioè, in estrema sintesi, i reati di cui essi possono essere formalmente responsabili nell’ambito della loro attività di raccolta di informazioni e di infiltrazione ma per i quali non sono punibili appunto perché avvenuti nel corso di operazioni autorizzate dalla Presidenza del Consiglio o dagli organismi di cui gli agenti fanno parte.
È una possibilità già prevista dalla legge sulla riforma dei Servizi di sicurezza del 2007 ma il Decreto ha ampliato l’elenco dei reati per i quali l’infiltrazione è possibile aggiungendo l’organizzazione di associazioni eversive interne o internazionali e la detenzione di esplosivi o di manuali per il loro uso o altro materiale eversivo anche informatico, pensato quest’ultimo soprattutto per il terrorismo internazionale. Si è detto che in questo modo vi sarebbe la “legalizzazione del terrorismo di Stato”.




Non è esattamente così. La norma, l’art. 31 del Decreto, è scritta in modo pessimo ma comunque non autorizza alcun agente dei Servizi a “creare” alcuna organizzazione terroristica ma semplicemente a infiltrarsi, anche sino ai vertici, di una organizzazione che già esiste. Finti organizzatori dunque e si è quindi sempre nel campo della simulazione come tale non punibile. Anche la detenzione di esplosivi o di manuali che insegnano il loro uso non significa certo che essi possano essere utilizzati ma serviranno solo per rendersi credibili dinanzi soggetti con cui si entra in contatto nell’ambito della raccolta di informazioni. In realtà queste operazioni non sono una novità nel settore dell’intelligence. Negli Stati Uniti e in Sudamerica infatti vi sono sempre stati agenti sotto copertura, uno era il famoso italo-americano Frank Serpico, che si infiltrano sino ai vertici delle organizzazioni dei narcotrafficanti e agli incontri ove sono decisi i traffici a livello internazionale perché non avrebbe senso spendere uomini ed energie solo per infiltrarsi tra gli spacciatori di strada. Certo il crinale è stretto. Infatti lo scopo è quello di acquisire informazioni su quello che sta accadendo, non contribuire a provocarlo. E il limite è molto sottile. Ad esempio anche la semplice presenza ad una riunione di vertice di una organizzazione in cui l’agente sotto copertura finge di essere d’accordo può rafforzare o essere determinante per la decisione del gruppo di commettere un’operazione criminale. E questo non deve accadere. In questi casi sarà spesso necessario sventare subito l’evento criminale avvisando la Polizia giudiziaria e la magistratura, anche a costo di rischiare che così l’informatore sia “bruciato” e quindi non più utilizzabile.



Non credo comunque che nemmeno con l’introduzione delle nuove norme, si rischi di tornare ai “Servizi deviati” di un tempo. Tuttavia dovrebbero essere previsti maggiori attenzioni che le modifiche ampliative rendono più che mai necessarie. Per questo vi era stata, in particolare da parte dei partiti di opposizione, la proposta, resa di fatto inattuabile dallo strumento del Decreto-legge, di prevedere per ogni singola operazione un controllo quantomeno a posteriori del Parlamento e del suo organo di vigilanza sull’attività dei Servizi, il COPASIR che è presieduto per legge da un rappresentante dell’opposizione. Un controllo che attualmente non è previsto.
Ricordando sempre che ogni attività “coperta”, anche utile per il Paese, incontra sempre precisi limiti e cioè, come spiega la stessa legge istitutiva dei Servizi di informazione, che chi agisce, autorizzato per fini istituzionali può “formalmente” commettere reati purché non metta in pericolo la vita, l’integrità fisica, la libertà personale, la salute o l’incolumità delle persone.
E questi limiti devono restare invalicabili e il loro rispetto deve sempre essere sottoposto alle più attente verifiche a tutela delle istituzioni democratiche e dei cittadini.

CUPIO DISSOVI
di Luigi Mazzella


 
Individuale o collettivo.
 
 
I religiosi ritengono la fede e tutti i suoi connessi corollari “doni divini”. 
Quei laici che nutrono per i credenti la stessa diffidenza che i Troiani avevano per i Greci, temono i preti anche per i doni che portano (Timeo Danaos et dona ferentes. Virgilio, Eneide). Tra i doni possibili dell’Ecclesia deveritenersi compreso anche il cupio dissolvi che ha l’aria di essere un’espressione latina ma che, in realtà, nasce nel contesto religioso cristiano; più precisamente ha la sua origine nella prima lettera ai Filippesi di San Paolo. Il cupio dissolvi   esprime il desiderio di abbandonare la vita terrena per unirsi a Cristo. Di norma, l’uso dell’espressione è più frequente nell’ambito individuale, dove se ne registra una versione romantica imperniata sullo spleen messo in versi da Charles Baudelaire; ma il desiderio come anelito (ovviamente inconscio e senza essere espresso a chiare lettere) alla distruzione dell’ordine esistente in cui si vive può manifestarsi anche in un contesto collettivo e sociale. Di esso, ben distinto dall'anarchia,  doveva avere tenuto conto, probabilmente, Oswald Spengler quando aveva scritto della tendenza degli abitanti della parte Ovest del Pianeta alla distruzione della propria cosiddetta “civiltà democratica”.
Come per ogni processo, per così dire “in itinere”, sia sul piano individuale sia su quello collettivo, il soggetto agente (individuo o massa che sia) crea steps necessari, premesse condizionanti ed elementi che rafforzino il suo intento auto-distruttivo. 



