UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

venerdì 14 novembre 2025

SUL LIBRO DELLA DI FELICE
di Francesca Mezzadri
 

Leggere questa recensione di Massimo Del Pizzo apparsa ieri su “Odissea” https://libertariam.blogspot.com/2025/11/scaffali-di-massimo-del-pizzo-il-senso.html, mi ha riportato immediatamente alle sensazioni che ho provato quando, per ‘Satisfiction’, mi sono immerso anch’io ne Il giallo del Semaforo di Valeria Di Felice. Ritrovo qui, con piacere, quella stessa percezione di sospensione e di scarto che mi aveva colpito: la capacità dell’autrice di prendere l’ordinario e di decentrarlo, di collocarlo in un altrove che non è evasione, ma intensificazione del reale. Mi ritrovo soprattutto nell’idea - così ben messa a fuoco - che la poesia di Di Felice non offra appigli consolatori. Anche nella mia lettura era emersa questa postura radicale: una poesia che non “traduce” il mondo, ma lo disturba, lo incrina, lo apre a un’interrogazione che non vuole chiudersi. Ritrovo con particolare nitidezza la potenza della sua oggettistica “stravolta”: quegli oggetti minimi, quasi sempre laterali nella vita quotidiana, che nelle sue mani diventano rivelatori di uno smarrimento lucido, di un’attenzione che non concede semplificazioni. Mi ha colpito anche il riferimento a Baudelaire e alla sua scandalosa fratellanza: è vero, in queste poesie la relazione tra chi scrive e chi legge è sorprendentemente diretta, quasi brutale, come se la voce poetica ci spingesse in avanti, dentro quella soglia gialla dove nulla è ancora definito. Anch’io, nel mio commento, avevo insistito su questa idea del giallo come stato dell’essere, come luogo intermedio in cui la visione si affila. È una recensione che mi trova in sintonia profonda: mette in rilievo la vibrazione verticale, inquieta, del libro senza addomesticarne le asperità. E mi conferma una volta di più quanto questo volume, sotto il suo apparente minimalismo iconico, custodisca un modo di guardare la realtà che non si lascia ridurre né pacificare. Un bel contributo al dialogo intorno a un’opera che merita davvero attenzione. 

SINISTRA E FRATELLI MUSSULMANI
di Tayeed Debie



Il riavvicinamento è segno di una crisi intellettuale o cos’altro
 
Sono sempre stata colpita dai giovani palestinesi di sinistra che sono stati tra i partecipanti più in vista alle manifestazioni che hanno avuto luogo in Cisgiordania dall’inizio del genocidio contro il nostro popolo palestinese due anni fa; un genocidio che è stato ancora più brutale e sanguinoso nella Striscia di Gaza. Il mio stupore non è dovuto solo al fatto che erano i più ferventi, ma anche perché la loro retorica e i loro slogan erano praticamente indistinguibili da quelli delle fazioni islamiste palestinesi. Era difficile distinguere un uomo di sinistra da un membro dei Fratelli Musulmani, se non per qualche dettaglio superficiale, come la kefiah rossa. Questa convergenza tra i FratelliMusulmani e la sinistra non è nuova; è iniziata decenni fa, non solo in Palestina ma in tutto il mondo arabo. Tuttavia, questo genocidio ha rivelato più di una semplice convergenza tra due correnti apparentemente opposte. Mentre l’Islam politico si è infiltrato nel discorso della sinistra, utilizzando termini come “jihad” e “asse di resistenza”, l’Islam politico ora impiega termini come “mondo libero” e “persone libere del mondo”. Hamas è arrivata persino a invitare i lavoratori di tutto il mondo e i sindacati professionali il Primo Maggio 2025 a sostenere la causa palestinese e a chiedere la fine del genocidio! Ma a un esame più attento del discorso dei movimenti dell’Islam politico, questi termini sembrano essere nient’altro che un “esercizio di facciata”, limitato ad affermazioni e dichiarazioni utilizzate per promuoversi come movimenti politici “moderni”, al passo con i tempi e adatti a partecipare alla vita politica come qualsiasi altro. Usano questi termini anche per deviare accuse che da tempo vengono loro rivolte, come reazionarismo e violenza. Mentre la situazione appare più profonda e grave a sinistra, i suoi leader, i suoi quadri e la sua retorica si sono trincerati dietro Hamas, diventando alcuni dei più importanti difensori del movimento. Ciò ha portato a una situazione in cui la sinistra, consapevolmente o inconsapevolmente, è diventata un “membro funzionale della Fratellanza”, svolgendo le funzioni della Fratellanza e contribuendo al successo del suo progetto. La domanda che sorge qui è: come può un’ideologia che considera la religione l’oppio dei popoli accettare di svolgere un ruolo promozionale per un progetto basato sull’intorpidimento delle masse con questo oppiaceo e su un passato glorioso per il quale è accettabile sacrificare un’intera società per farla rivivere? 



