UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 8 marzo 2025

LE SEDUTE SPIRITICHE NELLA POLITICA ITALIANA
di Luigi Mazzella



Come Romano Prodi, che il 2 aprile 1978, in pieno sequestro Moro, interpellò per avere lumi sul nascondiglio dove i brigatisti nascondevano lo statista del suo partito, gli spiriti di illustri defunti nella casa di Alberto Clò a Zappolino, così con buona probabilità Antonio Tajani deve avere evocato le anime di Silvio Berlusconi e di Alcide De Gasperi per avere un messaggio idoneo a convincere Giorgia Meloni a votare, sia pure con distinguo e cavilli vagamente  simili a quelli dei legulei che a Napoli un tempo si chiamavano “pagliette”, in maniera favorevole all’ipotesi di un  “riarmo europeo” proposto dalla teutonica Ursula Von der Leyen. 


È del tutto verosimile che dall’alto dei cieli, i due personaggi politici italiani, distraendosi per un attimo dalla loro contemplazione delle beatitudini celesti, abbiano fatto sapere al Ministro degli Esteri italiano di essere vicini alle posizioni dell’inflessibile “pulzella”, sorretta, peraltro, anche da un napoleonico Macron offerente generoso all’Europa dell’ombrello protettivo atomico francese. Rebus sic stantibus, se non avesse una valenza filosofica del tutto indipendente dal “melonismo degli stenterelli” (direbbe Carducci), il mio discorso sulla neutralità sarebbe privo di senso e completamente inutile. 
La situazione politica italiana non è quella dell’Ungheria (unico Paese Europeo a dichiararsi favorevole a una neutralità assoluta). Va detto che il nostro Ministro degli Esteri non riceverebbe lumi diversi se invece che alle anime dei defunti si rivolgesse ai suoi collaboratori ministeriali cresciuti nel clima delle direttive del Nord America dei Clinton, di Biden e degli Obama. Per puro amore di cronaca, termino ricordando che in Europa alla “neutralità” sono giunti in vari modi altri Paesi di illustri tradizioni diplomatiche.



L’Austria, nell’ottobre del 1955, vi è pervenuta con una dichiarazione del Parlamento avente valore di legge costituzionale che stabilì la perpetua presa di distanza dello Stato nei confronti delle dispute internazionali.  E ciò a seguito di un negoziato con l’Unione Sovietica che prevedeva un tale impegno per evitare che il Paese si unisse alla NATO o semplicemente permettesse l’installazione di basi militari straniere sul proprio territorio. Per altra strada, la Svezia ha imposto la sua neutralità, a partire dalle guerre napoleoniche, senza l’esistenza di alcuna norma giuridica che lo prevedesse: per effetto di un principio tradizionale della sua politica estera. La neutralità militare della Svizzera è la più antica del mondo e risale alla riforma protestante promossa da Ulrico Zwingli anche se la sua affermazione formale, dopo anni di autoimposizione fattuale, fu ribadita nel Trattato di Parigi dei primi anni dell’Ottocento. Et de hoc satis
Concludo, parafrasando liberamente Dante Alighieri: Non c’è maggior dolore che parlare del tempo felice altrui nella propria miseria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EUROPA COME E PERCHÉ
di Gian Giacomo Migone
 

Trump e Putin
 
Donald Trump ha il merito di rendere esplicita la politica estera di Washington in atto da anni. Eppure alcune semplici realtà continuano a sfuggire al profluvio di commenti scatenato da quanto si è svolto “in diretta” alla Casa Bianca, venerdì 28 febbraio: che, non da oggi, esiste un rapporto di connivenza tra Washington e Mosca; che, come ogni ostentazione di forza, quella del presidente Trump segnala una crescente debolezza, anch’essa in atto da decenni; che al declino dei protagonisti della Guerra Fredda corrisponde la loro ostilità ad un’Europa politicamente ed economicamente integrata. Ma procediamo con ordine. Ha radici profonde la volontà convergente di Biden e Putin di scatenare ed alimentare la guerra in Ucraina, come anche quella di Trump e del medesimo Putin di concluderla secondo le proprie convenienze. 