Nel cupio dissolvi collettivo, un ruolo deleterio di grande e importante rilievo svolge la progressiva e incalzante incultura (e quindi inadeguatezza al ruolo) della classe politica di governo o altrimenti dirigenziale. In Occidente il degrado cognitivo dei vertici dei Paesi è particolarmente favorito dalla presenza maggioritaria di gente che “crede” in ciò che le viene insegnato con accenti propagandistici rispetto a ciò che “potrebbe pensare” se facesse ricorso al proprio raziocinio. Scuole concesse in gestione a preti e a speculatori (credenti ma con il pelo sullo stomaco in quanto proprietari di “diplomifici” a pagamento) completano il quadro per giungere a un inevitabile scadimento culturale. Inoltre, una vera e propria cultura non conformistica e laica dei vertici dirigenziali e di governo è impedita dalla incombenza, sul piano giudiziario, di “avvisi di garanzia” più precisi di missili e droni telecomandati nel colpire leader politici capaci che possano sbarrare il passo a quelli che Franco Continolo nel suo blog definisce i “super idioti”. La ciliegina sulla torta dell’incultura politica è data da leggi elettorali truffaldine che consentono di governare a minoranze (rissose ma interessate ai vantaggi di entrare nella stanza dei bottoni) che se infischiano del Paese vero (che non ha altra strada che astenersi). Sul terreno della concretezza e dell’attualità, gli eventi Occidentali più recenti hanno dimostrato nel senso più pieno quanto appena detto, con l’eccezione degli Stati Uniti d’America che, eleggendo Donald Trump (nonostante le difficili caratteristiche del personaggio) hanno inteso sottrarsi al “cupio dissolvi” della collettività Occidentale, scaricandolo solo sugli Europei. I “super beoti” (di Francia, Germania, Inghilterra, Italia in prima linea) si sono dimostrati, grazie alla loro stupida insipienza leader pronti ad addossarsi il fardello loro imposto dal neo eletto Presidente Americano. Molto mal messi, stanchi e spossati fino al punto di articolare male frasi spesso inaspettatamente tronche e più del consueto prive di senso comune, quei “tromboni male accordati”, con le loro azioni politiche sono stati tutti, senza eccezioni, della medesima irresponsabilità per la sconsiderata politica. Meloni, Macron, Starmer, Metz, dopo avere violato (mentre la invocavano) una legge NATO che dimostravano di non conoscere, si sono cacciati in una guerra che da cobelligeranti (non avendo essi seguito l’esempio di Trump) dovranno sostenere a proprie spese, aiutando l’industria delle armi, per massima parte statunitense, a non subire perdite per la “resa” e l’uscita dal gruppo dei Nord-americani. Il fatto più grave è stato che né in Italia né negli altri Paesi Europei ci si poteva aspettare altro dagli uomini politici di diverso orientamento (In Italia la scalmanata e rissosa Elly Schlein, il velenoso e acido Calenda, l’ineffabile e inaffidabile Renzi non dicevano cose diverse, avendo la stessa macroscopica e madornale ignoranza delle norme NATO).
 

 


Post-scriptum: È anche probabile che Ursula Von der Leyen e Donald Trump (per ipotizzabili, sotterranei  accordi intervenuti con il Partito Democratico Transnazionale sconfitto degli Obama & Co.) abbiano puntato, a bocce ferme dopo lo scontro elettorale statunitense allo stesso obiettivo: lasciare un’Europa nuovamente armata di tutto punto, libera di riprendere i suoi plurisecolari scontri bellici dovuti all’uguale litigiosità di tedeschi, inglesi e francesi; affrancata dalla sua dipendenza (molto pesante per il Nord America) sia sul piano militare (a causa della NATO, che presto sarà, verosimilmente solo Europea e senza Stati Uniti) sia su quello economico (vedi politica dei dazi). Sarà ovviamente una Unione Europea: per Trump utilmente impoverita e per la Commissaria Europea nuovamente egemonizzata dalla Germania. La vittoria di entrambi, raggiunta con l’aumento delle spese militari nei Paesi Europei al 5% (percentuale distruttiva di ogni residuo di Stato sociale) potrebbe significare un clamoroso abbaglio per Giorgia Meloni, che si riprometteva di costruire un ponte che era già in piedi e fattivamente percorso.