La sinistra giustifica questo riavvicinamento sostenendo che tutti devono ora stringersi attorno a coloro che rappresentano la “resistenza”, perché questa è una lotta di liberazione nazionale e dovremmo mettere da parte le nostre divergenze fino al raggiungimento della liberazione e della vittoria. Dimenticano, o scelgono di ignorare, che il progetto dei Fratelli Musulmani non può dare vita a uno Stato forte o a una patria libera. Nulla esprime il concetto di patria nell’ideologia dei Fratelli Musulmani in modo più eloquente dell’affermazione di Sayyid Qutb: “La patria non è altro che un pugno di polvere marcia”. Mentre Marx rifiutava il capitalismo perché trasforma le persone in meri strumenti di produzione, l’ideologia dei Fratelli Musulmani ignora fondamentalmente i concetti di società e giustizia sociale. Considera l’intera popolazione nient’altro che un mezzo per prendere il potere, e la giustizia nient’altro che la giustizia divina, di cui si autoproclama unico rappresentante. Le differenze fondamentali tra le ideologie dei Fratelli Musulmani e del marxismo suggeriscono che le giustificazioni di un nemico comune e di una giusta causa non siano sufficienti a spiegare questa convergenza, che a volte rasenta l’indistinguibilità, dove le differenze si riducono a semplici etichette. Un uomo di sinistra potrebbe chiamarsi Abu Guevara o Abu Watan e rivolgersi al suo collega di partito chiamandolo “compagno”, mentre un membro schietto della Fratellanza potrebbe chiamarsi Abu Hudhayfa o Abu Dujana e rivolgersi al suo collegachiamandolo “fratello”. Nonostante le influenze reciproche tra la sinistra e i movimenti islamisti politici, questi ultimi sono stati i principali beneficiari di questa convergenza. Dopo la nascita della Fratellanza, che mirava a demonizzare la sinistra, i Fratelli Musulmani sono riusciti a domare la forza di sinistra - una forza originariamente creata per difendere la libertà e la dignità delle nazioni - al servizio del proprio progetto, che mira a creare ulteriori crisi e conflitti che devastano le società, consentendo loro di svolgere il ruolo del salvatore scelto da Dio per salvarle dalla loro situazione. Questo riavvicinamento non sarà pagato solo dalla sinistra, senza trascurare la responsabilità di tutte le fazioni senza eccezioni, il cui ruolo si è ridotto alla difesa di Hamas o alla sua piena responsabilità, ignorando completamente la responsabilità di tutti per quanto sta accadendo al popolo palestinese. Piuttosto, il suo prezzo sarà alto anche per la causa palestinese e per la nostra esistenza su ciò che resta della nostra terra, che è diventata più presa di mira e minacciata che mai.

 

 

giovedì 13 novembre 2025

ATENEO LIBERTARIO




ESQUILIBRI




Alla mostra mercato del libro usato e di antiquariato di domenica 16 novembre a Roma in Piazza Vittorio Emanuele II, troverete il meglio delle Edizioni Rogas. Una casa editrice da tenere d’occhio.

ALLA CGIL DI COSENZA
Incontro nella sede di Piazza della Vittoria n. 7




 
 
Sulla strage dei 5 anarchici calabresi che avevano indagato sulle bombe al treno di Gioia Tauro nel luglio del 1970.
 

