DI MALE IN PEGGIO
di
Alessandro Pascolini - Università di Padova
La Russia si ritira formalmente
dal protocollo per l’eliminazione di plutonio militare.
Lo scorso
8 ottobre la camera
bassa del parlamento russo (Duma) ha
approvato il ritiro dallo storico
accordo con gli Stati Uniti sulla gestione e lo smaltimento del plutonio (Plutonium
Management and Disposition Agreement, PMDA), un patto in vigore dal luglio 2011 per
eliminare 34 tonnellate di plutonio di qualità militare dagli arsenali di
ciascun paese (una quantità sufficiente
per circa 17 mila armi nucleari). Dopo la ratificata della Duma, la denuncia russa del PMDA passa al voto del Consiglio della Federazione prima di essere
promulgata in
legge dal presidente Vladimir Putin. Prima del
voto della Duma, il vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov ha sostenuto che “gli Stati Uniti hanno intrapreso una serie di
nuove misure anti-russe che cambiano fondamentalmente l’equilibrio strategico
esistente al momento della firma dell’Accordo e creano ulteriori minacce alla
stabilità strategica”, per cui “nessuna
delle condizioni previste può essere soddisfatta”.
In realtà, la Russia aveva già sospeso l'attuazione del patto nel 2016, sostenendo che gli Stati Uniti avessero
violato i termini originari per lo smaltimento del
plutonio, in una fase di
deterioramento dei rapporti fra i due stati a seguito dell’occupazione della
Crimea.
L’attuale ritiro formale segnala una nuova erosione del controllo degli
armamenti, indebolendo ulteriormente la già fragile rete di accordi
nucleari tra Stati Uniti e Russia, in un contesto di continue tensioni, e ripropone con urgenza la delicata questione dell’enorme
disponibilità di plutonio nei vari paesi.
Il problema: la distruzione delle armi nucleari
La firma del trattato START I (31
luglio 1991) fra la Russia e gli Stati Uniti e le contemporanee Presidential
Nuclear Iniatives imposero drastiche riduzioni (per decine di migliaia) delle
armi nucleari dei due paesi, con il conseguente aumento per centinaia di
tonnellate delle già enormi scorte di materiali fissili, uranio fortemente
arricchito nella componente uranio-235 (attorno al 93%, HEU) e plutonio di
qualità militare (oltre il 90% di plutonio-239). Era necessario evitare il
re-impiego dei materiali fissili per nuove armi (vanificando così gli accordi
raggiunti) e prevenire rischi di proliferazione e di terrorismo nucleare; l'Accademia nazionale
delle scienze americana e la controparte russa iniziarono nel 1992 ricerche
congiunte per individuare metodi per rendere definitivamente inutilizzabili a
scopi militari tali materiali.
Mentre è facile eliminare i
componenti convenzionali
degli
ordigni, l’HEU e il plutonio non si degradano naturalmente a elementi non
fissili, ma richiedono specifiche procedure per impedirne la valenza militare.
Per l’eliminazione dell’HEU
esiste un metodo pressoché immediato: la sua riduzione a basso arricchimento (inferiore
al 5%, LEU) mediante miscelamento con uranio a basso tenore di uranio-235. Il
LEU così prodotto può venir utilizzato quale combustibile negli impianti
elettronucleari, recuperandolo in questo modo per un impiego economicamente
utile.
Particolarmente importante è
stato l’accordo-quadro intergovernativo Russian-U.S.
Agreement concerning the disposition of highly enriched uranium extracted from
nuclear weapons (“Megatons to Megawatts”) del febbraio 1993, che nel
corso di 18 anni ha convertito in LEU circa 500 t di HEU proveniente da 20.000
bombe nucleari russe, con la produzione di oltre 14.000 t di LEU per le
centrali elettronucleari degli USA, coprendo dagli anni 2000 circa il 45% delle
loro necessità di combustibile nucleare, e al contempo garantendo lavoro a
decine di migliaia di tecnici nucleari russi.
Il plutonio presenta
problematiche maggiori dell’HEU per quanto riguarda l’abbattimento delle sue
potenzialità militari, dato che, a differenza dell’HEU, non può venir diluito
con suoi isotopi non fissili, dato che praticamente tutti i suoi isotopi sono
in grado di produrre una reazione a catena esplosiva.
