UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 14 gennaio 2025

IL “CASO” CECILIA SALA  
di Guido Salvini



Bisognava trattare, poi potrà venire il tempo delle risposte.
 
La prospettiva era, sin dal primo giorno molto chiara. Lo aveva spiegato subito con parole semplici Mohsen Sazegara un, disertore dei Guardiani della rivoluzione iraniana: “Se Abedini resta in cella, la Sala resta in cella. Se Abedini viene mandato in America, lei resta in cella come lezione agli italiani. Se si arriva a uno scambio, magari mascherato, magari una triangolazione, la Sala esce. Tanto nel Codice penale iraniano ci sono più di 400 articoli e possono accusarla di qualsiasi cosa”.
Il giornalista del Washington Post Jason Rezaian è stato detenuto in Iran per 544 giorni, un tempo infinito per la coscienza di un paese democratico come il nostro e meno resiliente degli Stati Uniti d’America e che sarebbe stato infinito per la giovane giornalista che, seppur in isolamento, si trovava nel carcere di Evin accanto a dove si praticano torture ed esecuzioni. D’altro canto il regime teocratico di Teheran non aveva fretta, in quel paese la magistratura non è indipendente, è un simulacro, un’appendice dei Guardiani della rivoluzione e dell’intelligence e da quel fronte non potevano aspettarsi sorprese. Considerato che Cecilia non era sottoposta ad un processo ma ad un sequestro di persona, era un ostaggio e non un’accusata, e non sarebbe bastato mandare in Iran un avvocato specializzato in diritti umani, peraltro in quel paese spesso arrestano anche loro, l’unica via possibile era trattare, e subito. Non è certo uno scandalo e lo si è fatto, giustamente, molte volte in passato per salvare nostri concittadini e anche, forse in modo più ambiguo, per tutelare la sicurezza del Paese. Molte volte sono stati pagati riscatti per liberare soprattutto tecnici e cooperanti italiani sequestrati in Africa e poi, in un contesto ancor più difficile, per salvare alcuni ostaggi italiani catturati da Al Qaeda e altri simili predoni. Tra di essi la giornalista Giuliana Sgrena.



Da molti anni non è più un segreto, grazie a indagini dei magistrati e delle Commissioni parlamentari che i 5 arabi arrestati nel 1973 a Fiumicino furono liberati e rimandati nei loro paesi di origine: 2 portati con un aereo militare in Libia e gli ultimi tre rilasciati in libertà provvisoria, e subito scomparsi, dopo che incaricati del nostro Ministero si erano recati personalmente dai magistrati per perorare un provvedimento benevolo e i magistrati avevano acconsentito. La contropartita, che durò negli anni e in parte riuscì, era l’impegno dei gruppi palestinesi a non compiere attentati nel nostro paese, il cosiddetto Lodo Moro. Forse si poteva anche trattare di più e meglio nel sequestro Moro, ma intervennero in quel caso considerazioni che andavano ben oltre la vita di un comune ostaggio e che riguardavano la figura e il ruolo politico dello statista.



Certo nel caso di Cecilia la situazione era resa più complicata dal fatto che il rapporto non fosse a due ma a tre in quanto l’iraniano era detenuto in Italia non per accuse che gli erano mosse del nostro paese ma perché richiesto in estradizione dagli USA. Ma anche questo ostacolo è stato superato. L’atteggiamento morbido da parte degli Stati Uniti, una sorta di via libera è stato anche un gesto di considerazione nei confronti dell’alleato. Gli USA dal canto loro quando si è reso necessario salvare loro cittadini anche si sono mossi nello steso modo molte volte: nel 2023 cinque prigionieri iraniani sono stati scambiati con altrettanti prigionieri americani e più recentemente questo è avvenuto anche con la Russia di Putin. Un trafficante in più o in meno libero non fa, nel grande gioco internazionale che è in corso, grande differenza mentre la vita e libertà di Cecilia erano una questione di principio e un obiettivo irrinunciabile. Così in questa storia alla fine si è mosso il Ministro di Giustizia con qualche acrobazia interpretativa sulle accuse mossa ad Abedini e in base all’art. 718 del Codice di procedura penale che gli consente di chiedere la revoca della detenzione di un estradando. 



Del resto è sempre il Ministro l’autorità cui spetta la decisione finale su una estradizione che è un procedimento per metà giudiziario e per metà politico. I giudici si sono tirati un po’ da parte, rinunciando al consueto ruolo di protagonisti, di salvatori della patria. I giudici milanesi avevano già fatto una gaffe lasciandosi scappare il trafficante russo Artem Russ, anch’egli in attesa di estradizione negli USA, posto agli arresti domiciliari e subito “esfiltrato” con una operazione dei Servizi di intelligence del suo paese. È giusto essere garantisti ma in quel caso i giudici non avevano proprio capito chi avevano davanti. Quello di Artem Russ è un precedente che molto probabilmente ha favorito la cattura di Cecilia Sala. Gli iraniani ne avevano infatti tratto sicuramente l’impressione che l’Italia fosse un anello debole della catena occidentale e che quindi, per bloccare l’estradizione del loro concittadino, poteva essere efficace la cattura di una ragazza italiana.


