UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 13 dicembre 2025

IL TEMPO È SEMPRE GALANTUOMO   
di Chicca Morone


 
Mi è capitato più volte di assistere a deliri di onnipotenza da parte di persone apparentemente equilibrate: bastava una semplice frase di dubbio e dall’alto del loro sapere la mia visione da “casalinga di Voghera” veniva screditata e messa all’angolo. Partendo dal concetto che per fare una torta di mele ci vogliono ingredienti giusti in una giusta misura, ho sempre pensato che la mancanza di uno solo dei componenti destinasse al fallimento il progetto. Così quando mi spiegavano che per far progredire il fatturato di una casa editrice era necessario pubblicare un tot di libri al mese, facevo presente che se più del 50% delle opere erano delle solenni porcate prima o poi qualcosa si sarebbe inceppato. Così nell’ambito del giornalismo: non è solo l’avvento di Internet ad aver fatto colare a picco le vendite dei giornaloni, al cui tamponamento si è ricorso più volte con la danza dei direttori… la realtà vissuta dalla popolazione si è dimostrata troppo lontana dalla propaganda ignobile perpetrata dal mainstream e questo ha avuto il suo prezzo: disdette da abbonamenti, chiusura di edicole, enormi i resi, incremento di sostegni alle varie radio e televisioni private, nonostante i ricatti ai singoli giornalisti, personaggi angariati da sanzioni degne del più feroce regime stalinista.



È di questi giorni la notizia della cessione - da parte della Gedi - di tutte le attività editoriali (La Stampa, la Repubblica ecc.) che fanno capo al gruppo Exor, all’Antenna Group dell’armatore greco Theodore Kyriakou.
Risulta, questo imprenditore, essere amico intimo di Trump e non c’è da stupirsi perché dopo il 1992 e la “felice” crociera del Britannia in acque internazionali, i gioielli italiani sono stati implacabilmente svenduti a imprese straniere: nulla di nuovo sotto il sole, dunque.
Il patrimonio pubblico italiano - con una certa visibile soddisfazione da parte del fautore di tale progetto, il grande economista Mario Draghi, allora Direttore Generale del Tesoro italiano, in seguito assunto dalla banca d’affari Goldman Sachs - all’epoca è stato saccheggiato a 360°: perché dunque stupirsi oggi se un privato cede un’attività, che non rende quanto dovrebbe, a un altro privato? Strana però la coincidenza del documento della Casa Bianca firmato dal presidente Trump “Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America” che condanna l’Unione Europea e mette fine al governo mondiale, quello in cui si vagheggiava la fine delle sovranità nazionali e la costruzione di una governance globale, gestita da blocchi geopolitici internazionali, i quali a loro volta rispondevano a interessi di natura privata bancaria e finanziaria.


Enrico Mattei

Sull’altare del progetto dell’unico governo globale sono stati sacrificati personaggi del calibro di Enrico Mattei, un uomo che aveva fatto un accordo più che vantaggioso sia per i compratori (noi) sia per i venditori (paesi arabi) del petrolio.
Henry Kissinger in persona aveva avvertito Aldo Moro del pericolo che correva con la prosecuzione del suo progetto di compromesso storico e abbiamo assistito al suo assassinio ad opera delle Brigate Rosse dal colore leggermente atlantista.
Bettino Craxi si era salvato rifugiandosi in Tunisia, aveva avuto l’ardire di proclamare la sovranità territoriale italiana a Sigonella, schierando i Carabinieri armati intorno ai militari statunitensi che pretendevano di trasferire i terroristi dell’Achille Lauro in America.


H. Kissinger

Non miglior fine hanno fatto i vari Slobodan Milosevic e Muammar Gheddafi…
Sinceramente che si chiami Trump, Superman o Pippo, chiunque abbia il potere di trarre l’Italia fuori dal pantano in cui è stata cacciata con l’avvento dell’Unione Europea, corredata dalla nascita della moneta unica, mi trova perfettamente d’accordo: dati alla mano, l’enorme buco nero in cui siamo piombati per mano di un gruppo di criminali dediti al proprio profitto, non è più accettabile.
La casalinga di Voghera che alberga in me preferirebbe avere enormi quantitativi di farina, uova, burro, zucchero, mele e lievito per poter dar da mangiare a quei bambini affamati che compaiono sullo schermo tra tende e macerie; inoltre non tollera di sentire Ursula Von der Leyen, leader dell’Unione Europea, dichiarare questa essere fondata sui valori del Talmud, perché fino a prova contraria la religione italiana è il Cristianesimo.
E se buonanima il conte Richard Nicolaus di Coudenhove-Kalergi (figlio di un diplomatico austro-ungarico, e della giapponese Mitsuko Aoyama, discendente di una nobile famiglia di Samurai) convinto della importanza di mescolanza etnica dalle proprie origini, fosse ancora vivo, forse si accorgerebbe di quanto poco l’immigrazione di massa e il tentativo di cancellare i tratti distintivi delle nazioni sia stato un farneticante processo di globalizzazione ormai sconfitto.   
Questo il progetto del presidente americano di cui non si conoscono ancora in modo sicuro tutte le coordinate: si sussurrano “particolari riguardi” verso nazioni che non aderirebbero entusiasticamente al progetto di riarmo europeo. Nonostante l’apparente docilità nei confronti dei “Volonterosi” l’abbraccio di Giorgia Meloni al frastornato Zelenskji, pellegrino tra i vari capi di stato, appariva meno caloroso di qualche mese fa e l’ufficiale nostra non partecipazione all’acquisto di armi dagli USA da inviare in Ucraina, segnala l’inversione di rotta.