Gli studi compiuti nel 1997 da uno
specifico gruppo di lavoro russo-americano (co-diretto da John P. Holdren e Evgeny P. Velikhov) hanno
individuato come obiettivo per la messa in sicurezza del plutonio militare “la
sua trasformazione in una forma che presenti la stessa inaccessibilità del
plutonio presente nel combustibile esausto dei reattori commerciali”, ossia
fortemente contaminato da materiale altamente radioattivo. In pratica sono
stati considerati possibili solo tre metodi:
• immagazzinare
definitivamente il plutonio in strutture di massima sicurezza sotto continua
sorveglianza;
• mescolare
il plutonio con uranio naturale o impoverito e fabbricare combustibile MOX (Mixed-Oxide)
da utilizzare in reattori elettronucleari moderati ad acqua;
• immobilizzare
il plutonio con scorie altamente radioattive.
Il primo metodo apparve subito
inadeguato, richiedendo sistemi di controllo e di garanzie praticamente
improponibili. Sia il plutonio irradiato come MOX, sia quello immobilizzato
finiscono mescolati in modo praticamente inestricabile con materiali altamente
radioattivi e finiscono in depositi geologici.
Nel rapporto non veniva
considerata l'opzione di produrre combustibile costituito da plutonio quasi
puro per reattori nucleari operanti con neutroni non moderati (“reattori veloci”),
viste le negative esperienze dei reattori Phenix e Superphenix francesi e i
loro rischi di sicurezza e ambientali.
Per la produzione di MOX, si
inizia col separare il nucleo di plutonio metallico dagli altri componenti
dell’arma nucleare, lo si polverizzaza e riduce a ossido PuO2, che
viene quindi miscelato con ossido di uranio UO2; la miscela viene cotta
a formare pastiglie ceramiche cilindriche per gli elementi di combustibile, che
contengono 7-11% di plutonio (impiegando il plutonio delle armi nucleari è
sufficiente un 5% di plutonio nella miscela).
La velocità di eliminazione del
plutonio come combustibile MOX per reattori ad acqua leggera è più lenta di
quella dell’HEU, poiché per ragioni di sicurezza solo un terzo del combustibile
di tali reattori può essere MOX; tipicamente un impianto da 1 GWe impiega tre
anni a eliminare 1 t di plutonio, mentre consuma LEU equivalente a circa 1 t di
HEU all'anno.
Molti esperti erano scettici
riguardo all’opzione MOX, anche perché essa avrebbe fornito un notevole impulso
all’economia del plutonio, portando alla fine a una più ampia accettazione del
plutonio nell’industria nucleare civile. Inoltre, era più costosa, complessa e
potenzialmente meno sicura rispetto all’immobilizzazione.
Nel metodo d’immobilizzazione,
l’ossido di plutonio viene vetrificato o reso in forma ceramica insieme a
prodotti di fissione altamente radioattivi. La vetrificazione è una tecnologia
già sviluppata per il trattamento delle scorie altamente radioattive e
correntemente impiegata in vari paesi, ma presenta limiti per l’applicazione al
plutonio, poiché il vetro è instabile dal punto di vista termodinamico e su
tempi geologici può cristallizzare, perdendo le capacità di contenimento. La
ceramizzazione sembra più stabile chimicamente su tempi lunghi e permette
l’immagazzinamento di una maggiore quantità di materiali altamente radioattivi.
La tormentata storia del PMDA
L’accordo bilaterale
russo-americano Concerning the Management and Disposition of Plutonium
Designated as No Longer Required for Defense Purposes and Related Cooperation (PMDA) venne firmato nel 2000 ed
emendato nel 2006; finalmente, col Plutonium
Disposition Protocol dell’aprile 2010, entrò in vigore nel luglio 2011.
Gli USA avevano una riserva di
circa 92 t di plutonio separato, 61,5 t dichiarate in eccesso rispetto alle
loro esigenze militari. La Russia dichiarò di avere 50 t di plutonio di qualità
militare in eccesso rispetto alle proprie necessità, mentre la scorta totale
era stimata a 128 t.
