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UNA NUOVA ODISSEA...
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
venerdì 28 marzo 2025
ODESSA, VITA QUOTIDIANA E BOMBARDAMENTI
Il porto
Maria ha lo sguardo duro, gli occhi vitrei di chi è abituato alle difficoltà. Da bambina, la madre alcolizzata l’ha abbandonata; lei è cresciuta in un internato sovietico, dove ha vissuto violenze di ogni tipo. Una volta maggiorenne, la madre, che è riuscita a disintossicarsi, l’ha cercata e lei l’ha perdonata. A 20 anni ha partorito Vladimir, che adesso ha 24 anni, e si è sposata. In un secondo tempo è nata Anna, che ora ha 15 anni. Ironia della sorte, i genitori del marito vivono in Russia, a Mosca, e non sanno della fine del congiunto. Sono anziani e non reggerebbero al dolore. Il marito di Maria, prima di partire per la guerra, aveva esclamato: “Vado a sparare addosso ai miei, e i miei spareranno addosso a me!”.
Chiedo al professore se fra la gente regnino anche pessimismo e disperazione dopo il rifiuto di Trump di aiutare l’ucraina: “Pessimismo c’è, disperazione no. Il quadro geopolitico cambia molto rapidamente, non è escluso che Trump litighi con Putin e che torni ad aiutare gli ucraini. In ogni caso, Zelensky si sta muovendo bene, continua a intessere rapporti diplomatici con Washington, sa che senza l’aiuto degli americani l’Ucraina è persa”. E l’Europa?. “Sull’UE non possiamo ancora contare. A Bruxelles si parla di riarmo, ma il processo è lento e a noi le armi servono subito. Sarebbe utile dar vita a un esercito comune europeo che, nell’ottica di una vera e propria confederazione di Stati europei di cui un giorno farebbe parte anche l’Ucraina, difenderebbe gli interessi comuni del nostro continente”.
PER NOVALIS
A 224 anni
dalla scomparsa prematura del poeta, teologo e filosofo Novalis, vorrei rendere
omaggio al genio tedesco romantico del Blaue Blume (Il Fiore Blu),
attraverso la traduzione del Secondo Inno,
tratto dagli Hymnen an der Nacht, una raccolta di poesie dedicata alla
sua amata Sophie, dopo la sua morte, pubblicata sulla rivista tedesca Athenaeum nel 1800, in cui il poeta si
raccoglie in sé stesso nella luce della notte per “romanticizzare” il divino,
araldo di infiniti segreti. Se ogni atto traduttivo, nella lingua e cultura d’arrivo,
comporta sia una perdita che una aggiunta di elementi, dovuti a differenti
variabili di natura socio-linguistica e culturale, il mio è un tentativo di essere
quanto più fedele a quel sentimento della “Sehnsucht” tedesca tipica dei poeti romantici
del circolo di Jena, di cui Novalis si fa esemplarmente portavoce.
Anna Rutigliano
Secondo inno alla notte
Farà sempre ritorno il mattino?
Finirà mai la violenza sula Terra?
Infausta frenesia che divora
l’avvicinarsi
celestiale della Notte.
Arderà mai in eterno
il segreto sacrificio d’Amore?
Alla Luce è stato attribuito il suo Tempo;
ma il regno della Notte non possiede
tempo né spazio.
Eterno è il sonno.
Sacro Sonno, non rallegrare troppo di rado
il devoto alla Notte, in questo giorno di fatica terrena.
Gli stolti soltanto ti rinnegano e
non conoscono sonno
se non quello dell’ombra.
che tu infondi su di noi, con pietà,
in questo crepuscolo di vera Notte.
Non ti percepiscono
Nel torrente dorato dei grappoli,
nel miracoloso olio del mandorlo e
nel bruno succo del papavero.
Non sanno che Tu sei lì,
fluttuante ai seni della tenera fanciulla
a rendere Cielo il suo grembo,
non sospettano che ti opponga
da antiche storie aprendo Cieli e
che conduca la chiave alle dimore dei beati,
Tu, silenzioso messaggero di Infiniti Segreti.
POESIA TRE
di Massimo Cecconi
Il volume, con il sottotitolo “poesia e poeti nel territorio del Municipio
3”, è stato presentato il 21 marzo scorso presso la sede del Municipio.