“INDIPENDENZA” ALL’ITALIANA 
di Luigi Mazzella



Come creatore (allo stato, unico e inascoltato) della teoria (filosofico-politica) dei cinque irrazionalismi (tre religiosi e due politici) come causa del caos dominante in Occidente, mi sento obbligato a segnalare, a riprova della mia tesi, le maggiori incongruenze riscontrabili nella nostra vita individuale collettiva. Oggi scriverò del monstrum dell’indipendenza e dell’autonomia nella Pubblica Amministrazione e, in particolare, di quanto sta accadendo per l’organo di protezione della Privacy. È noto che gli uffici Statali italiani, come la maggior parte di quelli Europei, risultano modellati sulle idee elaborate da Jean Baptiste Colbert e da lui concepite in modo tale da dare al Re Sole (il monarca assoluto, francese, Luigi XIV) un vero esercito di fedeli servitori (compresi quelli destinati a fare “giustizia”), pagati dallo Stato e muniti di penna e di inchiostro al posto delle armi. Gli Anglosassoni il cui illuminismo, in Gran Bretagna, non aveva seguito le orme di quello francese (sfociato nel Terrore e nel Bonapartismo), come di consueto avevano le loro perplessità sulle scelte dei “cugini” d’oltre Manica e negli Stati Uniti d’America, sul finire del XIX secolo, affidarono ad estranei all’Amministrazione la scelta, in vario modo indiretta, dei civil servant inquadrati in Authorities e Agenzie, keeping out of politics. Sul territorio dello Stivale, passando per Napoleone e Mussolini il modello francese prevalse e dominò, fino all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Poi, l’italica tendenza allo scimmiottamento ebbe il sopravvento e non rinunciò all’imitazione dei modelli anglosassoni. Furono così introdotte , nel nostro ordinamento, le Autorità dette indipendenti e autonome, definite “enti pubblici che discostandosi dal modello tradizionale di pubblica amministrazione, non dipendono dal Governo e non subiscono ingerenze di natura politica”.


 
E ciò, anche se i suoi ben pagati membri sono rigorosamente scelti dal potere politico dominante al momento della costituzione (o del rinnovo). Dopo un tale bluff, tipicamente italiano, di chiamare “indipendenti” Autorità amministrative messe in piedi con la nomina dei loro componenti con modalità esclusivamente e rigorosamente politiche, stiamo assistendo, in questi giorni, a una “farsa” relativa all’Autorità per la protezione della “privacy”, che più ignominiosa non potrebbe essere (e che a definirla Arlecchinata” significherebbe soltanto recare ingiuria a una nota maschera della nostra Commedia dell’Arte). Forze di governo e forze di opposizione (la Destra di Giorgia Meloni e la Sinistra di Elly Schlein), infischiandosene di far mostra di credere che quell’Autorità sia stata e sia veramente ‘indipendente’, in buona sostanza, concorderebbero nell’intento di mandare a casa i suoi componenti (ognuna di esse pensando di potere così nominare altri membri di più provata e certa fede politica). In altre parole se “s’ode a destra uno squillo di tromba e a sinistra risponde uno squillo” non si tratta dell’annuncio di una manzoniana e napoleonica battaglia, ma in piena concordia di suoni è il canto di un identico leit motiv comune delle due pulzelle (la “rossa” e la “nera”), per altri aspetti rivali. L’unico grido, nella pugna dissonante, è quello del Presidente della Privacy che, autocraticamente (?), dice: “Se sono autonomo e indipendente, decido io con i miei membri del Collegio quando andare via!”. Il discorso sino a questo momento appare in fase di stallo. Vedremo come andrà a finire. 