Noi però abbiamo qualche “peccatuccio” da farci perdonare da Trump, ben conscio di tale macchia: all’epoca delle votazioni che hanno visto trionfare Biden, l’intervento della nostra Leonardo sul travaso di voti da un candidato all’altro non è passato inosservato. Manifesto risulterebbe il coinvolgimento dei nostri servizi segreti, del governo Conte e del generale Graziano, ahimè deceduto nel 2024 secondo gli organi di stampa per “suicidio”: una delle tante morti improvvise di testimoni piuttosto scomodi!  
Washington ci fa sapere che ha deciso di ritirare il suo appoggio a Bruxelles, di qui la disfatta dell’Unione Europea, dipendente in tutto e per tutto dagli Stati Uniti, sia per il commercio tra i due blocchi sia per la difesa.
Anche la NATO viene affidata esclusivamente all’Europa, cosa irrealizzabile perché senza il supporto americano, non esiste organizzazione atlantica, patrocinata e tenuta in piedi proprio dagli Stati Uniti.
L’Unione Europea è destinata all’estinzione e il suo fondamento, l’idea del Nuovo Ordine Mondiale, è di fatto ormai fallito.

 

NANI E SCEMI DI GUERRA
di Luigi Mazzella



Anche nella nostra parte di mondo (l’Occidente) che appare in preda all’irrazionalità più piena, chi è dotato di un minimo di buona volontà dovrebbe fare un tentativo di usare la ragione: provare, cioè, a capire che cosa è avvenuto e avviene intorno a lui. E ciò non al solo fine di evitare giudizi avventati, ma di salvare la propria pelle! Prima di tutto, esaminiamo: i fatti.
1 - Con motivazioni, più che diverse, radicalmente opposte, un brutto giorno truppe russe sono entrate in Ucraina. Ciò, secondo la versione ucraina, per aggredire quel Paese e occupare parte del suo territorio, appropriandosene. 
Secondo la versione russa, per proteggere le minoranze russofone e filorusse del Donbass e porre fine ai massacri compiuti dai battaglioni Azov, dichiaratamente neo-nazisti: e ciò in piena violazione di patti sottoscritti a Minsk in ben due tornate.
2 - L’America presieduta da Joe Biden, democratico, ha “sposato”, senza dubbi e immediatamente la “versione Ucraina” rifiutando sic et sempliciter quella russa. In più, come Presidente americano dell’epoca, Biden ha indotto la NATO a violare l’articolo 5 del suo stesso Trattato per intervenire in soccorso dell’Ucraina, pur non essendo questo Paese né membro del Patto Atlantico né (nonostante l’irrilevanza di tale, seconda circostanza) dell’Unione Europea.
3 - I Paesi Europei facenti parte della NATO, divenuti, sia pure contra legem 
e all’insaputa delle rispettive popolazioni, “cobelligeranti” del Presidente Zelensky, hanno contribuito e contribuiscono con armi e sostegni finanziari alla guerra, pur non avendo inviato sinora truppe sui campi di battaglia; si sono limitati, al momento, a mettere allo studio il ripristino della leva militare che, per sua natura, non può che essere obbligatoria.
4 - Alle ultime elezioni presidenziali Statunitensi, contro le prevalenti previsioni del “Deep State” nordamericano, ha vinto Donald Trump che ha subito dichiarato di non avere mai creduto alla “propaganda filo-Ucraina” imposta dal suo avversario politico, il “democratico” Joe Biden. Coerentemente con tali premesse, il neo eletto Presidente ha dichiarato la resa degli Stati Uniti e l’uscita del suo Paese dal conflitto, non mandando più armi a Zelensky e proponendosi, di certo meno razionalmente essendo solo un perdente bellico, come gestore delle azioni per la pace.
5 - Gli altri Paesi Europei della NATO non hanno fatto altrettanto e si sono dichiarati - i più oltranzisti - “volenterosi di guerra”, ed impegnati, quindi, a mandare a Zelensky armi in massima parte acquistate negli Stati Uniti!
6 - Il Partito Democratico americano di Obama, Biden, Clinton, pur dopo la sconfitta, ha continuato, come fautore dell’illegittimo intervento NATO a sostenere il suo punto di vista e attraverso i canali diplomatici (e non solo) ha chiesto o imposto e comunque ottenuto, con penosi “distinguo” la condivisione della sua lotta persistente da parte dei Paesi Europei. Fin qui, a mo’ di premessa, i fatti. Ora, per chiarire le idee, veniamo alle domande.