È decisamente piacevole avere per
le mani una copia di un piccolo libro di 80 pagine dedicato alla poesia, a
partire dalla copertina rigorosamente bianca con un segno grafico di Josef
Weiss, incisore e tipografo d’arte ticinese. Come è stato
stimolante presenziare alla sua presentazione nell’aula consiliare del
Municipio 3 con la partecipazione di moltissimi giovani che quel libro hanno
contribuito a costruire con la loro adesione al progetto “Mandaci una poesia”,
dedicato a under 35 che volessero cimentarsi con un linguaggio che oggi sembra
sempre più lontano dai canoni, sempre più “perversi”, della scrittura e della
comunicazione. Da un’idea di Giovanni
Bonoldi, che della promozione della poesia ha fatto uno scopo di vita, con il
sostegno di Caterina Antola, presidente del Municipio 3, e di Valeria Borgese,
già assessora alla cultura, si è sviluppato un progetto che, in pochi mesi, ha
permesso, attraverso la diffusione di un apposito bando, per quanto informale,
di raccogliere 150 opere alcune delle quali, selezionate da una Commissione di
lettura composta da Antigone (Eugenia Giancaspro), Luigi Cannillo, Paolo
Cerruto, Maddalena Loi e Paolo Massari, hanno poi trovato collocazione nel
libro che stiamo descrivendo. In quarta
di copertina, una nota descrive bene il progetto e le sue intenzioni:” Poesie
lineari, per lo più. Alcune poesie visive (verbo visuali). Una prosa poetica.
Arrivate da persone che abitano, studiano, lavorano a Milano nel territorio del
Municipio 3. E testi poetici, poesie visive, opere d’arte prevenienti da fuori
zona (persino da fuori città o regione) e prescindendo dall’età anagrafica.
Queste le risposte al messaggio-invito “Mandaci una poesia” del Municipio 3.
Questo libro ne ospita una parte, e informa su alcuni “Luoghi della poesia” del
territorio. Sì, stiamo parlando di poesia”. E, quasi a sottolineare l’eccezionalità e persino l’eccentricità della
proposta, la stessa quarta di copertina contiene un pensiero di Franco Loi,
immenso poeta milanese che ha trascorso la sua giovinezza nelle vie del
Casoretto.
“Ho cominciato a scrivere, come dire, perché sentivo il
bisogno di dire certe cose, e di esprimermi, e quindi scrivevo. Perché certe
cose poi sono cose che magari tu non puoi dire, ai genitori men che meno, ma
anche agli amici magari certe volte, e allora le scrivi…”. Anche oggi
molti giovani hanno sentito “il bisogno di dire certe cose”, come Anna Sessa
che scrive: “Calde e salate scivolano sul viso/ Le rare belle affiancano un
sorriso”, laddove l’espressione “le rare belle” rappresenta da sola
un’esplosione di significati.
Oppure il ritmo dei versi di Alice Bulloni in ‘Tutto’:
“Poesia lussuria ironia fu. E poi, qualsiasi cosa”.
Il volume ospita poi testi più articolati ma
altrettanto significativi. Sono molte e
contrastanti le immagini, le emozioni e le sensazioni che emergono dai versi
contenuti in “Poesia Tre” che dà finalmente voce a pensieri che altrimenti
sarebbero stati nascosti forse per sempre. Nel
tardo pomeriggio di venerdì 21 marzo, non a caso Giornata mondiale della poesia,
si è consumato il rito insolito di ascoltare parole non vane, non fini a se
stesse. I numerosi giovani presenti hanno testimoniato che esistono modi e
tempi per confrontarsi civilmente scegliendo con la poesia una strada non certo
scontata, non certo banale. Nell ultime
pagine, il volume ospita le schede di alcuni luoghi del territorio di
pertinenza in cui si “pratica” poesia: le biblioteche comunali Lambrate e
Venezia, la Fondazione Mudima, Officina Coviello e Quindici Palazzi. In chiusura, Filippo Rossi, il nuovo assessore alla
cultura del Municipio 3, ha promesso altre puntate di questo raffinato racconto
dedicato all’incanto/disincanto della parola.
