UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 10 luglio 2025

CIMITERO DI GUERRA
di Angelo Gaccione

 

Dedicato alle donne di potere.
 
Q
uello che vedete nella foto è un cimitero di guerra. Cippi bianchi e ordinati, bene in fila e immersi in un paesaggio naturale dolce e ben tenuto dalla cura e dalla fatica di donne e uomini vivi. Gli uomini che vi giacevano sotto non ci sono più: polvere alla polvere, come è scritto nella Bibbia. Se li è portati via la guerra indifferente alla loro età. Nessuno di quelli che ha fomentato e voluto la guerra vi è sepolto. Non sono sepolti qui, quegli artefici, ma il tempo ha trasformato anche loro in polvere. È una riflessione che uomini e donne non fanno quasi mai, soprattutto uomini e donne di potere, la cui momentanea onnipotenza le illude fino a credersi immortali. Invece quel cimitero è lì a ricordarci che la morte ci siede accanto, ci accompagna e può ghermirci quando vuole. Quel cimitero ci dice che c’è stata la guerra e quei cippi hanno anticipato il corso naturale di un compimento inesorabile. Con la prossima guerra, quella atomica-nucleare totale che si profila all’orizzonte, non ci sarà alcun cimitero con i cippi bianchi e ben tenuti, e nemmeno un paesaggio dolce e naturale dove riposeranno i corpi liquefatti. Ci sarà solo un immenso deserto di rovine che affiorerà, forse, dopo centinaia, centinaia e centinaia di anni di buio e di inverno nucleare. La terra ritornerà al silenzio primordiale, a quel “mondo senza nessuno” prefigurato dalla fantasia dello scrittore pacifista Carlo Cassola nel suo omonimo romanzo. 



Mentre scrivo mi viene in mente un altro romanzo, quello del compianto amico Mario Spinella dal titolo Le donne non la danno. Ma che cosa non danno le donne? La morte, perché “dovrebbero” essere portatrici di vita. E invece martedì 8 luglio nel suo editoriale dal titolo “Aridatece Lisistrata”, Marco Travaglio ricorda ai suoi lettori che un mondo governato dalle donne non è affatto più pacifico di quello governato dagli uomini, e mette in fila i nomi anche di alcune accanite guerrafondaie dei giorni nostri, che fanno a gara a chi ci spingerà per prima all’apocalisse della terza guerra nucleare. Senza andare troppo indietro con la memoria: Von der Leyen, Kallas, Metsola, Meloni, e via enumerando. Vi risulta che una delle donne che abbia preso il potere in qualunque parte del mondo si sia mai preoccupata almeno di pronunciare la parola disarmo? Di esprimere un concetto che riguardi la riconversione delle industrie di morte, il taglio alla spesa militare, la riduzione a funzioni civili degli eserciti, la messa al bando della guerra? Nessuna sorpresa per me, avendo studiato a fondo per anni la perversione del potere (di cui quello militare è uno dei più perniciosi: informa di sé e contamina la società nel suo insieme; affama e uccide anche in tempo di pace), e sono arrivato a scrivere frasi come queste: Ogni potere stupra. E non mi sono fatto mai sedurre da categorie generiche (e dunque false) come se fossero degli “universali assoluti”. Donne, operai, intellettuali, artisti, religiosi… nessuna mitizzazione; io misuro uomini e donne dal loro agire individuale, dal contributo concreto, disinteressato che danno al bene comune, dal sacrificio che fondono col sacrificio dei molti per rendere meno infame queste nostre esistenze. E amo quelli e quelle che portano i loro corpi e le loro intelligenze nello spazio pubblico, che si indignano e si commuovono contro il disumano e la barbarie, di cui guerre e sterminio sono le aberrazioni più vistose. In un mio racconto di oltre quarant’anni fa (ma il libro uscì dall’editore Bertani di Verona nel 1987) il lungo ragionare del personaggio si conclude con una frase secca, ma carica di sconforto e pessimismo: “È le donne, perché credete che siano migliori? Anche loro sono state impastate col fango come l’uomo, ed anche loro come noi sono un errore del Padreterno”. E segue una lista lunghissima di ragioni. 


Ma torniamo al cimitero di guerra e alle donne di potere con un pensiero finale. Stanno preparando a cuor leggero la fine di tutti e non si vede all’orizzonte alcuna rivolta di popoli che possa impedirla. Non si fermano davanti alla sparizione della bellezza e di quanto di straordinario le civiltà hanno prodotto. Non si fermano davanti alla condanna a morte di miliardi di anonimi esseri umani, e come mamme non si fermano nemmeno davanti a quella dei lori figli ancora bambini. Concorrono al riarmo e si preparano alla guerra con gioia, come al ballo finale dell’umanità.  

NORMALE CONFRONTO CIVILE?



L’associazione di volontariato Idra commenta il blitz al parco eolico in Mugello.
 