A) Si può ritenere irragionevole che Trump non avendo mai creduto e non credendo alla tesi propagandistica dell’aggressione a freddo della Russia, ritenga, invece, che quella guerra, sia stata provocata “ad arte” e che i massacri di russofoni e filorussi ordinati da Zelensky ai battaglioni Azov, e  siano stati, quindi, l’effetto di subdoli intrighi e di sotterranee manovre della congrega di spie al servizio del partito Democratico americano per proseguire nella sua tradizionale politica di bellicismo permanente, volta ad arricchire l’industria delle armi e la lobby finanziaria ebraica di Wall Street e della City?
B) Si può ritenere irragionevole che un Paese  che non è la Francia di Napoleone, né la Germania di Hitler, né l’Inghilterra di Guglielmo il Conquistatore ma solo una terra abitata da un “popol” definito “morto” da Giosuè Carducci, dove hanno potuto imperversare, in farse successive, governanti da strapazzo, ma che pure ha l’orgoglio di essere la patria della migliore cucina mondiale e di possedere il più ricco ed  importante patrimonio artistico del Pianeta non abbia alcuna voglia di votare per marionette della politica che tutte insieme appassionatamente vorrebbero condurlo in guerra per favorire un fallito mestierante dell’avanspettacolo ucraino?
C) È così irragionevole pensare che quel “popol morto” (sempre a detta di Carducci) abbia ancora (conservi) un filo di speranza e si auguri che il suo astensionismo dal voto, dettato dalla disperazione di trovarsi di fronte a nani della guerra che parlano come giganti della pugna, possa cessare e dare a un
un quisque de populo i voti necessari per dargli la forza e il coraggio di ragionare con la propria testa e condurre il Paese nel porto sicuro di una neutralità rispettosa dei beni da trasmettere alle generazioni future?  
D) È veramente irragionevole, infine, lasciare gingillarsi con le loro asce di guerre le pulzelle di ogni colore (nere o rosse, per noi pari sono) e lasciar parlare al vento i modesti “attendenti” che ritengono di essere divenuti, per una sorta di successione ereditaria, impettiti generali?

 

MOBILITARSI CONTRO LA GUERRA
A Marco Travaglio direttore de ‘il Fatto Quotidiano’  

 
 
Caro Direttore,
voglio esprimere il mio plauso a Silvia Truzzi per l’articolo dell’11 dicembre 2025 che invoca una mobilitazione generale di natura e contenuto antimilitarista. Il vento di follia militarista che soffia sull’Europa e sull’Italia è folle e privo di ogni giustificazione e di ogni prospettiva che non sia quella della guerra per la guerra. Che questo venga in parte alimentato da soggetti che hanno vicinanza e interessi con l’industria delle armi è un dato di fatto, ma non è sufficiente per giustificare l’alto tasso di follia militarista da tanta parte della classe dirigente europea ed italiana. Ma è tristissimo, e sino ad ora poche sono le voci che la contrastano e tra queste certamente un grande plauso merita il Fatto Quotidiano. Ma dove sono i giovani destinati, in questa prospettiva, a diventare “carne di cannone”? Perché non reagiscono in massa, perché non si ribellano? I lavoratori e i sindacati perché non si mobilitano per questa grande causa? Eppure, la prospettiva di guerra e di militarismo imperante, insensato e superficiale, sono le cose che più di ogni altra giustificano una forte, dura e tenace mobilitazione, come invoca giustamente la bravissima Silvia Truzzi.



È necessario, forse, partire con una mobilitazione su obiettivi specifici come: lotta anticipata contro l’annunciato disegno per la leva militare, sia essa volontaria o, in prospettiva, obbligatoria; lotta contro l’abrogazione tacita e di fatto dell’articolo 11 della nostra Costituzione; lotta contro le fake news con le quali in continuazione si continua ad alimentare lo spirito militarista. Su questi obiettivi specifici bisogna tessere una rete di contrasto del pensiero e della pratica militarista e tessere una rete di contatti su questo tema non solo in Italia ma in tutta Europa.
Con rinnovati complimenti a Silvia Truzzi e a ‘il Fatto Quotidiano’. 
Mando questa mia anche ad Angelo Gaccione direttore del Giornale on line
Odissea perché è un’altra delle poche voci che si battono, senza se e senza ma, contro la follia militarista.

Cari saluti.
Marco Vitale
[Milano, 12 dicembre 2025]

UNA GIOIOSA FATICA
di Federico Migliorati

 
Articolo pubblicato sul settimanale Il Gazzettino Nuovo di giovedì 6 novembre 2025. Lo proponiamo ai nostri lettori su gentile concessione.
 