L’importante è che i partiti rinunzino sin d’ora, in uno spirito di unità repubblicana, come si dice in Francia, a fare di questo scambio motivo di rivendicazioni o di polemiche politiche. Non ci devono essere divisioni in questa vicenda, non deve essere usata come arma da nessuno. Poi, con Cecilia tornata a casa e una volta chiuso anche il caso Abedini, può venire il tempo delle risposte. Sanzioni commerciali o politiche, ad esempio cacciare per qualche tempo dal nostro paese l’ambasciatore dell’Iran. E anche usare gli strumenti del nostro Codice. Gli elementi ci sono tutti per aprire un fascicolo per sequestro di persona a scopo di estorsione, Cecilia Sala era la sequestrata e l’obiettivo dell’estorsione era ottenere la liberazione di un trafficante di droni. I delitti politici commessi all’estero contro cittadini italiani sono perseguibili anche in Italia ai sensi del Codice penale e la pena è in questo caso ben da 25 a 30 anni di reclusione. Un fascicolo che, se si vuole, si può aprire alla Procura di Roma contro i capi dei Guardiani della rivoluzione, i sequestratori col turbante. Sarebbe una risposta destinata forse anche a rimanere simbolica, ma se lo meritano.

 

CASA DELLE ASSOCIAZIONI



L’Associazione Regionale Pugliesi di Milano
invita alla presentazione del romanzo Pensel di Zaccaria Gallo che si terrà Sabato 18 gennaio 2025, ore 17,30 al primo piano della Casa delle Associazioni e del Volontariato del Municipio 1 di Via Marsala,10 a Milano (fermata Moscova della Metropolitana 2 Linea Verde). Modera l’incontro Paolo Rausa, responsabile eventi dell’Associazione Regionale Pugliesi, giornalista e regista teatrale.
Intervengono con l’autore Zaccaria Gallo
Agostino Picicco, responsabile cultura Associazione Regionale Pugliesi, scrittore e giornalista
Angelo Gaccione, narratore e drammaturgo
Giuseppe Langella, docente universitario e poeta
Letture di Anna Rutigliano.
A conclusione del pomeriggio aperitivo con brindisi augurale. 
 

GUERRA



La guerra non conviene a nessuno....
con i venti di fuoco si muore tutti”.

Laura Margherita Volante
 

lunedì 13 gennaio 2025

IL PENSIERO DEL GIORNO

 

Il tecnocrate è una specie politica che parcellizza il sapere in una moltitudine di specializzazioni negando la necessità di una visione di insieme e che de facto sopprime le facoltà umanistiche. Non serve una Filosofia, basta l’intelligenza artificiale. Non servono le Scienze storiche, basta l’eterno presente. Forse serve ancora la religione, come palliativo per affrontare il terrore della morte. Ma il tecnocrate si ritiene fondamentalmente infallibile, assoluto e immortale. Per questo è, ontologicamente, intrinsecamente, sostanzialmente: un fascista. 

