UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 31 luglio 2024

SPIGOLATURE
di Angelo Gaccione
 

Simone Luciani

Gli irregolari della cultura
 
La casa editrice Rogas nasce a Roma nel 2015, fondata da Simone Luciani inizialmente come “costola” della piccola libreria Marcovaldo, nel quartiere di Villa Gordiani, che negli anni non verrà abbandonato. Inizialmente impegnata soprattutto nel recupero di classici della letteratura inglese, nel tempo allarga i suoi interessi alla saggistica in ambito umanistico, sociale e politico. Nascono così le collane di studi politici, sociologia e scienze della comunicazione, critica letteraria, sport, che consentono alla Rogas di attrarre l’attenzione di numerosi studiosi di primo piano nell’ambito della filosofia, dell’economia politica, della sociologia, dell’antropologia, che presto si legano alla casa editrice. La linea che accomuna le diverse collane è quella di alternare testi di ricerca a volumi più spiccatamente di “intervento”.
L’ultimo progetto in ordine cronologico è la collana gli irregolari, che riproporrà ai lettori italiani una serie di testi letterari del Novecento a forte valenza politica, che nel tempo sono andati inspiegabilmente perduti o hanno perso visibilità. Recupero quanto mai meritorio perché i lettori avranno la possibilità di leggere autori di grande rilievo e completamente fuori dai canoni conformistici della cultura, e testi oramai divenuti introvabili. 



Lo dimostra la recentissima pubblicazione della commedia di Ennio Flaiano: La guerra spiegata ai poveri, gustosa e irriverente parodia contro la guerra pubblicata nel lontano 1946, ma quasi a ridosso del tremendo secondo conflitto mondiale. Vale la pena riportare almeno un passaggio di questo agile libretto di appena 96 pagine e irregolare anche nel prezzo di copertina (€ 11,70), l’opinione sulla guerra di uno dei suoi massimi protagonisti, il Generale: “Non reputo assolutamente necessario che i miei soldati sappiano perché si fa questa guerra. Se cominciassi a dare spiegazioni, me ne chiederebbero sempre di più particolareggiate e arriveremmo al giochetto dei perché”. Il prossimo irregolare sarà Pier Paolo Pasolini con una lontana intervista in occasione della presentazione-proiezione del suo primo film “Accattone” al Cinema-Teatro Alfieri di Piazza Solferino a Torino nel settembre del 1961.

 

 

 

 

martedì 30 luglio 2024

DIFFERENTI PROSPETTIVE SUL GRAN MARE SALATO
di Alessandro Pascolini - Università di Padova


 
Dal 9 luglio la squadra navale d’attacco della portaerei cinese Shandong sta operando nel mare delle Filippine, dopo aver attraversato lo stretto di Luzon, fra Taiwan e la principale isola filippina. La squadra comprende anche l’incrociatore Yan’an, il cacciatorpediniere Gullin, la fregata Yuncheng e la nave supporto Chaganhu. Precedentemente, ai primi di luglio, una pattuglia navale russo-cinese, composta dalla corvetta russa Sovershenny della flotta russa del Pacifico, dal cacciatorpediniere Yinchuan, dalla fregata Hengshui e dalla petroliera Weishanhu, ha attraversato lo stretto di Osumi, fra la punta meridionale dell’isola giapponese di Kyushu e le isole Osumi, per esercitazioni congiunte nel Pacifico occidentale. Si tratta di normali esercitazioni in mare aperto, ma attraggono l'attenzione in quanto costituiscono un evento ampiamente considerato dagli strateghi sia americani che cinesi: il superamento della “prima catene di isole”.
 

Le prospettive dei militari: “catene di isole”
Teorici e pianificatori militari di Germania, Giappone, Stati Uniti e Cina hanno riflettuto sulla geopolitica delle isole e degli arcipelaghi del Pacifico, sia in tempo di pace che di guerra, concentrando appunto l'attenzione sulle minime terre emerse nell’enorme oceano come potenziali basi militari e di supporto operativo indispensabili per superare la “tirannia della distanza” al fine di permettere operazioni rapide e intense.
L’introduzione di concetti legati alle catene insulari si intreccia con l’affacciarsi della Germania imperiale nel Pacifico all'inizio del XX secolo, una volta acquisite dalla Spagna le isole Marianne e le isole Caroline, compresa Palau: il generale Karl Ernst Haushofer considerava gli “archi di isole al largo” come un utile “velo protettivo” a difesa delle potenze continentali come la Cina e l’India. L’idea è che il possesso e la militarizzazione di una serie di isole vicine assicura anche il controllo dei bracci di mare fra le isole, creando una potenziale continuità geografica.
Il Giappone, con l’aumento della sua forza marittima, fra gli anni ’20 e ’30, prestò molta attenzione al valore strategico di isole e arcipelaghi nel Pacifico occidentale. Durante la prima guerra mondiale, strappò alla Germania il controllo di diverse isole micronesiane. Queste non solo furono utili trampolini di lancio nella “svolta verso sud” del Giappone, incentrata sullo sfruttamento delle risorse economiche e naturali del sud-est asiatico, ma servirono anche come un prezioso cuscinetto strategico, una copertura contro la possibilità che gli Stati Uniti usassero le loro basi a Guam e nelle Filippine per minacciare il Giappone in un futuro conflitto.