È un lungo corso in cui spiccano eleganza di forme e profondità di contenuti quello che Angelo Gaccione, scrittore, poeta, drammaturgo, ha posto in essere a far data dall’adolescenza e sino ad oggi nel genere dei versi. Lo si evince da Una gioiosa fatica - 1964-2022 (La Scuola di Pitagora, 160 pagine, 16 euro, con note di Franco Loi, Tiziano Rossi e Fulvio Papi), l’autoantologia curata da Giuseppe Langella suddivisa in dodici sezioni in cui è condensata una produzione vivace e civile, affabulatoria ed epigrammatica, versatile, insomma, com’è nella conformazione culturale dell’autore. Gaccione, che fu tra i protagonisti della stagione dell’impegno nel disarmo a fianco di Carlo Cassola negli anni Settanta-Ottanta, è intellettuale fecondo e attento a quel “rumore continuo della vita”, per dirla con il creatore de La ragazza di Bube, a cui ha sempre prestato orecchio: basterebbe citare “Odissea”, nata su suo impulso nel 2003 e per dieci anni uscita come rivista cartacea per poi continuare in forma digitale e dove sono ospitati nomi illustri del panorama italiano e internazionale. Il suo è uno sguardo sul presente e sul passato, nell’immaginazione e nella realtà, consapevole del valore della letteratura nella società, uno sguardo mai disgiunto dall’attualità: i suoi strali contro gli armamenti e i signori delle guerre, contro gli orrori dei campi di sterminio, le sue crociate in favore di poveri, derelitti, bambini, emigranti, carcerati, vittime della fame e dei conflitti, ma altresì la sua battaglia per l’ambiente, per la salvaguardia degli alberi della sua Acri, contro l’inquinamento, la speculazione edilizia, il malaffare ne fanno uno scomodo e necessario testimone del nostro tempo, alieno a ogni ritirata sotto comode e sicure torri eburnee del pensiero. Si definisce “partigiano”, uomo di “una sola parte”, quella della vita (per tornare a Cassola), come recupera in uno dei versi della raccolta, contro la “cecità dell’Occidente” e “l’uomo infame del mio tempo”. Nel prosieguo degli anni Gaccione ha affilato la sua penna senza tuttavia perdere in incisività ed efficacia: la sua vasta cultura (“nessun libro mi è ostile”), alimentata anche dal confronto costante con altri poeti e scrittori, si palesa nei rivoli di versi dedicati a Milano, città d’adozione “amata-odiata”, “mia città mio cuore”, dove vive dagli anni Settanta e di cui conosce ogni anfratto, così come alle innumerevoli località che ha toccato, per diletto o per lavoro, in Italia e altrove e di cui il libro in oggetto fa menzione. Una poetica forte e battagliera che va di pari passo con una scrittura più lirica là dove titilla il proprio cuore, negli affetti familiari e amicali (deliziosa la simil ode all’indimenticabile sacerdote-poeta David Maria Turoldo con cui fu sempre in simbiosi), nei rimandi a un’epoca di gioventù o a refoli di una gioia leggera (“Balcone spalancato sfido le ombre/ in agguato e danzanti…”, “lascia che ancora e sempre ti ricordi, /col canto lieto e vivo nella gola”). Le ultime composizioni, risalenti al 2022 e di sapore buzzatiano, sono incistate di un’ironia graffiante che nulla toglie in lucidità di osservazione e di giudizio, quasi sessant’anni dopo i versi adolescenziali. Il pensatore Gaccione, che misura con la letteratura e la poesia, la civiltà del nostro tempo, c’è ancora spazio per un’etica del fare e di un nuovo umanesimo: del resto “sono sempre partito dall’uomo/ e nulla mi ha più interessato/ quanto il suo cuore”.
 

 

BERGAMO PER LA PALESTINA




GIOCHI DELLA MEMORIA




venerdì 12 dicembre 2025

PIAZZA FONTANA E STRATEGIA DELLA TENSIONE
di Franco Astengo
 


Ricorrenza della strage di Piazza Fontana, momento di snodo fondamentale nella storia della democrazia italiana.
 
Un evento drammatico non ancora chiarito fino in fondo se non nella sua identità esecutiva che, al momento, si cercò di indirizzare dal punto di vista dell’impatto pubblico coinvolgendo, come tutti ricordiamo, gli anarchici: tentativo spezzato da una forte resistenza democratica che vide in prima linea anche settori molto significativi del mondo dell’informazione. Per quindici anni, dal 1969 al 1984 l’Italia apparve al mondo intero immersa in una crisi caratterizzata dal succedersi di stragi e atti terroristici che provocarono più di 360 vittime e circa 4.500 feriti: non si possono però dimenticare gli anni precedenti, quelli della feroce repressione poliziesca delle lotte operaie e contadine fino al drammatico Luglio ’60 nella vicenda italiana deldopoguerra.
Sono stati gli anni che si collocano storicamente tra l’emergere della contestazione studentesca e delle lotte operaie e lo stabilizzarsi della situazione politica con l’ascesa al potere del leader socialista Bettino Craxi alla guida di una coalizione di pentapartito che resse fino al crollo del vecchio sistema politico nei primi anni’90. La vicenda del terrorismo però ha le sue radici in un periodo antecedente e anzi percorre tutto il cinquantennio dalla Liberazione in avanti coincidendo, in sostanza, con la fase della guerra fredda.
È giusto, ancora in questo momento, chiarire ancora una volta il quadro d’insieme entro cui si è collocata quella stagione. In particolare è indispensabile spiegare in che senso si parlava allora di “doppio stato” o “stato parallelo” giacché molte diverse accezioni si sono diffuse nel corso di questi anni, in particolare dopo la pubblicazione nel 1989 di un importante saggio di Franco De Felice con il quale si propose il tema del “doppio stato” e soprattutto della “doppia lealtà” alla Costituzione e all’Alleanza Atlantica.
“Doppia lealtà” che avrebbe contrassegnato il comportamento di una parte della classe dirigente italiana e che spiegherebbe appunto la partecipazione di quegli uomini alla “strategia della tensione” proprio a partire da Piazza della Fontana per arrivare al rapimento Moro. La categoria di “doppia lealtà” introdotta da De Felice fu assunta peraltro come fondamentale nella proposta di relazione del presidente della Commissione stragi Pellegrino nel dicembre 1995.