Un’opera che ha avuto varie contestazioni, tutte rimaste fino ad ora nell’ambito del normale confronto civile”. Così le cronache Rai dipingono lo sfondo del ‘blitz al cantiere del parco eolico’ in Mugello agli onori delle cronache. Che già chiamarlo ‘parco’, questo scempio ambientale, paesaggistico e istituzionale, ci vuol coraggio! Sono le stesse immagini trasmesse dal Tgr Toscana a documentarlo, e i pareri formulati nero su bianco dalla Soprintendenza di Palazzo Pitti a confermarlo: “La realizzazione dell’impianto eolico comporterebbe un’alterazione irreversibile dei paesaggi interessati dalle opere in progetto, causando una irreversibile trasformazione radicale degli stessi dovuta alla pesante infrastrutturazione di aree collinari e alla compromissione dei valori paesaggistici oggi esistenti, che debbano essere assunti come interesse pubblico preminente”.
Quanto al ‘normale confronto civile’, si dà il caso che sia stato assai poco normale, civile e democratico quello a cui anche la nostra Associazione ha tentato invano di partecipare, esponendo le proprie ragioni in maniera laica, garbata e nonviolenta. Salvo scoprire che quell’opera era già decisa, era già blindata, prima ancora che il ‘normale confronto civile’ permettesse di entrare nel merito. E allora, dovendo dedicare le proprie forze al contrasto di un’altra opera, diversamente ma non meno pesantemente offensiva, l’escavazione TAV sotto Firenze, Idra ha dovuto abbandonare già cinque anni fa quella parodia di ‘inchiesta pubblica’. Non senza tornare a denunciare come il progetto di pale eoliche avallato sui monti di Giotto e del Beato Angelico rischiasse di modificarne lo skyline storico, e di impattare popolazioni, ecosistemi, viabilità, fauna selvatica, patrimonio arboreo, potenziali contesti archeologici. Un rischio divenuto tristemente realtà. Un simpatico contributo ‘progressista’ all’incremento del degrado idrogeologico, con buona pace delle politiche di preteso contrasto al ‘cambiamento climatico’.
Quindi, per cortesia, signori ‘giornalisti’, raccontatela tutta!





 












Le foto sono state trasmesse dalla cittadinanza attiva del Mugello

mercoledì 9 luglio 2025

IL SENSO DEL RIDICOLO 
di Romano Rinaldi 


 
La proposta fatta da Netanyahu di insignire il suo sodale, attuale presidente degli Stati Uniti d'America, del Premio Nobel per la Pace, è una ulteriore conferma del totale distacco dalla realtà che accomuna questi due protagonisti delle più recenti nefandezze nel panorama bellico, bellicista e imbecille internazionale. Sulle criminali azioni belliche dell’attuale governo di estrema destra del malcapitato Stato di Israele, c’è ormai poco da arguire, se non per motivi di pura faziosità. La cronaca giornaliera parla da sé da troppi mesi ormai ed è inutile aggiungere altro. Analogamente si pongono le azioni belliciste in campo economico e commerciale internazionale da parte della nuova amministrazione americana, comprese le azioni di guerra guerreggiata anche se non dichiarata, per togliere qualche grossa castagna dal fuoco all’amico israeliano nella sua spavalderia nei confronti del regime iraniano. Quanto all’imbecillità, non c’è che da scegliere dall’una e dall’altra parte. Le azioni, minacciate poi ritirate e poi ancora reiterate, in un costante perseguimento del caos dove l’unica certezza è l’imprevedibilità persino dichiarata, le proposte di tregua e relative immediate smentite, il turbinio di accuse e controaccuse, uccisioni mirate e cannonate o fucilate nel mucchio, su scuole, ospedali, distribuzioni di acqua e cibo e messi diplomatici. Insomma c’è quanto di peggio una mente possa concepire per dimostrare l’irrazionalità di tutte e ciascuna delle scelte fatte finora per assicurare ai rispettivi popoli che pro-tempore rappresentano, alcuni dei miglioramenti promessi in campagna elettorale. Ora, che il primo avanzi una tale oscena proposta al Comitato di Stoccolma equivale al fatto che una uguale proposta possa provenire, nei suoi confronti, dal ICC dell’Aia!
O magari si potrebbe ripiegare, per assegnare il premio all’americano, sulla salvaguardia ambientale e la lotta al cambiamento climatico. Insomma siamo ormai molto oltre il senso del ridicolo e la farsa è già da un pezzo avviata verso l’inevitabile trasformazione in tragedia.

LA DISCESA IN CAMPO DI ELON MUSK  
di Luigi Mazzella


 
Per usare il linguaggio sportivo, ritenuto popolare e utile (ai suoi fini) da Berlusconi, la notizia della “discesa in campo” di Elon Musk, con un proprio partito, del tutto nuovo, nella competizione elettorale per la Presidenza statunitense ha suscitato reazioni emotive molto contrastanti; e tra esse non è mancata la rispolveratura (del tutto a sproposito, come dirò) del mito del genio. “Genio” è un termine che deriva dal latino genius, a sua volta derivante dal verbo geno (generare, creare). Con genio si intende sia la naturale e oggettiva attitudine umana volta alla creatività sia la persona stessa in possesso di tale eccezione abilità produttiva. Il termine è caratterizzato da una pluralità di significati (che non favorisce la chiarezza e l’univocità dei discorsi) proprio perché resta indeterminata e multiforme la natura dell’opera creata dal genio: può essere artistica, scientifica, filosofica (ergo: politica) e riguardare situazioni della più svariata natura; di tal ché si parla anche di genio del male, come archetipo di antagonista dell’eroe nelle opere di fantasia. Dal genio va distinto il talento: la nota comune è il prerequisito dell’elevata intelligenza; la nota distintiva è la creatività immaginativa in una data situazione di valore, per così dire, “universale”. In un’epoca felice come quella  greco-romana, dove le umane e naturali tendenze all’empirismo e alla sperimentazione si combinavano con la ricerca della razionalità, la genialità in campo artistico esprimeva, a tacer d'altri, Fidia e Prassitele, nelle scienze Ippocrate, Talete, Archimede, in filosofia i Presocratici e i Sofisti, con Epicuro in prima linea, grande maestro di vita felice, intesa come fine ultimo dell’agire umano e consistente, al tempo stesso, nella rettitudine e nel piacere, vera, duplice garanzia della  serenità interiore. Quel tempo, in Occidente, è, purtroppo drammaticamente finito: 