 
P.S. Mi sembra che qualche considerazione ulteriore possa essere fatta, a beneficio della mia tesi che non piace ad alcuni lettori di “Odissea”. Gli eventi della Autorità della Privacy di questi giorni confermano che il “cul de sac” in cui s’è cacciato l’Italia non è fatto di stoffa perforabile o a trama larga: è veramente senza via d’uscita. Anche se non è da escludere, infatti, che sia in progressivo aumento il numero degli abitanti dell’Ovest del Pianeta che coglie la falsità, l’ipocrisia, la menzogna palese e sconvolgente della maggior parte delle pretese verità divulgate da “alti” dignitari della religione e della politica Occidentale l’opera di denunciarne la finzione è accusata - essa - di contribuire al “crollo dei Valori” della nostra cosiddetta “civiltà. In altre parole, se si sostiene che Hobbes non è stato mai smentito sul detto “Homo homini lupus” perché i fautori  più tenaci  della solidarietà universale e dell’uguaglianza umana si sono dimostrati solo capaci di rendere ricchi i propri Alti Prelati o i Membri della Nomenklatura bolscevica, facendone gli oligarchi del post-comunismo e che le buone intenzione dei popoli amati da Dio (i Tedeschi) o dal medesimo addirittura prediletti (gli Ebrei) hanno clamorosamente smentito la loro buona volontà salvifica della  umanità (da essi considerata bisognosa di guida perché di rango inferiore) con i campi di sterminio nazisti e i bombardamenti di Netanyahu su Gaza, si rischia di passare per cinici denigratori e distruttori di plurisecolari miti valoriali.
 

 

SCAFFALI
di Massimo Del Pizzo


 
Il senso del passaggio: Il giallo del semaforo di Valeria Di Felice
 
Oggi vorrei ricordare il futuro e non il passato.
Jorge Luis Borges
 
È una questione di soglie, una questione di attimi: quelli (fra passi e passaggi) che si presentano all’attenzione del viaggiatore metropolitano (e non). Segni e segnali del Semaforo, cioè il verde del via libera, il rosso del divieto e, quello più importante, il giallo dell’attesa. Fra queste soglie, tra questi segni esegnali, sta la prova poetica di Valeria Di Felice con un nuovo volume pubblicato nella elegante veste grafica proposta dalla Società Editrice Fiorentina (SEF), come primo volume della Collana “Pasifæ”, diretta da Mario Fresa, con prefazione di Giuseppe Girgenti, in libreria da maggio 2025. Dell’autrice conosciamo le opere poetiche precedenti: L’antiriva (2014), Attese (2016), Il battente della felicità (2018). La nuova offerta editoriale si articola in quattro sequenze, secondo un andare che definiamo sussultorio, invece che ondulatorio, orientato cioè verso il verticale: un poetare spesso inquieto, mai inquietante, però non tranquillizzante. Una ricerca del nuovo alfabeto / a scrivere i geroglifici del senso (La chiamata, p.17). Non crediamo alla poesia come liberazione, terapia e consolazione. Solo i “conciliati” possono credere (o far finta di credere), che sia tale. Solo chi ha paura di affrontare e inventare la vita in parole può credere che la poesia offra un orizzonte di pace. La poesia è esattamente il contrario: è danno, tormento e condanna, negazione e scompiglio, scandalo e dubbio. Così per lo scrittore, ma anche per chi legge. Del resto, il rapporto intimo fra scrittore e lettore è già da tempo indicato nel grido definitivo (e “scandaloso”) di Baudelaire che, nell’incipit de I fiori del male, proprio a quest’ultimo si rivolge: “(…) mio simile, fratello mio”.


Massimo Pizzo
con Valeria Di Felice

Accenti di non conciliazione col presente e col senso comune li troviamo anche in Valeria Di Felice, la quale si muove tra presenze note, familiari, siano oggetti d’uso comune (il semaforo, in primis, ma anche Ombrelli chiusi, La panchina appisolata, I bordi del panino, Scarpe da calcio, I tergicristalli, L’ idrovora, La carta copiativa, La penna), siano animali (La talpa dal muso stellato, La gallina). Per definire (se possibile) i quali, viene però utilizzato un linguaggio straniante. Ne derivano una oggettistica stravolta da una inattesa collocazione e un bestiario metamorfico che nessuno zoo può ingabbiare.
Il registrare presenze verificabili e note, non garantisce un accesso al reale. Ma il monito, in Valeria Di Felice, è perentorio, e si veda per esempio, L’editore: Gli chiese perché lo fosse. / Non lo sono un editorerispose. / Non posso più mettere a fuoco / la tavola delle parole” (p.66).
Ed ecco il punto: la poesia (anche quando finalmente è a stampa e ha dunque un corpo reale che è il libro) non chiarisce, non descrive, non semplifica, non rende chiaro ciò che è oscuro (… ) e sentiamo il filo rosso tirare / dall’ignoto (La chiamata, p.17) e si legga allora soprattutto, e per intero, La signora verità (p.67): Bussò alla porta la signora verità. / Era leggera, truccata, / aveva tacchi a spillo / che bucavano il pavimento. / Non disse nulla / batté le ciglia / e mosse i capelli / sventolandomi contro / l’avvenenza del gesto. / Non la feci entrare. / Avevo ancora addosso / il pigiama della notte e - negli occhi / i sogni più irraggiungibili.