All’inizio della seconda guerra mondiale, la marina imperiale giapponese si impegnò in una serie di rapide operazioni di conquista e fortificazione di isole e atolli, con mire estese dalle Salomone fino alle Aleutine, al largo delle coste dell'Alaska. La guerra degli USA nel Pacifico fu appunto caratterizzata dall'impegno di mantenere le isole già controllate e penetrare nelle catene di isole fortificate tenute dai giapponesi.
Usciti vittoriosi dalla guerra del Pacifico, gli strateghi statunitensi rivolsero presto la loro attenzione all’importanza delle catene insulari nella nascente guerra fredda, per garantire il contenimento delle potenze comuniste asiatiche, l’Unione Sovietica e (l’allora) “satellite” Cina. Fu in questo periodo che il concetto stesso di “catene insulari” fu sviluppato e definito con chiarezza: uno studio del 1948 dello Stato maggiore congiunto delimita un perimetro difensivo americano che andava dalle isole Aleutine a nord, attraverso il Giappone occupato, e Taiwan fino alle Filippine a sud.
Nel 1950 il segretario di stato Dean Acheson articolò un “perimetro difensivo        del Pacifico” che praticamente definì la “prima catena di isole”: inizia dalle isole Aleutine attraversa le Kurili, il Giappone, Okinawa, le Kyukyu, Taiwan, le Filippine e giunge fino all’Indonesia; lunga circa 12 mila km corre a distanze dal continente asiatico da un minimo di 200 km (stretto di Formosa) a circa 1000 km racchiudendo i mari di Bering, Ohotsk, del Giappone e i mari Cinesi orientale e meridionale.
Taiwan è chiaramente il punto chiave della prima catena; data la sua posizione strategicamente critica a cavallo delle rotte mercantili dei paesi dell’Asia orientale, controlla le rotte di navigazione chiave che portano dalla prima alla “seconda catena insulare”. Il generale Douglas MacArthur descrisse Taiwan come “una portaerei inaffondabile e una base per sottomarini” in posizione ideale “per una strategia offensiva e allo stesso tempo a garantire operazioni difensive o di controffensiva delle forze amiche”.
L’obiettivo del “congiungimento” di Taiwan alla Repubblica Popolare Cinese non ha solo motivazioni politiche e la finalità di concludere la guerra civile cinese con la definitiva sconfitta del Kuomintang, ma rappresenta soprattutto il cruciale fine strategico di scardinare la catena insulare costrittiva e aprire alla marina cinese le vie del Pacifico.
Gli USA durante la guerra fredda hanno concepito successive linee difensive e di contenimento spostate a oriente; la “seconda catena di isole” parte dal Giappone, passa per le isole Ogasawara, le Marianne settentrionali, Guam, le isole Yap in Micronesia, Palau, fino all’isola Halmanera nelle Molucche; lunga oltre 6000 km racchiude fra 1000 e 2000 km di oceano dalla prima catena e ha “la fortezza” Guam come perno. Una “terza catena” racchiude un’area di retrovia strategica: parte dalle Aleutine passa per le Midway, le Hawaii, gli atolli Johnston e Palmyra, l’isola Jarvis, le Kiribati, Samoa e giunge alle isole Cook (neozelandesi); lunga circa 15 mila km, 5000 km a est della seconda catena, rimane circa 3000 km lontana dal continente americano.
A sostegno della strategia delle catene di isole, gli USA hanno acquisito i “territori del Pacifico americano”: permanentemente abitati sono il Commonwealth of the Northern Mariana Islands, Guam, e la Samoa americana; mentre sono disabitati i territori “unorganized unincorporated”: le isole Howland, Jarvis e Wake, gli atolli Johnston, Midway e Palmyra, e la barriera corallina Kingman. Questi territori forniscono agli USA una zona economica esclusiva nel Pacifico di circa 5 milioni di kmq.
Il concetto di catene insulari è stato adottato dalla Cina, con interpretazioni flessibili, sfumate e sfaccettate. Dal punto di vista geografico, gli scritti cinesi offrono definizioni variate delle catene insulari, alcune delle quali sono notevolmente più estese di altre. La figura mostra appunto un'interpretazione cinese delle prime due catene di isole, molto vicina a quella americana. Inoltre, alcuni analisti cinesi si concentrano più sui passaggi marittimi chiave tra le catene di isole che sulle caratteristiche terrestri.
Le fonti cinesi offrono prospettive diverse sul significato operativo, tattico e strategico delle catene insulari; si tratta in effetti di un quadro più sfaccettato e complesso dello stesso pensiero strategico statunitense. In particolare, diversi autori cinesi affermano che le catene insulari sono (1) barriere che la Cina deve penetrare per ottenere libertà di manovra nel dominio marittimo; (2) trampolini di lancio per la proiezione di potenza da parte di chi controlla una determinata catena insulare; e (3) punti di riferimento per l’avanzamento della proiezione marittima e aerea cinese nel Pacifico. In particolare, il secondo concetto vede le catene insulari come facilitatori della proiezione aggressiva di forze straniere contro la Cina.
 

Certo, l’esatto valore strategico delle catene insulari, e quindi l’enfasi specifica degli strateghi su di esse, è variato in modo significativo in funzione dei cambiamenti della tecnologia e dell’applicazione militare, comprese le armi che si basano su di esse, la loro portata e la possibilità di difenderle e rifornirle. Oggi, la situazione si sta nuovamente modificando in modo significativo, con l’avvento di sistemi di attacco a più lungo raggio (aerei, missili balistici e cruise antinave e per l'attacco terrestre). Questi sviluppi stanno aumentando drasticamente la portata dei sistemi basati a terra rispetto a quelli navali.
L’attenzione alle catene insulari e al loro potenziale strategico è tornata di attualità negli ultimi tempi per la fase attuale del confronto USA-Cina: accanto alla dimensione strategica globale, cresce l’aspetto “locale” di “confinanti” ostili. Infatti gli USA si stanno ri-scoprendo paese insulare oceanico, esposto all'espansione cinese nel Pacifico. Migranti cinesi sono presenti nel Pacifico dal 1700 e integrati con gli isolani, ma attualmente la penetrazione cinese si sta intensificando in una varietà di iniziative economiche e finanziarie, come la Belt and Road Initiative e di accordi diplomatici, comprendenti anche la sicurezza (come con le Salomone e Kiribati). I “nuovi” migranti cinesi dominano il settore del commercio al dettaglio, industrie come la pesca, il disboscamento e l’estrazione mineraria, nonché i progetti edilizi su larga scala finanziati da prestiti agevolati cinesi. La penetrazione “entropica” è accompagnata dalla crescita “esplosiva” della marina militare cinese e dello sviluppo di capacità missilistiche a portate medie e intermedie (il Dong Feng-26 è accreditato di una gittata di 4000 km, sufficiente a colpire Guam).
Gli Stati Uniti stanno così potenziando la base di Guam e il Missile Defense Site sull’atollo di Kwajalein (isole Marshall), ma soprattutto rafforzando le alleanze con Giappone, Corea del sud, le Filippine e l’Australia (in particolare coll’accordo trilaterale AUKUS) e fornendo “garanzie difensive” a Taiwan. Nel corso del 2023 è stato inoltre raggiunto un Defense Cooperation Agreement con Papua Nuova Guinea e sono stati estesi fino al 2043 i Compact of Free Association” con la Repubblica delle isole Marshall, gli Stati federati della Micronesia e la Repubblica di Palau. Le tre nazioni insieme comprendono circa 1000 fra isole e atolli e garantiscono agli Stati Uniti diritti militari esclusivi su ulteriori vaste aree della regione del Pacifico (circa 10 milioni di kmq).
A livello geopolitico, le catene insulari nel Pacifico continuano a svolgere un ruolo strategico per la loro capacità di ospitare strutture militari vitali e, nonostante la loro crescente vulnerabilità alle armi a lunga gittata, esse rimangono considerate insostituibili nella visione dei pianificatori di operazioni belliche.