Hileg Elena Iannuzzi

CANCELLARE IL DDL SULLA SICUREZZA


Vittime di mafia

Comunicato del Coordinamento Associazioni Familiari Vittime di Stragi  
 
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umerose Associazioni di familiari di vittime di mafia e terrorismo e singoli familiari di vittime esprimono forte preoccupazione, ed anche indignazione, per quanto proposto all'articolo 31 del ddl sicurezza attualmente in discussione in Parlamento. In un paese che non ha ancora superato le cicatrici provocate da stragi, omicidi, attentati, depistaggi, dossieraggi, golpe tentati, progetti eversivi e altre fenomenologie criminali della stessa specie, che sono stati immancabilmente accompagnati da responsabilità non solo morali e spesso processualmente accertate di esponenti degli apparati di sicurezza, il solo pensiero di fornire ancora più poteri a tale personale, ivi compreso il potere di delinquere, pare non solo una offesa alla Costituzione repubblicana ma anche eversivo. La storia, anche quella giudiziaria, ci segnala la presenza di uomini degli apparati di polizia o di sicurezza in pressoché tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia (o nei depistaggi che ne sono stati il séguito), a partire da Portella della Ginestra e a seguire tutte le altre, Peteano, Brescia piazza della Loggia, Milano piazza Fontana, Bologna stazione centrale, Italicus, rapido 904, Capaci, Palermo via d'Amelio, Bologna Pilastro, Firenze via dei Georgofili, Roma basilica san Giovanni e basilica san Giorgio al Velabro, Milano via Palestro. E poi omicidi, tanti, troppi, da Peppino Impastato a Nino Agostino, da Umberto Mormile ad Attilio Manca, da Antonino Scopelliti a Bruno Caccia, da Carlo Alberto Dalla Chiesa a Mauro Rostagno, e non basterebbe una pagina per proseguire ricordandoli tutti. In tutte queste azioni, in tutti questi misfatti, e nel loro séguito compaiono uomini dei servizi, pressoché sempre. Per cancellare prove, per inquinarle, manipolarle, depistare, oscurare e mascherare la verità. SEMPRE! È fin troppo evidente che, di fronte a tali condotte criminali, partorite da uomini dello Stato che avrebbero avuto invece il compito di assicurare la nostra sicurezza e vigilare sulla democrazia, sarebbe tassativo intervenire con misure di contenimento dei poteri e potenziamento di controlli sull’operato dei servizi. È fin troppo evidente per tutti, ma non per il governo. La licenza criminale ai servizi disegnata con l’articolo 31 del ddl sicurezza fa strame di ogni più elementare principio democratico. Agli apparati viene nella sostanza fornita, per legge, facoltà di delinquere (anche con diritto di vita e di morte su ogni cittadino?), con l’unica limitazione che ne sia informato il capo del governo. Se poi a tutto questo scriteriato e incostituzionale potere concesso con l'articolo 31, si aggiunge anche la possibilità di spiare senza alcuna limitazione ogni singolo cittadino attraverso le intercettazioni preventive, allora si comprende che non è un articolo scritto frettolosamente, piuttosto un disegno preciso di virare decisamente da uno stato di diritto a un incostituzionale stato securitario. Infatti, contestualmente, si eliminano o sterilizzano strumenti importanti e fondamentali per le indagini e il contrasto alle mafie, come accade con la limitazione all’uso delle intercettazioni in sede giudiziaria o con la depenalizzazione di reati importanti, come l'abuso d'ufficio; oppure si inseriscono nuove trappole sul già complicato funzionamento della giurisdizione nell'accertamento della verità e nella repressione dei crimini, come la prescrizione e l’improcedibilità. Uno stato democratico poggia e si tiene su principi di civiltà e giustizia inviolabili, non negoziabili. Se uno stato democratico assegna e permette licenza di delinquere a soggetti istituzionali con la copertura governativa non ci sarà più differenza fra chi dovrebbe operare a tutela della legge e della sicurezza dei cittadini e chi compie crimini attentando alla sicurezza nazionale. Per tutte queste ragioni il Coordinamento Associazioni Familiari di Vittime delle Stragi chiede di CANCELLARE l’articolo 31 dal DDL sicurezza, avviando semmai un tavolo tecnico per valutare le misure opportune e adeguate, per controllare che l’azione degli appartenenti agli apparati di sicurezza non travalichino i compiti e i poteri attualmente conferiti.


 

FIRMATARI:

Flora Agostino Sorella dell’agente di polizia Nino Agostino, ucciso a Villagrazia di Carini.

Nunzia Agostino Sorella dell’agente di polizia Nino Agostino, ucciso a a Villagrazia di Carini.

Sergio Amato Figlio del magistrato Mario Amato, ucciso dai NAR

Paolo Bolognesi Presidente Associazione familiari delle Vittime della strage della stazione di Bologna

Salvatore Borsellino Presidente Movimento Agende Rosse e fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso nella strage di Via D’Amelio

Daniele Gabrielli Vicepresidente Associazione Familiari delle Vittime della strage di Via dei Georgofili.

Paola Caccia Figlia del magistrato Bruno Caccia, ucciso a Torino dalla ‘ndrangheta

Giuseppa Catalano Sorella dell’agente di polizia Agostino Catalano ucciso nella strage di Via D’Amelio

Tommaso Catalano Fratello dell’agente di polizia Agostino Catalano ucciso nella strage di Via D’Amelio

Roberta Gaetani Nipote del magistrato Paolo Borsellino, ucciso nella strage di Via D’Amelio

Luana Ilardo Figlia di Luigi Ilardo, ucciso a Catania mentre stava per entrare nel programma di protezione per i collaboratori di Giustizia.

Paolo Lambertini Associazione familiari delle Vittime della strage della stazione di Bologna

Angela Manca Madre dell’urologo Attilio Manca, ucciso dalla mafia

Gianluca Manca Fratello dell’urologo Attilio Manca, ucciso dalla mafia

Rosaria Manzo Presidente Associazione Familiari Vittime della strage del Rapido 904

Manlio Milani Presidente Associazione Familiari Vittime della strage di Piazza della Loggia

Brizio Montinaro Fratello dell’agente di polizia Antonio Montinaro, ucciso nella strage di Capaci

Donata Montinaro Sorella dell’agente di polizia Antonio Montinaro, ucciso nella strage di Capaci

Nino Morana Nipote dell’agente di polizia Nino Agostino, ucciso a Villagrazia di Carini.

Stefano Mormile Fratello dell’educatore carcerario Umberto Mormile, ucciso dalla ‘ndrangheta

Nunzia Mormile Sorella dell’educatore carcerario Umberto Mormile, ucciso dalla ‘ndrangheta

Federico Sinicato Presidente Associazione Familiari Vittime della strage di Piazza Fontana

Franco Sirotti Fratello di Silver Sirotti, vittima della strage del Treno Italicus

SIDERURGIA   
di Franco Astengo



 
 No a fondi e allo spacchettamento.
 
