UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 24 dicembre 2024

AUGURI ANTIFASCISTI E DISARMISTI


Brescia in piazza contro il fascismo


domenica 22 dicembre 2024

C’È DEL MARCIO IN OCCIDENTE
di Adam Vaccaro


Piergiorgio Odifreddi

Deificazione neoliberista del capitalismo globalizzato. 
 
Questo libro di Piergiorgio Odifreddi (C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, 2024, pagine 261) regala un vento benefico che irrompe in una atmosfera soffocata da smog sempre più irrespirabile, e ci aiuta a spazzarla via. È un vento di irrisione di ogni falsità spacciata come verità, dai poteri in atto, in Occidente, ma non solo, nel presente, ma non solo. E per farlo somma una impressionante dotazione di conoscenze pluridisciplinari, dalla filosofia, alla storia, alla letteratura, all’economia, ma non solo. Perché, se si vogliono smascherare i crimini e le menzogne del potere, o meglio, dei poteri storicamente articolati in Occidente, occorre dotarsi di adeguate ricchezze di conoscenze delle sovrastrutture portanti la realtà complessa in cui viviamo. La quale ci riversa verità apodittiche e ideologiche, attraverso un esercito mai così vasto di propaganda massmediatica, con la quale ci raccontano di essere i più liberi e i migliori custodi della Verità e del Mondo secolarizzati. Ne deriva un pensiero unico e assoluto, consono alla radice patriarcale di un fondamentalismo religioso su cui è cresciuto, che ha sempre ucciso socialmente e fisicamente, ogni obiezione critica, o visione altra.
Odifreddi è un esempio, tra i pochissimi, di superamento della divisione tra le due culture – umanistica e scientifica – fonte di impoverimento delle nostre possibilità di conoscenza, e conseguentemente di libertà concreta rispetto alle falsità spacciate e necessarie alla gestione di ogni potere. Tale indirizzo è seguito dall’Autore con passione, coraggio e un lavoro incessante di acquisizione di strumenti di analisi nel corso dei suoi decenni di vita, che questo libro sintetizza con efficacia, non solo di argomentazioni, ma di esposizione chiara e divulgativa, che rende la lettura delle sue 250 pagine, un attraversamento benefico dei temi e problemi intricati con cui, qui e ora, ogni persona dalla mente minimamente viva si confronta quotidianamente.
 Tuttavia, la sua apertura di ricerca, non penalizza una critica serrata rivolta a pressoché tutti i pilastri millenari della nostra identità culturale, a cominciare da quella umanistica “Gli umanisti… dall’Ottocento in avanti hanno rimosso le vere origini dei Greci, inventando il mito di un popolo unico che arrivava dal nulla, e di un sapere unico che non si basava sui nulla… di una razza pura e di un pensiero puro, senza contaminazioni biologiche e culturali. Un mito colonialista, razzista e protonazista durato quasi due secoli, che ha cominciato a essere smantellato soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso” (pag. 141-143). È stato in effetti un frutto malsano de Le Origini rimosse, analizzate dal libro di “Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica (Il Saggiatore, 2011)”. È un tema enorme di cui mi limito qui a citare qualche spunto, con la finalità di sollecitare la lettura del libro e ulteriori approfondimenti, su questo come sul corollario di problemi complessi sollecitati da un testo spoglio di ogni connotato ideologico, motivato dalla conoscenza di un sistema di potere invisibile e presente in cielo in terra e in ogni luogo, al pari del Dio inventato dai suoi figli prediletti.


 
Ma mentre quel Dio è silente o parla solo a chi è acceso dalla sua fede, il dio dell’impero odierno continua a parlare e assordarci, raccomandano di mai disconnetterci, perché solo così diventiamo, piccoli atomi del suo corpo, alimento e merci di un circuito incessante di suoi e nostri deliri. È il più potente dio mai creato, perché è dentro di noi, anche non credenti, fatto di cose, succhiate come ostie, senza bisogno di un ministro e una messa. Perché di ministri ne ha un numero immenso e la messa non è solo la domenica, ché è di ogni giorno e notte, senza interruzioni. Una messa officiata da cori di voci trasmutate in meccaniche, fonti di una realtà virtuale, rispetto alla quale è difficile resistere e non farsi ridurre a illusi senzienti senza realtà: “Oggi viviamo infatti in un rintontimento collettivo in cui non contano i fatti, ma solo le fantasie. E non tanto quelle istituzionalizzate come la religione, la metafisica e la letteratura… Quanto piuttosto quelle… del divertimento immediato e mediatico: film, serie televisive, programmi spazzatura, talk show, videogiochi, giochi di ruolo e parchi di divertimento…Oltre al Grande Fratello televisivo, che paradossalmente ha tutto di huxleyiano e niente di orweliano” (p211). È una giostra di illusioni e divertimento, di cui è perno l’industria della pubblicità, il più parassitario, redditizio e fiorente settore economico di questa decantata era della libertà, canestro di chiacchiere, falsità e idiozie che producono soggetti omologhi, quali definiti dalle analisi del meme, delle nuove scienze: la mente fatta anche di neuroni-specchio, che la sua anima bambina, affamata spugna di immagini e suoni, trasmuta attraverso  i cinque sensi del 'cervello bagnato' (come chiamato da Rita Levi Montalcini)  in pandolce  da succhiare, prima di verificare se è un panettone inondato dalla muffa. “Questo spiega la vera e propria epidemia di stupidità che ‘per l’universo penetra e risplende’… prodotto di veri e propri virus della mente”, messi in scena “dal gran circo dei media” e “che si diffonde non perché meriti… ma perché più adatto a farlo”, che “non significa affatto ‘migliore’, e confondere le due cose può causare guai… significa soltanto ‘più contagioso’, e spesso ‘letale’” (pp. 56-57)
Se la letteratura, la poesia e la musica erano condimenti della pietanza della vita, che comunque aiutavano a sentirne il sapore e quindi a conoscerne la sostanza, tanto da poter dire che la poesia in ogni forma era ciò che dava nome alle cose, nel circo mediatico dello spettacolo contemporaneo, ogni funzione di conoscenza della realtà è polvere drogata di emozioni che – con diluvi di cartoons, serial killer, fantasy, soap opera, supereroi ecc. – devono infarcire la capacità di pensare, scodellando un polpettone che diventa la vera realtà mentale. La civiltà dello spettacolo e dell'immagine è un traghetto delizioso di arma di distrazione di massa, che senza una visione critica, castra la capacità di elaborazione conoscitiva della complessità di sé e dell’altro. Il che diventa una vera festa per il dio al potere, se “i nostri occhi sono perennemente puntati su uno schermo, del cellulare, del computer, della televisione, del cinema o dei videogiochi. Raramente interagiamo con altri esseri umani o con il mondo esterno” (p. 211).


