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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
mercoledì 31 maggio 2023
ATTRAVERSI UNA STRADA
BALLOTTAGGI
di
Franco Astengo
È il caso di ribadire
alcuni punti fermi prendendo in considerazione il livello dei commenti e delle
analisi che in queste ore si stanno leggendo in esito ai ballottaggi svolti il
28-29 maggio per l'elezione dei sindaci in diversi comuni sparsi per l'Italia e
in particolare (come si riferisce di seguito in questo lavoro molto
abborracciato e schematico) in 6 comuni capoluogo di provincia e 1 comune
capoluogo di regione (anche se piccola e periferica come le Marche).
I
risultati si possono leggere in 3 modi:
a) come stanno facendo i
grandi mezzi di comunicazione (e come stanno accettando le forze politiche) con
il metodo "calcistico" di conteggiare i Sindaci conquistati alla
stregua dei goal segnati. Si comprende come questo metodo segua l'accrescimento
o la sottrazione di piccole fette di potere (anche rispetto alla mappa interna
delle logiche di partito) ma difficilmente così si riesce a leggere l'insieme
del procedere della vicenda politica;
b) analizzare comune per
comune discese e risalite delle candidature e delle diverse forze politiche,
liste civiche, ecc. Si tratta di un metodo che può essere seguito soltanto
attraverso una profonda conoscenza delle diverse realtà locali sotto l'aspetto
economico, sociale, del contesto politico specifico, del valore delle
candidature. Un'operazione che richiede sicuramente tempo e non mediocre
capacità d'interpretazione;
c) tentare (consapevoli di
tutti i limiti del caso) di analizzare i dati secondo un metodo
d'interpretazione complessiva in modo da fornire alle forze politiche
interessate una prima chiave di lettura dei dati sfuggendo - appunto - alla
mera logica ragionieristica evidenziata nel punto a).
Cercando
di lavorare nei termini indicati dal punto c) si possono evincere queste prime
indicazioni di carattere generale:
1) se colleghiamo la
fragilità del sistema politico all'indicatore della partecipazione al voto
appare evidente che questa fragilità persiste e avanza. Nessuna forza politica,
in questi anni, è riuscita a invertire la tendenza: considerati i 13 comuni
capoluogo impegnati in questa consultazione la percentuale dei voti validi è
scesa dalle elezioni politiche 2022 a quelle comunali 2023 dal 65,19% al
56,02%. Nei 7 comuni capoluogo arrivati al ballottaggio in cui erano iscritti
nelle liste 502.701 tra elettrici ed elettori al primo turno si erano espressi
281.370 voti validi (55,97%) scesi a 253.132 nel secondo (50,35%);
2) Il centro-destra si
afferma evidenziando una maggiore compattezza in un quadro di capacità
coalizionale corroborato dalla presenza partitica. Questo è un elemento da
tenere in considerazione. Su 13 comuni capoluogo al voto al primo turno i
simboli dei tre partiti maggiori della coalizione sono stati presenti ciascuno
in conto proprio a sostegno del candidato-sindaco in 11 comuni su 13 (eccetto
Imperia feudo di Scajola e Massa dove era presente soltanto il simbolo di FdI
contornato da liste civiche). Un solo candidato sindaco fuori dai due poli è
arrivato al ballottaggio (vincendo): il discusso Bandecchi a Terni.
3) Nel centro-sinistra abbiamo
registrato la presenza del simbolo del PD in tutti i 13 comuni ma con una
varietà di presenze in coalizione: M5S con il proprio simbolo a Brindisi
Latina, Teramo, Pisa AVS con il proprio simbolo a Imperia, Massa, Siena, Terni,
Treviso (a Brescia presenti separati Verdi e Sinistra Italiana), Azione -
Italia Viva ad Ancona. Il M5S ha presentato propri candidati sindaci ad Ancona,
Brescia (in coalizione con UP e PCI), Imperia, Massa (in coalizione con Unione
Popolare), Siena, Terni (in coalizione con UP e lista civica), Treviso (in
coalizione con Unione Popolare), Vicenza.