 
Quali erano gli obiettivi degli epigoni dello “Stato duale”? sfruttando l’idea dell’esistenza di un pericolo d’invasione dall’Est fin dagli anni’50 e poi in quelli’60 si pensò a un tentativo di instaurare nel nostro Paese un regime militare sull’esempio greco o turco. Poi l’avanzata delle lotte operaie e studentesche alla fine del decennio e la pressante richiesta di una più ampia democratizzazione del Paese portarono, proprio in coincidenza con piazza della Fontana, all’idea che occorresse arrestare quel flusso, stabilizzando gli equilibri politici italiani all’interno di un quadro moderato secondo l’impostazione sostenuta dai governi degli Stati Uniti, dall’alleanza atlantica e delle loro organizzazioni militari e di spionaggio. L’obiettivo fu conseguito ma si trattò di un obiettivo parziale, di “sostanziale tenuta”. Per “lorsignori” occorreva andare ben oltre. A quel punto, infatti, al momento dell’implosione del sistema e del procedere dell’egemonia del tipo di specie capitalistica (legata a precise istanze presenti nell’enorme processo di finanziarizzazione dell’economia poi definito come “globalizzazione”) insediatosi anche ai vertici della Comunità Europea si è proceduto allo smantellamento della democrazia italiana attraverso vie diverse da quelle terroristiche. Atti terroristici non sono comunque ancora mancati all’interno della lotta/collusione/trattativa fra la criminalità organizzata (che mantiene comunque il controllo di vaste aree del Paese anche attraverso l’infiltramento occulto in vari settori economici) e poteri dello Stato. La base di riferimento di questo smantellamento della democrazia repubblicana è stata costruita prima di tutto attaccando la sovrastruttura istituzionale così com’era stata concepita con la Costituzione.
In questo senso ci si è mossi con l’adozione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 e l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione e si sta ancora cercando di realizzare spostando la “centralità del parlamento” attraverso artifizi  connotati da un’istanza di presunta “democrazia diretta” e di adeguamento alle novità di raccolta di un apparente consenso realizzata attraverso gli strumenti tecnologici per sfociare adesso, in una fase di profonda crisi delle democrazie liberali e del ritorno al pericolo di guerra in un tentativo di passaggio dal profilo autocratico che principia dalla questione della magistratura e arriverà al tema del rapporto diretto tra  il Capo e le masse mutando in senso plebiscitario il meccanismo elettorale.
Il tutto del resto era già stato ben rappresentato dal documento di “Rinascita Nazionale” redatto dalla loggia massonica P2 nel 1975.


 
In realtà a questo punto ci sarebbe da aggiungere un punto di riflessione che fin qui in pochi hanno affrontato. Nel corso del dopoguerra si è tanto parlato di “doppiezza togliattiana” per indicare una sorta di bi-frontismo del PCI, da una parte legato al sistema sovietico e dall’altra in linea con i principi della Costituzione Repubblicana. Tanto è vero che in Italia funzionarono per tanti anni due concezioni di schieramento all’interno del sistema: la prima che delimitava il campo di governo attraverso l’esercizio della “conventio ad excludendum”, l’altra contrassegnata dall’esistenza del cosiddetto “arco costituzionale” formato dai partiti che - appunto - avevano votato il testo della Costituzione alla fine del 1947 e attraverso il quale continuava a esercitarsi una “solidarietà nazionale” riferita ai grandi temi del funzionamento delle istituzioni rappresentative. Ma si è sempre parlato poco di “doppiezza democristiana”: da una parte il partito “democratico”, quello dei “professorini” della sinistra tendente, dopo il centro sinistra, alla “terza fase” morotea e dall’altra il partito “conservatore”, bloccato attorno alle parti più retrive della gerarchia cattolica, all’alta burocrazia di Stato erede diretta di quella fascista, agli alti gradi dell’esercito, alle parti più intransigenti della Confindustria oltre che ai legami con settori dei servizi segreti confinanti anche con parti della criminalità organizzata e pronti a incontrarsi con Gelli all’Excelsior o al Grand Hotel.
Tutto frutto della “logica dei blocchi” o da parte della DC dentro ad una logica di conservazione del potere fondato su di un feroce dominio di classe, legame con le parti più oltranziste della politica USA con connessione diretta tra Patto Atlantico e Unione Europea: insomma all’interno della realtà del “regime democristiano” di matrice clericale e conservatore?