P.S. Per chi fosse interessato, copie del libro
sono disponibili sino a esaurimento presso la sede del Municipio 3 in via
Sansovino n. 9.
Oppure il ritmo dei versi di Alice Bulloni in ‘Tutto’:
“Poesia lussuria ironia fu. E poi, qualsiasi cosa”.
Il volume ospita poi testi più articolati ma
altrettanto significativi. Sono molte e
contrastanti le immagini, le emozioni e le sensazioni che emergono dai versi
contenuti in “Poesia Tre” che dà finalmente voce a pensieri che altrimenti
sarebbero stati nascosti forse per sempre. Nel
tardo pomeriggio di venerdì 21 marzo, non a caso Giornata mondiale della poesia,
si è consumato il rito insolito di ascoltare parole non vane, non fini a se
stesse. I numerosi giovani presenti hanno testimoniato che esistono modi e
tempi per confrontarsi civilmente scegliendo con la poesia una strada non certo
scontata, non certo banale. Nell ultime
pagine, il volume ospita le schede di alcuni luoghi del territorio di
pertinenza in cui si “pratica” poesia: le biblioteche comunali Lambrate e
Venezia, la Fondazione Mudima, Officina Coviello e Quindici Palazzi. In chiusura, Filippo Rossi, il nuovo assessore alla
cultura del Municipio 3, ha promesso altre puntate di questo raffinato racconto
dedicato all’incanto/disincanto della parola.
P.S. Per chi fosse interessato, copie del libro
sono disponibili sino a esaurimento presso la sede del Municipio 3 in via
Sansovino n. 9.
giovedì 27 marzo 2025
A TRIESTE
28 marzo ore 17 davanti
alla sede Rai
Dicono
che non ci sono i soldi per la sanità, per l’istruzione, per
salari e pensioni, ma trovano subito un milione
di euro per un giullare di regime,
che va nella televisione pubblica a incensare un’Unione Europea, intenzionata a spendere 800 miliardi per
preparare la terza guerra mondiale
con la Russia. Per chi vuole esprimere la sua rabbia verso tutto questo, ci vediamo venerdì 28 alle
17.00 in via Fabio Severo 7,
davanti alla sede della televisione.
Coordinamento No Green Pass e Oltre
SIAM PRONTI ALLA MORTE?
di Luigi Mazzella
L’inno di Mameli tra dissensi e scongiuri.
Passiamo per
essere un popolo di pantofolai, pacifici e sedentari, ma nessuno ci
eguaglia quando cantiamo i nostri canti di guerra. A parte quelli del Ventennio
Mussoliniano (“All’armi siam fascisti!”, “Vincere e Vinceremo”; “Passano i
sommergibili”; e frasi come “Ridere in faccia a monna Morte ed al
destino”) anche il nostro inno “nazionale” o “inno di Mameli”, quanto a
desiderio di morire in guerra, non scherza! Goffredo Mameli
era un giovane che sapeva “muoversi” nell’ “Italietta dei troppi Staterelli”,
era mazziniano, garibaldino e come loro massone. Il suo inno era rivolto ai
“fratelli muratori” da lui ritenuti i veri protagonisti del Risorgimento. Le
sue “vibranti” parole furono messe in musica da Michele Novaro, il cui nome
però, non passò alla storia. Per rendere l’idea di ciò che avvenne, si
potrebbe dire che se Enrica Bonaccorti si fosse iscritta alla Massoneria la
Canzone “La lontananza” sarebbe stata attribuita a lei e non a Domenico
Modugno.
In
realtà, non so se i suoi fratelli in grembiulino abbiano fatto a Mameli un
vero regalo. Agli occhi degli ironici italiani del Terzo Millennio (non
molti, ovviamente) la musica di Novaro piace ancora molto e i giovani, anche
quelli per così dire in età di leva, la ripetono nei cadenzati suoni con
orgoglio, ma stenderebbero volentieri sulle parole un velo pietoso di
silenzio (addirittura, cancellando, dopo averle sottolineate con la matita rosso-blu,
le parole: siam pronti alla morte! ritenute piuttosto iettatorie).