È il caso di soffermarsi con attenzione sulla prospettiva di vendita del gruppo "Acciaierie d'Italia": premessa la strategicità della produzione siderurgica in una situazione italiana di deficit sul piano della programmazione industriale; considerata la necessità di un riferimento europeo; ricordato il passaggio di privatizzazione del settore avvenuto negli anni'90 e i fallimenti di Riva e di Arcelor Mittal tanto per citare due esempi e il ritorno al pubblico degli stabilimenti di Taranto, Cornigliano e Novi Ligure con la formula - appunto - di Acciaierie d'Italia. La situazione in itinere vede tre società straniere in lizza per l'acquisizione dell'intero complesso: l'azera Baku Steel Company; gli indiani di Jindal, e il fondo statunitense Bedrock che punta su metalli ed estrazione. Sono state inoltre avanzate proposte di acquisto per assett parziali da diversi gruppi tra i quali Marcegaglia, Eusider e Sideralba. Al di là del facile ottimismo ministeriale e delle riflessioni aperte nel Sindacato vanno poste immediatamente in essere alcune proposizioni di principio:
a) no a fondi d'investimento che naturalmente lavorano in funzione dei sottoscrittori e non della produzione nella sua dimensione d'interesse nazionale e sovranazionale;
b) no a spacchettamenti molto pericolosi che frazionerebbe l'indispensabile unità del ciclo produttivo: unica garanzia questa per la conservazione (e sviluppo) della presenza del settore.



Il tutto si colloca in un quadro complessivo già ricordato ma che vale la pena di ribadire:
Il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l'economia del Paese e non si riesce a varare un’efficace programmazione economica.
Una programmazione che funzioni da vettore per selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo.
Appaiono in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva, ideati allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito.
Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca.
Ebbene, è proprio su questo punto che appare necessario rivedere il concetto di programmazione e di intervento pubblico in economia: un concetto che, forse, richiama tempi andati, di gestioni disastrose e di operazioni “madri di tutte le tangenti”.
Emerge, infatti, la consapevolezza di dover finanziare l'innovazione produttiva.
Mentre il mercato internazionale si specializzava nei beni di investimento e intermedi, con alti tassi di crescita, l'Italia si specializzava nei beni di consumo, con bassi tassi di crescita.



Nel 1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito che si riflettono ancora adesso sulla realtà attuale, assieme al peso dell’aver sottoscritto trattati europei pesantemente vincolanti in assenza di una qualsiasi prospettiva plausibile di tipo politico) i paesi europei erano tutti in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e Italia, avevano saputo modificare le proprie capacità tecnico-scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato internazionale poi posto in crisi dal 2007 in avanti e ancora dalla crescita cinese e adesso nella prospettiva dell'isolamento di marca trumpiana e dall'aggressività di Musk e dagli altri padroni delle "over the top".
In allora i Paesi europei seppero costruire una ripresa industriale portata avanti anche grazie al supporto e all'intervento diretto del settore pubblico, mentre l'Italia ha dovuto importare l'innovazione da altri rinunciando anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, dall'informatica, all'elettronica, alla chimica, addirittura all'agroalimentare.



Adesso di fronte alle difficoltà è il momento di rilanciare proprio nella dimensione europea ponendo a quel livello Il nodo della programmazione, dell'innovazione tecnologica (si pensi ad esempio rispetto al tema dei satelliti il lavoro di Sitael), dell'intervento pubblico potrebbe rappresentare la base di un programma di alternativa rispetto a quello di un governo in apparenza. sovranista ma che sta cedendo a privati stranieri i punti definitori una possibile identità nella comunicazione, nella tecnologia, nella produzione industriale.
 

 

 

domenica 12 gennaio 2025

MOTU PROPRIO
di Pierpaolo Calonaci
 


Nel 2008, per varie eclettiche vicissitudini, mi ritrovai a dovere chiedere alloggio ad un noto parroco e teologo della chiesa fiorentina a cui era affidata la cura pastorale di una piccola comunità che si ritrova tutt'oggi, sebbene quel parroco sia venuto a mancare, sulle colline circostanti Firenze. L'occasione che ci fece incontrare fu in verità la presentazione di un libro, in cui avevo scritto un articolo, sul centenario dell'inizio della guerra nonviolenta che Gandhi cominciò in Sud Africa nel 1906.
Allora lavoravo come giardiniere e fissai così la pigione. Attigua alla mia stanza, che faceva parte del complesso architettonico di cui la chiesa romanica era il fulcro, fu accolto un uomo di nome G., senza fissa dimora, perlopiù gravato dalla scure dell'alcolismo. 
Dopo qualche mese che risiedevo lì, mi fu chiesto di accompagnare G. ad un gruppo di auto aiuto composto da persone affette da dipendenza dall'alcol.
Non sapevo nulla di quel mondo sociale e della sua iatrogenesi; in sintesi, il fulcro di quel modello teorico/terapeutico era il pieno coinvolgimento dell'ambiente relazionale/affettivo in cui il soggetto “deviante” vive.
Perciò fui catapultato a vestire panni a me sconosciuti tra il dover assumere una postura morale che cominciasse a fare a meno dell'alcol (era una richiesta del modello iatrocratico) e l'assunzione della figura del sostituto familiare. In pratica, ciò richiese, per almeno due anni buoni, presenziare ogni settimana all'incontro di gruppo e per due volte al mese accompagnare G. dal dottore responsabile istituzionale della terapia.
Apprezzo il vino in virtù del simbolo culturale che caratterizza la terra toscana. Per cui, scevro dal dare esempio intemerato di me, non feci molta fatica ad accettare la richiesta personale di regolarne l'uso, quale interazione di solidarietà con G. (posto che essa sia mai veramente servita)