a) con la penetrazione, pacifica ma nociva e ugualmente distruttiva, delle tre religioni monoteiste mediorientali ispirate al senso della morte, della sofferenza terrena (“valle di lacrime”), dei piaceri dell’eros come “peccati” mortali, puniti da Dio, della resurrezione della carne (decomposta) in un al di là (infernale o paradisiaco);
 b) con il predominio della filosofia del supponente, aristocratico e autoritario Platone, nemico sostanziale della democrazia e della conoscenza libera (gli allievi dovevano giurare in verba magistri, quindi non pensare con la testa propria), propugnatore di “idee” che molti secoli dopo la sua morte genereranno i due ulteriori cancri dell’umanità: il nazifascismo e il socialcomunismo.
Nel nuovo Occidente, dominato da credenze mediorientali (anche quelle platoniche si ispiravano alla medesima fonte “barbara”, fuori dai confini greci) cominciano le fortune, molto alterne, del genio. Nell’accezione rinascimentale esso è associato ai campi del sapere matematico, astrofisico, filosofico; meno al settore artistico che, invece, il periodo romantico porta in auge ed accosta al divino. Il suo “mito” decade, poi, paurosamente nel Settecento in Gran Bretagna dove gli Inglesi diffidano delle intelligenze eccezionali e del loro amore per la libertà nonché della loro insofferenza delle regole. I tedeschi, dal canto loro, tendono a magnificare i metodi e le regole scientifiche collettive seguite nella scienza, non avvedendosi che l’imitazione non ha niente a che fare con la produzione del genio. Hegel lo liquida come una “romantica fantasticheria”, non distinguendo il medesimo dal talento (la qualità da lui definita anche “bravura”). 



Oggi, il genio, pur presente in ambiti circoscritti del sapere, è più che mai “latitante” (come “la razionalità” nel mio volume pubblicato, raccogliendo gli scritti apparsi su “Odissea” di Angelo Gaccione) nei campi della sua vasta estensione ed è scomparso addirittura dalla filosofia che non esprime più modelli di vita, esempi di comportamento per gli altri, misure per il proprio naturale gusto estetico e regole per i giudizi. Nella branca della filosofia pratica che è la politica non se ne ritrovano neppure i resti. A dispetto di ciò, la gente dell’Occidente, disperata per l’irrazionalità sempre più devastante che consegue dai suoi cinque pestiferi ideologismi, religiosi e politici, s’aggrappa a ogni ipotesi di nascente genialità, nella speranza che un individuo di grande perspicacia possa darle quell’eudemonia, rifiutata ai tempi di Epicuro. C’è chi ha sperato in Trump, non avvedendosi che il suo unico talento è stato solo quello di far ricadere esclusivamente su gli Euro-beoti le conseguenze nefaste dell’improvvida, pazzesca azione di governo del suo predecessore Joe Biden. Oggi la notizia che ha ridato speranza ai delusi Occidentale riguarda quella surricordata di Elon Musk. Non credo che la fiducia riposta nell’uomo che è stato capace di divenire il più ricco del mondo possa rispondere alle aspettative. E ciò non perché l’uomo non sia un individuo dotato di grande intelligenza e di acuta perspicacia capace di interessarsi anche di obiettivi orientati alla ricerca della felicità umana, ma per l’irrazionalità diffusa, come una peste bubbonica, in tutta la massa occidentale. Anche se Musk si allontana dal suo genio volto, allo stato, prevalentemente alle innovazioni digitali e spaziali resterebbe, comunque, una vox clamans in deserto. 
Conclusione: la soluzione del problema non dipende dalla vox ma dal deserto delle cinque irrazionalità presenti a scacchiera nelle teste degli Occidentali.