 
La prospettiva degli isolani: il Continente blu del Pacifico (the Blue Pacific Continent)
Se i militari vedono del Pacifico essenzialmente gruppi particolari di isole militarizzabili, la visione degli abitanti autoctoni è molto più ampia, profonda e vitale. Le popolazioni del Pacifico presentano una varietà di lingue, culture e storie; tuttavia sono fortemente diffusi concetti caratteristici relativi a una visione circolare del tempo, a specifiche forme di relazionalità e a uno spazio oceanico condiviso e a lungo navigato.
Gli isolani vedono il loro mondo collegato attraverso le persone, la terra e l’oceano; in realtà non distinguono nettamente gli esseri umani e le altre entità, per cui anche animali, piante e spiriti sono “persone” (con coscienza, cultura e linguaggio) in una storia comune. Il loro universo comprende non solo le superfici terrestri, ma anche i mari circostanti, nella misura in cui possono attraversarli: nella loro prospettiva le isole del Pacifico costituiscono un “mare di isole” piuttosto che “isole in un vasto mare”.
Tutti i popoli del Pacifico hanno in comune un innegabile legame con l’ambiente naturale, le risorse, i mezzi di sussistenza, le fedi, i valori culturali e le conoscenze tradizionali e si riconoscono eredi di una comune storia ed esposti a problematiche comuni. Ciò ha portato all’istituzione nel 1971 del Forum delle isole del Pacifico (PIF) per la cooperazione politica ed economica degli stati indipendenti dell’area: Australia, le Isole Cook, gli Stati Federati di Micronesia, Figi, Kiribati, le Isole Marshall, Nauru, Aotearoa Nuova Zelanda, Niue, Palau, Papua Nuova Guinea, Samoa, le Isole Salomone, Tonga, Tuvalu e Vanuatu. Dal 2006 sono membri associati la Nuova Caledonia e la Polinesia Francese.
Nel 2017 i leader del PIF hanno introdotto il concetto di “Pacifico blu”, come un impegno di politica estera a lungo termine del Forum, per agire come un unico “continente blu”; la narrativa del Pacifico blu cerca di ridisegnare la regione allontanandola dalla narrazione “metropolitana” di piccola, isolata e fragile a quella di un continente oceanico grande, connesso e importante al fine di passare all'esercizio di una maggiore autonomia strategica.
Nel 2022, i leader del Pacifico hanno approvato la Strategia 2050 per il Continente Blu, un articolato “meccanismo per affrontare le priorità regionali dei popoli del Pacifico”.
Le isole del Pacifico sono al crocevia di molteplici minacce esistenziali. Afflitta da centinaia di test nucleari dal 1946 al 1996, la regione continua a subirne gli effetti intergenerazionali e ambientali, con perdita di terra e di habitat, degrado ambientale, sfollamento delle comunità indigene, ed effetti a lungo termine sulla salute di coloro che sono stati esposti alle radiazioni. Emblematica di questa interconnessione è la pericolante cupola di Runit nell’atollo di Enewetak (Isole Marshall), eretta a contenitore di materiale radioattivo prodotto nei test.
Negli ultimi anni, i paesi del Pacifico si trovano ad affrontare l’escalation della competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina e il conseguente crescente militarismo. La Strategia 2050 per il Continente Blu affronta le implicazioni della rivalità delle grandi potenze per la sicurezza generale della regione, a evitare che le isole del Pacifico possano essere nuovamente usate come un campo di gioco strategico da parte di competitori dotati ora anche di armi nucleari.
Ma la più grande minaccia alla sicurezza delle comunità del Pacifico è stata identificata nel cambiamento climatico. Molte isole e le risorse naturali della regione, tra cui le foreste, la pesca e le barriere coralline, sono gravemente minacciate dall’innalzamento del livello del mare, dal riscaldamento delle temperature, dalle tempeste tropicali e dall’acidificazione degli oceani. Le prospettive per la sicurezza esistenziale del Continente blu hanno quindi una dimensione non affrontabile con tradizionali strumenti militari, e la visione delle catene di isole non solo è assolutamente incompatibile con le esigenze delle popolazioni locali, ma anzi crea problemi addizionali.