 
Il risultato è una massa alienata e passiva di atomi singoli senza identità e comunità, che realizzano il sogno neoliberista di E. Thatcher: “non esiste la società, esistono solo gli individui”. L’essere sociale è cancellato e nel suo vuoto regnano libere le catene invisibili del dio che decide vita o morte di miliardi di esseri viventi (umani e no) con dei clic. Il libro di Odifreddi è, all’opposto, corpo di testo che riafferma come il processo autopoietico dell'identità individuale è alienato, perduto e impossibile, senza l’interazione con l’Altro, costruita entro una complessità e molteplicità sociale e culturale. Per cui una identità individuale o è propaggine di una collettività, o non è. Ed è solo il misticismo che fa della propria potenza di immaginazione un illusorio colloquio e cammino con e nella Totalità personificata nell’Altro, nell’alto dei cieli. Delle tante interazioni di cui il libro si fa scrigno di ricchezze, c’è quella con lo scrittore portoghese Josè Saramago, del quale si ricorda che “il suo Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) fu censurato in Portogallo, andò a vivere in volontario esilio nelle isole Canarie, fino alla morte. E dopo uno dei periodici eccessi di difesa perpetrati da Israele nei confronti dei Palestinesi, fu accusato di antisemitismo per aver dichiarato: Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi nazisti non proverebbero vergogna per gli atti infami che i loro discendenti stanno commettendo. (p.215). E, a tale proposito, Odifreddi ricorda che “Per difendersi dal disdegno nei confronti delle disumane azioni israeliane, soprattutto quelle dei governi di ispirazione nazifascista del Likud di Begin, Sharon e Netanyahu, gli ebrei hanno iniziato a confondere ad arte “l’antisionismo contro la politica israeliana e l’antisemitismo contro il popolo ebraico” (p.120).
Il pensiero critico di Saramago evidenziava come la democrazia politica, diventa illusione democratica entro una struttura con un “unico indiscutibile potere: la finanza mondiale”. Per cui concludeva: se la “democrazia economica ha ceduto il passo a un mercato oscenamente trionfante” e la “democrazia culturale” rientra anch’essa tra i prodotti sussunti dalla “massificazione industriale” della giostra dello spettacolo, rischia di aggiungersi ai fiori di arredamento di una sovrastruttura priva di capacità dialettica di incidere sulla realtà dell’invisibile potere dominate, talché “Noi non stiamo progredendo, ma regredendo” (pp.216-217).

 
Odifreddi, attraverso le parole e gli sguardi delle centinaia di Autori citati, ci spinge a ri-vedere e a ripensare il rovescio anche delle nostre convinzioni più radicate, riattivando così la dinamica e la riappropriazione culturale di libertà autentica del processo autopoietico. Che è tale se rifiuta di rendere indiscutibili ogni termine, a cominciare da potere, democrazia, libertà, termini fondanti ogni polis, di cui l’Occidente pretende di essere il detentore unico e assoluto. E cita a tale proposito anche alcune dichiarazioni di papa Bergoglio: “Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti”; “La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune, e qualsiasi attenzione per gli scartati della società”.
Purtroppo l’approccio di un pensiero unico, dogmatico e religioso, spacciato dal potere occidentale, non consente tale salutare riflessione autocritica. Quando ad esempio crollò in Unione Sovietica il sistema staliniano di capitalismo di Stato, teorizzato dallo stalinismo come socialismo in un paese solo, e per la propaganda pro e contro quale socialismo reale, la CIA finanziò con giubilo “un famoso libro collettivo”, dal titolo Il dio è fallito. Ma non finanzierebbe mai un libro che dimostrasse la possibilità teorica del socialismo ideale, e tantomeno un libro come quello del premio Nobel Kenneth Arrow, che “ha dimostrato matematicamente l’impossibilità della democrazia ideale, che è dunque irrealizzabile” (p.195).
D’altronde, quale democrazia può essere possibile, con una struttura economico-sociale che, “in base agli annuali rapporti del Comitato di Oxford per la lotta contro la Fame (OXFAM), l’uno per cento della popolazione mondiale possiede il 60 per cento della ricchezza del pianeta, e il 10 per cento ne possiede il 90”, vale a dire gli 800 milioni dell’Occidente (Europa e Usa), rispetto all’attuale popolazione mondiale di 8 miliardi? Ma è un crimine sociale che prosegue anche in questa area del paradiso del 10%, in cui le sperequazioni e le diseguaglianze crescono anziché diminuire o attutirsi, con milioni di poveri assoluti mentre una minoranza naviga nell’oro e predica la favola della percolazione, secondo la quale l’oro dei più ricchi arricchirà anche i più poveri. Rispetto a tale immane e plateale latrocinio, quali sono le proposte e i programmi dei politici (di destra e di sinistra) che dicono di rappresentare il popolo? Dichiarazioni retoriche, di un ceto parassitario e ricco di privilegi feudali, asservito come mai alla visione neoliberista, che declama per i poveri la novella della libertà: siete liberi di andare dove volete! atomi nudi di ogni dignità, che incarnano quanto detto da Schopenhauer: Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole”. È un aforisma su cui Odifreddi, chiosa: “mi ha vivamente ispirato fin dalla giovinezza” (p.32), con il senso implicito di tutto il libro, di ripresa del senso del limite e del sacro, dei quali il potere neoliberista di quell’1% fa strame, pur sapendo che il desiderio e la volontà sono dettati prima di tutto dai bisogni primari, di cui i più poveri urlano al mondo, spinti a vagare verso aree dove potersi sfamare. L’1% sa che diventano così merce dell’esercito di riserva (già analizzato da Marx) di manodopera, votato a offrirsi a basso costo, favorendo caos, guerre tra poveri, illegalità e criminalità, purché contribuiscano a tenere alto il saggio di profitto. Moti migratori di cui le destre fanno predicazioni di paura, e le sinistre di commossi buonismi. Ma per entrambi il vertice dell’1% rimane immune, proni allo status quo, che offre ai miliardi di affamati, miliardi che, anziché riequilibrare la distribuzione della ricchezza, finanziano organizzazioni per salvarli dal loro mare di disperazione.