Non sembra
comunque ipotizzabile che i molti testi alternativi al grido di guerra di
Mameli (tra essi quelli di Bonaccorti e di Gaccione) possano sostituire un
canto che a giudizio della massoneria inglese (e internazionale) ha avuto il
merito di infondere negli Italiani quel coraggio che non contrassegnava,
di certo, i connazionali di Don Abbondio.
All’epoca delle
guerre del cosiddetto “Risorgimento” italiano, la magia di un “popolo di morti”
che si era messo, secondo Carducci, “dietro” il volto tutt’altro che
accattivante di Mazzini era stata compiuta dall’Inghilterra. L’Albione
(pre-mussoliniana e non ancora “perfida”), avendo deciso di combattere
e di ridimensionare il potere dell’Austria in Europa, con l’aiuto del suo
“Sancho Pansa” abituale (la Francia era tale anche prima di Macron), aveva
spronato gli Italiani ad “andare incontro alla morte” per regalare l’intero
Stivale ai fidati Piemontesi, distruggendo ogni residuo collegamento italico
con la casa regnante di Vienna.
Anche oggi che
l’Italia è divenuta, nel corso dell’imperio del Partito Democratico nord
americano (lo stesso, peraltro, di Giorgio Napolitano) grazie alla sua tendenza
servizievole, filo-statunitense, il bellicismo italico è stato
sollecitato da un decadente Joe Biden, anglosassone. E ciò
nonostante che a palazzo Chigi fossero giunte forze politiche sedicenti
“diverse” ma che, comunque, avevano, nel loro DNA politico, antichi
“ardimenti” anche se di segno opposto. Con l’avvento
di Donald Trump alla Casa Bianca il bellicismo italico ha conosciuto un momento
di smarrimento. E l’idea di essere pronti alla morte non
più per lo zio Sam ma per Ursula Albrecht Von der Leyen, qualche disorientamento l’ha procurato.
Esso continua a essere il grido di mezzo Partito Democratico, di un super agitato Carlo Calenda (desideroso di portare ancora il figlio in Ucraina, sotto le bombe, come ha dichiarato in televisione), di un Matteo Renzi, avvezzo alla litigiosità contradaiola della periferia fiorentina ma desideroso di cimentarsi in più ampi campi di battaglia. È, invece, flebilmente contrastato dall’altra metà del partito che fu di Togliatti e di Berlinguer, da Giuseppi Conte, di cui Trump non ha ancora declinato il nome di battesimo al singolare, da un Antonio Tajani con i “sali da annusare” a portata di mano per non svenire nel bel mezzo del grido bellico, da Giorgia Meloni che non riesce a impossessarsi di una delle due chiavi necessarie per aprire il cor di Federico (Donald, ovviamente).
Forte del grido
di Un nemico del popolo di Ibsen “L’uomo solo è il più forte del mondo”,
Matteo Salvini, deciso, memore dei versi leopardiani, a “procombere” in
battaglia da solo, si è dichiarato contro il “riarmo” proposto dalla neo alleanza
franco-inglese-tedesca. Fedele a Trump, in odio al Partito Democratico divenuto
Trasversale (o più semplicemente Occidentale, tout court).
La situazione
per il già titubante segretario della Lega non è facile. Dopo gli
atteggiamenti (a volere essere generosi) “cauti” di Antonio Tajani sulla guerra
russo-ucraina, dopo la sua posizione chiaramente ammantata di scettica prudenza
circa i tentativi in atto per giungere alla pace, compiuti da Trump e Putin,
dopo il suo parere sul riarmo proposto dalla bellicosa Von der
Leyen, dopo la versione per così dire “ufficiale” di Forza Italia sulle origini
della guerra diametralmente opposta a quella data da Berlusconi nel 2014 che
parlava chiaramente di massacri di filo-russi e russofoni ad opera
dei battaglioni nazisti di Zelensky, dopo la sostanziale cessione da parte
degli eredi del Cavaliere al sinistrismo più spinto delle reti Mediaset
(per avere un minimo “contraltare” a ciò che vi si ascolta, meglio passare
a “Otto e mezzo” dove qualche voce discorde “efficace” si può ancora trovare ),
dopo tutto quello che si è detto si deve necessariamente desumere che i
nemici dell’“indomabile Silvio” stessero proprio in famiglia.