H. Kissinger

L’esistenza di una “minaccia credibile” da parte di Mosca è stata una condizione essenziale per la politica estera di Washington nel corso di tutta la Guerra Fredda. Il tentativo di Eisenhower e di Krusciov di negoziare una pace - nel c.d. spirito di Camp David - con l’incidente dell’U-2 è stato sabotato da entrambi le parti e, nel 1973, Henry Kissinger è arrivato ad imporre una riscrittura della valutazione della potenza sovietica da parte della CIA perché insufficiente a giustificare la politica egemonica nei confronti dei propri alleati. Ha breve durata l’intesa tra Reagan - anticomunista non strumentale - e Gorbaciov, effettivo liquidatore dello stato sovietico, con alcune intese di disarmo. Per i loro successori, la caduta del Muro di Berlino costituisce un trauma. Quello subìto dalla Russia è ovvio in quanto ha perso il suo impero, ma anche Sparta non ride. Ovvero Washington che, lungi dal godersi la fine della storia ed un unipolarismo che non è mai esistito, deve salvaguardare la continuità della NATO, ormai obsoleta, ma ancora essenziale per continuare ad esercitare il proprio dominio sugli alleati europei e, più in generale, surrogare la minaccia non più credibile di Mosca. 



Giunge provvidenziale l’attacco alle Due Torri e la conseguente “guerra al terrore” come occasione e giustificazione per esercitare il proprio potere, ormai prevalentemente militare; cioè tale da prescindere da quei principi e valori con cui era fondato il proprio rapporto egemonico nel mondo. Da cui guerre di aggressione vinte, in violazione di regole e principi sanciti dallONU e dal diritto internazionale, e paci suggellate da sconfitte politiche: Afghanistan, Iraq, Libia e, ora, Ucraina. Mentre si batte la grancassa riguardo ad ogni vera o presunta incursione propagandistica di Mosca, regna il silenzio sul controllo dell’Aipac - strumento di finanziamento politico gestito da un governo straniero, quello d’Israele - su almeno un terzo del Congresso di Washington, determinando la politica mediorientale dell’amministrazione Biden, accentuata, ma non modificata, da Trump la cui ostentazione di forza non fa che segnalare il declino dellimpero che ha la pretesa di rilanciare. 



La guerra di Ucraina ha offerto l’occasione all’amministrazione Biden per ricuperare la rilevanza politica dell’ex impero russo provocando l’aggressione di un avversario connivente quale Vladimir Putin, successivamente pronto e disponibile a trasformarsi in alleato di Trump nella comune impresa di spartizione dell’Europa. Antica ambizione realizzata dopo la conferenza di Yalta e pericolante dopo la caduta del Muro. Il progetto di Europa unita, che nasce durante l’esilio statunitense di Jean Monnet e ispira il Piano Marshall, viene abbandonato da Washington negli anni della sconfitta nella guerra contro il Vietnam, primo segnale del suo declino. Sconvolgerebbe ogni residua ambizione bipolare la trasformazione dell’Unione Europea, dalla sua attuale configurazione burocratica e filoatlantica in uno stato federale di 450 milioni di persone, che viene a costituire una delle tre maggiori potenze economiche e politiche in un sistema multipolare rispetto al quale la Cina costituisce lancora con liniziativa dei BRICS. Soprattutto Washington - da Nuland a Trump - non sopporterebbe un legittimo erede di valori democratici, con una esplicita vocazione pacifista di cui non è dotata, meno che mai ora.