4) Tornando ai dati
complessivi dei 7 comuni in ballottaggio si registra come i candidati sindaci
del centro-destra abbiano ottenuto 126.820 voti incrementando rispetto al primo
turno di 20.961 suffragi mentre quelli del centro -sinistra ne hanno avuto
101.474 cioè 29 voti in più rispetto al primo turno. A mio giudizio se
intendiamo fornire un giudizio politico complessivo su questo esito elettorale
non possiamo sfuggire a tre considerazioni:
a) cresce comunque
l'astensione;
b) si definisce meglio il
profilo bipolare che dal punto di vista del centro-destra accentua i termini di
alleanza tra partiti;
c) il PD perno della
coalizione di centro-sinistra non riesce a presentarsi rispetto a due porzioni
di elettorato come soggetto decisivo sul quale far poggiare una coalizione
alternativa alla destra: quello del M5S (la parte residuale del voto 5 Stelle
passato dal turbine della volatilità estrema negli anni '13-'22) che
evidentemente considera il PD partito dell'establishment. Un elettorato 5 Stelle
che ai propri candidati sindaci al primo turno aveva dato 9.624 voti. Eguale
discorso per elettrici ed elettori di UP ormai evidentemente molto diversi da
quella che era la base di Rifondazione Comunista e molto meno sensibile ai
richiami unitari (nel primo turno - sempre riferendoci ai 7 comuni capoluogo
andati al ballottaggio) ai Sindaci presentati da Unione Popolare erano andati
complessivamente 7.608 voti.
In
conclusione una possibile lettura politica dei dati riferiti ai 7 comuni capoluogo
andati al ballottaggio ci indica non solo l'ovvia necessità di costruzione di
alleanze ma anche quella (rispetto a porzioni di significativo elettorato) di
lavorare per la definizione di un profilo spiccatamente alternativo. Si tenga
presente, infine e ancora una volta, il tema astensionismo sicuramente non
risolvibile da qui alle elezioni europee. Situazione che necessita quindi di un
forte richiamo di identità per trattenere almeno l'elettorato residuo dalla
tentazione di ulteriori fughe: un segnale unitario sul versante di sinistra
potrebbe anche rappresentare un possibile punto di riferimento positivo.
martedì 30 maggio 2023
CHIRURGHI IN
PRIMA LINEA
di Angelo Gaccione
Contardo Vergani
Ricerche
come queste in cui si è avventurato il chirurgo Contardo Vergani sono
encomiabili perché fondono materie fra le più diverse e vanno a scavare dentro
archivi, ambiti e luoghi per far parlare fatti, documenti, dati, memorie, vite,
che altrimenti rimarrebbero muti. Non si tratta di semplice medicina, il suo
orizzonte si dilata e finisce, quasi necessariamente, per comprendere storia, politica,
etica personale e quant’altro l’agire umano e gli eventi sociali vanno a
determinare. Per averne un’idea basta dare una semplice occhiata alla
bibliografia del volume che stiamo prendendo in esame: Chirurghi in prima
linea. Storia degli ospedali chirurgici mobili nella Grande guerra,
e all’apparato fotografico che lo correda. Non va dimenticato che Vergani è prima
di tutto un medico e dunque la passione per la storia è mossa prevalentemente
dalla sua professione. A fine lettura ci si renderà conto che il suo intento
(ben quattro anni di ricerche spostandosi da un luogo all’altro) non era solo
quello di rendere giustizia ai tanti colleghi in camice bianco che rischiando
la propria vita sui vari fronti di guerra l’hanno salvata ad un numero
considerevole di soldati, ma di avere, altresì, tenuto d’occhio l’interesse per
diagnosi e clinica che della medicina stanno alla base. L’intervento dei medici
in prima linea durante la grande guerra - o inutile strage -,
come l’aveva definita Papa Benedetto XV, diventerà un prezioso apprendistato
per medici dalle diverse specializzazioni e per la sanità civile; grazie al
dibattito scientifico e ai congressi di chirurgia che avranno luogo. Dibattito
e confronto che si incentreranno sulle ferite di guerra: cranio-cerebrali,
midollari, toraciche, addominali, osteo-articolari, e con la consapevolezza di dover
operare in ambiente asettico per la buona riuscita dell’intervento; un ambiente
sterile in grado di non compromettere il successo. Dati ed esperienza che
ritorneranno utili negli anni a venire.
Contardo Vergani |
Vergani in camice bianco
Teniamo
conto che la ricerca di Vergani è focalizzata prevalentemente ad indagare sull’idea
pioneristica di Baldo Rossi di portare al fronte il suo Ospedale Chirurgico Mobile,
addirittura smontabile. Se consideriamo i tempi e le contingenze belliche, possiamo
capire immediatamente il quadro delle difficoltà in cui si va a prestare
soccorso. Baldo Rossi vincerà la sua sfida, dotato com’è di una volontà di
ferro, di grandi capacità organizzative, di una sterminata rete di contatti e
di entrature, ma anche di notevole senso pratico. Non solo troverà il denaro
per la sua creatura che battezzerà “Ospedale Chirurgico Mobile Città di
Milano”, ma ne scriverà il regolamento e ne disegnerà persino il bozzetto del
prototipo. Al seguito della “carovana” composta da diciotto carri merci che si
muoverà il 15 maggio del 1916 dallo scalo di Porta Vittoria per dirigersi al
fronte, viaggiavano all’incirca centocinquanta persone. Rossi è come se
spostasse il suo intero efficiente padiglione Zonda sul teatro di guerra. Non
solo medici e militari di grado differente, ma anche dame della Croce Rossa che,
con mansioni fra le più diverse, daranno il loro prezioso contributo di
abnegazione e di umanità. Alcune di loro pagheranno questa devozione con il sacrificio
della vita.