 
Si innescano, ahinoi e inevitabilmente, anche speculazioni orrende, legali e criminali, propaggini della coda del problema, cui pare non ci sia altro rimedio che organizzare mille iniziative di aiuti e carità, nell’inutile insegnamento della storia della loro inadeguatezza a eliminare le ignobili cause. Non solo, ma dato lo tsunami umano prodotto dalla logica, innescata da tale esplosivo contesto storico e privo di possibili punti di equilibrio, non può che sfociare in crescenti violenze orizzontali, tra ultimi e penultimi – fino a quando non si coagulasse una coscienza sociale con una massa critica sufficiente di guida adeguata a una azione verticale contro i responsabili.
Solo, se e quando, si concretizzasse questa possibilità, o utopia, si potrà sciogliere questo nodo, perché 
nel capitalismo esiste un’asimmetria strutturale tra produttori e compratori, venditori e consumatori, speculatori e lavoratori, evasori e contribuenti, in ultima analisi, tra ricchi e poveri,”. Con governi “conservatori” e “progressisti”, “alla fine dei conti, i soldi si trovano sempre per salvare le banche, finanziare le industrie e combattere le guerre, e mai per sostenere le pensioni, il lavoro e i servizi. E il motivo è, semplicemente, che in Occidente contano i valori economici, e non i valori etici” (pp.194-195). Ma è un’asimmetria squilibrante, costitutiva dell’attuale struttura imperialistica globale, che non coinvolge solo i rapporti tra capitale e lavoro, ma ogni ambito della vita umana e no, dal crescente squilibrio ecologico all’alimentazione con allevamenti intensivi che assorbono il 60 % delle coltivazioni dedicate a un malsano consumo di carne dei Paesi più ricchi, in primo luogo dell’Occidente. È provato che in “un intestino lungo, da erbivori”, come il nostro, “la carne fermenta e provoca il cancro al colon” (p.179), ciò nonostante, mentre mancano alimenti vegetali per miliardi di persone, “Le cifre dell’eccidio” di “animali sono spaventose… vengono uccisi”, tra “animali terrestri e pesci… 3 miliardi al giorno” (p118).

 

Bertrand Russell

Questo libro di Odifreddi è anche il racconto del percorso autopoietico della propria identità culturale nello spazio e nel tempo del Paese-Mondo, attraverso i crinali storici e intellettuali, emersi e condivisi o meno, e fatti oggetto di critica impietosa e serrata. Il suo è stato un percorso consolidato in viaggi, non da turista, ma di lunghe soste di lavoro in Paesi decisivi del mondo contemporaneo, a cominciare dagli USA alla Russia, e non solo. Ma ogni esplorazione, quanto più se inesausta come la sua, definisce il proprio punto di partenza, una Itaca reale e mentale, che diventerà il paradigma di giudizio, la pietra miliare cui rapportare gli altri ceppi significativi – positivi o negativi – incontrati e trasmutati in materia di sé. Ci racconta così, tra gli anni ’60 e ’70, da ragazzo sollecitato anche dalla musica di George Harrison dei Beatles, del suo iniziale “interesse per la musica, la letteratura, la filosofia, la matematica e la scienza indiane, che contribuì ad allentare le pesanti catene dell’occidentalismo che allora mi imprigionavano”. Precisa che le sue “ispirazioni non si fermavano alle canzonette, per quanto socialmente e politicamente impegnate”, infatti: “Nel 1969 mi apprestavo arditamente a iscrivermi a ingegneria”, quando “trovai per caso su una bancarella di libri usati l’Introduzione alla filosofia matematica (1919) di Bertrand Russell”, che lo spinse non solo a iscriversi a matematica, con laurea in logica, ma “divenne il mio maestro intellettuale”, a partire da quel libro scritto “in carcere nel 1918, durante la Prima Guerra mondiale per propaganda antibellica”.
Al maestro Russell unì poi Einstein, in particolare col Manifesto Russell-Einstein contro la proliferazione atomica e del movimento Pugwash degli scienziati contro la guerra, insegnamenti capaci di “introdurmi all’utopia matura di un mondo senza chiese, senza stati, senza possessi e senza armi” (pp.249-251).
 


Oggi gli occidentali infantili o adolescenziali credono che un mondo senza dèi, senza frontiere, senza multinazionali e senza atomiche sia solo una pia illusione. Forse un giorno gli occidentali maturi si accorgeranno che altrettanto illusorie apparivano le nazioni ai tempi delle città-stato, le confederazioni e gli imperi ai tempi degli stati nazionali e le superpotenze prima della guerra fredda. Purtroppo, come le nazioni si sono costituite con guerriglie tra le città, le confederazioni e gli imperi con guerre tra le nazioni, e le superpotenze con la Prima e la Seconda Guerra mondiale, anche il nuovo ordine mondiale si costituirà con la Terza Guerra Mondiale, combattuta tra l’Occidente e il resto del pianeta. La Quarta, come disse Einstein, si combatterà poi tra bande armate di pietre e bastoni. Osservandolo dal di fuori, sembra che l’Occidente stia effettivamente preparando e fomentando la guerra atomica… Ma sa, o dovrebbe sapere dalla sua Bibbia che ci sono due possibili esiti: la fine di Sansone (insieme a tutta l’umanità), e la fine di Golia (per mano del mondo sottomesso)”. Una soluzione alternativa sarebbe ammettere “le proprie secolari malefatte”, rami della radice e del tronco, connessi al Principio, di un dio unico che ha creato il Tutto col solo fiat verbale, e che indicava, “crescete e moltiplicatevi” senza limiti, dominate Natura e ogni altro essere vivente, quale popolo eletto tra tutte le altre razze, create al solo scopo di essere asservite.
Odifreddi, nell’immenso bosco di forme viventi, e lungo le teorie di ere e tempi che alternano favole, follie, deliri di onnipotenza e vertici di sapienza umana, raggiunge la sua baia “razionalista”, paradossalmente ricongiunta al “monaco medievale Ugo di San Vittore, che additava l’ecumenica via di un superamento di tutte le divisioni”: “capisco per credere”, in luogo del fideistico “credo per capire”, dettato da Anselmo e ogni adepto al dettato fondamentalista di una delle religioni monoteiste, giudaica, cristiana o musulmana.
La visione aperta di Odifreddi non è dunque di razionalismo contrapposto al fideismo, con affermazioni altrettanto apodittiche e dogmatiche che squalificano a priori la sensitività diversa altrui. Per cui, nei due capitoli che chiudono il libro, Coro finale e Accordo conclusivo (pp.215-253), raccoglie per così dire nella rete riassuntiva, voci disparate che vanno da José Saramago a papa Bergoglio – passando per il palestinese Edward Said, l’americano Al Gore, l’australiano Julian Assange, l’uruguaiano Pepe Mujica, il nigeriano Wole Soyinca, l’indiano Subrahmanyam Jaishankar, ma includendo dichiarazioni di Osama bin Laden e dei leader russo e cinese, Vladimir Putin e Xi Jinping. È dunque un magistero antifondamentalista, che rigetta la logica del pensiero unico, di verità indiscutibile, benedetta dal Dio, Gott mit uns, padre e radice di razzismo, legittimazione di infiniti genocidi, di centinaia di milioni di esseri umani, numeri che rendono piccoli gli orrori nazisti contro ebrei, zingari e omosessuali. Un tragitto infinito di sangue, guerre, schiavismi e massacri, che gli Occidentali hanno perpetrato contro i nativi americani, gli africani, gli australiani e non solo, con cancellazioni di etnie e civiltà, definite subumane, quindi da eliminare o asservire con pieno diritto. Croci e Crociate di una catena di violenze disumane, benedette da predicazione civilizzatrice di popoli inferiori.
Ciò considerando, “Quanto a male, L’Occidente non ha infatti niente da invidiare al nazismo”, anche se “oggi in Occidente il nazismo ha un volto umano, o almeno una maschera umana. Ma chi pensasse che certi eccessi non torneranno”, dovrebbe ricordare “Robert Musil, che alla fine degli anni Trenta meditava: Molto tempo prima dei dittatori, la nostra epoca ha prodotto la venerazione spirituale dei dittatori” (pp.66-67).