 
Un precedente letterario
Hugo Pratt nel 1967 presenta una “ballata” ambientata nel Pacifico occidentale del 1914; al di là dell'avventurosa trama coinvolgente una varietà di personaggi, emerge prepotente il ruolo dell’Oceano come massimo protagonista con cui si confrontano militari tedeschi, inglesi e giapponesi, avventurieri europei, giovani anglosassoni e co-protagonisti isolani. Le visuali che i vari personaggi hanno dell’ambiente in cui si muovono e delle popolazioni che vi vivono largamente coincidono con quelle delle corrispondenti figure odierne. I militari sono solo concentrati sul confronto bellico, la ricerca di isole per farne basi e l'attenzione per rifornimenti logistici (carbone); gli avventurieri si comportano come attuali spregiudicati speculatori, per cui vedono il mondo attraverso le mere prospettive di profitto a ogni costo.
Pratt riesce a cogliere la prospettiva con cui gli isolani vivono il loro ambiente, fatto di isole ma soprattutto di mare e di esseri viventi e delle loro relazioni con un passato davanti agli occhi. Il gran navigatore maoro Tarao affronta un viaggio di centinaia di km da Raro-Raro a Bura-Nea con una piroga, guidato dalle stelle e da Mao, lo squalo amico che “accompagna la mia gente nelle lunghe traversate”. Tarao racconta che “la mia gente è venuta da Pora-Pora in grandi navi fino a una lunga nuvola luminosa che prese forma e consistenza. Era Ao-tea-roa, che voi oggi chiamate Nuova Zelanda”; i maori quindi traversarono larga parte del Te Moana-nui-a-Kiwa meridionale per oltre 4 mila km (circa 38 gradi di longitudine). Un’ambiziosa visione unitaria dei “popoli del mare” è espressa dal fijiano Cranio che auspica di “ricucire pezzo per pezzo e fare un grande mantello” a comprendere in una grande patria “tutti i popoli del mare, i melanesiani, i polinesiani, i fidji, i samoa, i tonga”. Di tutti i “bianchi” della ballata, chiusi nella loro visione metropolitana, il solo Corto Maltese, avventuriero sui generis, riesce a cogliere lo spirito dell'Oceano e dei suoi abitanti, come riconosce il melanesiano nuovo re di Raro-Raro (dall'improbabile nome Sbrindolin): “tu hai cercato di essere come noi, e ci sei quasi riuscito... forse ti manca solo una cosa... il colore della pelle”.
 
 
Letture
1- A. S. Erickson and J. Wuthnow, Barriers, Springboards and benchmarks: China conceptualizes the Pacific "island chains", China Quarterly 225 (March 2026), pp 1–22.
2- M. Koro, H. McNeill, H. Ivarature and J. Wallis, Tã, Vã, and Lã: Re-imagining the geopolitics of the Pacific Islands, Political Geography 105 (July 2023) pp 1–10.
3- Pacific Islands Forum Secretariat, 2050 Strategy for the Blue Pacific Continent, Pacific Islands Forum Secretariat, Suva, Fiji, 2022.
4- C. Paskal, Island-hopping with Chinese characteristics, Naval College Review 74 (Autumn 2023), pp 69–99.
5- U. Pratt, Una ballata del mare salato, Ivaldi editore, Genova, 1967.

TASSE: LE PAGANO SOLO I FESSI
di Franco Astengo


 
Il Governo rende legale l’evasione
 
Con il nuovo accertamento l’Agenzia delle Entrate si muoverà solo in presenza di uno scostamento considerevole tra le spese sostenute e quanto dichiarato. Maxi-sconto per gli autonomi infedeli che si mettono d’accordo con il Fisco. Il tanto discusso concordato preventivo biennale cambia faccia grazie all’approvazione definitiva del primo decreto legislativo correttivo della riforma fiscale da parte del Consiglio dei Ministri. Questo provvedimento introduce modifiche sostanziali alla disciplina del concordato preventivo biennale, originariamente delineata dal D.Lgs. 13/2024, rendendolo uno strumento più attraente per i contribuenti. La novità più rilevante consiste nell’introduzione di un regime di tassazione opzionale applicabile al reddito incrementale concordato, con aliquote che variano dal 10% al 15% in base all’affidabilità fiscale del contribuente.
 
In realtà chi paga le tasse in Italia?
 
L’81,5% dell’Irpef (pari a 166,5 miliardi) viene versato dai lavoratori dipendenti (85,5 miliardi dai dipendenti del settore privato e 81 miliardi da quelli pubblici). Solo il 6,1% arriva dai lavoratori autonomi, che versano 12,6 miliardi di euro di imposte. Il resto della somma, per arrivare a 205,8 miliardi, è catalogato nel bilancio dello Stato sotto le voci “ritenute a titolo di acconto sui bonifici per beneficiare di oneri deducibili o detraibili”, “Irpef saldo” e “Irpef acconto”. Ma c’è un altro dato che fa ulteriore chiarezza. Ed è quello relativo alla propensione all’evasione, che identifica il rapporto percentuale tra l’ammontare del tax gap e il gettito teorico ovvero la percentuale di imposte che non vengono pagate rispetto a quanto sarebbe dovuto. I lavoratori dipendenti irregolari (ricordate, i regolari non possono evadere) non pagano al fisco il 2,3% di quando dovrebbero. I lavoratori autonomi, invece, evadono il 67,2% di quanto dovrebbero versare.
Avete letto bene: il 67,2%. Significa che quasi il 70% delle imposte dovute dai lavoratori autonomi non viene versato.
Nel frattempo, l’estensione della platea dei lavoratori autonomi che versa la flat tax del 15% crea un’ulteriore distorsione dei dettami dell’articolo 53 della Costituzione italiana, che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
 

  

LA FRASE DEL GIORNO


 
“Più il potere ha bisogno di consenso,
più si smalta le unghie…”
Giuseppe Langella
 

ANCORA VITTORIE PER IL QUARTIETE BONOLA

 

Comitato Cittadini Quartiere Bonola
Sicurezza Decoro Vivibilità Difesa Dell’Ambiente
         
Care Cittadine e Cari Cittadini del Quartiere Bonola e non solo.
Prendete il calendario e incorniciate queste due date:
 
30 Maggio 2024: l’Assessore al Demanio davanti al consiglio del Municipio 8 ha Accettato le nostre ragioni. Area ex asilo via Betti 175/189 sarà presa in carico dal Comune di Milano, ne verrà asportato il fabbricato inquinato dall’amianto, abbiamo chiesto fino ad un metro interrato e sarà creato un giardino alberato. La parte interrata sarà bonificata in un secondo tempo, promessa che dovrà realizzarsi!
 