 

SOCIALISMO INTERNAZIONALE
di Franco Astengo


 
Utilizzo senz'altro in modo arbitrario alcuni interventi apparsi in questi giorni e incentrati attorno al tema della forma politica della sinistra in Italia e altrove. "Domani" ha lanciato un vero e proprio dibattito impostato sulla base di una lettera inviata da Nadia Urbinati e Carlo Trigilia alla segreteria del PD Schlein, cui hanno già risposto Gianni Cuperlo e Andrea Lorenzo Capussela: dibattito nel corso del quale il tema appare essere quello di una visione alternativa da opporre ai demagoghi, reazionari, moderati o populisti che hanno rinunciato al tentativo di invertire il declino economico e civile dell'Italia e da decenni si contendono la prerogativa di gestire il potere a vantaggio di diversi interessi particolaristici. Nello stesso tempo dalle colonne del "il Manifesto" Luciana Castellina misura da par suo l'andamento di una assemblea nazionale dell'ARCI svoltasi a Padova e rilancia - in sostanza- l'idea del "partito sociale della sinistra". Mi permetto di collegare a questi due spunti di discussione anche il contenuto di una intervista rilasciata qualche giorno fa sempre al "il Manifesto" da Yannis Varoufakis, promotore del movimento Diem25 (in verità l'unico che utilizza il termine "socialista"). Varoufakis accenna all'idea di ricostruire un internazionalismo socialista europeo (un vero e proprio "Socialismo Internazionale") con l'idea di collegare la lotta al riarmo e il movimento pacifista in un quadro complessivo di prospettiva socialista per la quale, però, mi permetto di aggiungere va compiuto almeno sul piano teorico il salto di un mutamento di paradigma inserendo nel concetto di "sviluppo" quello di "limite" (un tema sul quale mi permetto un accenno ma che credo occorrerebbe approfondire) in una visione di "socialismo della società sobria" affrontando sul piano progettuale i nodi della complessità delle contraddizioni post-moderne poste in relazione alla "frattura" dello sfruttamento (del lavoro, del territorio, del genere). In tempi di guerra la ricerca di uno strumento utile per avviare la discussione farebbe saltare in mente vecchie storie, risalenti addirittura alla prima guerra mondiale con l'opposizione di alcuni dei socialisti di allora (dopo la tragedia del voto ai crediti di guerra dell'SPD e del Partito Socialista Francese e il pratico scioglimento della Seconda Internazionale) e la convocazione delle conferenze di Zimmerwald e Kienthal. Fin qui soltanto un accenno ad un itinerario (evidentemente impossibile) riferito soltanto per tracciare un solco non soltanto nella memoria, ma riflettendo che tant'è un tasto lo si potrebbe battere nella passività imperante.
 

CHICO MENDES SI RIVOLTA NELLA TOMBA


 
Chico Mendes

Dico subito che non ho mai comprato prodotti di cooperative equosolidali: costano notoriamente di più e la mia magra pensione non se lo può permettere. Meloni fa finta di non saperlo, ma ceti popolari e pensionati sono sempre più poveri. Fa finta di non saperlo neppure la banda Picierno (c’è ancora chi considera queste cricche come gente di sinistra) che vota spese militari criminali in Europa e si stupisce che gli astensionisti abbiano superato il 50%), ma le pretese dei parenti di Chico Mendes sono semplicemente disgustose, come mostra il Comunicato di Giuste Terre che qui pubblichiamo. Per inciso: credo più alla disinteressata consanguineità delle idee, non a quella interessata del sangue. [A. G.]
 
Comunicato
Milano, 2025 - La storica cooperativa di commercio equo e solidale “Chico Mendes” di Milano, nata il 18 dicembre 1990, cambia nome e diventa “Giuste Terre”. Una scelta sofferta quella assunta dall’assemblea dei soci il 30 giugno 2025 e che nasce da una richiesta degli eredi del sindacalista, politico e ambientalista brasiliano assassinato il 22 dicembre 1988 per il suo impegno sociale e per la sua lotta per i contadini, i seringueiros, e l’Amazzonia. “Nel corso del 2024 infatti i familiari di Chico hanno contestato alla cooperativa l’uso del nome e della sua immagine, e hanno chiesto il pagamento di un risarcimento per l’utilizzo pregresso e di un importo a titolo di royalty per ogni eventuale utilizzo futuro. Il tutto sull’assunto che non avrebbero mai prestato alcun consenso a tale uso, che sarebbe dunque, dal loro punto, di vista illegittimo”. Nella consapevolezza di aver sempre agito in buona fede e in piena trasparenza quella che oggi diventa “Giuste Terre” ha nei primi anni 90 spinto e sostenuto attraverso il Consorzio Altromercato una collaborazione con la Coop Agroexatrivista de Xapuri che Chico Mendes stesso aveva creato in America Latina, si è dovuto prendere atto del venir meno del consenso e, dall’altro lato, del dovere di agire con prudenza rispetto a pretese economiche (anche se infondate). “Anche per queste ragioni, senza nulla riconoscere circa la fondatezza delle tesi giuridiche avanzate dai familiari di Mendes, già in occasione delle prime interlocuzioni avute con i loro legali, la cooperativa si era detta disponibile a rinunciare all’uso del nome, dell’immagine e dei marchi di Chico Mendes. Ma non di sottostare alle loro pretese economiche”. Ecco dunque spiegato il perché della scelta sofferta, per certi versi paradossale, di cambiare denominazione sociale e cessare ogni utilizzo del nome e dell’immagine di Chico. “D’altra parte - aggiungono gli amministratori di ‘Giuste Terre’ - siamo convinti che possiamo continuare a diffondere e sostenere il messaggio e i valori di Chico pur senza spenderne il nome che ci hanno ispirato nel portare giustizia e solidarietà ai contadini di ogni latitudine”. La decisione di cambiare nome vuole anche essere un segnale agli eredi di Chico Mendes: il 17 giugno infatti la cooperativa ha ricevuto la notifica di un atto di citazione da parte dei familiari, che reiterano le richieste già formulate l’anno scorso in sede stragiudiziale. “Confidiamo che il mutamento di denominazione e tutti gli altri cambiamenti - a cui stavamo già lavorando quando abbiamo ricevuto la citazione - ci possano aiutare a riprendere un dialogo compositivo con le nostre controparti, al fine di evitare gli oneri e i costi di un contenzioso che ha un tratto paradossale e che davvero mal si concilia con la nostra storia”, concludono gli amministratori di “Giuste Terre”. Il nuovo nome, frutto di un'attenta riflessione strategica, vuole esprimere con più forza l’origine e l’evoluzione del lavoro e la volontà di affrontare le sfide del futuro con coerenza e determinazione. “È un segno di continuità con i valori in cui crediamo e che continueremo a promuovere con immutato impegno. Abbiamo scelto di trasformare questa difficoltà in un’opportunità”.
Contatti Ufficio stampa:
Ombretta Sparacino - giusteterre@gmail.com