Baldo Rossi in un dipinto
di Pietro Gaudenzi
L’idea di
Baldo Rossi si rivelerà valida: poter disporre di un soccorso il più vicino
possibile al fronte di guerra per la cura dei feriti, significa intervenire in
modo più rapido rispetto alle distanze delle strutture ospedaliere fisse.
Tant’è che presto all’ospedale mobile di Rossi si affiancherà il numero 2 col nome
“Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde” diretto dal prof. Bozzi e il
numero 3 intitolato al nome del medico Giovanbattista Monteggia. L’Ospedale
Maggiore di Milano, il Policlinico, così io lo chiamo da sempre, conserva
tuttora uno dei padiglioni intitolati al suo nome, come conserva una lastra
ricordo per Rossi allo Zonda, voluta da amici e colleghi che per l’occasione si
erano auto tassati.
Baldo Rossi in un dipinto di Pietro Gaudenzi |
Il Policlinico
A chiusura
della sua ricerca Vergani si chiede, alla luce dell’esperienza, se l’idea propugnata
da Rossi di costruire gli ospedali chirurgici mobili fu vera gloria. Al netto
delle polemiche, delle inevitabili incomprensioni, delle criticità reali
(personale non sempre all’altezza del compito o poco specializzato, costi
eccessivi, ecc.), dopo aver confrontato le posizioni non sempre benevole di
personalità di primo piano della chirurgia del tempo, Vergani dà una risposta
positiva e fa bene. Ricordiamo qui di sfuggita che persino l’imbocco di una
galleria era stata trasformata in ospedale da campo, quella di Zagora, dove
vengono ricoverati 323 feriti ed eseguiti 176 interventi chirurgici. Questo per
dire in che situazione si doveva operare. Davanti a tanto indefesso impegno c’è
da inchinarsi a uomini e donne come questi, e bisogna andare fieri del servizio
offerto dall’équipe milanese. Ma anche le cifre depongono a favore del 1°
ospedale chirurgico “Città di Milano”: più di 5 mila interventi chirurgici di
cui oltre 4 mila su feriti gravi. Nel complesso i tre ospedali mobili cureranno
migliaia di soldati. Se proviamo ad immaginarci per un momento i luoghi di calvario
e di sofferenza dove si svolgeva la guerra di trincea, tra fango, freddo, fame,
cadaveri in putrefazione, gas asfissianti, palle di mortai, lamenti, urla,
bestemmie dei feriti o di chi si ritrovava con il ventre squarciato dalle
pallottole. Se pensiamo all’ambiente allucinante e ostile in cui si doveva
esercitare una professione così delicata; ai mezzi limitati e scarsi nel
fragore assordante delle armi; al pericolo sempre in agguato a cui si era
esposti; “le gesta chirurgiche audaci e disperate” (sono parole di
Vergani), di quel pugno di uomini e donne, rasentano l’eroismo o la santità.
Uomini e donne che hanno fatto prevalere in ogni istante senso del dovere e umanità,
e si sono presi cura medicando, soccorrendo, confortando, incuranti del rischio
personale. “Migliaia di feriti salvati da morte certa”, scrive Vergani.
Lutti evitati a tante famiglie che si sarebbero assommati ai 650 mila morti e
al quasi mezzo milione di mutilati che in quegli anni terribili (1915 – 1918),
sono costati a noi italiani. “Innumerevoli discendenti devono la loro
esistenza agli uomini e alle donne delle Unità Mobili”, sono ancora parole
di Vergani. A quegli uomini e a quelle donne che si sono prodigati per salvarla
ai loro padri la vita, e ai quali va reso onore imperituro.
Il Policlinico |
Purtroppo
quella guerra non è stata di monito al mondo. Non lo sarà la terribile guerra
che le succederà, e non lo saranno i conflitti numerosi che insanguineranno il
Novecento. Nemmeno l’ingresso dell’umanità nell’era nucleare ha fatto cambiare
modo di pensare ai potenti che reggono le sorti del mondo. Abbiamo accumulato
ordigni in grado di cancellare per sempre la vita sulla terra, di interrompere
la vicenda umana ed il passaggio di testimone da una generazione all’altra. Giovane
scrittore avevo creato con uno scrittore celebre come Carlo Cassola, una lega per
il disarmo e la pace, consapevoli che il compito di uno scrittore è celebrare
la vita, difendere la sua integrità. Come fa la Medicina, la più umana di tutte
le scienze. Da allora non ho smesso di scrivere in favore della pace, di
testimoniare, di espormi. So di non essere più giovane e di non avere le forze
di un tempo, ma non ho mai dimenticato lo strazio che ho provato visitando il
Sacrario di Redipuglia. Mi sono convinto che non c’è sventura più grande della
guerra che possa toccare a un popolo. E mi sono altresì convinto che non c’è
nessuna ragione, se non quella della ragione, per redimere pacificamente i
contrasti internazionali. Meglio un anno di negoziati che un giorno di guerra.