Interrogativi che ancora pesano, che ci fanno pensare come lo “stato duale” in realtà fosse direttamente connaturato proprio con il regime democristiano: l’analisi delle vicende legate ai 55 giorni del rapimento Moro, nove anni dopo la strage di Piazza della Fontana, lo dimostra ampiamente sollevando anche il tema del mutamento di quadro rispetto al confronto tra “partito della fermezza” e “partito della trattativa” che caratterizzò a quel tempo la fase politica segnando una faglia decisiva nell’intero sistema politico che ci siamo trascinati fino alla dissoluzione del sistema dei partiti e all'avvento della stagione del maggioritario, della personalizzazione, del progressivo distacco dalla partecipazione politica di grandi masse ulteriormente ingannate dalla “democrazia diretta” e “dall’uno vale uno”. Oggi nel momento in cui si indurisce il profilo bipolare in una società inchiodata dalla tecnocrazia, dall’esigenza di transnazionalità dei livelli decisionali, dal potere delle over the top, dal progressivo disincanto prodotto dall’individualismo competitivo si tratta di non demordere dal “cercare ancora” e - assieme - dal non interrompere la capacità di memoria: ciò che accadde in quel 12 dicembre 1969 non deve essere regalato all’oblio.
 

URBANISTICA A FIRENZE
di Associazione di volontariato Idra
 
Caterina Biti - assessore

Dialogo con Palazzo Vecchio?
 
“In questa cosa io ci sono, io mi ci metto a confrontarmi con chi solleva delle questioni ma porta anche delle soluzioni”. Così ieri Caterina Biti, assessora all’Urbanistica del Comune di Firenze, in risposta alla garbata ‘lettera pubblica’ indirizzatale da Idra.
 
“Assessora, questo è per lei. Dedicato a lei!”
“Grazie, grazie mille.”
È in corso alle Murate, al “Festival internazionale di Architettura in video”, la tavola rotonda ‘Uno sguardo al futuro’, protagonista e destinataria l’ultima generazione di studenti della Facoltà su architettura, design, futuro sostenibile.
Fra i partecipanti, attesa presenza, Caterina Biti, con delega all’Urbanistica a Palazzo Vecchio. Ed è all’assessora, appunto, arrivata con un piccolo ritardo per impegni di giunta, che il presidente dell’associazione Idra porge la ‘lettera pubblica’ già consegnata a tutti i presenti, e il dossier sul caso-scuola degli ex conventi di Costa San Giorgio, incastonati fra Santa Felicita, Palazzo Pitti, Boboli e Forte Belvedere: il fascicolo ‘Laboratorio Belvedere, o della partecipazione negata’, che raccoglie i tanti autorevoli interventi dal mondo della cultura in difesa del riuso saggio e qualificato di quel complesso, è stato anch’esso messo a disposizione degli studenti architetti, ieri, perché con lo sguardo al futuro non si perda di vista il presente…
Al secondo giro di interventi, la dott.ssa Biti non manca di prendere coraggiosamente di petto l’argomento, pur in questa stagione difficilissima per l’urbanistica in città, e per l’immagine stessa di Firenze, colpita oggi da un ennesimo motivo di disdoro.


La sala

“Le cose complesse - commenta - sono anche le più interessanti. Problemi complessi portano a scelte difficili. A scelte che spesso creano anche dei malumori. Gli amici di Idra mi hanno appena consegnato a mano una lettera su una questione che in città tiene banco. La leggerò con assoluta attenzione. Ecco: quello che io vorrei e che davvero sento di chiedere con estrema sincerità a tutti è di cercare di non portare soltanto problemi, ma anche soluzioni”. E sulla domanda che Idra pone a Palazzo Vecchio in testa alla missiva aggiunge: “In questa cosa io ci sono, io mi ci metto a confrontarmi con chi solleva delle questioni ma porta anche delle soluzioni, perché abbiamo un patrimonio inestimabile, meraviglioso da dover conservare ma anche gestire, ma anche far vivere perché farlo crollare a mio avviso non è gestione e non è conservazione”.
Un’assunzione di impegno finalmente apprezzabile, dopo che per l’intera passata consiliatura Palazzo Vecchio - sindaco e assessori all’Urbanistica e alla Partecipazione - hanno ignorato e affossato il progetto partecipativo sottoscritto da centinaia di abitanti dell’Oltrarno, approvato e ammesso al finanziamento dalla Regione Toscana, e si è rifiutato persino di incontrarne i proponenti. Vani sono risultati anche il deposito di una poderosa osservazione tecnica e la relativa illustrazione in Commissione Urbanistica da parte di architetti e accademici che sottolineavano le criticità dell’intervento sul piano del carico urbanistico,  della sicurezza e della sostenibilità idrogeologica (come segnalato anche dal Direttore delle Gallerie degli Uffizi), su quello della mobilità e dell’accessibilità, nonché su quello della tutela paesaggistica e della stessa appropriatezza in piena area Unesco.


Via dei Bardi e l'Editto

Seduto accanto all’esponente di Idra c’era ieri alle Murate il prof. Leonardo Rombai, colonna storica della conoscenza, della promozione e della tutela dei beni architettonici, culturali e ambientali in Toscana, presidente onorario di Italia Nostra Firenze. Ambedue hanno quindi raccolto l’apprezzata disponibilità dell’assessora, e già stamani le è stata inoltrata la richiesta di calendarizzare con una delegazione mista delle due associazioni l’appuntamento promesso. All’istanza Girolamo Dell’Olio ha accluso la versione elettronica delle ‘lettera ‘pubblica’, coi collegamenti a una piccola ma significativa parte della documentazione prodotta negli anni da Idra al riguardo: “Ci sembra doveroso segnalarla - scrive Idra all’assessora - atteso che all’atto dell’approvazione del progetto ella non rivestiva un ruolo nella Giunta comunale di Firenze. Converrà, confidiamo, che le azioni intraprese sull’argomento a partire dal luglio 2020, agevolmente reperibili sul sito web dell’Associazione fino ai giorni nostri, identificano proprio quel tipo di contributo costruttivo (leggasi ‘urbanistica partecipata’) che giustamente ella rivendicava ieri nel suo intervento come utile e necessaria, da parte della cittadinanza, nel rapporto con l’amministrazione pubblica”.