18 Luglio 2024: durante il sopralluogo è stata raggiunta l’intesa tra le parti: Comitato, Presidente del Municipio 8 e Direttore che gestisce la Galleria C.C. Bonola. Oggetto: Finalmente sarà creato il pezzo che manca della via pedonale che dalla strada di via Quarenghi porta al Centro Commerciale Bonola, alla Fermata Metrò Bonola e oltre.
La parte esterna alla recinzione sarà di competenza del Comune, mentre la parte interna sarà di competenza del Condominio Centro Commerciale Bonola, che ancora deve decidere definitivamente i lavori all’interno di una riorganizzazione complessiva dell’area di sua competenza.
 
Vittorie della Tenacia e della Ragione
Sono arrivate da una lunga mobilitazione cominciata nel 2014 quando per emergenza degrado abbiamo raccolto 6.000 firme in 40 giorni.
Dal Giugno 2023 Tre Assemblee Popolari all’aperto con più di 100 persone per ognuna.
Manifestazione con cartelli e striscioni davanti a Palazzo Marino.
decine di migliaia di volantini distribuiti. Raccolta di 1.500 firme.
Cartelli e striscioni appesi alla recinzione dell’ex asilo e in tutta l’area.
Flash mob del 28 Ottobre 2023 che ha avuto la copertura del TGR guidato dalla brava giornalista Eleonora Di Lauro.
Ci sono stati degli incontri solo per mostrare le ragioni dei residenti.
Rafforzata la collaborazione col Commissariato Bonola per emergenza scippi e non solo, ottimi rapporti anche con Carabinieri e Polizia Locale.
Parco Pertini: Comitato e Presidenza del Municipio 8 considerano urgentissimo rifare Area Giochi e percorsi che attraversano il parco, con materiali ecologici, ora in uno stato di degrado e impraticabilità.
Inizio mese di settembre chiederemo un incontro con Assessorato al Verde, di cui è la competenza. Parco Pertini, un vero gioiello, dopo gli interventi vi sarà posta una Targa che ne ricorda la mobilitazione popolare per salvare questo bellissimo triangolo verde dalla cementificazione e farlo diventare l’orgoglio del Quartiere Bonola, ora prendiamocene cura tutti insieme.
Grazie a tutte le persone che hanno lottato e collaborato per raggiungere questi risultati, che un anno fa sembravano impossibili, noi abbiamo sempre creduto però nella piena vittoria e così è stato. Buone vacanze.
 
Il Presidente del Comitato  
Francesco Saverio Lanza

lunedì 29 luglio 2024

LIGURIA: L’ASTENSIONE CONVITATO DI PIETRA   
di Franco Astengo

 
Elettrici ed elettori liguri saranno chiamati alle urne entro il prossimo mese di ottobre in seguito alle dimissioni del Presidente coinvolto in una vicenda giudiziaria salita agli onori di tutte le cronache con il conseguente scioglimento del consiglio regionale. Si tratterà di una prova molto significativa da un particolare punto di vista: quello della partecipazione al voto. Non ci saranno rendite di posizione, considerata la situazione in atto.
L’elettorato ligure esce sfiancato da questa vicenda e l’Ente Regione rimane un oggetto misterioso per la gran parte di elettrici ed elettori anche perché il principale (e quasi esaustivo) fattore di “ricasco pubblico” rimane quello della crisi della sanità pubblica attribuita (giustamente) al favore che la Regione riserva alla Sanità Privata. La situazione particolare di Liguria elezioni 2024 porta però alla necessità di impostare una campagna elettorale imperniata su:
a) dagli atti fin qui portati avanti dall'autorità giudiziaria appare rilevarsi il profilo di un vero e proprio “sistema di potere” collocato ben al di fuori da un contesto di esercizio della responsabilità democratica. Le scelte fin qui compiute dal Presidente della Regione Liguria nel corso del suo mandato hanno avuto l’evidente destinazione proprio del consolidamento di questo sistema di potere attraverso scelte di carattere corporativo sia sul piano economico sia sul piano delle destinazioni territoriali (ultima in ordine di tempo ma non ultima per importanza quella della destinazione della nave-rigassificatore a Vado Ligure);
b) Abbiamo di fronte un caso “nazionale”. Per quanto descritto fin qui dalla Magistratura ci troviamo di fronte ad una faglia molto più sottile di quella classicamente rappresentata dalla dazione di tangenti che un tempo confluivano genericamente nello “scambio politico”: un filone del tutto interno al mutamento di indirizzo nella concezione di divisione del potere e di annullamento del confine tra il pubblico e privato.
La maggioranza uscente in Regione Liguria ha tentato di giocare la carta di affiancamento della tecnocrazia con il populismo senza colore politico, cercando anche di portare questo schema secondo la magistratura comune anche ad altre amministrazioni locali a dimensione nazionale, ma il tentativo è fallito piuttosto miseramente e non soltanto a causa del consueto intervento “supplente” da parte dell’autorità giudiziaria.
Le elezioni saranno probabilmente decise dalla dimensione che assumerà la crescita del tasso di astensione che dovrebbe essere rivolto prevalentemente a destra: le forze del centro-sinistra chiamate a presentare un’alternativa dovranno cercare prima di tutto di chiamare a raccolta i propri sostenitori “storici” attraverso una definizione molto netta dell’impianto progettuale tra pubblico e privato (sanità/portualità) e nei riferimenti della dimensione territoriale tra Genova e il resto della Regione: è possibile nella situazione attuale della Liguria che la vittoria di una candidatura si determini “in discesa”, tra che perderà meno voti rispetto alla diserzione dalle urne che tenterà molti. In ogni si tratterà di un passaggio di grande interesse per l’insieme del sistema politico italiano.
 

FRANCESI
di Luigi Mazzella


 
Il Misogallo di Vittorio Alfieri torna attuale?
 