Meglio una pace ingiusta di una guerra giusta. Per salvaguardare le vite, i
beni inestimabili della cultura e dell’ingegno umano, per evitare rovine,
profughi, ferocia, odi, disperati, che fatalmente ogni guerra produce.
La copertina del libro
Contardo Vergani
Chirurgi in prima
linea.
Storia degli Ospedali
Chirurgici Mobili nella Grande guerra
Gaspari Editore, Udine,
2020
Pagg. 240 € 29,00
lunedì 29 maggio 2023
LA CENTRALITÀ GRAMSCIANA
di Franco Astengo
Gutta cavat lapidem: può essere così sintetizzato
l'utilizzo dell'opera di Gramsci nell'ambito della "doppiezza
togliattiana" per far sì che si scavasse nel monolite del
"marxismo-leninismo" (solidificato in chiave idealistica)?
Il tema percorre la prima parte di En attendant Marx di
Marcello Montanari (2023 edizioni Biblion) che descrive l'itinerario del
marxismo italiano dal 1945 al 1989. Almeno fino al convegno
gramsciano del 1958 con le relazioni di Togliatti e Garin il confronto teorico
sul marxismo sembrava misurato tra lo storicismo di "Società" che
conservava un rapporto con la filosofia
idealistica (anche se verso di questa era fortemente critica) nel modo di
immaginare la trasformazione di una classe particolare in classe generale e il
collocarsi tra "uomo copernicano" e "uomo totale"
nell'interlocuzione con i livelli più alti della filosofia moderna (il
neo-kantismo di Banfi e il neo-positivismo di Dalla Volpe). Il tutto però non oltrepassava il marxismo ortodosso.
Togliatti (nel corso del convegno già citato e
rispondendo anche a Bobbio) utilizza Gramsci (di cui aveva già fatto pubblicare
un'edizione "ragionata" dei Quaderni) sorpassando l'interpretazione
di Sereni che lo riduceva a esponente del materialismo storico - dialettico.
Nell'occasione Togliatti richiama come la stessa
formazione del gruppo dirigente del PCI fosse avvenuta al di fuori dagli
orientamenti ideali e politici sovietici (nel testo di Montanari si fa cenno al
volume "La formazione del gruppo dirigente del partito comunista
italiano 1923-24). È da questo
orientamento che deriva (riprendo il testo di Montanari): "il Partito
non più espressione degli interessi di una sola classe sociale, ma di una
soggettività politica di massa, co-fondatrice della nuova democrazia
costituzionale nata nel'48". Così di seguito: "il
marxismo doveva mostrare di sapersi misurare anche con una lettura della storia
nazionale (della storia del Risorgimento così come di quella del fascismo, cui
Togliatti stesso aveva dedicato le lezioni pubblicate da ‘Stato Operaio’)
per offrire una propria lettura dei processi costitutivi dell'identità
nazionale, per mostrare la sua capacità di guardare agli interessi collettivi
e, infine, per giungere a una esatta comprensione delle mutazioni della
morfologia sociale indotte dalla modernizzazione capitalistica".
Su di un punto però la riflessione post-togliattiana accumulò un
sensibile ritardo: nella costruzione di
quell'intellettuale collettivo, interlocutore di movimenti e istituzioni
dal basso, promotore di una riforma culturale e morale che Gramsci aveva
indicato (un ritardo che poi si sarebbe visto, spaventosamente, al momento
della liquidazione del partito nell'89): riforma culturale e morale che avrebbe
dovuto colmare, nel disegno del grande pensatore sardo, la realtà di un paese
che non aveva avuto la riforma religiosa e che aveva costruito il suo
“Risorgimento” soltanto attraverso l'opera di una élite intrisa di
romanticismo.
Non si può fare a meno di considerare la
"centralità gramsciana" pur nell'articolazione della riflessione
marxista sviluppata in Italia nel corso del XX secolo. Gramsci infatti fu il solo, tra i marxisti della sua epoca,
che non si limitò a spiegare il fallimento della rivoluzione nei punti alti
dello sviluppo capitalistico con la teoria del “tradimento” dei
socialdemocratici, o con la debolezza e gli errori dei comunisti; e allo stesso
tempo non ne trasse affatto la conclusione che la Rivoluzione russa era
immatura ed il suo consolidamento in Stato un errore.