 
Permane il fulgore dell’alba di questo millennio, del capitalismo ipertecnologico, finanziario e globalizzato, che non ha più bisogno della benedizione di Dio, per proseguire nella nobile e santa missione di salvare gli esseri inferiori. La salvezza sono io, qui e ora, e non nella promessa di una paradiso ultraterreno. Sono io il Dio atteso, con in mano il decalogo della libertà e della democrazia, illusionista che maschera ogni verità, compresa quella della propria identità patriarcale. È mia la Democrazia declinata in forma di religione assoluta, di cui vendo la Bibbia. E chi non è d’accordo è un eretico, voce del demonio, da ricacciare nell’inferno del Nulla. Per cui, persino una canzone di “utopia ingenua… antireligiosa, antinazionalista, anticonvenzionale e anticapitalista” come Imagine di John Lennon, finì “nella lista di titoli ‘antiamericani’, da non trasmettere dopo gli attentati alle Torri Gemelle”. Le due rive del paradiso promesso e trionfalmente realizzato dal-nel capitalismo sono: il regno reificato nel diluvio di cose, e quello della surreale infinita e immanente fantayland, su cui dondola un gonfiabile Gott Mit, solo per noi – e che gli altri siano dannati! Che, beninteso, non sono i brulicanti sottofondi costitutivi di droghe, mafie e corollari. I dannati da combattere fino alla loro radicale eliminazione, sono le presenze di chi non si sottomette al dominio schizofrenico: idolatrare la sua essenza e reificare ogni essenza umana. Quanto alla deificazione, è in linea anche con quanto promesso dalla “la religione dell’amore” di Cristo, “versione non violenta del giudaismo… se il Gesù predicatore non fosse incorso in un grave errore: incitare gli apostoli ad ‘andare e predicare a tutte le creature’, e minacciare che ‘chi non crederà sarà dannato’ (pp.76-77). Ma per il processo di deificazione e glorificazione del paradiso in terra non contano più le predicazioni apostoliche. Il suo universo va ben oltre la magia di rendere consustanziale nell’ostia il corpo del Cristo, rendendo in ogni istante consustanziale la sua anima nel corpo dei viventi a lui asserviti. Per cui non è facile vederne i sottofondi, i sortilegi e prodigi de “La rimozione della realtà”, di un multiverso, nel quale paradossi e ossimori sono rozze figure retoriche per una realtà iperreale e imprendibile come il Vero Dio – capace di convincere i poveri di spirito, raffinati sapienti di idiozia di un politicamente corretto, per i quali “non esistono i fatti”, ma “solo le interpretazioni” (pp.163-164). E si può chiosare che è una interpretazione che viene applicata anche a livello sessuale dai furori del fondamentalismo neoliberista, per cui il dato bio-fisiologico è azzerato, rispetto al volatile momentaneo moto percettivo (Postmoderno degenere, pp. 158-163). Pochi gli interrogativi e i dubbi su questo splendido servizio offerto al sogno di eternizzazione dello stato di fatto e del relativo potere, che così chiude il cerchio tra immanenza e inesistenza, per cui non è possibile combattere ed eliminare ciò che non appare e, pare, non esista!
Ciò nonostante, il libro non trasmette disperazione perché è su un crinale ossimorico di tragicità serena, eticamente pacificato dalla coscienza e canoscenza di continuare a dare tutto sé stesso. Il che gli fa lucidamente concludere: “Chi vivrà vedrà. Ma scommetto che non sarà una bella visione, comunque andrà”. Che non gli cancella il lampo irridente di Spengler (“Il tramonto dell’Occidente”) e di Eliot, di un mondo che finisce “Non con il botto ma in una lagna” (p.214). E questo, da parte mia e per tutti noi, lo prendo come augurio.
 