È vero che anche
la RAI, dopo la cosiddetta “conquista” del centro-destra continua a essere
egemonizzata dai soliti “intellettuali di sinistra”, ma sorprende di più
che ciò rappresenti la scelta degli eredi del Cavaliere.
Conclusione: Mal comune
mezzo gaudio. Schlein sta contro la metà del suo partito e in un ambiguo
disaccordo-accordo con Conte; Calenda è sempre di più contro Renzi;
Bonelli e Fratoianni sono contro tutti (forse anche contro se stessi);
Meloni e Tajani avversano le iniziative di Salvini (con Vance). In buona
sostanza, il bellicismo italiano, allo stato, appare ancora “casalingo. Il
“siam pronti alla morte”, con buona pace di Mameli, risuona, allo
stato, solo negli stadi.
I POETI DI ANGELO
GACCIONE
di Franco Curto
Perugia. Con la
recente raccolta dal titolo Poeti, con sottotitolo, Ventinove
cavalieri e una dama, (Di Felice Edizioni 2025 pagg. 56 € 10), ritorna a coinvolgere il lettore, il canto melodioso e struggente di Angelo Gaccione.
L’opera, con note di Vincenzo Guarracino e Alessandra Paganardi, è un viaggio
poetico attraverso tutto il Novecento, arrivando fino ai giorni nostri. L’idea
geniale di Gaccione è affidarsi ai poeti, molti di loro conosciuti e
frequentati, altri incontrati nello studio della nostra storia letteraria. Si
dipana il suo canto su un verso iniziale di uno dei poeti nel testo; con un
intimo sentire consente all’autore un dialogo nel tema che svela sentimenti,
impegno sociale, il proprio privato, la strenua difesa di diritti e l’aspirazione
alla libertà. Gaccione, uomo del nostro tempo, è la prova della fedeltà alla
parola scritta, che in mezzo secolo, resta la testimonianza di coerenza e comunque
mai sottomessa al Potere. Gaccione si chiede perché “vengono al mondo i poeti”
e la risposta che egli ci dà, dopo tutto, è quella di “gravarli della pena
/ che solo la fatica di vivere comporta”. Ha ragione quando Caproni
svela che la poesia “è il sale del mondo”, come il sole che tutto
illumina e a Gaccione indica la strada seguendo la propria ombra. Con Sbarbaro,
Angelo concorda nella grazia concessa ai poeti, perché anche egli è convinto
che la parola genera felicità. Si riaffaccia altresì l’incubo del male. Il
ricordo di Hiroshima è il fantasma che aleggia nel mondo e con Raboni si chiede
allora che ne sarà della nostra stoltezza se non evitiamo che l’idea della
guerra possa prevalere. Un verso che a volerlo metabolizzare spezza il cuore.
Tematiche nella poesia di Gaccione affrontate con un linguaggio lieve ma
incisivo, una filosofia che sa d’antico. Una celebrazione genuina di una
religiosità laica della natura e la denuncia coraggiosa di tutte le offese provocate
dalla nostra follia disumana. Il ricorso al ricordo e la forte nostalgia del
ritorno ai luoghi dell’infanzia povera e felice, nonostante tutto, è allo
stesso tempo la grande voglia di emergere per farsi parola. Nei sui
versi c’è anche lo sconforto verso la meta e il bisogno di una compagnia per
non restare soli. Il suo pensiero va a quell’unica dama nel volume nella voce
di Antonia Pozzi. La parola è la medicina giusta per i nostri malesseri
interiori che quasi sempre salva la vita. Pavese è vivo ancora oggi perché ci
ha insegnato il mestiere di vivere in questa giungla che non ha più regole ma
disordine. Gaccione dialoga con Ungaretti, Quasimodo e Montale, pilastri della
nostra poesia, ma ama Penna e la felicità per una giovinezza interiore che non
ha baricentro ma sa lasciarsi andare “come foglia in attesa di volare o cadere”.