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Il problema vero fu tanto il consumo molto consistente di vino durante le libagioni del mercoledì (giorno di ritrovo della comunità) e della domenica a pranzo quanto la loro asinina indifferenza verso la vita di G. Che tra l'altro avevano accolto sapendo quali enormi problemi avesse.
Fu la rapidità della mia consapevolezza che mi fece vedere la correlazione palmare tra cosa la terapia chiedesse a G. per cercare di curarlo e invitare contestualmente l'ambiente sociale in cui egli viveva a un cambiamento o modifica dell'abitudine di consumare vino o altre bevande alcoliche.
La cura, in senso epistemologico della dignità umana, non è una terapia, è piuttosto un'attenzione che deve incunearsi tra l'individuo e i rapporti sociali che lo determinano e irretiscono. Ma questo è un altro discorso.
Per cui i miei tentativi di spiegare il motivo per cui la terapia di G. non avrebbe dovuto essere ostruita da una valanga di bottiglie di vino sulla tavola, in cantina, in frigo non era legata al sentimento religioso, spesso autoreferenziale, della temperanza ma piuttosto al farsi carico della condizione umana di G. furono costantemente biasimati. 



Speravo che quella proposta fosse interpretata dal pievano e dalla sua comunità quale break even point dei rapporti costituenti la comunità. Niente di tutto questo. La risposta fu una cecità e una sordità tali che cominciai a dubitare dell'etichetta cristiana che quella comunità soleva appiopparsi, rasentando non di rado quel disprezzo di cui Dietrich Bonhoeffer (teologo de-teologizzato) scrisse: “niente di ciò che disprezziamo negli altri ci è estraneo […] Perché finora abbiamo riflettuto in modo così poco obiettivo sulla debolezza dell'uomo e su quanto sia esposto alla tentazione? Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno” col fine, aggiungo, di mantenere salda la reciproca dignità umana. 
Per dare scandalo occorre disobbedire e dunque occorre avere spalle sufficientemente solide e prepararsi ad accettare lo scherno del mondo. Il dire no alle aspettative della mia famiglia me le aveva formate e corroborate (affinché potessi vedere finalmente quanto la metafisica solitudine del “mio” essere mi stesse oramai aspettando lungo sentieri oscuri dovetti quindi rompere con quelle aspettative e - motu proprio - “chiedere alla polvere” (John Fante) di squarciare paure e angosce, rivelandomi l'errore quale condizione dell'essere umano). Pertanto una domenica feci saltare il tappo; compii quel gesto con la leggiadria di un danzatore in un pas de bourrée.
Durante una tavolata imbandita con una notevole quantità di vino, mi alzai e me ne andai. E da qual momento i rapporti fra me e il parroco e la comunità si inasprirono fino a toccare situazioni tragicomiche e ridicole. Talvolta fece capolino anche il ludibrio nei miei confronti.


 
Dopo due anni uscì dalla comunità, alla quale non avevo mai preso parte del tutto, e soprattutto uscì dal cattolicesimo e dal cristianesimo irriflessivo. Gli studi teologici allora intrapresi - invero il tentativo di ipostatizzare il pensiero da parte della Scuola - furono un ulteriore volano. Me ne uscì senza risentimento o odio dopo aver appreso che quel prete avrebbe voluto che lo ripagassi accettando la via del seminario; seppi distintamente di non essere stato minimamente irretito da un dato sistema di relazioni e affetti dissimulato da disinteresse e ciò mi fece gioire.
Alcuni anni dopo, quando all'Università Statale, incrociai un'affermazione di Pierre Bourdieu (“interesse al disinteresse” quale pratica razionale fondante i rapporti sociali e statuali, avente illusione di universalità) non mi sfuggì di quell'affermazione la protervia che mi vidi, alcuni prima, riversare addosso. 
Questa stupenda (senza retorica) esperienza mi conduce a interrogarmi sulla vexata questio dell'atteggiamento che la Chiesa (posto che dire “Chiesa” sia relativizzare una realtà millenaria e poliedrica) ha della dignità umana. Perciò mi domando se abbia fatto pace con sé stessa sapendo che quella non è un prodotto della Rivelazione ma bensì dell'intelletto umano. Nessuno vuole insegnare alla Chiesa come vada il mondo ma la natura stessa dei diritti umani, la loro inalienabilità e irriducibilità “non derivavano la loro validità da altri diritti o leggi, non occorreva nessuna autorità per istituirli, l'uomo stesso ne era la fonte e il fine ultimo” (Harendt). 