PACE, PACE

Tiziano Rovelli
Natale e guerra

Il messaggio umano e pacifista di un anziano obiettore


Questo è uno dei miei ultimi messaggi che avranno a che fare con la pace. Non è un gesto di arroganza, ma un’assunzione di responsabilità. Stiamo parlando di pace: vita per tutti; e guerra: morte per molti, se non di tutti. I nostri sono giorni nucleari, è un’epoca nucleare, di ordigni nucleari che abbiamo fatto nascere e persino utilizzato alla fine della seconda guerra mondiale. Li abbiamo sviluppati e potenziati, come se non fossero bastati i milioni e milioni di morti dell’ultima guerra. La guerra è soprattutto un atto, un gesto collegato alla nostra responsabilità personale di cui, molte volte, non siamo stati fino in fondo consapevoli. Ricordiamo la sofferenza del pilota che ha sganciato una delle bombe su Hiroshima o Nagasaki e il suo senso di colpa. Oggi in Europa, e in altre parti del mondo, ci sono situazioni tali che possono portare a guerre devastanti, e questa volta con Stati in possesso di bombe nucleari ancora più distruttive. Non dovremmo riflettere su questo? Perché non affrontare il problema sin da subito e non ridursi ad un “dopo” apocalittico, come ci insegna la distruzione che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno? Il periodo storico che stiamo vivendo non è dei più democratici: una guerra tra due o più stati ne coinvolge altri che non hanno a che fare con gli stati belligeranti, ma ne devono sopportare le conseguenze. È democratico questo? È democratico che Stati o gruppi di potere forti possono agire contro la volontà dei loro popoli esibendo il potere della forza? Vorrei aggiungere alcune cose. Credo che ognuno di noi debba agire nella propria vita nel rispetto degli altri (almeno io lo vorrei), e con senso di responsabilità nei confronti della stessa Natura in cui ci siamo trovati ad operare. Non sto inventando niente, altri prima di me hanno indicato percorsi di vita o espressi pensieri simili che possiamo riassumere nel comandamento: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Pensieri di secoli fa, umanamente profondi e ancora validi perché non applicati. I disastri climatici in corso, mai così intensi e frequenti, non dovrebbero farci apprezzare la nostra vicinanza umana per sminuirne almeno la comune distruttività? Un cambiamento della nostra vita storica, se resa più amorevole, potrebbe influire positivamente verso le nuove generazioni oggi abbandonate un po’ a sé stesse. Di questo sono fermamente convito. Vorrei chiudere questo messaggio con un grazie alla vita, comunque si sia svolta, e soprattutto alla mia famiglia per il calore umano che mi ha espresso, esteso alle generose persone con cui sono venuto in contatto.  
Giuseppe Bruzzone
 

(Milano, 12 – 11 – 2024)

sabato 21 dicembre 2024

MOBILITAZIONE PER ROJAVA

 
Rojava Una democrazia assediata

Care e cari, come sapete negli ultimi 15 giorni, con la caduta del regime di Bashar al-Assad, l’Esercito Nazionale Siriano (SNA) ha attaccato le nostre città di Shebah, Tal Rifat, Sherawa e Manbij. 200.000 persone sono state sfollate e costrette a trovare riparo a est dell’Eufrate, in pieno inverno. A queste persone è stato dato riparo in ogni luogo possibile, scuole, edifici pubblici e case, ma le difficoltà sono molte e la situazione umanitaria è disastrosa. Nel frattempo le Forze Democratiche Siriane stanno cercando di difendere la terra del Nord-Est da una imminente invasione, specialmente su Kobane, nel 10° anniversario della sua liberazione. Per questo vi chiediamo, in questo momento così delicato per la rivoluzione delle donne del Rojava, di prendere iniziative istituzionali e non nelle vostre città, e regioni, anche simboliche. Per difendere l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord-Est e il suo popolo c’è bisogno di voi, e di tutto ciò che potrete fare nei vostri quartieri e nelle vostre città affinché non rimangano soli. Inoltre, se volete contribuire economicamente, a seguire trovate i conti correnti della nostra associazione e della Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia.

UIKI - Rete Kurdistan
Ufficio di Informazione del Kurdistan In Italia Onlus
Codice Fiscale: 97165690583
IBAN: IT89 F 02008 05209 000102651599
BIC/ SWIFT: UNCRITM1710

 

venerdì 20 dicembre 2024

È MORTO RENATO ROZZI


Renato Rozzi

Apprendiamo solo ora da Laura Boella che mancato il 10 novembre scorso, all’età di 95 anni, Renato Rozzi. Allievo di Musatti e di Paci, ha lasciato importanti contributi alla psicanalisi e alla psicologia del lavoro, tra cui Psicologi e operai. Proprio poco fa ho riletto la sua stimolante postfazione a Luigi Ferrari, Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka



Della “Scuola di Milano” resta un rappresentante tra i più significativi. La rivista “Materiali di Estetica” non mancherà di dedicargli un cospicuo spazio in uno dei prossimi numeri. 
Gabriele Scaramuzza

 

UN PRESEPE
di Zaccaria Gallo


 
Si avvicina un altro Natale, e già si respira quell’aria che ci avvolge da quando eravamo bambini, in una sottile attesa. Certo i tempi cambiano, e molto rapidamente, e la nostra storia personale si immerge nella grande Storia collettiva che ha, al contrario, un’altra aria, e che con la prima tende a confondersi: l’angoscia per il presente (dominato da guerre, violenze, crudeltà inaudite) e per il futuro (distruzione del nostro ambiente e del nostropianeta). Tuttavia le nostre strade, i negozi, si rivestono delle luci della speranza, con abeti veri o finti e si rinnova un rito, ormai consolidato da anni, anche nelle nostre contrade. E c’è ancora chi non rinuncia ad allestire il presepe. Nelle proprie abitazioni, in alcune sedi di socializzazione, nelle chiese. Sì, ma quale presepe? È invalsa, da tempo, l’abitudine di rifare il presepe con elementi “sociali” (i cosiddetti “presepi attualizzati”, che riproducono scene e personaggi dei nostri giorni). Composizioni, in cui si vogliono far emergere, ad esempio, elementi della città antica, in questo caso Betlemme, assieme a quelli delle città diventate, man mano, diverse con il passare dei secoli, e nelle quali si ritiene giustamente inserire simboli che a questa modernità si riferiscono. Chi non ricorda di aver visto direttamente, o in immagini fotografiche, i presepi napoletani dell’Ottocento e del primo Novecento, conservati a San Martino e ancora oggi reperibili, riprodotti con grande abilità, a Napoli, nelle botteghe di San Gregorio Armeno o di Via dei Tribunali? Invece dei pastori tradizionali, per fare un esempio, ci sono scugnizzi che si dirigono verso il luogo della Natività di Cristo. 