Purtroppo l’Unione Europea, nella sua attuale configurazione, sotto la presunta guida di Ursula von der Leyen, più che mai lacerata dal divide et impera di Washington, non è all’altezza della sfida in atto. Essa blatera di una spesa militare stellare, concepita a misura di una NATO a questo punto ridotta ad una presenza nucleare e logistica incontrollata, di marca statunitense, in combutta con l’ormai alleato di Mosca, rispetto al quale si invoca una difesa europea. Gli Stati Uniti d’Europa, per risultare tali, dovrebbero innanzitutto dotarsi di regole maggioritarie per una politica estera di pace, così da garantire la propria sovranità, effettivamente integrata, e quindi tale da giustificare una difesa integrata che consentirebbe economie di scala. Utopia? Certamente nelle circostanze attuali. Ma, come tutte le utopie - non mi stanco di ripeterlo - indispensabili perché indicano la direzione in cui procedere. Con bandiere della pace, accanto a quelle dell’Europa, come suggerisce Tomaso Montanari.

venerdì 7 marzo 2025

DUE FOCOLARI
di Angelo Gaccione


 
Sono stati diversi gli intellettuali di origine ebraica a dire di non credere più nello Stato ebraico, e che Israele “è diventato oggi dannoso per gli ebrei”. Da noi non se ne trova traccia sui giornali, ma Peter Beinart si è spinto fino a parlare di bancarotta morale di Israele. Se posso aggiungere un tassello anch’io, direi che il governo israeliano si è coperto di disonore agli occhi del mondo intero, e il metodo di colpire alla cieca adottato contro la popolazione civile inerme palestinese, premeditatamente, deliberatamente, lo ha reso alle nostre coscienze spregevole come le orde hitleriane. Beinart ha preso le distanze dallo stato ebraico con queste parole: Dopo generazioni, gli ebrei hanno concepito lo Stato ebraico come un tikun
 (il termine, di origine biblica, significa “riparazione”), un rimedio, un mezzo per superare l’eredità del genocidio. Ma ciò non ha funzionato. Per giustificare l’oppressione dei palestinesi da parte nostra, l’idea di uno Stato ebraico ha richiesto che vedessimo in loro dei nazisti (…) Il vero tikun risiede nell’uguaglianza, in un focolare ebraico che sia anche un focolare palestinese. Solo aiutando i palestinesi ad avere accesso alla libertà noi ci libereremo del peso del genocidio”. La macelleria condotta dal governo e dall’esercito (mai generalizzare superficialmente accusando l’intera popolazione israeliana, altrimenti si corre il rischio di essere additati anche noi disarmisti italiani come responsabili dell’invio delle armi nei teatri di guerra deciso dal governo e dal Parlamento contro la nostra volontà) forse ha distrutto per sempre l’idea che era stata di tanti: due popoli due Stati. Personalmente ho sempre scritto e detto che a questa formula andrebbe aggiunto l’aggettivo plurale disarmati. Senza questa misura non ci sarà mai pace, anche se di Stati se ne creeranno due. Ma dove trovare un’autorità morale tanto credibile per questo scopo?  

 

LA “NEUTRALITÀ” TRA MUSSOLINI E I SANTI 
di Luigi Mazzella


 

Il termine “ripudio della guerra”, di cui parla l’articolo 11 della Costituzione, intende esprimere qualcosa di più di un semplice rifiuto; è il risultato di una scelta decisa e senza possibilità di compromessi. In altre parole, per chi ripudia la guerra, essa sarebbe solo una “res inter alios acta che, sul piano della pura razionalità, non dovrebbe scuotere chi ne ha una ripulsa profonda e meditata e si dimostra saggiamente refrattario a farsi convincere dalle contrapposte (e spesso ugualmente false) propagande dei belligeranti. Ancora: l’approdo naturale per chi “ripudia” la guerra dovrebbe essere la “neutralità” del proprio Paese, perseguita, con leggi o iniziative referendarie adeguate, da Governanti e Parlamentari che non amano tenere a lungo il prosciutto sugli occhi. Tutto ciò a livello di pensiero puro e libero. In pratica e nella  confusione dei convergenti, seppure opposti o quanto meno diversi, irrazionalismi Occidentali, purtroppo, non è così. 