Cercò invece le cause più profonde per le quali il modello della
Rivoluzione Russa non poteva essere riprodotto nelle società avanzate. La
rivoluzione russa rappresentava, però, il retroterra necessario (e il leninismo
un prezioso contributo teorico) per una rivoluzione in Occidente, di percorso
diverso e di esito più ricco. La rivoluzione
era dunque, per Gramsci, un lungo processo mondiale, per tappe, in cui la
conquista del potere statale, pur necessaria, interveniva ad un certo punto
secondo le condizioni storiche, e in Occidente presupponeva comunque un lungo
lavoro di conquista di “casematte”, la costruzione di un blocco storico tra
classi diverse, ciascuna portatrice non solo di interessi diversi ma con
proprie radici culturali e politiche. Nel
contempo, una tendenza già inscritta nello sviluppo capitalistico e nella
democrazia ma altrettanto il prodotto di una volontà organizzata e consapevole
che vi interviene, di una nuova egemonia politica e culturale, di un nuovo tipo
umano già in formazione. Tutto questo è stato disperso e sospeso nella
polverizzazione degli anni ’80-’90.
domenica 28 maggio 2023
IO DON MILANI
di Norma Bertullacelli*
Don Milani
C’è un grande affannarsi di uomini di potere attorno
ai cadaveri di personalità che in vita avevano avversato quei poteri e quelle figure
e da cui avevano ricevuto avversione e ostilità: al proprio operare e alle
proprie idee. Ad ogni anniversario, o centenario, si scatena una gara a chi li
incensa di più quei cadaveri. Ma che cos’ha a che vedere l’avversione di don
Milani per la guerra e il militarismo con le idee e l’operare di Mattarella?
Norma Bertullacelli in questo scritto finge di essere Don Milani e rinfresca al
presidente della Repubblica la memoria.
La scuola a Barbiana
Onorevole Mattarella,
vengo a sapere che il 27 maggio, giorno
corrispondente al centenario della mia nascita sulla terra, è venuto a
visitare il “mio paese” e la mia tomba.
Un passo importante e significativo, verso
un uomo e sacerdote assolto dall’accusa di “apologia e incitamento
alla diserzione e alla disobbedienza civile” solo in quanto morto, mentre il
mio coimputato per gli stessi reati è stato condannato. Non presumo
che con questo gesto Lei abbia deciso di comunicare al mondo che condivide al
100% le mie opinioni ed i miei scritti. Ma forse Lei vuole esternare la sua
adesione ai principi più importanti tra quelli che volevo insegnare ai miei
ragazzi: o a quelli che più direttamente riguardano la carica che lei ricopre,
la più importante della Repubblica.
Forse però ha mutato alcune delle sue
opinioni; e forse intende prendere le distanze da alcuni gesti suoi e delle istituzioni
che lei rappresenta. Forse oggi lei intende comunicare che condivide la mia
affermazione “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia.
Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al
sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile
di tutto”? A maggior ragione, aggiungo oggi, chi occupa la massima carica dello
Stato.
La scuola, come lei sa, è stata tutta la mia
vita. Ho criticato duramente, con la durezza che mi imponeva il Vangelo,
la scuola del mio tempo. Una scuola che respingeva i ragazzi, come un inutile
ospedale che “cura i sani e respinge i malati”. La scuola di oggi respinge
ancora: l’ISTAT ci informa che 13,1% sono 18-24enni che hanno abbandonato
precocemente il sistema di istruzione e formazione. Tra i giovani senza
cittadinanza italiana è al 35,4%, all’11,0% tra gli italiani. Oggi come ieri
“voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio
fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa
questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi”.
Lo scrivevano i miei ragazzi nella Lettera a una professoressa.
Conta forse, signor presidente, di mandare un autorevole richiamo alla scuola
di oggi? Che si autodenomina, sciaguratamente, “del merito”; bollando come
“non meritevoli” analfabeti, poveri e stranieri? Tra quanti abbandonano
precocemente la scuola, quanti sono i figli delle classi agiate? Quanti di loro
potrebbero permettersi di passare ad un “diplomificio” per procurarsi
l’agognato “pezzo di carta”?
A sinistra con Gaccione l'obiettore
di coscienza Giuseppe Bruzzone
più volte incarcerato.