La poesia di Gaccione è musica che affascina e sconvolge, essa domanda il
lettore e si domanda dando anche risposte che in verità sono segni e sogni di
speranze a volte disperate per l’insensatezza di noi “Uomi…” malati di
soldi e di potere. Del resto tutto quanto previsto da Pasolini di cui Angelo si
era già occupato. Ma niente di nuovo oggi sotto questo cielo. Ci salverà la
poesia? Nessuno è in grado di darci una risposta, so solo e lo sanno i poeti
che senza poesia il mondo sarebbe più povero, forse da tempo finito. Gaccione
nella sua opera canta l’amore, grida senza paura contro ogni guerra, contro
l’ingiustizia e rivendica con la sua opera di scrittore, a tutto tondo, i
diritti per i senza diritti, per fermare la violenza che dilania l’animo umano
e annienta bambini innocenti che domani forse cercheremo. Un ritorno felice al
primo amore di Gaccione per la poesia, con questa bella raccolta, che lascia un
segno indelebile nel lettore per il suo stile chiaro e suggestivo, che non può
che essere il rumore della coscienza per scuotere l’individuo dal proprio
torpore e dall’assenza di partecipazione alla salvezza di un pianeta che
rischia di questo passo di andare a rotoli.
mercoledì 26 marzo 2025
LA PROSPETTIVA DELL’OCCIDENTE
di Franco Astengo
Scrivendo
un brillantissimo articolo Alessandro
Portelli (“il Manifesto” 25 marzo 2025) ha affrontato il tema del ruolo storico
di quello che chiamiamo Occidente (che fa coincidere con il maschio bianco
tendenzialmente suprematista) riportando un passaggio dall’ultimo libro di
Amitav Gosh Fumo e Ceneri (2023, non ancora edito in Italia): “un
altro concetto dell’illuminismo che ha svolto un ruolo importante nel dare forma
all’immagine che l’Occidente ha di sé, la Storia come una narrativa di
progresso che si evolve verso certi fini trascendenti fondata su una concezione
del tempo e della storia, come una narrativa di ininterrotto Progresso
ascensionale”.
Proprio questo è il punto
(paradigmatico) sul quale le forze progressiste -appunto - dell’Occidente
(sempre inteso coincidente con il maschio bianco tendenzialmente suprematista) dovrebbero
interrogarsi: la prospettiva dell’Occidente dovrebbe oggi contemplare la
necessità di interrompere proprio questa narrativa di “ininterrotto
Progresso ascensionale”.
Rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo
occorre ripartire dall’idea dell’impossibilità di procedere sulla linea dello
sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata
verso “le magnifiche sorti e progressive” identificando
il progresso tecnologico e militare con l’assoluta superiorità di una etnia, di
un genere, di un sistema politico. Si dovrebbe interrompere proprio
questa narrazione fondata sull’assoluto progresso progettando un gigantesco spostamento di risorse
tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante e
ricostruendo una nuova consapevolezza del rapporto tra
individuale e collettivo: “si realizza la
vita d’insieme che è solo la forza sociale, si crea il blocco storico” (Gramsci Quaderno 11).
Serve una dimensione teorica capace di
comprendere quanto di “senso del limite” sia necessario acquisire proprio al
fine di realizzare quel mutamento sociale posto nel senso del passaggio
dall’individualismo competitivo fin qui egemone nella post- modernità
verso forme di soggettività collettiva. L’obiettivo da porsi dovrebbe essere
identificato nel riuscire a proporre una nuova libertà posta al di fuori della
schiavitù della competizione individuale e della voracità consumistica
approdando a una forma di libertà garantita dalla coscienza del singolo e dalla
volontà del collettivo.
VITA DELLA POESIA
Appunti
di un filosofo di estetica, Gabriele Scaramuzza, e di una musicista, Tiziana
Canfori, sul
libretto di poesie di Gaccione presentato di recente alla Biblioteca Ostinata di
Milano.

Gabriele Scaramuzza
Angelo Gaccione
ci ha di recente lasciato Poeti. Ventinove cavalieri e una dama, con
note introduttive di Vincenzo Guarracino e Alessandra Paganardi, edito nella
Collana “La Carena” (diretta da Silvia Elena Di Donato per le Edizioni Di Felice,
Martinsicuro 2025). I poeti sono per lo più grandi nomi sulla bocca di tutti,
ma anche poeti meno noti, ma non per questo insignificanti. Tutti devono esser
stati amati da Gaccione, “gli hanno detto qualcosa”, in modi e sotto luci
diverse.