Sono presepi in cui, lungo le strade o nelle piazze si incontrano botteghe e rivendite colme di ogni ben di Dio (in opposizione alla fame vera del popolo) e che, prima dell’avvento degli ipermercati, punteggiavano la vita di ogni giorno, e che oggi si possono forse solo ritrovare nei mercati settimanali o nei campers attrezzati per il fast food. Indiscutibilmente, non ricordano la Galilea di duemila anni fa. Sorge allora spontanea una domanda: siamo convinti che i presepi debbano essere, per forza, in copia esatta di un avvenimento nel quale noi non ci siamo stati direttamente e che oggi, comunque, sarebbe sempre frutto della nostra fantasia, se non in casi ormai più simili alla spettacolarizzazione di quell’ evento, piuttosto che essere il “ricordo figurato”, spiritualmente più fedele al messaggio che Francesco volle fosse tramandato per sempre? Il presepe, con la Natività, non dovrebbe sempre richiamare alla memoria il significato profondo che è nella nascita di Cristo: l’invito ad amare gli altri, a perdonare chi ti fa del male, a prediligere la ricchezza spirituale invece di quella del denaro e del profitto, ad aiutare gli uomini, gli animali, le piante e l’ambiente a vivere piuttosto che a morire? Quanti, oggi, si pongono la domanda: ma com’era la Terra di Gesù Cristo? Intanto nel I sec. era divisa in tre regioni: Galilea, Samaria e Giudea, poi che Betlemme era in Giudea e si trovava all’interno e un po’ più a nord di Gaza e che Nazareth era molto più a nord, verso l’attuale Libano, in Galilea. 



E se volessimo “attualizzarlo”, oggi, proprio lì, in quelle terre martoriate, che aspetto avrebbe il nostro presepe? Sapete? La risposta me l’hanno data per caso i miei vicini di casa: Angelo e Angela, che ormai anziani, tutti gli anni allestiscono il loro presepe, soprattutto in attesa di trascorrere la festività assieme ai loro nipoti. Così anche quest’anno, ci hanno messo tutto il loro impegno, proponendo la versione tradizionale: grotta e Gesù Bambino, con Maria, Giuseppe, asino e bue, stella cometa, pastori, pecore, galline, montagne di carta marrone, un laghetto-specchietto e casupole e botteghe artigiane con la loro mercanzia, luci colorate e fili d’argento. Solo che quest’anno non è andata come le altre volte. Birillo, il loro gatto siamese, che è sempre stato dolcissimo e compagno inseparabile nelle lunghe sere di solitudine, l’altra notte ha combinato un guaio, ed è la prima volta che questo è accaduto. Chissà per quale oscura ragione, è salito sul tavolo ed è entrato con tutto il suo peso nel presepe, devastandolo: la grotta pericolante, la stella cometa dispersa chissà dove, pastori e animali a terra, alcuni con arti e teste spezzate e le case, le botteghe un cumulo di macerie.



Quando Angela si è svegliata e ha trovato questo macello, dopo essersi messa le mani nei capelli, e aver inutilmente rimproverato Birillo, che la guardava con aria innocente, ha chiamato Angelo. E mò? gli ha chiesto che facciamo? – Angelo ha guardato il presepe e poi rivolgendosi ad Angela, con aria seria le ha risposto: “Lasciamolo così! Oggi il presepe è questo”.

 

giovedì 19 dicembre 2024

NATALE E PRESEPE  
di Angelo Gaccione

Ecco il nostro presepe, sono bambini
in fuga dalle guerre volute dai potenti
 
Non è rimasto nulla dello spirito vero del Natale, riconvertitosi da tempo in un’orgia consumista e di produzione esagerata di rifiuti. Quello che si vede nelle città grandi e piccole, ma oramai non risparmia nessun luogo della Penisola, è uno spaventoso affollamento che assedia le vie dove è più alta la concentrazione di negozi che espongono merci di ogni tipo. Negozi luccicanti e suadenti, abilmente addobbati e letteralmente presi d’assalto come se le nostre case non fossero già oltre misura sovraccariche di oggetti, al novanta per cento inutili, inerti ed inutilizzati come cose morte. Una bulimia collettiva per l’accumulo che è materia da psicanalisi. Aumenta lo stress individuale, aumentano i livelli del rumore assieme a quelli dell’inquinamento atmosferico perché la mobilità automobilistica diventa ancora più intensa. Iniziano i botti che si protrarranno fino all’apoteosi finale della notte del 31 dicembre, con il solito prevedibile bilancio di polveri sottili alle stelle, feriti e, se ci va bene, senza che ci scappi il morto. Sparatorie come non bastassero quelle in giro per il mondo con oltre cinquanta conflitti, da terrorizzare animali domestici, anziani, bambini, ammalati. Conosco persone che da anni rifiutano di andare da amici a cena la sera della Vigilia e quella del 31 dicembre, per evitare di farsi ferire da vetri, materiale inesploso e quant’altro viene gettato sulle strade. Tutto questo nell’impotenza assoluta dei soliti proclami, divieti e consigli delle autorità varie. Eppure, se ritorno con la memoria al Natale sobrio e povero della mia infanzia, non posso non provare affetto e nostalgia del modesto presepe con le statuine di terracotta, il muschio verde e la farina bianca sui tetti delle casette per dare l’idea della neve, che con tanta cura mia madre acconciava tutti gli anni. Persino a pochi giorni dalla morte pensava al presepe; era ricoverata in ospedale e chiese al medico di poter tornare a casa almeno per il tempo di fare il presepe e poi rientrare. La sentiva come un malaugurio quella assenza del presepe in casa. Per il marito, soprattutto, ma non ce ne fu il tempo. Forse è per questo che mi è rimasto caro.
 

 

 

TENACE COME IL TRALCIO
di Marco Vitale 

                 
 
In occasione della consegna del Diploma “Il Tralcio” presso l’Oratorio della Pace di Brescia da parte dell’Associazione Amici di Padre Marcolini e UCID, sabato 3o novembre 2024 Marco Vitale ha pronunciato questa magnifica prolusione.
 