Foto scattata da Giuseppe Denti
in Largo Cairoli a Milano sabato
27 maggio 2023. Corteo contro la guerra
Dal Il 31 gennaio 2015 Lei ricopre la carica di
presidente della Repubblica. Quindi “supremo garante della Costituzione e
capo supremo delle Forze Armate”. Ha assunto la presidenza mentre era in
corso la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, scatenata dagli
USA con il pretesto della “caccia a Bin Laden”, successivamente catturato e
linciato dai marines statunitensi in Pakistan, mai processato né condannato da
nessun tribunale statunitense o internazionale. Lei non ha interrotto
immediatamente la partecipazione italiana a quella guerra, palesemente
incostituzionale. Anche il pretesto dei vincoli NATO, come lei sa, era
inconsistente: né l’Afghanistan, né alcun altro paese hanno mai aggredito gli
Stati Uniti. La guerra è finita “da sola” lasciando la popolazione
afghana, ed in particolare le donne, in una condizione inaccettabile. Ritiene
ancora che la decisione italiana di parteciparvi fosse giusta? Fosse
compatibile con i principi della Costituzione che “ripudia la guerra”,
all’articolo 11?
di coscienza Giuseppe Bruzzone
più volte incarcerato.
Foto scattata da Giuseppe Denti
in Largo Cairoli a Milano sabato
27 maggio 2023. Corteo contro la guerra
Oggi l’Italia partecipa, attraverso un massiccio
invio di armi, alla guerra in Ucraina. Partecipazione alla quale non siamo
formalmente obbligati, e che ci esclude automaticamente, come parte in causa,
da qualunque possibilità di farci attivi promotori di pace. L’Italia persegue
una pace giusta o la vittoria sul campo delle forze armate ucraine? Che cosa aspetta,
a prendere posizione contro l’invio di armi, presidente? Che dalla Terza guerra
mondiale “a pezzi” si passi a quella intera? Che si torni alla coscrizione
obbligatoria? Che si metta mano all’arsenale nucleare che, sia detto per
inciso, custodiamo in basi militari solo formalmente italiane, ma di fatto di
proprietà statunitense? Che senso dà oggi lei alla partecipazione italiana al
trattato di non proliferazione nucleare? Che cosa aspetta a sostenere i diritti degli
obiettori di coscienza russi e ucraini? Eppure l’Italia ha riconosciuto, sia
pure tardivamente e a prezzo di anni di carcere per i suoi profeti-obiettori il
diritto all’obiezione, sia in tempo di guerra, sia in tempo di pace.
Russi ed ucraini obiettori hanno forse meno diritti dei nostri concittadini? E non venga a
sostenere proprio a Barbiana che l’invio di armi all’Ucraina è l’unica
posizione degna di uno stato “etico”. Non solo perché centinaia di altri stati
non le inviano, sarebbe una ben misera argomentazione; ma soprattutto
perché uno stato che partecipa da decenni a guerre per il mondo in violazione
dell’articolo 11 della propria costituzione, che ha consegnato Ocalan e Abu
Omar ai loro aguzzini, che discrimina bambini e ragazzi perché nati altrove,
che respinge i richiedenti asilo, che ha graziato i piloti del Cermis, che
accetta senza battere ciglio che mille persone l’anno perdano la vita sul
lavoro, che spende miliardi in armi mentre il suo territorio affonda nel fango,
che ha centinaia di aerei da combattimento ma solo 19 canadair per spegnere gli
incendi, che impone alle navi che soccorrono i naufraghi di girare mezzo
Mediterraneo prima di farli sbarcare, non ha diritto a definirsi “stato
etico”.
Lei ha avallato la decisione governativa di
portare al 2% del PIL la spesa militare italiana. Una decisione formalmente
legittima, ma che fa gridare di indignazione chiunque incontri un
povero, subisca o veda il dissesto idrogeologico del nostro paese, tocchi
con mano il cattivo stato di manutenzione delle nostre scuole, le classi sovraffollate,
la carenza di insegnanti di sostegno. Come cristiano, lei avrebbe avuto
il dovere di “gridare dai tetti” che questa è una grave ingiustizia. Ma non ha
neppure ritenuto opportuno rinviare il provvedimento alle Camere.
L’Italia finanzia la guardia costiera libica,
un’organizzazione criminale che riacciuffa i migranti e li riconsegna ai lager.
Con il contributo italiano. Non uso la parola “lager” per “dare più forza al
discorso”, come talvolta sceglievo di fare con i miei scritti. La uso perché l’ha
usata il papa. Che ha dichiarato che si potrebbe paragonare l’azione della
guardia costiera libica a quella di un ipotetico individuo che vedesse un
ebreo fuggire dal lager e richiamasse l’attenzione dei nazisti. Tra pochi
giorni, tornando da Barbiana, la sua agenda prevederà la partecipazione alla
tradizionale parata militare del 2 giugno; un’inutile ostentazione di forza e
prepotenza che sarei tentato di paragonare al gorilla che si batte il petto o
al gatto che gonfia il pelo. Vi parteciperà ancora una volta, Presidente? E
troverà il coraggio di pronunciare parole di pace, di fronte ad ordigni
micidiali (che fanno “vedove e orfani, come ho scritto nella Lettera ai
cappellani militari e che sottraggono risorse ai poveri? Ai poveri italiani
e ai poveri di tutto il mondo?)