UNA GIOIOSA FATICA
di Laura Cantelmo


 
Gaccione, la complessità di un poeta e del suo stile.
 
La rivista fondata da Angelo Gaccione, che molti conoscono e oggi leggono quotidianamente on line, non a caso è denominata “Odissea”, a indicare il nostos procelloso che è stato il  percorso di vita del suo direttore: non tanto un ritorno nostalgico alla terra d’origine, quanto il ricondurre ogni azione al principio morale che è stato il faro della sua esistenza, il senso del suo Dasein: l’antifascismo, l’impegno civile volto a riscattare la dignità degli  esseri umani e della natura stessa e, in questi anni di proposte belliciste, la fiera opposizione al riarmo e alla guerra. Nato in Calabria, Gaccione ha studiato alla Università Statale di Milano negli indimenticabili anni della contestazione operaia e studentesca. Il suo destino è quello del viaggio, sotto forma simbolica oltre che reale. Del viaggiatore manifesta l’amore per i luoghi che ha visitato o dove ha trascorso i suoi anni oppure brevi periodi e da vero Odisseo diffonde intorno a sé quel sentimento struggente chiamato nostalgia, senza mai venirne travolto. Ogni città, ogni paese visitato diveniva occasione per stringere amicizie ed episodiche relazioni umane. Non essendosi mai sentito un déraciné che si tormenta nel rimpianto, Gaccione ha amato sia la terra dove vive che quella dove è nato. Da cittadino del mondo, che conosce e accetta la complessità, si muove con occhio disincantato ed affettuoso, penetrando nel profondo di ogni realtà, traendone un positivo legame con la vita, come lotta contro ogni sopraffazione. Una gioiosa fatica (La Scuola di Pitagora Editrice, Napoli 2025, pagine 160 € 16) come ogni auto-antologia, è di per sé il racconto di una vita e gli interventi di illustri personaggi, che corredano il libro, come il poeta dialettale Franco Loi, il filosofo Fulvio Papi insieme all’introduzione del poeta Tiziano Rossi, affermano la sua versatilità poetica e la tempra morale che traspare da ogni suo scritto. Anche quella splendida e terribile raccolta di racconti, L’incendio di Roccabruna (apprezzata e introdotta da Vincenzo Consolo), nasce dalla narrazione delle colpe storiche che hanno macchiato in un lontano passato la sua terra natia. La cui onta l’Autore sente ancora riflettersi su di sé, benché gli eventi vadano contestualizzati in un tempo nel quale persecuzioni religiose e violenze verso gli ultimi e i diversi fossero consuetudini mai tenute a freno da alcun Habeas corpus. Quel libro è stato un j’accuse verso i Padri della sua terra, che quelle violenze avevano conosciuto per tradizione orale o attraverso la Storia ufficiale e le avevano poi colpevolmente rimosse. Ed ha anche segnato per lui la distanza da quel mondo privo di pietas, dall’oblio che lo aveva reso un passato da dimenticare, condizionando il suo posizionarsi sempre in difesa della libertà, dei diritti umani e della non violenza.



In questa raccolta antologica, con buona ragione intitolata Una gioiosa fatica, incontriamo un Io lirico più rasserenato, che ripercorre la propria produzione poetica dai primissimi e pregevoli versi dell’età preadolescenziale, fino ai testi,  compresi nelle sezioni definite ora “Le illuminate”, ora “Le arrabbiate”, ora come “Le sacre” o “ Le dolenti”, a seconda dello stato d’animo e dell’occasione che li ha dettati: il rifiuto del male, oppure, gli affetti, le memorie di viaggio, gli incontri e le frequentazioni di carattere intellettuale o politico. Un Io che ha trovato pace nell’opporsi alla brutalità che ha gravato come stigma sulla storia dei Padri, rendendolo erede di quella progenie.
“La poesia mi è appartenuta. Io sono appartenuto alla poesia” scrive Gaccione nell’Incipit, ed è un’affermazione che si comprende leggendo due brevi testi scritti ancora adolescente, miracolosamente salvatisi dal turbine della vita, e dai quali risplende con evidenza un talento poetico precoce per profondità di pensiero e finezza di stile. Eppure, quell’affermazione può suonare un po’ deviante, se si conosce la produzione letteraria dell’Autore, che attraversa i più svariati generi: le opere drammaturgiche, i racconti, gli aforismi, le fiabe, i saggi, un libro dolcissimo e forse unico nel suo genere, come Lettere ad Azzurra, scritto da un giovane futuro padre, durante i nove mesi di gestazione della moglie, fino alla nascita di Azzurra, sua unica figlia.