L’immagine del Tralcio è una bellissima immagine* e mi congratulo con chi l’ha scelta. Essa evoca i vigneti a tralcio lungo della armoniosa e civile agricoltura delle nostre colline, frutto di un lavoro serio e fatto con amore, qualcosa che unisce l’uomo con l’uomo, e con il territorio, la natura e il lavoro amico della natura. Ma gli amici dell’UCID e dell’Associazione Amici di Padre Marcolini che mi hanno consegnato questo riconoscimento non potevano immaginare che esso avrebbe toccato momenti fondamentali della mia vita. In primo luogo l’immagine del tralcio mi riporta ragazzino, verso i dieci anni, quando trotterellavo al seguito di un bravissimo contadino delle colline di Franciacorta (Pietro Peli, detto l’Arabo, perché la prima guerra cui partecipò fu la guerra di Libia) che mi ha insegnato tante cose fondamentali dell’agricoltura ma soprattutto mi ha insegnato il significato ed il valore di un lavoro fatto ed utile, a rispettare la natura ma anche ad aiutarla, e mi insegnò anche a legare i giovani tralci ai fili  che reggevano il vigneto.
In secondo luogo mi emoziona il fatto che il riconoscimento mi venga dato in questo luogo, in queste sale dell’Oratorio della Pace che è stato per me, come per tanti ragazzi della mia età, il più importante luogo formativo. Fuggivamo dall’orrenda scuola media e ci raggruppavamo qui, all’Oratorio della Pace, per partecipare a tornei di calcio con una squadra che si chiamava Gymnasium, anch’essa nata tra queste mura. Ma anche per imparare a ragionare insieme, a discutere in gruppo, a esprimere la nostra creatività, a capire il senso religioso della vita. Ma anche semplicemente giocare a calcio, con spirito sportivo e civile e con una guida brava non solo sportivamente ma umanamente e culturalmente, erano momenti altamente formativi.


La consegna del Diploma a Vitale
da sinistra: vice sindaco Mazzoni,
presidente Ucid Gaboardi
prof. Marco Vitale
pres. Amici di padre Marcolini, Nardoni  

Pochi anni dopo, al liceo, fu ancora entro queste mura che fummo affascinati da maestri come i padri Giulio Bevilacqua, Ottorino Marcolini, Carlo Manziana che, con i loro profondi insegnamenti religiosi sempre accompagnati da un pensiero autenticamente liberale, ma soprattutto con la testimonianza della loro vita hanno impresso in noi e nella mia formazione, nel mio carattere e nella mia etica professionale un segno indelebile. Molti anni dopo, Montini, diventato Paolo VI, dirà che l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i Testimoni che i Maestri o se ascolta i Maestri lo fa perché sono Testimoni. Noi questa grande verità l’avevamo già interiorizzata negli anni del liceo, in queste aule, grazie ai grandi Maestri - Testimoni che ho ricordato.
Un altro motivo di gioia per questo generoso riconoscimento è che esso è stato del tutto spontaneo, è stata per me una grande e gradita sorpresa, e viene da un organismo come l’UCID di Brescia fondato da Padre Marcolini, santo subito! e che fa riferimento al pensiero della DSC. Da tempo ritengo che quello della DSC sia l’unico pensiero economico credibile e con le radici solide, dopo il fallimento totale di praticamente tutti i filoni di pensiero economico contemporanei. Al primo posto di questo fallimento metto il pensiero economico della famosa scuola di Chicago che, pur zeppa di premi Nobel per l’economia, è una delle massime responsabili del disastro attuale del pensiero e della pratica economica nella quale ci troviamo. Mi riferisco al disastroso neoliberismo o, meglio, neocapitalismo lungo il quale ci siamo incamminati dal 1980 e che ha trovato la casa madre teorica nella scuola di Chicago e che è la causa principale delle ricorrenti crisi economico-finanziarie che, tra loro collegate, si susseguono come pericolose ondate di un mare in tempesta nel corso dei primi decenni del nuovo millennio.
Infine il riconoscimento del Tralcio mi rallegra e mi onora perché esso, prima di me, è stato assegnato a persone che ho tutte conosciute personalmente e delle quali ho una grande stima e considerazione. In particolare mi riferisco ai due imprenditori (Pasini e Arvedi) che sono limpidi e forti testimoni del modello di impresa positivo e responsabile che ho sempre cercato di divulgare e di insegnare. Dunque l’impresa positiva e responsabile è possibile ed è quella che l’UCID continua a sostenere e mi auguro faccia con sempre maggior consapevolezza.
Per tutti questi motivi grazie davvero, con convinzione. La Vostra decisione è, per me, di conforto e di ulteriore stimolo.


Vitale il secondo da destra
 
Ma poiché il ciclo di incontri sull’attualità di Padre Ottorino Marcolini è dedicato a “Casa, Lavoro, Famiglia” e l’incontro di oggi è particolarmente dedicato al tema della famiglia, approfitto per aggiungere qualche breve commento su questo tema. In ottobre Mimma ed io abbiamo festeggiato le Nozze di Diamante, cioè 60 anni di matrimonio felice, un traguardo significativo, importante e non facile da raggiungere, Ci vuole fortuna, una vita lunga e sana e, quindi, qualche misteriosa protezione divina per la quale rivolgiamo un devoto ringraziamento. Ci vogliano anche molti amici veri che ti accompagnano, consigliano, criticano, ti aiutano a stare nei corretti binari. Poi, forse, ci vuole una buona indole. Ma ci vogliono anche punti di riferimento e buoni Maestri.
So bene che continuiamo a chiamare famiglia convivenze che sono un inferno. È di pochi giorni fa l’XI rapporto Eures che ci documenta che “nove femminicidi su dieci vengono commessi in famiglia”. Ed è della settimana scorsa la notizia che il nuovo Ministro del Tesoro americano (Scott Bessen) è sposato con un uomo, un matrimonio gay ed ha due figli avuti con maternità surrogata. Anche questa chiamiamo famiglia. Io non ho quindi nessuna velleità didattica o moralista. Ma mi fa piacere raccontare a chi può essere interessato, a chi continua a credere nella famiglia di antico stampo quali sono stati i nostri punti di riferimento principali e i nostri maestri nel lungo e non facile cammino che ci ha portato, alle nostre felici Nozze di Diamante. Quando ci sposammo (io a 29 anni e Mimma a 26) eravamo entrambi consapevoli che con il matrimonio volevamo dar vita a qualcosa di più grande ed importante della sommatoria delle nostre due individualità. Davamo vita ad una società che offriva grandi possibilità che da soli non avremmo potuto cogliere ma che ci caricava anche di tanti doveri. Io ho sempre tenute presenti le parole che il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer, martire dei nazisti, scrisse dal carcere di Berlino, prima di finire in un campo di concentramento, alla nipote che si sposava. Una lettera intitolata: Predica di nozze dal carcere del maggio 1943. In essa Bonhoeffer fa alcune affermazioni che mi sono rimaste scolpite nella mente e nel cuore: “Il matrimonio è più del vostro amore… dalla prospettiva del vostro amore vedete solo il cielo della vostra gioia personale, ma il vostro matrimonio vi inserisce responsabilmente nel mondo e nella responsabilità degli uomini; il vostro amore appartiene a voi soli, è personale; il matrimonio è qualcosa di sovrapersonale, è uno stato, un ministero… Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d’ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore…  Col vostro matrimonio voi fondate una casa… e la casa è un rifugio a sé nell’ambito del mondo, una fortezza nella tempesta dei tempi, un rifugio, anzi un santuario”.
 