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in
italiani e stranieri, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il
mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori
dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. Lei ed io
apparteniamo alla stessa Patria, presidente Mattarella? Se invece
l’omaggio che ha voluto rivolgermi è semplicemente un atto esteriore e formale,
e non avrà alcuna ripercussione futura sul rispetto della Carta Costituzionale,
cui lei è tenuto come cittadino, come supremo magistrato e come cristiano,
allora la saluto e la invito a riprendere al più presto la strada, ora un po’
meno dissestata, che ho percorso nel 1954, e che la riporterà rapidamente
a Roma.
Con il dovuto rispetto (e solo quello davvero
dovuto)
Lorenzo Milani, sacerdote della Chiesa Cattolica.
[*Ass. Le Veglie Genova]
UN POPOLO DI
CONFORMISTI
di Vincenzo Rizzuto
Ci dobbiamo convincere,
purtroppo: un popolo che, dopo avere fatto la terribile esperienza del
nazifascismo, a distanza di settant’anni, si invaghisce di nuovo della Destra
più becera e la porta ai fasti della vittoria, deve avere qualcosa di profondamente
radicato nel suo animo. Questo qualcosa sicuramente è anche costituito dalla
mancanza di un’adeguata alfabetizzazione dei larghi strati meno abbienti della
società. Non a caso la scuola in Italia è da sempre lasciata in un abbandono
totale da tutte le ideologie, che di volta in volta si alternano sugli scranni
del potere; lo ha fatto la cosiddetta Sinistra e lo continua a fare la Destra
con i suoi ministri, che hanno operato addirittura altri tagli all’istruzione.
Si lasciano così scuole che crollano addosso alle scolaresche; si nega il tempo
prolungato e la mensa a tutti; si affama il personale con stipendi da fame, e non
si costruisce un solo asilo nido o scuola materna, che si lasciano in mano ai
privati e a cui possono accedere solo i ceti più abbienti con rette di
centinaia di euro al mese. La gran parte del mondo dell’infanzia povera è
condannata così a crescere nell’abbandono scolastico, che è la vera culla del
precariato a vita, dalle cui fila la delinquenza organizzata trae la
manovalanza. Questo meccanismo lo aveva capito bene Don Milani, e vi si era
opposto generosamente con tutte le sue forze nell’esilio di Barbiana, dove raccolse
ragazzi emarginati, che la scuola ufficiale aveva rifiutato come scarto della
società. Per questa sua apertura verso gli emarginati, Don Milani fu condannato
e vilipeso non solo dai tribunali dello Stato, ma anche dagli intellettuali e dalla
Chiesa togata, salvo poi a farne un ‘santo’ e un martire! Per tutto questo non
facciamo appello certamente al perbenismo della Destra, che per sua natura è
vocata a vedere la Scuola pubblica come fumo negli occhi, ma a quanti hanno a
cuore, in nome della democrazia e dell’uguaglianza, l’istruzione dei ceti meno
abbienti affinché vengano promosse iniziative serie di rilancio e di difesa
della politica scolastica pubblica; non lasciamo, cara Sinistra evanescente,
che l’atto educativo, diritto inalienabile della persona, sia solo appannaggio
dei ‘figli di papà’, perché se questo dovesse accadere si condannerebbe per
sempre la società al sopruso e alla schiavitù del più forte!
IL NOSTRO PENSIERO PER GLORIA
Gloria a destra della foto con Mirella nel refettorio della Basilica di San Carlo in un momento conviviale in ricordo di padre David Maria Turoldo |
Sabato mattina si è spenta a Milano Gloria Manganelli. Amica affettuosa, simpatica disponibile, lascia un grande vuoto in noi, ma soprattutto nell’amata figlia Gloriana e in tutti coloro che l’hanno conosciuta. Lettrice da sempre di “Odissea”, con noi condivideva l’avversione per questa inutile tragica guerra. I funerali si svolgeranno lunedì 29 alle ore 11 presso la chiesa del Santissimo Redentore di via Palestrina, non lontano da Piazza Loreto dove abitava. Noi la ricorderemo per il suo sorriso e per i momenti allegri e sereni che assieme abbiamo passato. Alla figlia Gloriana le condoglianze più affettuose da tutti noi.
sabato 27 maggio 2023
ELOGIO DEI PRIMINI
di Girolamo Dell’Olio
Firenze. Liceo Classico Galileo
Sono
ancora vivi. Poi la scuola li pialla. Ne ero convinto già molti anni fa, quando
ho continuato a scegliere le classi dei piccolini appena sfornati dalle medie:
più problematiche, ma vive, ricettive, coi sogni ancora dentro gli occhi.