Ai Francesi, discendenti di un popolo fiero (considerato “barbarico” dai Romani) non può negarsi il merito di avere dato all’umanità (almeno a quella vivente nella parte occidentale del globo)  l’intelligenza lucida e perspicace di Jean Marie Arouet (Voltaire)  e di Denis Diderot, e di avere così riportato l’attenzione dell’essere umano sulla necessità di valersi del proprio intelletto per la conoscenza della realtà senza la guida di invenzioni di fantasiosi “cantastorie” provenienti da quel Medio Oriente, che fin dai tempi delle prime immigrazioni nei Paesi del Mediterraneo di ebrei e cristiani costituiva un vero focolaio di guerre atroci. Ad essi, cosiddetti “cugini d’Oltralpe” (è stato sottoposto a giudizio l’inventore di una tale fandonia?), però, deve anche farsi carico di avere istituito quel cosiddetto “Tribunale della Ragione” che con violenza sistematica inaugurò la stagione del “Terrore” in cui non furono decapitati solo individui fanatici e superstiziosi ma tutti i nemici di Robespierre e che indusse un ex simpatizzante rivoluzionario  come Vittorio Alfieri a definire nel Misogallo i francesi “pidocchi” e “fantaccini dianzi incipriati”, oltre che “fetenti insanguinati”. Tali sconcertanti contraddizioni sono state rinverdite, ieri, da Emmanuel Macron, che, ha voluto rafforzare fasti e nefasti della sua amata Patria in occasione dell’apertura dei Giochi Olimpici del 2024 (eletti, per tradizione, a simbolo dell’amicizia mondiale) consentendo che fossero dileggiati i suoi sudditi credenti Cristiani, con la messa in scena, pomposa e sontuosa, di un’Ultima cena di drag queen, che ha creato lo stesso scompiglio dei fumetti di Charlie Hebdo di qualche anno fa. Il mondo Occidentale è andato in subbuglio con masochistico gradimento. L’ennesimo scontro tra i suoi assolutismi di ferro che permeano la sua cosiddetta “cultura” è deflagrato. Alla nostra cosiddetta civiltà (che si alimenta solo di posizioni antitetiche: anti-ebraismo, anti-cristianesimo, anti-islamismo, anti-fascismo, anti-comunismo) non bastano evidentemente tutte le guerre che gli Statunitensi portano sistematicamente nel mondo, il conflitto russo-ucraino, le stragi di Netanyahu e via dicendo: richiede di più, ha bisogno di contrapporre favole a favole, utopie religiose e politiche ad altre “lune nel pozzo” da catturare con l’immaginazione. È così, purtroppo, che declina una parte di mondo che aveva iniziato il suo luminoso cammino tra civilissime dispute filosofiche tra Parmenide ed Eraclito, tra gli atomisti Democrito, Lisippo ed Epicuro, tra i sofisti e i presocratici e altri, e altri ancora… tutti liberi dai paraocchi dei cammellieri del deserto.
Per l’umanità futura c’è la speranza che i miliardi di anni ancora da venire siano liberi dalle fiabesche visioni (di benessere spirituale ed economico) che hanno accompagnato la vita di molti di noi (non di tutti, fortunatamente). Ed è solo per essa che varrà ancora la pena di scrivere articoli quotidiani.

Teatro
IL CANTO DEL VENTO DI RUSSO
di Giuseppe Puma


 
Cataldo Russo, calabrese di nascita milanese d’adozione vive da anni in Lombardia dove si è trasferito per motivi di lavoro, ma vive da tempo nell’hinterland milanese; dirigente scolastico in pensione oramai si dedica a tempo pieno alla sua attività di scrittore, poeta, drammaturgo e studioso di culture orientali. Alla sua già vasta produzione letteraria si è aggiunto adesso il suo ultimo lavoro Il Canto del vento, un libro impegnativo, importante composto da quattro drammi, tre commedie, tre commedie drammatiche e un monologo: è una raccolta teatrale che indaga a tutto tondo la realtà che ci circonda; è una finestra aperta sul mondo in cui viviamo e che non manca di cogliere i simboli della contemporaneità: il pretesto costruito deliberatamente per scatenare in “La guerra ritrovata”, lo svilimento della politica con i comportamenti dei grandi leader politici che non sembrano tanto dissimili da quelli dei boss mafiosi in “La ragione con la forza”; la corruzione tramite le cene di autofinanziamento dei partiti ne “Il Processo”; la rabbia e la violenza nei ghetti dove si ammassano centinaia di migliaia di migranti in “Banlieue”.  E ancora testi contro il razzismo, il pregiudizio e il bullismo, come nei drammi “Il marciapiede” e “Monia”.
Il Canto del vento è anche la voce che riesce a stupire il lettore con commedie come “Anziani e badanti” e “Nei vicoli senza tempo” in cui si analizza il dramma degli anziani sempre più condannati alla solitudine e allo sradicamento. Nel testo “Shakespeare chi era costui?” l’autore sembra voler fare giustizia delle tante illazioni che vorrebbero il “Cigno di Avon” ridotto al rango di truffatore: un processo dove non mancano i colpi di teatro sia per le battute ironiche sia per l’esito stesso del processo che non redime affatto la questione della paternità delle opere dell’antico poeta-cantore dei popoli celti.
Infine, divertente e molto bene congegnata è la commedia “Messere Leonardo e Ninetta”, in cui Cataldo Russo ci presenta una vicenda boccaccesca che vede coinvolto il grande Leonardo e lo fa anche attraverso un’invenzione linguistica sapientemente arcaica. 

domenica 28 luglio 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione


 
Piazza Sant’Alessandro


È impressionante la quantità di chiese concentrate in un perimetro così ristretto a partire da Piazza Missori fino al Duomo. Milano non è Roma, ma quanto a edifici religiosi non si scherza neanche qui. E quanti gli ordini religiosi! Se persino i Carmelitani della chiesa di San Giovanni in Conca se ne lamentavano, tanto da opporsi alla costruzione di Sant’Alessandro, vuol dire che erano davvero troppe. La protesta un esito lo ottenne: riuscì ad impedire che la facciata della chiesa seicentesca guardasse sull’attuale Piazza Missori dove c’era quella dei Carmelitani. L’imponenza dell’edificio in effetti contrasta con la piccola e stretta Piazza Sant’Alessandro e ha poco respiro. 