La suddivisione della raccolta in sezioni focalizza temi o umori differenti, tutti espressione di un sentimento dell’esistenza, in tutte le sue forme, fino alla questione climatica, come supremo valore da rispettare. La sua è la voce di un laico che rifiuta la violenza, il servile ossequio al pensiero unico e il conformismo dell’informazione: “(…) veli di sangue per coprire l’infamia/ cadaveri di lusso/ che respirate idiozie […] / per pietà/ tacete!” (p. 21). Il tono intimamente lirico marca periodi di sofferenza a seguito dell’affermazione delle proprie idee: “(…) ho pagato il silenzio di generazioni / fino a mio padre che non si è ribellato abbastanza /Non stupitevi se oggi mi vesto di lupo” (p. 28). La chiusura amara della sezione intitolata “Le illuminate” - per quella eredità illuministica che le caratterizza - suona, nel lontano 1978, come previsione di Cassandra del tempo presente: “Più nessuna certezza, nel secolo dell’incertezza/può fugare i nostri dubbi. […] Si spengono gli ultimi lumi del chiaro intelletto […] Nessuna luce oppone resistenza.” (p. 34).
La sezione “Le milanesi” è una dichiarazione d’amore alla città del cuore, Milano - “Conosco una città / che molti dicono brutta […] ma io non l’amerei se fosse perfetta” (p. 51) - indicando il fascino delle sue segrete bellezze, scorci della città dove “la notte è degli artisti, il giorno è dei mercanti”. 



E il pensiero corre inevitabilmente a Piazza Fontana e alla strage che la insanguinò nel 1969, la cui doppia verità è messa in luce da due lapidi dedicate all’anarchico Pinelli, che testimoniano dello stridente contrasto tra la versione ufficiale di quella morte, fornita dallo Stato e quella di cui Pasolini si fece interprete, dando voce al sentimento comune della cittadinanza in quel lapidario e indimenticabile: “Io so”, che puntava il dito verso la pista nera come responsabile della strage e delle oscure macchinazioni che  portarono alla tragica morte dell’anarchico.



L’amore per la terra natia non gli impedisce di vederne ancora e sempre le discrasie. Con un amaro senso di perdita, che si muta in dolorosa reprimenda, nella sezione “Le arrabbiate” Gaccione si rivolge ai suoi conterranei: “Perché, figli della Magna Grecia, / vi siete inimicati gli dèi / rinunciato alla pietà/ obliato la sacra ospitalità dell’amicizia/ […] e, imitando i barbari, / barbari vi siete fatti voi stessi?” (p. 67). La Calabria del cuore resta, nelle sue contraddizioni, una spina sanguinante, come quella di un oscuro tradimento. Il linguaggio, mimeticamente aderente al tema, è qui ricco più che altrove, di evocazioni classiche.
Un amore per la vita, il suo, che è rispetto per l’essere umano e per la natura; che si espande a tutte le attività e relazioni ed emerge in particolare nelle poesie in cui si avverte un’ariosità grazie all’uso dell’endecasillabo. Il suo ritmo accompagna ora il senso di pietas, ora l’entusiasmo nella descrizione dei luoghi, ora l’amore, così come nelle poesie rivolte agli affetti familiari. Tra queste ultime, segnaliamo la divertente geometria dell’acrostico di pagina 118, nel quale troviamo “combinati”, sapientemente, i nomi della figlia Azzurra e della nipotina, Allegra. Nelle varie sezioni (dodici in tutto), il Poeta è sempre attento ad esplorare forme inconsuete, a cercare nuovi ritmi.



Con varia intensità, il fil rouge della passione civile percorre l’intera antologia. Intense le meditazioni di carattere filosofico ed esistenziale sulla vita e sulla morte. Segnaliamo: “Sotto ogni cielo”, “Testamento”, “Morti in vita”, “Vecchiaia”, “Addio”, “La conta”, comprese nella sezione “Le diverse”. In “Morti in vita” (p.  123), lo scherno è rivolto agli ignavi, quelli che Dante aveva aspramente punito, destinandoli all’Antinferno, per essersi schierati contro il male. Scrive Gaccione: “(…) da vivi erano così morti / che nessuno si accorse della loro esistenza”. “Testamento” è un testo pervaso da una sottile ironia: da uomo vissuto di libri e tra i libri si concede di dettare un testamento, affinché le sue ceneri trovino riposo sugli scaffali di una biblioteca, dove potrà incontrare amici e sodali, gli autori racchiusi in quelle pagine. 
Nella parte finale del volume incontriamo versi che più espliciti non potrebbero essere. Gaccione rivendica con orgoglio la scelta di essersi schierato dalla parte della vita contro massacratori e guerrafondai: “Io sono uomo di parte, / e sto da una parte sola. […] Opporremo la nostra gioiosa libertà, / al vostro lugubre arbitrio;/ e finché lascerete in piedi l’ultima rovina, / noi saremo lì a ricordarvi/ che siamo stati dalla parte della vita:/ voi no” (p. 133). Questa la sua eredità morale, gioiosa come solo la libertà può essere.


 
Angelo Gaccione
Una gioiosa fatica (1964-2022),
La scuola di Pitagora, 2025
Pagine 160 € 18,00 


[Si ringrazia "Milanocosa Scritture e Letture" per averne permesso la pubblicazione]

CHI GLI RENDERÀ GIUSTIZIA?




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