 

LIBRI ALL’ATENEO LIBERTARIO




ARTE DELLA RESISTENZA A “CORRENTE”




martedì 8 luglio 2025

GACCIONE E I SUOI CONTRAPPUNTI
di Anna Rutigliano


Angelo Gaccione
Piacenza, 29 maggio 2025
 
Un vero Zibaldone del terzo millennio, la recente opera di Angelo Gaccione dal titolo Contrappunti, (Arca Edizioni, Milano 2025, pagine 184 euro 14). Una raccolta di scritti composti da 50 capitoli che spaziano sulle più disparate tematiche: dalla sfera semplice e sacra della quotidianità agli ambiti più complessi filosofico-letterari, socio-antropologici e linguistici. Riflessioni a tratti dal tono amaro e ironico conditi da una prosa spesso aforistica godibile alla lettura e coinvolgente. Il libro di Gaccione si correda di una risonante introduzione dovuta alla penna profondamente puntuale di Gabriella Galzio, la quale, per mezzo di un parallelismo con l’arte del contrappunto bachiano, ci immette su una partitura di note discorsive indipendenti ma dal carattere polifonico, accomunate da un profondo sentire dello scrittore, le quali assurgono a coro universale dell’intera esistenza.
Non vi è capitolo che non lanci un monito o un segnale di riflessione e di sprone a scegliere da che parte stare se vogliamo che l’umanità non si inaridisca totalmente nella sua componente più immateriale e spirituale. Leggiamo, così, nell’incipit del capitolo intitolato ‘Pane, Pasqua e Povertà’: “Cosa c’è di più sacro del pane, e cosa c’è di più umano di una mano che allunga un pezzo di pane ad un’altra mano? (...) di povertà ne ho vista tanta nella mia vita, ne conosco l’odore”. La potente assonanza creata dalle sillabe iniziali delle tre parole del titolo svela, nell’immediato, una peculiarità fondamentale dell’autore: prima ancora che scrittore ed intellettuale attivamente impegnato, Gaccione è un uomo che ha sperimentato le difficoltà della vita e di cui, nonostante tutto, ne conserva e preserva il valore sacro attraverso l’odore del pane ed il rito dello scambio del ramoscello d’ulivo, simbolo di pace e riconciliazione mondiale. L’umiltà dell’autore si completa nella semplicità della vita, un binomio fatto di piccoli piaceri salutari per l’anima, come può esserlo una conversazione disinteressata con amici o il silenzioso sostare su una delle tante belle piazze italiane, in un giardino, pubblico o privato che sia, per assaporare quella parvenza di magia ed incanto che solo l’hic et nunc sa donarci, pur nella consapevolezza della sua transitorietà. Leggiamo in proposito un breve estratto dal capitolo ‘Piaceri’: “(…) uno spazio che permetta il raccoglimento, lo scorrere lento delle ore in cui l’anima possa rinfrancarsi, dove conversare diventa un modesto privilegio che non esibisce arroganza, ed alzare il bicchiere per brindare all’amicizia, alla nostra vita precaria e transeunte, un gesto semplicemente umano, solidale.



Ma l’armonia si è rotta da tempo, è scomparsa, a detta di Gaccione e le note pian piano si susseguono con tono più grave e dolente, se queste riflettono un presente si spera non eterno, consegnato alla mercificazione non solo delle cose ma soprattutto dell’anima, tanto che la leggerezza dell’aria di cui è stato riempito un paio di scarpe, prodotte dall’industria moderna, fa da contrappunto non solo alla genuinità della manifattura delle botteghe artigiane di un tempo del Bel Paese, ma anche alle pesanti conseguenze di un atteggiamento indifferente alla nostra Terra da parte dell’homo sapiens-sapiens, figlio di una società consumista e capitalista. Trovo emblematici, a tal proposito, sia il capitolo dedicato alla ‘Modernità’, in cui l’autore ironicamente denuncia la società massificata su scala globale: “(…) le merci industriali, quelle elettroniche e di alta tecnologia, soprattutto, sono programmate per il suicidio e non debbono superare in esistenza, un certo numero di anni preventivamente stabilito. () È un ottimo modo perché il consumismo, religione pagana ed empia del capitalismo, divori sempre più risorse, devasti la natura, aumenti a dismisura i rifiuti industriali inquinando in ogni dove…”); sia quello intitolato ‘Alienazione da telefonino’. Nelle pagine dedicate a questo oggetto di consumo, trasformatosi in bene di prima necessità, più del sacro pane, l’ironia dell’autore diviene più pungente riferendosi al telefonino, quale strumento ormai invasivo e pervasivo a tutte le età e dal carattere democraticamente alienante, tanto da esprimersi sarcasticamente, a cui si accompagna una visione al limite del surrealismo nella parte conclusiva del capitolo: “(…) il pollice, il dito che ha permesso alla mano dei nostri progenitori umanoidi diventando prensile di afferrare oggetti, è divenuto nei digitatori da telefonino, duttile e super veloce. È possibile che col tempo acquisirà un’abilità così esclusiva per questa funzione, da surclassare l’intera mano”. 