Non ci si lasci ingannare quindi: nei versi di Valeria Di Felice, l’universo dell’ovvio è collocato in un altro quando verbale straniante, perché: Lui voleva restare / nel caos dell’indecisione / ma lei era già altrove (La lavagna e l’altrove, p. 60), ovvero perché: Non poteva sapere – la folla / che i mimi del vero / fossero altrove (I mimi, p. 57).
Per quanto codificati e prevedibili siano i messaggi che l’avvicendarsi dei colori del semaforo veicola, resta un che di interrotto, un margine di incertezza: se sia opportuno e necessario passare, se sia opportuno e necessario arrestarsi e infine, o se non sia piuttosto il caso di vivere il momento dell’attesa del transito.
Il colore giallo, in questo senso, crea una sospensione fondamentale, una luce possibile, per quanto fugace: Ancora noi che ricordiamo il futuro nelle illusioni di luce, oppure: () noi, in esilio dall’universo / mentre scontiamo gli inganni / della ragione (ancora in La chiamata, p. 18).
Una parola in movimento: Il viaggio era la segnaletica / che stavo cercando (Il giallo del semaforo, p.33).
Finalmente il viaggio è possibile, perché il giallo del Semaforo non lampeggia in nessuna delle città geograficamente localizzabili.

POETI
di Francesca Mezzadri


 
Tra silenzio e fuoco: la soglia umana del divino.
 
Nella silloge Le cose invisibili di Francesco Aprile (Edizioni Dialoghi, pagg. 78, euro 14), si dispiega un percorso poetico che assomiglia più a un itinerario spirituale che a una semplice raccolta. Ogni testo è una tappa di trasformazione, una pagina del diario di chi attraversa la notte dell’anima per ritrovare, nella parola, un barlume di verità.
Fin dall’inizio, in A Est della Montanara, la parola appare come luogo di conflitto: dono e condanna insieme. Ho regalato ad altri parole che meritavo, / ne ho ricevuto i silenzi che meritano loro. Una dichiarazione di poetica: la parola come strumento di conoscenza che, nel momento stesso in cui illumina, ferisce. Il linguaggio si fa corpo, materia che pesa e che resta, come accadrà più tardi nel doloroso Il Dono. Nei testi successivi si alternano visioni corali e confessioni intime. Giugno trasforma la sconfitta in immagine di grazia: L’esercito sconfitto è un campo di girasoli / allineati, col capo chino. La perdita si tramuta in epifania, in umile bellezza. In Ritratto di famiglia, il poeta si spoglia davanti ai defunti, trovando nella loro nudità la misura della verità: In essi la nudità è più vera e Maggiore. La morte, qui, è vicinanza, non assenza. Il tono diventa profetico in Il Dono: l’io lirico scopre in sé un potere medianico - Mi hanno dato orecchie / per chi non parla più - ma il carisma è una condanna. Questo dono / non salva, non consola, non guarisce. / Solo pesa. 