Un
po’ la stessa scena stamattina. I grandicelli accampati in piccoli gruppi sul
marciapiede sull’altro lato della strada, o nella vicina via dei Biffi
dirimpetto al liceo. Lampi di malcelata curiosità, ma sovrana indifferenza! Il
gruppetto che sosta accanto al portone d’ingresso già da un buon quarto d’ora
prima della campanella, quarta ginnasio, e cioè prima classe del quinquennio, è
fatto invece di ragazze e ragazzi coi quali è possibile scherzare, ragionare,
spiegare.
Vedono
me che porgo ai prof quello stesso volantino che loro si son letti con
apparente attenzione.
‘Prego…’
Ma
il prof va a diritto. Manco ti guarda. L’aria un po’ schifata. ‘Naturalmente è
un prof, quindi lui non può leggere, non può leggere!’, commento. ‘I professori
non leggono, non devono leggere! I professori devono avere gli occhi
foderati di sano prosciutto!’. Mi guardano. Capiscono. ‘E meno male che
dovrebbero essere gli educatori, loro’, aggiungo. ‘Se c’è una persona che
distribuisce qualcosa fuori dalla vostra scuola, loro dovrebbero proteggervi,
dovrebbero voler vedere cosa c’è scritto. E invece, visto? scappano!’. Perché è
proprio questo che fa specie: vedere gli adulti che abdicano al ruolo di
adulti, gli educatori che abdicano al ruolo di educatori. Tutti, eseguono:
eseguono gli ordini impartiti dai piani superiori. Sono diventati una sola cosa
con gli ordini! Abbiamo visto ieri come si atteggia un preside di un
prestigioso istituto fiorentino. E così si procede lungo tutta la catena di comando,
su su fino a Palazzo Chigi, e all’Europa, e a chi le detta l’agenda. Ma tutti
pronti, beninteso, a sfilare compatti alla prima occasione di manifestazione antifascista!
Firenze. Liceo Classico Galileo |
Il corridoio del liceo
Mi
son rimesso a ‘disturbare’ la bonaccia conformistica delle scuole spinto dalle
parole di una donna che trovo un gigante, Elisabetta Frezza: quelle che ha
pronunciato a un recente convegno che tutti dovremmo riascoltare, penso: https://www.facebook.com/9MQWEBTV/videos/225422540116023.
E
mi son detto che, insomma, davanti alla catastrofe educativa minuziosamente
descritta dalla Frezza bisogna fare qualcosa! Non si può solo rimuginare
indignazione! E il volantino che distribuisco, pur sempre pieno di punti
interrogativi nelle premesse e nelle conclusioni, vuole provocare, vuole
toccare, vuole smuovere. Ma anche l’esperienza di stamani davanti al classico
Galileo conferma quanto sia acuta e grave la patologia da cui è affetto il
nostro mondo formativo. E quanto sia pericoloso per le sorti emotive e
cognitive dei nostri ragazzi.
Ho
detto dell’aria spocchiosa con cui la maggior parte degli adulti mi schiva.
Pochissimi
accettano. Meno ancora sorridono. Nessuno si ferma a scambiare due parole. Anzi
sì: è successo due volte, ma per pochi secondi. Il primo scambio.
‘Ma,
sono un’insegnante!’, si schermisce la collega a cui ho consegnato il
messaggio.
‘Ma
gli insegnanti sono protagonisti in questa storia, purtroppo!’, le segnalo. ‘Per
lo meno la maggior parte all’insegna del credere, obbedire, combattere!’.
Qualcosa
mi replica, il tono sembra cordiale, ma il rumore di fondo non mi permette di
comprendere: si allontana verso la porta d’ingresso in fondo al corridoio.
Il
secondo.
‘Lei
per chi parla?’
Sento
aleggiare una leggera aura di sospetto nella domanda di questa giovanissima
donna sulla soglia del corridoio d’ingresso del liceo.
‘Per
un’associazione fiorentina’, e le indico i riferimenti in fondo al volantino.
‘Lei è un’insegnante?’
‘No,
sono il direttore amministrativo’.
‘Ah…!
Manifestazione autorizzata, comunque!’, la rassicuro.
‘Va
bene!’
E
qui finisce anche l’interlocuzione.
Dei
politici sapevamo. Dei giornalisti, pure. Ma una caduta così verticale di
qualità delle due categorie-missione-della-vita, medici e insegnanti, avevamo
diritto di non aspettarcela. E invece…
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