Ma l’opera di Gaccione è soprattutto preziosa, non solo per gli interessanti stimoli riflessivi a cui sottopone il lettore/lettrice, quanto per una caratteristica, a mio avviso fondamentale dal punto di vista linguistico: la sua funzione comunicativa esortativa e pragmatica. L’autore tenta di trovare una sorta di sintesi di matrice hegeliana, invitando il suo pubblico di lettori/lettrici a dare concretezza a concetti che invece rimarrebbero nella mera sfera dell’idealità; esorta difatti, in forma aforistica e meta-discorsiva a leggere per vivere, come nelle pagine dedicate al valore vitale della lettura, in grado di modificare la Weltanschauung di ognuno, tanto che nel capitolo ‘Leggete per vivere’, Gaccione afferma che “i libri sono la cosa più importante della mia vita”. D’altro canto le parole possono essere involucri di menzogna ed inganno se non si attribuisce loro il giusto peso, alimentando il fenomeno dell’alienazione linguistica di stampo rossi-landiano in omologia con il fenomeno economico dell’alienazione del lavoro (Die Arbeitsentfremdung), eredità del pensiero scientifico marxiano. Significative, in tal senso, sono le riflessioni dedicate all’ambiguità delle parole nel capitolo ‘Il senso ambiguo delle parole’, in cui lo scrittore oppone, con fermezza, una controinformazione capace di smascherare l’abuso di potere insito nei processi socio-economici: “I giornali sono pieni di menzogne, come lo sono tutti i linguaggi dei poteri, come lo sono le pubblicità: pubblicità ingannevoli, esiste addirittura un lemma per connotarle. La propaganda è quasi sempre basata sulla menzogna () Chi vi si oppone si è dato anche gli strumenti di contrasto e ha chiamato questa pratica controinformazione”.



E come non menzionare, i due capitoli, rispettivamente ‘Quotidianità’ e ‘Ironia’, quali potenti antidoti all’orrido dominante, per dirla con Gaccione, all’empietà, di cui è capace l’essere umano tanto nei confronti dei propri simili, quanto dell’intero eco-sistema? Sarà, allora, quella parte eroica della quotidianità, fatta di piccoli gesti di cura e considerazione a non farci del tutto disperare e che nelle parole dell’autore “ha del miracoloso e si incarna in gesti affettuosi, di attenzione, di cura; piccoli gesti che rivelano un radicato substrato di umanità che pervicacemente resiste ad ogni intemperia…”. O sarà, l’ironia, mai oltraggiosa, il contrappunto più saggio e scaltro fra tutti, “il più efficace rimedio contro l’idiozia, senza la quale, uno spirito in conflitto con questo tempo indegno non potrebbe sopravvivere”.
Ma l’ironia e l’eroismo quotidiano, in ultima analisi, non bastano a salvarci da una società mortifera e improntata alla distruzione, quale quella che stiamo vivendo. Nell’ottica utopisticamente reale dell’autore di Contrappunti occorre fare i conti col passato, ricordarlo in modo ostinato e vigile, perché, come recita la frase finale che chiude il capitolo ‘Viaggio della memoria nella memoria’: “Chi non sa ricordare il passato, viene condannato a riviverlo.



I Cinquanta capitoli di Contrappunti.

Sul mestiere di scrittore, Parigi, oh cara!, Modernità, Il Re dell’orto, La responsabilità del linguaggio, Frasi sulle magliette, Intelligenza e sensibilità, Alienazione da telefonino, Viaggio della memoria nella memoria, Umani come gli alberi, Il dèmone della scrittura, Pane, Pasqua e povertà, Povero Dante, Del prestare i libri e non solo, Piaceri, La storia e i se, De Senectute, Di tutti i colori, Pietre di inciampo, Il peso delle parole, Speriamo, Fraintendimenti, Tempo e vita, La zona d’ombra, Leggete per vivere, Germinie e l’indipendenza, Elogio degli utopisti, La condizione umana, L’orrido dominante, Quotidianità, Il senso ambiguo delle parole, Cose e beni, Lingue vive, Idola e miti, Melville e il cassonetto dell’immondizia, Ferragosto di luci e ombre, Musei e coscienza, Pietà per gli animali, Ironia, L’eterno presente, Povero Thoreau, Il Novellino e la musica, Musica e letteratura, Lo scorrere del tempo, Volere l’impossibile, Umanoidi, Labirinti, Le parole perdute, Atomi, L’animo e il cielo.