È la consapevolezza che ogni conoscenza autentica è anche perdita dell’innocenza, una croce che non si sceglie. Con Chi sei, che bussi? La voce si fa dialogica, interrogando l’ombra di sé. Il poeta non trova risposte, solo il riconoscimento del proprio timore: Se ho vissuto per amore…? / Per paura. È una confessione laica, in cui la verità coincide con la vulnerabilità. Il silenzio piccolo e Preghiera inversa introducono la riflessione più alta: il silenzio come grembo del senso, la preghiera come negazione del rito. Non darmi volto… Non tendermi la mano…: la liturgia si rovescia in gesto umano. È qui che la poesia si fa teologia negativa, accettazione del mistero invece che bisogno di risposta. Con Fuoco al Cielo l’immaginario si fa alchemico: il fuoco brucia la materia muta e la trasforma in luce. E con Metamorfosi dell’occulto l’autore compie la propria trasmutazione: dall’alchimia dei segni alla purezza dell’umano, dall’incantesimo alla pietà. Da Ruah (Rugiada) in poi, introduce un tono più contemplativo e terreno. Ruah (soffio, spirito) riprende il tema biblico della creazione e lo piega alla fragilità dell’io: “Io sono / solo / un uomo”. L’essere si riconosce frammento del Tutto, non padrone ma parte.
Veronica e i testi contigui costruiscono una scena medianica, quasi teatrale. La voce di una donna che “soffre per amore” parla dal vuoto, invocando aiuto. Il poeta ascolta e risponde con empatia disarmata: Anch’io soffro, Veronica. / Per errore. È il punto in cui la compassione diventa comunione.
In Fame piena e Resta in attesa l’esperienza mistica assume toni di corporeità: la fame, la presenza, l’alito sul collo sono epifanie sensoriali del divino. Che tu veda la mia fame già mi sfama- la conoscenza si compie nello sguardo, non nella risposta.



Domanda aperta suggella la scelta della non-conclusione: Anima, lascia che il mistero resti.”La verità non è nell’esito, ma nella disponibilità a restare nella domanda. È un’etica dell’attesa, preludio a Il canto degli angeli, forse il testo più luminoso: “Non portano messaggi, ma presenza”. Gli angeli non annunciano, ma esistono: come la poesia, sono la bellezza inutile ma necessaria del restare.
La memoria domestica riappare in I gigli della sabbia, dove l’infanzia e la figura di Zia Ada restituiscono il senso dell’origine. I gigli, la sabbia, il tè al gelsomino diventano emblemi della diversità accettata: Quando fa male, è lì che prendi forma. La poesia si riconcilia con le proprie ferite.
In Ho peccato abbastanza, il poeta si confessa con ironia sommessa e tono liturgico. Non cerca espiazione, ma riconoscimento: Ogni volta che torni insonne / dal letto di paglia / brucerei l’incenso. Il rito diventa gesto interiore, privo di chiesa ma non di fede.
Con Il riflesso del cielo si raggiunge la contemplazione finale: il mare come specchio che “inghiotte e risputa ciò che ha tenuto ma non gli appartiene”. È una visione di libertà dolorosa, la consapevolezza che l’anima non può trattenere nulla, nemmeno sé stessa.



La Ricetta


Ci sei?
Per un attimo ho sentito l’odore
Del tuo sugo caldo -
Quel vapore lento che saliva
E diceva: “Resta ancora qui.”
Ci sono,
non come vuoi, ma ci sono.
Abbassa il fuoco:
le patate si disfano
se le cuoci distratto.
Mi manchi.
A volte vorrei solo
Il tuo profumo in questa stanza.
Ci sono, nei gesti:
quando lavi il basilico,
quando ti si appannano gli occhiali
prima di assaggiare,
quando aggiungi il sale
con paura di sbagliare.
Da piccolo
Mi tenevi stretto.
Ora stringi gli altri.
È lo stesso battito.
È una ricetta senza tempo,
che cuoce ancora, altrove.
Dov’è Dio?
Nel modo in cui ascolti
Senza chiedere perché.
Dio è dove smetti
Di voler capire tutto.
Cosa devo cambiare?
Dimmi la verità.
Smettila
Di pensarti rotto.
Smettila
Di volerti giusto.
Ama anche le crepe:
Dio passa da lì.
E ora gira.
Gira in senso antiorario,
come facevo io.
Perché?
Così si confondono
Il tempo, la fine, il presente.
E quando sarà
La cena giusta,
la riconoscerai
dal profumo.
 