Il portale di Palazzo Trivulzio

Il bel palazzo del marchese Giorgio Trivulzio gli toglie spazio, e per poterlo cogliere nel suo insieme bisogna arretrare di un bel po’. È stretta la via Zebedia, è stretta la piazza e sono strette le vie Lupetta e Della Palla. Ma il palazzo Trivulzio non è venuto dopo, c’era di già, era dei Corio-Figliodoni-Visconti dicono le cronache, sono stati i Trivulzio ad arrivare dopo. Più tardi ancora (nel 1808), vi nascerà la celebre contessina Cristina che tanto si adoperò per la causa rivoluzionaria con i patrioti delle Cinque Giornate. Ma il palazzo può vantare di essere stata la prima sede della Biblioteca Trivulziana; qui, infatti, le diede vita Alessandro Teodoro Trivulzio. Se fosse interamente pedonalizzata, la piazza acquisterebbe un fascino in più e la chiesa di Sant’Alessandro sarebbe al riparo completo dal rumore del traffico che su via Torino da un lato, e sulle quattro diramazioni della piazza Missori dall’altro, è sempre molto sostenuto. Una piazzuola silenziosa è stata creata nella rientranza di via Lupetta, subito dopo la facciata barocca di quella che un tempo era la sede delle scuole dei Barnabiti e ora ospita una sede dell’Università degli Studi. Sul fronte opposto, quello che si affaccia su piazza Missori, l’edificio religioso ha mantenuto il carattere sobrio proprio della concezione controriformistica. Mattoni rossi a facciavista, rustica e priva di qualsiasi decorazione.

Murale con i volti dei sindaci
 
Ho sostato in questo slargo, attratto dai giganteschi e colorati ritratti che vi sono stati dipinti. Si tratta dei volti di cinque sindaci di Milano del dopoguerra ricordati con questa scritta: “La coscienza ribelle di ognuno di loro ha saputo dire di no alla brutalità, agli orrori della guerra con tutte le sue conseguenze tragiche, nefaste”. Un’altra scritta li definisce “patrioti della storia di Milano e della sua rinascita (…) tra antifascismo Resistenza e avvento della democrazia municipale repubblicana”. In effetti antifascisti lo sono stati, e alcuni di loro hanno partecipato alla Resistenza, come il “sindaco della Liberazione” Antonio Greppi, sindaco dal 1945 al 1951 e a cui la milizia fascista aveva ammazzato il figlio Mario il 23 agosto 1944, in via San Michele del Carso. Virginio Ferrari, il “dottore dei poveri”, titolo che si era guadagnato per la sua umanità, sindaco dal 1951 al 1961, aveva subìto arresti e confino. Gino Cassinis, “sindaco Rettore”, partigiano anch’egli e notevole studioso e scienziato; era stato Rettore del Politecnico e sindaco lo fu dal 1961 al 1964. Pietro Bucalossi, sindaco dal 1964 al 1967, era stato Membro del Partito d’Azione e durante la Resistenza aveva fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e del Corpo Volontari della libertà (CVL). Il 26 luglio 1943 aveva firmato con Antonio Banfi, Federico Brambilla e altri il manifesto che chiedeva l’immediata abolizione delle leggi razziali. Da giovane, brillante medico, era
stato costretto per motivi politici a lasciare la il posto di assistente di clinica Chirurgica all’Università di Firenze. Aldo Aniasi, sindaco dal 1967 al 1976, comandante partigiano con il nome di battaglia di “Iso”, è stato l’ultimo dei grandi sindaci della città. Di quanti sindaci posteriori a questi si può dire, come è stato detto di Virginio Ferrari: “sindaco galantuomo”? Il murale riporta una frase dello scrittore cileno Luis Sepúlveda che è un omaggio a coloro che resistono: “Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue, e ha dimostrato senza grandi gesti, che è possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori”.
 

 

 

 

 

 

 

SALVARE LA DEMOCRAZIA
di Luigi Mazzella
 
 
Quando Donald Trump afferma che è necessario “salvare la democrazia” dice cosa ampiamente condivisibile, perché la cosiddetta “civiltà Occidentale”, coagulo di “assolutismi! religiosi e ideologici, unico per i suoi effetti virulenti, ha toccato in questi ultimi anni veramente il fondo.
Il regalo agli aspiranti Travet di poter gestire, in buona sostanza, il potere politico come implacabili Javert (personaggio de I miserabili cui Victor Hugo non dà un nome di battesimo), Roland Frasleir, il magistrato-boia di Hitler e come tutti i loro squallidi imitatori della lunga storia delle inquisizioni e delle persecuzioni nel Vecchio e nel Nuovo Continente è stato fatto nei tempi lontani del Re Sole, Luigi XIV di Francia, dal suo consigliere e Ministro più fidato, Jean Baptiste Colbert, che creando “l’esercito” sterminato degli impiegati dello Stato, mise nelle mani di quelli che diverranno i generali, i giudici, gli accusatori, gli spioni, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali l’esercizio dell’assolutismo: quello, per intenderci, che, nel Paese ritenuto emblematico della “Democrazia” Occidentale, consente ai graduati del Pentagono di impedire a un Presidente degli Stati Uniti d’America di ritirare le truppe dai campi di battaglia e alle spie, lautamente stipendiate, di interferire pesantemente  nelle scelte del medesimo in politica interna e internazionale. Il quadro della vita democratica Occidentale è terrificante. Enumeriamone gli aspetti:
a) La Cia e l’MI6 gestiscono, a modo loro, l’attività d’intelligence per il Vecchio e per il Nuovo Continente, essendosi impadronite dei gangli vitali di tutti i servizi segreti Occidentali che eufemisticamente sono denominati “deviati” (per dire, in buona sostanza, che sono diretti a favorire gli interessi anglo-americani in luogo di quelli dei rispettivi Paesi);
b) attraverso una pletora di giudici e pubblici accusatori definiti “autonomi e indipendenti” (da tutto e da tutti) gli uomini politici ritenuti “scomodi” dalle due superpotenze, con “mirati” avvisi di garanzia e misure appropriate di natura giudiziaria, sono messi da parte, eliminati e, comunque, messi in grado di non nuocere (si parla, anche qui eufemisticamente, di “uso politico della giustizia);
c) attraverso l’Unione Europea e i suoi burocrati le economie dei vari Paesi Europei sono messe, con l’aiuto di immigrazioni selvagge e illegali e con quello di misure restrittive di varia portata, in condizione di non disturbare il “manovratore” anglo-americano diretto ad approdi egemonici (secondo le clausole del Trattato di pace della seconda guerra mondiale);
d) con l’ausilio di diplomatici, sedicenti esperti di diritto internazionale, di sicura fede atlantica persino la guerra sfugge alle determinazioni di popolazioni che possono ritrovarsi avvolte nei vapori e nel fumo del fungo nucleare, a loro insaputa, dall’oggi al domani.
Naturalmente non tutti sono d’accordo con Trump. I “beoti” soddisfatti (come il “Candide” di Voltaire) dello status quo Occidentale, gli sono ostili e costituiscono ancora la maggioranza.  
 