L’accordo prevedeva che ciascuna
parte eliminasse almeno 34 t di plutonio di qualità militare (al ritmo di
almeno 1,3 t annue) e collaborasse all’eliminazione di quantità ulteriori, o
come combustibile MOX o altri metodi concordati, sotto controllo reciproco e
ispezioni coinvolgenti la IAEA, garantendo la sicurezza sanitaria e il rispetto
dell’ambiente. L’accordo del 2000 prevedeva la riduzione del plutonio in MOX da
utilizzare in reattori con neutroni moderati secondo un preciso programma ventennale
a partire dal 2002. Il piano iniziale si rivelò irrealizzabile, sia per ritardi
nella realizzazione delle strutture per la produzione di MOX, sia per
l’insufficienza dei contributi americani a sostegno del programma russo. La
Russia nel 2007 cancellò il progetto di impiego di MOX in reattori moderati ad
acqua, avendo deciso di privilegiare l’impiego del plutonio nei reattori a
neutroni veloci BN-600 e BN-800 (allora in costruzione). Nello stesso anno gli
USA iniziarono la costruzione di un impianto per la produzione di MOX presso il Savannah River Site del Dipartimento dell’energia, che subito si rivelò problematico. A seguito di queste difficoltà, nel corso del 2008
iniziarono negoziati per rivedere il PMDA adattandolo alla nuova situazione,
giungendo alla redazione del protocollo definitivo del 2010.
Il nuovo protocollo permetteva alla Russia di
utilizzare solo reattori veloci, introducendo specifiche condizioni sul loro
modo di operare e sul riprocessamento del combustibile esausto di tutti i
reattori russi, sia quelli veloci che quelli moderati ad acqua; vennero
definite forme di controllo più stringenti; i due paesi si impegnarono a
iniziare l’effettiva eliminazione del plutonio entro il 2018; gli USA prevedevano
un contributo finanziario di 400 M$ alla Russia, distribuito nel corso degli
anni, a fronte dei risultati via via raggiunti dai russi.
Il protocollo riconfermava anche il coinvolgimento della IAEA per il monitoraggio e la verifica internazionali del processo di
smaltimento.
Il programma americano della “via del MOX” trovò seri problemi tecnici e organizzativi oltre a notevoli
aumenti dei costi stimati (da qualche
miliardo a molte decine di miliadi di dollari), per cui l’amministrazione Obama nel gennaio 2016 decise di terminare il progetto e
perseguire un approccio
alternativo di “diluizione e smaltimento”.
Il metodo individuato consiste nel miscelare il
plutonio con un materiale inerte non radioattivo per il suo smaltimento diretto
nel deposito sotterraneo WIPP (Waste Isolation Pilot Plant) nel New Mexico, – un deposito geologico sperimentale profondo 500 m, autorizzato a conservare rifiuti
radioattivi transuranici per 10.000 anni. Tale approccio veniva stimato attuabile decenni prima della produzione del MOX, a un
costo molto inferiore e con rischi minori.
La Russia sostenne che il nuovo piano statunitense non rispettava i termini dell’accordo perché non cambiava la composizione del plutonio da qualità per
armi a qualità per reattori. L’accordo originale consentiva modifiche nel metodo di smaltimento, previo
accordo di entrambe le parti, ma gli Stati
Uniti non avevano ancora iniziato colloqui formali con la Russia sull’approccio alternativo
statunitense.
Così il 3 ottobre 2016, il presidente russo Vladimir Putin ordinò la sospensione dell'accordo perché con il nuovo approccio, gli Stati Uniti avrebbero potuto “recuperare il plutonio, riprocessarlo e riconvertirlo a qualità militare”. Da allora non ci sono stati tentativi
di negoziati per rivitalizzare l'accordo o comunque affrontare il problema
dell'eliminazione di plutonio di qualità militare.