Dunque, la Chiesa continua a parlare di diritti e dignità umana con un linguaggio che tende a categorizzare le persone secondo la natura sociale in cui queste sono ingabbiate. Inoltre è un linguaggio astratto, molto incerto, moralistico, paludato, carico di proselitismo che difficilmente si espone genuinamente al fianco proprio di coloro cui è stato reciso ogni riconoscimento sociale, ogni cittadinanza. Può darsi che questo atteggiamento dipenda dal pensiero paolino, totalmente teologizzato, che sarebbe bastato invocare l'uguaglianza in Cristo - assioma inapplicabile sul piano sociale e politico - e la Sua “grazia” avrebbe comportato l'instaurazione di azioni materiali e politiche di cui la dignità umana avrebbe beneficiato. La veneranda storia conservatrice della Chiesa mostra che l'uomo nato dai diritti inalienabili rivoluzionari del XVIII secolo (quindi un uomo emancipato da qualsiasi ordine superiore) abbia continuato a essere oggetto di carità (più che soggetto attivo di diritto) dove cristallizzare l'idea che se uno si trova in una condizione di minorità o di mancanza siano da imputare alla “natura” delle cose. L'esempio più fulgido, storicamente, lo si trova, secondo me, nell'atteggiamento che la Chiesa ha avuto nei confronti della schiavitù il cui “principale delitto contro l'umanità non consisteva nel togliere la libertà ma nell'escludere una categoria di persone dalla possibilità di combattere per la libertà […] quando la schiavitù diventava un sistema in cui alcuni uomini nascevano liberi e altri schiavi, dimenticando che era stato l'uomo a privare della libertà i suoi simili e si attribuiva tale condizione alla natura”. Se c'è in sociologia del dominio un concetto antinomico a quello del divenire storico dei fatti sociali è proprio quello di “natura” a cui la chiesa ha sempre creduto. Gli schiavi, come i poveri ci sono sempre stati e sempre ci saranno per una “natura” cattiva: basta quindi star loro accanto con misericordia.



Da qui l'esegesi sul suo linguaggio e sulla sua azione sociale alla luce del concetto sociologico di egemonia non può essere elusa. La Chiesa si ritaglia mutatis mutandis un certo spazio sociale, lasciato pilatescamente libero dalla fine di politiche sociali di protezione e benessere, di uno stato votato alla guerra permanente. Vedo sventolare piuttosto degli slogan tradizionalistici: dover “stare vicino ai poveri, agli ultimi, ai carcerati, ai lavoratori “morti” sul lavoro” evitando di criticare indirizzi politici e leggi economiche che ne sono la causa. Avverto sempre un meccanico interesse dietro questo linguaggio disinteressato, ovvero l'egemonia con cui la dignità umana, i diritti universali e civili sono ammansiti. Sia chiaro: è stato un bel gesto pastorale dell'attuale vescovo di Firenze, don Gambelli, quello di essersi recato nella parrocchia del quartiere fiorentino de Le Piagge (uno dei più marginalizzati e per certi versi scomodi nello star system fiorentino ma altrettanto uno dei più attenti alla crescente povertà e precarizzazione attraverso pratiche solidali tangibili). A quell'incontro della vigilia di Natale, la dignità umana era l'oggetto di riflessione intorno alla quale hanno partecipano il presidente della Regione Toscana, Eugeno Giani, e il neo sindaco fiorentino, Sara Funaro. E non posso rifiutarmi di descrivere il loro stare lì, le loro abluzioni con le parole di un presule che descrive (mi piacerebbe poter dire denuncia) una situazione sociale drammatica e sempre più fragile per il popolo e per il mondo. Sfortunatamente non si fa né riferimento al genocidio in Palestina: vien da domandarsi se e quanto abbia giocato il diktat teologico di Giovanni Paolo II circa il considerare il popolo ebraico fratello “maggiore” del “minore” cristiano non sia stato equivocato per spianare la via all'equiparazione ebraismo-sionismo né si accenna chiaramente al fatto che lo stato e il cittadino oramai sono oggetto di militarizzazione.