 

 

 

 

 

 

PALAZZINA LIBERTY BENE COMUNE


 

In queste ultime settimane abbiamo, finalmente, avuto la possibilità di incontrare le rappresentanze istituzionali del Comune di Milano per discutere del futuro della Palazzina Liberty. Ad aprire la riunione, alla quale abbiamo partecipato come interlocutori di riferimento, l’architetto che ha progettato gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'edificio, il quale ha assicurato l’inizio dei lavori per la fine di luglio e la conclusione tra dicembre e gennaio 2025. Importante, dal nostro punto di vista, che nelle linee guida del progetto si parli della “valorizzazione del bene che ci è stato tramandato e, soprattutto, della sua fruizione/attività come sala e spazio aperto alla città”.
In risposta alle nostre domande circa gli investimenti economici dedicati alla riqualificazione e alla gestione della Palazzina, ci è stato comunicato che l’intera cifra verrà messa a disposizione dal Comune di Milano e che non ci saranno interventi privati, ad eccezione della gestione del bar, come avviene nei CAM (Centri di Aggregazione Multifunzionale) del Comune. Municipio e Comune vigileranno sulle richieste di utilizzo, al fine di negare gli spazi a chi si contrappone alle idee della Costituzione e dell’antifascismo.
Abbiamo inoltre chiesto che, per conservare la natura di “bene comune” della Palazzina Liberty per la quale ci siamo sempre battuti, venga data la voce ai cittadini del quartiere e che ci sia sempre una stretta collaborazione tra le associazioni e le realtà attive sul territorio, aggiungendo anche il nostro desiderio che la Palazzina non sia concepita solamente come patrimonio del Municipio 4, ma dell’intera città, puntando anche alla sua attrazione internazionale come punto di riferimento dei tanti turisti che vogliono conoscere il luogo dove hanno creato e rappresentato spettacoli Dario Fo e Franca Rame. Al termine della riunione, abbiamo dato la nostra disponibilità ad essere coinvolti dall’amministrazione nei passi successivi. Vigileremo, comunque, sia sulle tempistiche dei lavori, sia sul rispetto di quanto dichiarato in merito all'uso pubblico e condiviso della Palazzina.
 
Comitato Palazzina Liberty bene comune

 

sabato 27 luglio 2024

venerdì 26 luglio 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione



Tenersi alla larga
 
È difficile, se uno non ne sa nulla, che possa notare la via Gian Giacomo Mora seminascosta dai cartelli stradali. Figuriamoci capire che quella altrettanto seminascosta attaccata al muro di un palazzo moderno lì all’angolo, scolpita da Ruggero Menegon, richiami seppure lontanamente la Colonna infame. Già leggere il testo della targa commemorativa è difficoltoso di per sé, se poi i teppisti l’hanno imbrattata, non ne parliamo. La scritta recita così: Qui sorgeva un tempo la casa di Gian Giacomo Mora, ingiustamente torturato e condannato a morte come untore, durante la pestilenza del 1630. 



Più sotto ci sono le dure parole di Alessandro Manzoni tratte dalla sua Storia della Colonna infame che non assolvono: È un sollievo il pensare che se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a piacere, e non è una scusa, ma una colpa”. 



Una mia amica tutti gli anni in agosto, passa a ripulire la targa e la scritta. Non se ne tiene lontana come ammoniva il Senato cittadino a conclusione del provvedimento con cui fece abbattere la casa di Mora ed erigere la famigerata Colonna. Leggiamolo per intero questo provvedimento inciso su lastra e in lingua latina (ma chi tranne ecclesiastici e letterati conosceva il latino nella Milano del Seicento?). 



“Dove si apre questo spiazzo sorgeva un tempo la bottega di barbiere di Gian Giacomo Mora che, con la complicità di Guglielmo Piazza commissario di pubblica sanità e di altri scellerati nell’infuriare più atroce della peste aspergendo di qua e di là unguenti letali procurò atroce fine a molte persone. Entrambi giudicati nemici della patria. Il Senato decretò che issati su un carro e dapprima morsi con tenaglie roventi e amputati della mano destra avessero poi rotte le ossa con la ruota. E intrecciati alla ruota fossero trascorso sei ore, scannati quindi inceneriti e perché nulla restasse d’uomini così delittuosi stabilì la confisca dei beni e ceneri disperse nel fiume. A perenne memoria dei fatti lo stesso Senato comandò che questa casa, officina del delitto venisse rasa al suolo con divieto di mai ricostruirla e che si ergesse una colonna da chiamarsi infame. Gira al largo di qua buon cittadino se non vuoi che da questo triste suolo infame essere contaminato. [1630 alle Calende di agosto]”.



La Colonna sarà abbattuta di notte nell’agosto del 1778; probabilmente il Senato del tempo ne provava orrore. Per la rimozione di questa targa infame bisognerà invece aspettare il 1803. Ma pare fosse divenuta così sporca e illeggibile che oramai da tempo nessuno la notava più. Ad ogni modo ora si trova al Castello Sforzesco sotto
il portico del Cortile della Rocchetta. Non me ne tengo lontano nemmeno io, in verità. La decisione municipale di dedicare la via proprio a Gian Giacomo Mora a risarcimento della sua memoria e della sua innocenza, era un atto doveroso. Tardivo, ma è arrivato. Era il 17 dicembre del 1868: Pietro Verri e Alessandro Manzoni avevano seminato bene. Se ad agosto resterò a Milano darò una mano alla mia amica a ripulire.
 

 

 

  

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