 

 

 

 

 

NUCLEARE: USO PACIFICO?
di Alessandro Pascolini - Università di Padova

 
L’operazione Midnight Hammer e il Trattato di non proliferazione.
 
La notte del 21 giugno scorso con l'operazione Midnight Hammer gli Stati Uniti hanno colpito i siti del programma nucleare iraniano a Natanz, Isfahan e Fordo; sette bombardieri strategici stealth B-2 Spirit hanno rilasciato circa 75 bombe di precisione guidate, inclusi 14 penetratori GBU-57 Massive Ordnance da 30000 libbre (13,6 t), in grado di colpire anche strutture sotterranee, mai usati in precedenza; l'attacco fu completato da 30 missili cruise Tomahawk lanciati da un sottomarino nucleare della classe Ohio dal golfo di Oman. Una forza imprecisata di caccia americani di quarta e quinta generazione hanno colpito i sistemi di difesa antiaerea iraniani a protezione dei B-2.
L'operazione è avvenuta di sorpresa, in assenza di una dichiarazione di guerra (una specie di "operazione militare speciale") e non è stata preceduta da forme di ultimatum, ma mentre erano in corso negoziati fra Iran e gli USA appunto sul programma nucleare di Teheran.
 


Impianti di arricchimento e NPT
Poiché l'unico e preciso obiettivo di Midnight Hammer è stato la distruzione totale del programma iraniano di arricchimento dell'uranio (a completamento degli attacchi di Israele dei giorni precedenti) vale la pena considerare l'operazione alla luce del Trattato di non proliferazione (NPT), di cui sia l'Iran che gli USA sono parte.
Gli articoli III e IV del NPT riguardano specificatamente lo sviluppo pacifico dell’energia nucleare e il suo controllo. L’art. III impegna ogni stato militarmente non nucleare (NNWS) parte del trattato a sottoporre i propri impianti e i materiali fissili al controllo e a speciali salvaguardie da parte dell’Agenzia atomica internazionale (IAEA) per impedire la diversione dalle utilizzazioni pacifiche ad armi nucleari. Il terzo comma attenua il rigore dei controlli, precisandone la necessaria compatibilità col diritto di tutte le parti alla tecnologia nucleare e che devono evitare di ostacolare lo sviluppo economico e tecnologico delle parti, o la cooperazione internazionale nel campo delle attività nucleari pacifiche.



L'articolo IV recita precisamente:
1. Nessuna disposizione del presente Trattato deve essere considerata come pregiudizievole per il diritto inalienabile delle Parti di promuovere la ricerca, la produzione e l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare, senza discriminazione e conformemente alle disposizioni degli articoli I e II qui innanzi.
2. Tutte le Parti si impegnano a facilitare lo scambio più intenso possibile di attrezzature, materiali e informazioni scientifiche e tecnologiche, per l’uso pacifico dell’energia nucleare, e hanno diritto a partecipare a tale scambio. Le Parti, in condizioni di farlo, debbono anche collaborare contribuendo, sia individualmente sia assieme ad altri Stati od organizzazioni internazionali, all’ulteriore sviluppo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare soprattutto nei territori degli Stati non nucleari, che siano Parti del Trattato, tenendo debitamente conto delle necessità delle regioni in via di sviluppo.
Sull’uso pacifico dell’energia nucleare si sono contrapposte le posizioni di coloro che difendono i diritti di accesso alla tecnologia in sé e di coloro che leggono nell’NPT un forte impegno a condividere i benefici nucleari ma al contempo la necessità di trattare le richieste di accesso a specifiche tecnologie come questioni politiche da stabilire caso per caso, tenendo conto di varie condizioni quali la capacità delle salvaguardie di fornire un avviso tempestivo di usi impropri.
Le tecnologie in questione riguardano essenzialmente l’arricchimento dell’uranio e la separazione del plutonio, che a molti appaiono difficilmente verificabili con la necessaria precisione, ingiustificate dal punto di vista economico e che troppo facilmente possono venir convertite a scopi militari. Gli impianti a centrifugazione richiedono la massima attenzione per prevenire la proliferazione nucleare, dato che uno stesso impianto può produrre in un anno, a partire da 150 t di uranio naturale, o 20 t di LEU al 4% (il consumo annuo di un reattore da 1 GWe) o 550 kg di HEU al 93%, sufficiente per 26 bombe; nel primo caso la centrifugazione procede in una cascata a 10 stadi, nel secondo a 32 stadi.
Impianti di arricchimento sono stati comunque accettati come "diritto inalienabile" anche dei NNWS e sottoposti alle salvaguardie della IAEA; ne esistono in Argentina (capacità di 20k SWU/anno), Brasile (capacità di 60k SWU/anno), Germania (capacità di 3600k SWU/anno), Olanda (capacità di 5100k SWU/anno) e Iran (capacità di 43k SWU/anno); anche il Giappone sta realizzando un impianto. Lo SWU (separative work unit) misura la capacità di arricchimento; la grande capacità degli impianti europei Urenco è dovuta all'alta capacità delle singole centrifughe (fino a 300 SWU/anno) mentre le più avanzate centrifughe IR-6 iraniane non superano i 10 SWU/anno.