domenica 29 giugno 2025

MUSICA
di Gabriele Scaramuzza


 
Nabucco all’Arena di Verona
 
La stagione lirica estiva è stata inaugurata con Nabucco di Verdi, opera peraltro di casa all’Arena di Verona. Mi riferisco trasmissione su Rai3 del 21 giugno, Festa Europea della Musica 2025. Tra i presenti si notavano, oltre al ministro Giuli, Angela Merkel. Ha da subito colpito il palese nazionalismo della rappresentazione: Fratelli d’Italia, inno nazionale mediocre nella musica e nelle parole, ha aperto lo spettacolo; sul proscenio c’erano tre gruppi di coristi, ognuno contrassegnato da un colore diverso: bianco, rosse e verde. Nessun cenno all’Inno europeo, di ben altra statura musicale e culturale. Quasi in gioco fossero solo gli italiani.   
Ora, Nabucco: è rappresentato per la prima volta alla Scala nel 1842. Come mi conferma Anna Foa, in quegli anni “l’emancipazione degli ebrei era in agenda”, un tema importante per tutti, contrastata dalla Chiesa. Non si può farne un’opera in cui gli ebrei sono visti solo come pallide controfigure di eroi risorgimentali o peggio, quasi il loro ebraismo fosse solo un pretesto, una pennellata di colore, in una storia al cui centro sta solo il popolo italiano. Che Verdi avesse simpatie rinascimentali, che fosse anticlericale, si sa; ma non è per nulla tutto lì. Entrambe le cose insieme dovettero portarlo a simpatizzare per l’emancipazione degli ebrei. Che in ogni caso in Nabucco sono presenti in quanto tali, anche se si tratta di ebrei di un’epoca lontana.  



Che gli ebrei nel Nabucco, mi scrive Emilio Sala, siano rappresentanti di una “patria perduta”, da essa esiliati, non risolve il problema del loro “statuto”. L’associazione “risorgimentale” con il popolo “senza patria” risolve solo metà del problema. Conclude Fabrizio Della Seta: “Quanto a Nabucco, non credo che l'alternativa sia Ebrei/Italiani del Risorgimento, e comunque una interpretazione non esclude l'altra. Penso che ciò che appassionava Verdi fosse il tema dell'oppressione e della libertà, comunque si ponesse”; “è innegabile che Verdi abbia sentito e reso il soggetto con una partecipazione non scontata, quali che fossero le sue motivazioni, che d'altronde non sono necessariamente esclusive; la causa nazionale e la questione ebraica sono strettamente collegate.



Nabucco ha da sempre profonde radici in me. I cori, gli accenti di taluni protagonisti, momenti quali - ahimè, pochi me lo perdoneranno - la marcia funebre di Fenena, di sapore bandistico (ripresa se ben ricordo anche da Testori), l’ampio respiro musicale del dramma, lo fanno emblema di una profonda liberazione. La sua conclusione ne fa un inno a profondi valori ebraico-cristiani oggi calpestati, sovvertiti con disprezzo (anche in ambienti ebraici) - assieme ai valori greco-romani che danno fondamento etico ed esistenziale alla nostra civiltà.
All’Arena la regia, le scene, i costumi, alcuni momenti musicali (senza nulla togliere alla dignità di taluni interpreti) mi risultano incomprensibili, “brutti” francamente; e tali da cooperare alla insensata distruzione di un mondo culturale, non certo alla valorizzazione dell’opera. Poche cose più indisponenti dell’intento di “rinnovare” le opere con regie attualizzanti, quasi non avessero in sé una loro sostanza musicale e culturale sufficiente a tenerle in vita.     
Certo, c’è guerra, l’aggressione iniziale di Nabucco, l’aggressività di Abigaille, il lamento cui segue l’ansia di un riscatto non affidato alle armi, ma al ritorno a profondi valori ebraico-cristiani. Ma nessun accento bellicista.


 
P. S. La recente Norma alla Scala conferma la pervasività della mania di risorgimentalizzare e nazionalizzare tutto: ai romani dell’originale sono sostituiti gli austriaci del Risorgimento, non manca un tricolore che avvolge la salma di un patriota sacrificatosi per la patria…. La scena è progettata intorno a prospettive della Scala. Le parole del libretto, le indicazioni sceniche, la musica stessa, restano ovviamente quello che sono, non si comprende come possano prestarsi a una simile trasposizione di tempi e luoghi. Certo la musica si salva grazie a Fabio Luisi, taluni cantanti sono all’altezza del loro compito. Ma l’insieme resta nella mia ottica astruso.



 
 
Temistocle Solera - Giuseppe Verdi
Nabucco
allestimento dell’Arena di Verona 2025
regia di Stefano Poda
direttore d’orchestra Pinches Steinberg
tra i molti interpreti che si alternano
Amartushin Enkhbat, Luca Salsi, Francesco Meli
Anna Pirozzi, Anna Netrebko, Maria José Siri.

  

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