La cosiddetta politica del Giani e della Funaro si precipita ad ascoltare cosa non va di sé; si getta, come in un sacro lavacro, in quelle parole, si ripulisce beffardamente da ogni interesse, torna poi in mezzo ai problemi della gente quale medium imprescindibile tra l'uomo e i suoi affanni. Che gioco al parossismo! Mi preoccupa altrettanto una politica di una parte consistente della “sinistra” che non sappia nemmeno vedere dove stia il proprio errore, la propria connivenza, la perdita della propria identità e essenza politica.
Una Chiesa attaccata al modello “Mission” (dal film omonimo) del rispetto della dignità umana e i suoi operatori capitalistici: i Gesuiti. Non è un caso che la comunità indigena venga sterminata dai colonizzatori bianchi -cristianissimi - in quanto aveva loro già spalancato le porte abbracciando il modello sociale dei dominatori implementato grazie all'amore “disinteressato” dei soldati di Cristo. 
Nei svariati modelli assistenzialistici, il cui fine di tutti è curare, segregando, la dignità dell'uomo, la Chiesa implementa svariati modelli organizzativi dove la parola rispetto risuona in secondo piano poiché l'individuo dellaprospettiva greca è identificato col soggetto della maschera, persona, e ciò permette di applicare un regime di verità che con la libertà dell'ὄντος non ha niente a che fare. A suo modo, quindi con le dovute differenze, Richard Sennet, in Rispetto, evidenzia quanto questa natura metafisica e concreta della dignità sia deformata dal principio assistenzialistico del cattolicesimo dove il soggetto è e rimane tale pur essendo circondato di protezione e cura.


Ernesto Bonaiuti

Mentre nei tre volumi di Storia del Cristianesimo, messi regolarmente all'indice, Ernesto Bonaiuti, sospeso a divinis, delinea il confine tra questo e la storia della Chiesa. Fra l'amore e il potere, direbbe un bambino. Delinea l'amore per il mondo e la dignità dei suoi “accattoni” (come egli osa definirsi in quanto uomo) per tenderli dentro un Amore di Dio che nulla ha più ha con l'interesse, con il dominio, col potere. In breve, il modo assolutamente scientifico di questa opera mette in risalto la storiografia del fenomeno cristiano senza la teologia con cui tornare al vangelo prima della teologia (Avvenire, 2 settembre 2022). Una storiografia che fa tabula rasa della storicizzazione, ossia l'invenzione speculativa della razionalità teologica posteriore che usa i fatti storici piegandoli ad una “verità” unilaterale alla quale sottomettere la dignità dell'uomo.
 

 

 

 

 

 

 

 

PER LA LIBERTÀ DI PELTIER




sabato 11 gennaio 2025

TANATOCRAZIA
di Angelo Gaccione 


Abedini Najafabadi

L’accusa nei confronti dell’ingegnere iraniano Mohammed Abedini Najafabadi, arrestato in Italia su richiesta degli Stati Uniti che ne chiedono l’estradizione, è di aver progettato droni che hanno causato la morte di alcuni militari americani. Lo incolpano di aver messo a disposizione delle autorità del suo Paese competenza e scienza, per realizzare ordigni in grado di uccidere. Agli orecchi di noi disarmisti e pacifisti una decisione come questa suona meravigliosa, e vorremmo che fosse adottata immediatamente da tutte le nazioni che si definiscono democratiche e ne menano vanto. Naturalmente la tutela non può riguardare solo la vita dei militari americani, altrimenti la democrazia va a farsi benedire. Deve valere soprattutto per le popolazioni civili che con la guerra e con le armi non hanno nulla a che spartire.
Se sono colpevoli i tecnici e gli scienziati che gli ordigni di morte progettano, altrettanto lo sono i produttori che li realizzano e i mercanti che li commerciano. Così come lo sono i Governi e i capi di Stato che li autorizzano. Senza il loro benestare non sarebbe possibile produrre e commerciare armi; sperimentare il loro potenziale distruttivo, riempire gli arsenali, consegnarle nelle mani di eserciti in guerra per sterminare e portare morte. Non dimentichiamo che sono proprio Stati e Governi a detenere armi in grado di cancellare l’intero genere umano e ogni forma di vita sul pianeta. Occorre dunque essere rigorosi, e coerenti con la motivazione che ha determinato l’arresto e la richiesta di estradizione dell’ingegnere iraniano da parte del governo americano, chiediamo alle autorità degli Stati Uniti, e a quelle di tutte le Nazioni democratiche, di fare arrestare e consegnare alla società civile dei Paesi costretti a subire la guerra, e a noi pacifisti, tutti i tecnici e gli scienziati di casa loro che hanno progettato gli ordigni che stanno causando morte, fame e rovine. Di fare arrestare e consegnare ai civili costretti a subire la guerra, e a noi pacifisti, i produttori di casa loro di ordigni di morte e i funzionari delle industrie di armi private e pubbliche. E poiché la responsabilità al più alto grado riguarda i capi di Stato e di Governo che hanno autorizzato l’uso dei loro arsenali per seminare morte, fame e rovine, chiediamo che si consegnino tutti alla società civile di quei Paesi, e a noi pacifisti, per farsi democraticamente processare.