 


Rispetto dello spirito e della lettera del NPT
Una volta accettata la possibilità per gli NNWS di creare impianti di arricchimento, purché sottoposti alle salvaguardie della IAEA, tutte le parti del NPT sono impegnate a garantire anche all'Iran il diritto inalienabile al proprio programma di arricchimento; appare quindi evidente che la missione americana finalizzata alla distruzione degli impianti nucleari iraniani viola lo spirito del NPT, in particolare essendo stati appunto gli USA a formulare (con l'Unione Sovietica) lo stesso testo del trattato, di cui costituiscono uno stato depositario.
Si tratta in realtà della seconda volta in cui gli USA distruggono gli impianti nucleari di un paese non militarmente nucleare parte del NPT. Nell'ambito dell'operazione "Package Q" il 19 gennaio 1991 forze aeree americane attaccarono pesantemente il centro irakeno di Al Tuwaitha distruggendo i due reattori di ricerca operativi IRT-5000 e Tammuz 2 oltre a laboratori di fisica nucleare e radiochimica, strutture per la fabbricazione di combustibile, la stazione per il trattamento delle scorie e depositi di materiali nucleari.
Secondo il generale Norman Schwartzkopf, a seguito dell'azione la capacità del paese di sviluppare armi nucleari aveva subito "una battuta d'arresto considerevole, se non una battuta d'arresto totale", mentre in realtà le strutture di Al Tuwaitha servivano solo per ricerche civili, coperte dalle salvaguardie della IAEA.
A quel tempo, il bombardamento di Al Tuwaitha non provocò alcuna protesta o azione diplomatica significativa. La guerra del Golfo avveniva per un mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU a "utilizzare ogni possibile mezzo per costringere l'Iraq a ritirarsi dal Kuwait e per ristabilire la pace e la sicurezza internazionali nell'area". La generale ostilità internazionale all'Iraq e il diffuso consenso alla distruzione del suo programma nucleare "militare" resero accettabile l'operazione e non vi fu alcuna segnalazione al Consiglio di sicurezza dell'ONU.



Solo in seguito giuristi internazionali cominciarono a esaminare se l'operazione non fosse andata oltre i limiti del mandato dell'ONU e un riflesso degli eventi si trova nella formulazione delle decisioni prese nella Conferenza di revisione ed estensione del NPT del 1995, vincolanti appunto all'estensione indefinita del trattato; si decise appunto che:
20. Gli attacchi o le minacce di attacco a impianti nucleari destinati a scopi pacifici mettono a repentaglio la sicurezza nucleare e sollevano serie preoccupazioni riguardo all'applicazione del diritto internazionale sull'uso della forza in questi casi, che potrebbero giustificare un'azione appropriata in conformità alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite.
Anche nell'ultima Conferenza di Revisione che ha prodotto un documento approvato all'unanimità (2010) viene ribadita la condanna per attacchi a impianti nucleari civili e proposta una precisa "raccomandazione per azioni successive":
Azione 64: la Conferenza invita tutti gli Stati a rispettare la decisione adottata per consenso dalla Conferenza generale dell'AIEA il 18 settembre 2009 sul divieto di attacco armato o di minaccia di attacco contro impianti nucleari, in funzione o in costruzione.
Poiché sia le "decisioni" della conferenza di estensione del 1995 che le "azioni" raccomandate nella conferenza di revisione del 2010 sono tuttora valide e vincolanti, dobbiamo concludere che con l'operazione Midnight Hammer gli Stati Uniti hanno violato sia lo spirito che la lettera del Trattato di non proliferazione.
Inoltre, il ricorso all'operazione militare dimostra che il governo americano non ha alcuna fiducia nei meccanismi previsti dal NPT per la gestione di eventuali infrazioni del trattato e nella stessa IAEA.


 
Questa mia lettura degli eventi nella sua ingenuità può venir dimostrata errata da esperti di diritto internazionale, e il comportamento americano considerato consistente con il NPT.
L'evento è comunque un viatico ominoso per la prossima Conferenza di revisione del trattato prevista fra meno di 10 mesi, aggiungendosi a una crescente serie di incidenti e difficoltà del regime di non proliferazione: i fallimenti delle Conferenze del 2015 e del 2022, l'incapacità di raggiungere un documento condiviso nei lavori dei tre comitati preparatori della Conferenza del 2026, i problemi posti dall'occupazione russa della centrale ucraina di Zaporizhzhia; nuove propulsioni nucleari di significativi settori dell'opinione pubblica e politica di vari paesi; la recente (25 giugno) approvazione da parte del Parlamento iraniano di una legge che sospende la cooperazione con l'AIEA, condizionando il futuro accesso degli ispettori all'approvazione del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, un provvedimento che potrebbe preludere a un ritiro dell'Iran dal trattato.
Va infine osservato che nel febbraio del 2026 viene a cessare il trattato new START, unico trattato di limitazione delle armi nucleari strategiche di USA e Russia, in assenza di negoziati per un qualche controllo degli armamenti atomici.
Con queste prospettive, diviene difficile anche sperare che il Trattato di non proliferazione, unico a disciplinare globalmente l'energia nucleare e a imporre il disarmo degli ordigni atomici, possa avere la durata imperitura decisa nella Conferenza del 1995.

 

 

 

 

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