Sviluppi attuali
La Russia continua a ritenere il plutonio una risorsa
energetica fondamentale. Ha sviluppato la produzione di MOX, impiegando
plutonio di qualità sia militare che da reattore, per il reattore veloce
BN-800, in pieno funzionamento dal 2020. Per
l’impianto autofertilizzante veloce Brest 300 in avanzata fase di realizzazione
è stato sviluppato come combustibile un materiale ceramico composto da
nitruro di uranio e plutonio, con il 13,2% di plutonio, offrendo maggiore stabilità termica e resistenza alle
radiazioni rispetto ai tradizionali combustibili a base di ossido. Negli
USA, la strategia di diluizione e smaltimento andò incontro a notevoli problemi
tecnici e organizzativi, nonché
riguardanti la sicurezza e il controllo dell’impatto ambientale. Solo nel gennaio 2024
la National Nuclear Security Administration
rilasciò il suo rapporto con la definizione operativa del metodo, precisando il
ruolo dei vari laboratori del Dipartimento dell’energia coinvolti: il plutonio
va convertito in ossido, miscelato con un
adulterante, compresso e incapsulato
in contenitori per lo
smaltimento finale nel
deposito sotterraneo del WIPP. Si
stima che nel WIPP vi siano attualmente disposti 400 kg di plutonio militare. Il 23 maggio 2025 con quattro ordini esecutivi il
presidente Donald Trump ha completamente rovesciato la posizione americana sul
plutonio, riconoscendolo come risorsa energetica fondamentale.
L'ordine esecutivo Deploying Advanced Nuclear Reactor Technologies
for National Security, incarica il Dipartimento
dell’Energia (DOE) di “identificare
tutto l’uranio e il plutonio utili presenti negli inventari del DOE che possano
essere riciclati o trasformati in combustibile nucleare per reattori negli
Stati Uniti”, mentre l’ordine esecutivo Reinvigorating the Nuclear Industrial Base ordina: “il Segretario dell’Energia sospenderà il programma
di diluizione e smaltimento del plutonio in eccesso. Al posto di tale
programma, il Segretario dell’Energia istituirà un programma per lo smaltimento
del plutonio in eccesso mediante la sua lavorazione e la sua messa a
disposizione dell'industria in una forma che possa essere utilizzata per la
fabbricazione di combustibile per tecnologie nucleari avanzate”. Il 21 ottobre scorso, il Dipartimento dell'Energia ha effettivamente pubblicato il piano per “smaltire il plutonio in eccedenza” – circa 19,7 tonnellate sia in forma di ossido che di metallo. Una richiesta di candidature di aziende private
descrive il plutonio offerto e le “soglie” che i potenziali candidati devono soddisfare. Il DOE richiede candidature “con
piani dettagliati di riciclaggio e lavorazione, compresi gli impegni di
finanziamento e il calendario per l'utilizzo dei materiali di plutonio per il
combustibile nucleare destinato ai reattori negli Stati Uniti”.
Le candidature devono essere presentate entro il
21 novembre e la selezione iniziale è prevista entro la fine dell'anno. Già quattro
compagnie hanno espresso interesse per l'acquisizione di tale plutonio.
Secondo l'International Panel on Fissile Materials, nel 2024 le scorte
mondiali di plutonio separato hanno raggiunto 565 tonnellate. Di questo
materiale, 425 t sono
state prodotte al di fuori di programmi bellici, sono coperte da obblighi a non
usarle in armi o non sono direttamente idonee all'impiego militare. Gli stati non
dotati di armi nucleari
possiedono globalmente 46,08 tonnellate di plutonio separato, quasi tutto del Giappone (45,1 t di cui 9,2 t in loco). Spagna, Svizzera e i Paesi
Bassi detengono plutonio civile tutto immagazzinato
all’estero. Il 26 febbraio scorso le
1,58 t di plutonio italiano depositate in Inghilterra sono passate in possesso
del Regno Unito.
Restano circa 140 tonnellate di
plutonio presenti in armi o disponibili per tale utilizzo, sufficienti per 35 mila armi, in
assenza di alcuna forma di controllo internazionale, dato che i lavori lanciati
dall'ONU per “un trattato multilaterale non
discriminatorio e verificabile internazionalmente in modo efficace che bandisca
la produzione di materiale fissile per armi nucleari o altri ordigni esplosivi
nucleari” (Fissile Material Cutoff Treaty, FMCT) sono arenati da decenni nella Conferenza per il disarmo a Ginevra.
La necessità di un
bando viene regolarmente riproposta nelle Conferenze di revisione del Trattato
di non-proliferazione, finora senza alcun progresso: saprà la prossima
conferenza, prevista il prossimo anno, sbloccare la situazione o stiamo definitivamente
entrando in una “civiltà del plutonio”?



