Del
tutto originale, e unico a quanto ne so, è l’impianto del libro: ogni composizione
prende l’avvio da un verso di un poeta affermato, spesso grandissimo, e da lì si
innescano versi personali di Gaccione. Parole che si inseriscono nella corrente
di vita sprigionata da quei versi, e testimoniano la risonanza che tuttora esercitano
nelle esistenze di altri. Nella fattispecie di Angelo Gaccione, che si fa qui
portavoce di innumerevoli (si spera) altri, in cui tuttora si danno esistenza
autori scomparsi, ma le cui voci non si sono estinte nella nostra coscienza.
Un
caso particolare per me è il ritorno dell’unica donna presente nella raccolta
di Gaccione: Antonia Pozzi. Figura anche a me intensamente vicina, densa di risonanze
interiori pur nelle differenze che ci separano.
Gabriele
Scaramuzza
Gabriele Scaramuzza |
IL LEGAME DELLA POESIA DI GACCIONE CON LA MUSICA

Tiziana Canfori
Un incontro di poesia potrebbe
svolgersi nell’imbarazzo, sotto la cappa sinistra della citatissima frase di
Croce secondo cui chi scrive poesie dopo i 18 anni è un poeta o un cretino.
L’autore potrebbe infatti sentirsi a disagio nel dirsi “poeta” e lottare fra
l’amore per le proprie creature e la necessità di mantenere un profilo
convenientemente umile e basso; il pubblico potrebbe rimanere impantanato fra
mille schemi per decidere se collocare il protagonista fra i poeti o fra i
cretini. Per evitare di inciampare in questa trappola ricordo che Fabrizio De
André, si affrettava a rifuggire da ogni chiamata in causa come poeta, con il
dichiarato timore (maniman… avrebbe detto lui da genovese) di poter
passare nell’altra ridicola schiera crociana.
Niente di tutto ciò alla
Biblioteca Ostinata di Milano nell’incontro con Angelo Gaccione: complice un
ambiente nato per la condivisione attiva della cultura, in cui si convive con i
libri in modo confortevole, la presentazione di Poeti. Ventinove cavalieri e
una dama è stata una serata piena di energia e di vero piacere. Alessandra
Paganardi, che ha presentato il libro, ce ne ha saputo proporre la cifra più
autentica, offrendo all’autore la possibilità di raccontarci con sincerità il
suo rapporto con la scrittura poetica.
Da musicista, ho apprezzato
profondamente il legame di questa poesia con la musica, e non solo dal punto di
vista del ritmo e del colore sonoro delle parole, ma più sottilmente
nell’atteggiamento dell’autore. Gaccione ci propone infatti un saggio d’interpretazione,
simile a quello che porta a termine uno strumentista, un cantante o un
direttore d’orchestra: sceglie una schiera di poeti del Novecento fra i suoi
preferiti, ne propone un verso come incipit e da quel verso prosegue in un
approfondimento nel quale la sua vita e la sua scrittura si esprimono tenendo
conto della personalità e dello stile del poeta con cui dialoga.
In musica, se non si potesse fare
questo, non varrebbe la pena di accostarsi allo strumento; nello stesso tempo,
qualsiasi opera musicale nascerebbe morta, costretta ad essere uguale a se
stessa ovunque e per sempre. Simile al diciottenne crociano, il musicista
dovrebbe chiedersi costantemente “che diritto ho, proprio io, di far rivivere
Bach o Puccini o chiunque altro?”.
Invece bisogna avere l’istinto di
riprendere in mano quei mattoni e il coraggio di riutilizzarli per dire una
cosa personale, di nuovo unica e viva. Questo è l’insegnamento di Gaccione, che
dialoga con la propria sensibilità poetica fin da ragazzino e la nutre di letture
ed esperienze per restituircela in questo gioco di specchi in cui ci invita.
L’arte non è un processo lineare, con sviluppi e scadenze obbligati, ma un
misto di intuizione, scuola, fatica, che si sviluppa attraverso la capacità di
filtrare il pensiero di altri e la realtà. È da questo presupposto che l’arte,
e quindi anche la poesia, diventa cibo nutriente da condividere: perché il cibo
va condiviso, non solo celebrato. Gaccione ci ha servito, con gentilezza e
autentica passione, un cibo molto nutriente di cui lo ringrazio.
Tiziana Canfori