Tajani e von der Leyen
due facce della guerra

In Italia, per esempio, a tacere del motto Mussoliniano sugli Italiani come un “popolo di eroi” e della sua retorica sui “battaglioni della Morte creati per la Vita”, continuano ad avere un peso rilevante le dissertazioni di un dottore della Chiesa cattolica, fatto “santo” (Agostino) sulla “guerra giusta”, che, riprese da un altro santo (Cirillo di Alessandria) e sviluppate da Tommaso d'Aquino,   sono state tenute ferme dalla Chiesa fino a nostri giorni. E si tratta, è bene precisare, di valutazioni moderate perché la cultura religiosa di origine mediorientale ha elaborato e diffuso anche il concetto di “guerra santa”, ben più gravido di conseguenze criminali. Orbene, rifiutare con dichiarazioni di “neutralità” una guerra “santa” o anche solo “giusta” ha il valore di una blasfema bestemmia.


Calenda, la faccia della guerra

Ecco, perché l’espressione, comparsa molte volte nel mainstream diffuso dal sistema massmediatico dell’Occidente, nella sua più profonda sostanza non è stata smentita neppure da Papa Francesco che ha parlato sempre di pace tenendosi ben lontano dall’idea di dichiararsi “neutrale” rispetto al conflitto russo-ucraino. Non deve meravigliare, quindi, che la neutralità e il connesso desiderio di pace mal si concili con le posizioni, nel migliore dei casi, tiepide, espresse da molti uomini politici italiani, anche sedicenti “laici”, in queste ultime ore. E ciò, non solo della Sinistra più oltranzista (una Schlein forsennata ha dato, come suole dirsi, “i numeri”) legata al Partito Democratico mondiale, ma nel Centro (un Calenda, con la faccia “da funerale” si è mostrato sugli schermi ispido e bellicoso) e persino nella Destra (Taiani, è divenuto stranamente loquace, dopo prove di persistente mutismo). Guerrafondai in pantofole, per amore della fede (religiosa o politica) hanno voluto dimostrare di avere, come si diceva un tempo, “l’Achille in seno” e di essere pronti a smentire il “prode Anselmo”, muovendosi per davvero. Il quadro è desolante ma non preoccupa gli Italiani: la confusione mentale sullo Stivale ha data antica. E l’Italia in questo desolante quadro non è sola. I “cinque malfattori dell’umanità” (cresciuti di numero dopo Baruch Spinoza) hanno uniformato l’Occidente.

 