Se questo non avverrà, non possiamo ritenerli moralmente superiori ai macellai dei Governi degli Stati canaglia e dittatoriali in circolazione. Per la società civile che la guerra la subisce, e per noi pacifisti, non c’è differenza alcuna fra chi scatena il massacro in nome della democrazia, e chi lo scatena in nome della dittatura. Morte indiscriminata portano le armi delle dittature, e morte indiscriminata portano le armi delle democrazie. Fame portano le spese militari delle dittature, e fame portano le spese militari delle democrazie. Tensioni producono le politiche di rapina e le mire egemoniche delle dittature, e tensioni producono le politiche di rapina e le mire egemoniche delle democrazie. Lo vediamo in Medioriente e lo vediamo in Ucraina. Dittature militari e democrazie militari, sono due facce della stessa tanatocrazia: portano distruzione e morte. Entrambe gettano benzina sul fuoco, entrambe alimentano l’incendio.  

venerdì 10 gennaio 2025

UNA RONDINE NON FA PRIMAVERA
di Luigi Mazzella 


 
Una rondine non fa primavera, ma certamente è un segnale positivo per chi soffre e teme i rigori dell’inverno. Certo! È a dir poco illusorio pensare che una parte di mondo (l’Occidente) che da più di duemila anni ha smesso e rinunciato a pensare, che ha condiviso tutte le utopie più folli e irrealizzabili, le fantasie, religiose dei carovanieri del deserto e iperuraniche di pensatori autoritari, supponenti e prepotenti possa, all’improvviso, recuperare le sue capacità di raziocinio e cogliere i segni del “volo di una rondine” nella vicenda di Cecilia Sala. Eppure i dati di fatto parlano chiaro: la giornalista italiana arrestata in Iran, è rientrata in Italia, immediatamente dopo l’incontro in Florida, della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni con Donald Trump, nella sua abitazione estiva; la “chiacchierata” è avvenuta solo a livello politico, personale e diretto (alla presenza di Elon Musk ma senza capi e sottocapi di servizi segreti, senza diplomatici con o senza feluca, senza generali gallonati  o altri civil servant, e ha dato i suoi frutti con una rapidità di tempi che è senza precedenti. Il mainstream dei mass-media italiani sul caso non ha fatto registrare e percepire al pubblico italiano né trucidi improperi né velenose accuse; contraddicendosi una prassi ricorrente nel Bel Paese tra “addetti ai lavori” di ogni colore politico. In altre parole, non solo non è stato trovato il classico “pelo nell’uovo” ma esso non è stato neppure cercato; il consenso è stato diffuso e generale. La stessa “pulzella rossa”, Elly Schlein, che aveva parlato, un giorno prima, di una Giorgia Meloni in missione negli States per il bacio della pantofola di Trump si è zittita il giorno seguente.
Domande: gli Italiani e gli Occidentali, abituati da più di due millenni, a “credere” anzi che a “pensare”, senza il soccorso di gente raziocinante, lontana dalle posizioni dei pennivendoli finanziati da Wall Street, dall’Intelligence anglosassone, da Soros e dai partiti “democratico” statunitense e “laburista inglese” hanno colto tutti i risvolti positivi di ciò che è accaduto?
Hanno capito che sul “caso Sala” (inscia o conscia Meloni, non si sa), Trump e Musk hanno realizzato per la conduzione della trattativa fuori dall’ingerenza e dal controllo di spioni, generali e diplomatici, la prima vera “rivoluzione” nella vita pubblica statunitense?  
Hanno colto che il Presidente del più potente Stato del mondo ha capito finalmente e dimostrato, per la prima volta in quel Paese (callidamente e falsamente contrabbandato come patria della “democrazia”) che non si può governare, rinunciando al potere di ritirare militari da zone di guerra in presenza di un  diniego del Pentagono; di circondarsi di collaboratori stretti e rilevanti alla CIA, all’FBI, al Pentagono senza avere forti pressioni della lobby finanziaria dominante e dell’industria bellica nonché dalle gang di trafficanti di droga che (per denuncia del cinema indipendente hollywoodiano) sarebbero protette in alto loco dietro lauto compenso pecuniario necessario all’efficienza delle spie? Hanno capito, in estrema sintesi, che un Capo di Stato, liberamente eletto, non può ridursi a essere solo una marionetta manovrata dai “pupari” del Deep State? Se hanno capito tutto ciò, possiamo dire con un secondo proverbio: Chi ben comincia è alla metà dell’opera
Conclusione: L’intelligenza, la volontà di ferro, l’estro creativo e i miliardi di Trump, di Musk e forse anche di Zuckerberg non possono farci dimenticare che si tratti pur sempre di individui, figli dell’Occidente, cresciuti nel “fascio di buio” di cinque irrazionalismi assolutistici, astratti e deleteri e che un fatto episodico (vedi il primo proverbio citato) non significhi necessariamente l’inizio di una strategia volta a cambiare il volto dell’America del Nord e della sua posizione nella geopolitica mondiale ma ci conforta (parzialmente) concludere questa nota con un ultimo proverbio (questa volta, in latino): Beati monoculi in terra caecorum.

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