“La Ricetta” racchiude l’intera architettura spirituale della raccolta, trasponendo il divino nel gesto quotidiano. La memoria materna, il profumo del sugo, il basilico lavato sono icone di una teologia domestica: Dio non abita nel dogma, ma “nel modo in cui ascolti / senza chiedere perché”. La fede si rivela come disponibilità a non comprendere, come amore per l’imperfezione: “Ama anche le crepe: Dio passa da lì”. È la stessa poetica del frammento di Ruah, ma riscattata nella tenerezza. La lingua qui si fa narrativa, quasi prosastica, ma conserva la densità simbolica del resto del corpus. La cucina diventa rito, la ricetta liturgia, il profumo epifania. Il poeta conclude non con una risposta ma con un gesto: “Gira in senso antiorario”. È un ritorno al mistero, alla circolarità del tempo e dell’amore. Dalla prima all’ultima poesia, il percorso compiuto è quello di una trasmutazione: dal dolore alla compassione, dall’alchimia oscura alla semplicità quotidiana, dal silenzio alla presenza. L’io poetico attraversa la perdita, l’attesa, la domanda, per approdare a una fede senza religione, a una spiritualità umana, incarnata. Lo stile, pur libero, è sempre rigoroso: sintassi breve, lessico alto e terreno insieme, ritmo interno più musicale che metrico. Si avverte una parentela ideale con Rilke, Caproni, Gualtieri e Campo, ma la voce resta autonoma, più terrestre, nutrita di polvere e sale.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA



Oltre l’ultimo cielo. Omaggio e controcanto a Mahmoud Darwish
 
Venerdì 14 novembre alle ore 18.00, presso la Sala del Carroccio in Campidoglio, si terrà l’evento “Oltre l’ultimo cielo. Omaggio e controcanto a Mahmoud Darwish”, promosso dal Comitato Nazionale per la Buona Lettura Inchiostro in collaborazione con l’Associazione Calabresi Capitolini.
Ospite d’onore sarà Sua Eccellenza Mona Abuamara, Ambasciatrice di Palestina. Porteranno i saluti istituzionali: Dario Nanni, Consigliere capitolino e Presidente della Commissione Giubileo, Elisa Zumpano per Direttivo di Inchiostro, Rosario Sprovieri per l’Associazione Calabresi Capitolini.
Seguiranno gli interventi di: Hatem Abed-Sabra, interprete della Comunità Palestinese in Italia; Prof. Paolo Canettieri, ordinario di Filologia e Linguistica romanza all’Università di Roma “Sapienza”; Pier Paolo Di Mino, scrittore; Marco Giovenale, autore, editor e traduttore, docente di storia delle scritture italiane contemporanee e Filippo Golia, giornalista e autore.
 La conduzione sarà affidata a Pino Nano, giornalista, autore televisivo.
L’iniziativa è dedicata a Mahmoud Darwish, poeta nazionale palestinese e una delle voci più autorevoli della letteratura araba contemporanea. Nato nel 1941 in Galilea, Darwish, considerato da Saramago uno dei maggiori poeti del Novecento, ha vissuto l’esilio e la perdita della terra natale, temi centrali nella sua opera. Le sue poesie, tradotte in molte lingue, sono diventate simbolo della resistenza e della speranza del popolo palestinese.
Inchiostro nasce da un’idea e sotto la direzione degli scrittori Nicola Argenti e Leonardo Floriani e della Direttrice del Centro Culturale Connessioni Elisa Zumpano, con la collaborazione del Chiosco Letterario dell’Università Sapienza. Organizza e promuove eventi letterari liberi e gratuiti, coinvolgendo scrittori, poeti, critici, editori e traduttori.
L’Associazione Calabresi Capitolini è un’organizzazione senza scopo di lucro che promuove la cultura all’ombra del Colosseo, favorendo la rete tra associazioni e creando occasioni di confronto e dialogo per un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo.
L’evento è aperto al pubblico e rappresenta un’occasione unica di incontro e dialogo nel segno della poesia e della memoria.
 
Per info e prenotazioni: centroculturaleconnessioni@gmail.com

 

AL TEATRO FRANCO PARENTI A MILANO
Con Daniela Marcheschi.





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