Ma maturando cresceva in noi la consapevolezza che, se fossimo riusciti a dare vita ad una buona e solida famiglia avremmo, per ciò stesso, dato un contributo positivo anche alla nostra comunità, come aveva già illustrato il grande Aristotele quando all’inizio del libro primo del Trattato dell’Economia scriveva: “lo Stato è un complesso di famiglie, di terre, di possedimenti sufficienti a vivere bene. Ed è evidente che quando (le famiglie) non riescono ad ottenere ciò, anche la comunità si sfascia. … Di conseguenza è chiaro che l’amministrazione domestica è, per origine, anteriore alla politica… bisogna quindi iniziare con una indagine sull’amministrazione domestica e quale è l’opera sua”.
 
E grazie a questi insegnanti, a questi Maestri, a questi testimoni che siamo riusciti a camminare insieme così a lungo, nei buoni e nei cattivi tempi, come ha espresso la mia cara sorella Luciana, in una bellissima poesia che ci ha dedicato in occasione delle Nozze d’Oro ma che vale anche per le Nozze di Diamante, e per le prossime nozze che saranno quelle di Titanio e per ogni coppia che ha la gioia di sentirsi impegnata in analogo cammino e che dice:


L’anniversario
di Luciana Vitale
 

Chagall - Le nozze


Il cammino fu fatica
- pioggia di giorni come foglie d’autunno -
e pena l’andare
nel sole, allegri come bambini,
oppure sulla via oscurata di nebbia
incerta e noi come estranei
quasi nemici
soli, nel dubbio,
ma dandoci la mano
ancora e sempre
ché la sfida contro il nulla
ci rese forti.
Così fu vinta la scommessa
santificato il patto.
Davanti a noi la vittoria brilla
come il cristallo della gemma
nel ventre oscuro della terra.

[Inedito 2004]
  

Nota 
*“Ramo giovane della vite e, per sineddoche, pianta della vite (Grande Dizionario della Lingua italiana, UTET).
 
 

 

 

 

 

 

 

  

SCAFFALI
di Alida Airaghi


David Bidussa

Passato, presente e futuro dell’intellettuale secondo David Bidussa
 
Lavorare stanca, scriveva Cesare Pavese. Ma oggi forse, in un’epoca di attivismo sfrenato, è il pensare che stanca di più. Analizzare, riflettere, valutare: compito che ormai viene delegato a un’unica categoria di persone: agli intellettuali. Di loro si occupa David Bidussa nel suo ultimo lavoro, intitolato appunto Pensare stanca (Feltrinelli 2024, pagine 224).
David Bidussa (Livorno, 1955), scrittore e giornalista, si è auto-definito in una intervista “storico sociale delle idee”, riferendosi a “una disciplina che comprende un mix di competenze culturali tra le quali: storia contemporanea, storia sociale, semiotica, teoria della letteratura, storia delle dottrine politiche, storia dei partiti e movimenti politici”. E in questo volume troviamo infatti accurate ricostruzioni storiche, accompagnate da acute analisi sociologiche e politiche, spesso non in linea con un’opinione comune addomesticata o addirittura dogmatica. Il volume è diviso in tre sezioni. La prima, più concettuale, si occupa di definire il profilo identitario dell’intellettuale, nella sua vocazione all’azione pubblica, che lo vede dentro e fuori dalla storia, come suo prodotto e insieme suo interprete. La seconda e terza parte propongono una divisione temporale caratterizzata da un lato dall’egemonia dei partiti politici di massa, dall’altro dall’inizio della loro dissoluzione fino alle soglie dell’attualità. Nel primo periodo si imposero fondamentali figure di “dissidenti impegnati”, di engagé non più militanti ma critici rispetto alle direttive dei partiti, considerati talvolta eretici e per questo allontanati dalla partecipazione politica diretta. Tra di loro, si alzarono coraggiose le voci di Walter Benjamin, Simone Weil e Victor Serge, riascoltate in seguito empaticamente da Hannah Arendt, Albert Camus, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte e Furio Jesi. La terza parte è dedicata agli ultimi cinquant’anni che hanno registrato la crisi delle democrazie rappresentative e la nascita dei movimenti. In relazione a questi cambiamenti si è imposta una nuova figura di “intellettuale radicale”, che rivendica per sé l’incombenza di indagare trionfi e fallimenti di chi si colloca sulla scena politica, con il proposito di allertare gli strati sociali più disorientati, impreparati o indifferenti. 



David Bidussa fa alcuni nomi rilevanti di “sentinelle” capaci di mettere in guardia, con particolare sensibilità, dalla diffusione di un pensiero a-problematico, e pacificato nelle convenzioni livellatrici: Edward Said, Susan Sontag, Tony Judt, Zygmunt Bauman, Tzvetan Todorov.
Come è andata trasformandosi la funzione dell’intellettuale nell’ultimo secolo? Desueta appare ormai la figura di guida e profeta, di predicatore o consolatore; altrettanto superata quella di dissacratore e contestatore. Bidussa concorda con Todorov nel sottolineare il necessario atteggiamento critico di chi ha il dovere di prendersi carico dei problemi e delle ansie del proprio tempo, provando a dare risposte che provochino a loro volta ulteriori domande: incarnando passione, consapevolezza, inquietudine, e incoraggiando a pensare in maniera eterodossa, senza “sdraiarsi sul senso comune”. L’intellettuale infatti non deve creare consenso, ma porre problemi. Capita invece che aspiri a conquistare un ruolo pubblico dominante, oppure a realizzare una posizione di privilegio per sé, proponendosi come specialista in determinati campi del sapere. Non è questo l’obiettivo da raggiungere: piuttosto dovrebbe assumersi il compito di portare alla luce le ambiguità del presente, per consegnare alle giovani generazioni la possibilità di costruire un futuro migliore in difesa dei propri diritti, ma superando la dimensione privata, estranea all’interesse sociale e all’identità collettiva.
 
 
 

Privacy Policy