DOMENICA AL PASSANTE




giovedì 6 marzo 2025

L’ITALIA NEUTRALE
di Luigi Mazzella
 


La guerra è nemica della cultura e i criminali sono i governanti


La scelta dei luoghi che dovrebbero costituire i “siti del cosiddetto Patrimonio dell’Umanità”, culturale e artistico ma anche naturale e paesaggistico, non può essere affidata, con buona evidenza, al solo Occidente e peggio ancora ai rappresentanti di una cultura eurocentrica, quale si desume che sia quella dominante nell’UNESCO. Oltre tutto porre sullo stesso piano di distruttività, come fa quell’organismo, i conflitti armati (che derivano dalla stupidità e malvagità umana) e le condizioni climatiche (legate a fattori cosmici) è piuttosto sconcertante. Ciò d’altronde non esclude che i dati fin qui elaborati possano risultare confermati in una più ampia e diversa sede internazionale ove siano presenti non solo funzionari pubblici europei ma anche operatori privati nel settore del turismo mondiale. Anche sul problema dell’individuazione dei siti più pregevoli e importanti da sottrarre al pericolo di distruzione, le idee correnti in Occidente sono ritenute, a livello mondiale, piuttosto confuse e non sfuggono a critiche anche serrate. Per ciò che riguarda l’Italia, la cui primazia nel globo sembra essere universalmente riconosciuta (non solo quindi dall’UNESCO) sia per le bellezze artistiche sia per quelle naturali, ritengo che sia proprio la legislazione nazionale a essere carente sotto il profilo della prevenzione dei pericoli di distruzione la cui gravità maggiore è data, senza ricorrere a inutili ipocrisie, dai conflitti armati.  
Ergo: la prima, evidente responsabilità è quella dei rappresentanti del popolo in Parlamento e dei Governanti che non rendono la protezione adeguata a difendere un “bene” collettivo di inestimabile valore. Per preservare un patrimonio di tale ricchezza culturale e paesaggistica la neutralità del Paese in qualsiasi tipo di guerra che non sia chiaramente e indiscutibilmente difensiva è una priorità necessaria e ineludibile che non può essere ancora ignorata a lungo. Ed è l’unica via possibile dopo che, cervelloticamente, non si è voluto tenere nel debito conto l’argomentazione secondo cui la NATO, traendo la sua ragion d’essere politica dalla necessità di difendersi dall’eventuale aggressione dei Paesi del Patto di Varsavia, avrebbe dovuto sciogliersi con il crollo dell’Unione Sovietica e con la conseguente caduta e fine del Patto. Pur essendo fondata su una logica rigorosa sul piano consequenziale la tesi è stata del tutto disattesa dall’Occidente, patria dell’irrazionalità più assoluta.
Domanda: Che fare? In primis, partire dalla constatazione che l’articolo 11 della Costituzione è solo un inganno perpetrato a danno degli Italiani con l’uso della roboante espressione terminologica “ripudio della guerra”. Si tratta di uno specchietto per allodole con l’insidia nascosta nei “distinguo” criptici (se non subdolamente mascherati) dello stesso articolo. Come poi è stato, invece, molto chiaramente enunciato nell’articolo 117 della stessa Carta fondamentale nella versione in vigore dal 2014 in poi. E ciò imponendo il rispetto oltre che della Costituzione (peraltro, ovvio) dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. È qui che casca l’asino e la guerra “ripudiata” nell’articolo 11 ritorna nell’italica alcova con l’articolo 117 della stessa  Costituzione. Naturalmente la filiale italiana del Partito Democratico Transnazionale dei Biden e degli Obama, per bocca della Schlein (che pure, da mezza svizzera dovrebbe conoscere i vantaggi della neutralità), farebbe fuoco e fiamme. I “Democratici” mondiali (uniti dalla CIA e dai servizi deviati) non vogliono allontanare l’Occidente da quel cupio dissolvi che consegue all’irrazionalità della sua forma mentis e al suo legame alla “cultura di guerra” (e di morte) uscita sconfitta dalle urne elettorali americane. Fortunatamente, la vittoria di Trump ha cambiato le carte in tavola ed una neutralità italiana potrebbe anche garantire al Bel Paese di non finire nella sacrosanta lista dei reprobi guerrafondai!

 

LA GUERRA È CONTRO I LAVORATORI
 

La faccia della guerra

Disertare la manifestazione truffaldina indetta dal quotidiano guerrafondaio la Repubblica!  
 
È prevista per sabato 15 marzo una "piazza per l'Europa" lanciata da la Repubblica, quotidiano controllato dalla famiglia Elkann che a sua volta partecipa nel settore militare attraverso Iveco Defence Vehicle. Avviene proprio in un momento storico come questo, nel quale la UE spinge, contro qualsiasi logica di buon senso e contro l'inizio di una trattativa di pace, per una guerra ad oltranza con sangue ucraino, una politica di inasprimento delle sanzioni contro la Russia e dove in queste ore Ursula Von Der Leyen ha dichiarato l'intenzione di mettere in campo 800 miliardi di euro per il riarmo senza vincoli del patto di stabilità solo per questa voce, non certo per la sanità, l'istruzione, l'ambiente e le pensioni.



La politica UE va nell'interesse del padrone del quotidiano la Repubblica e non della massa dei lavoratori. Per questo è quanto meno bizzarro l'annuncio della partecipazione nella stessa piazza dei sindacati confederali: a costoro non sono bastati gli effetti nefasti della guerra e delle sanzioni, dal carovita al calo costante negli ultimi 23 mesi della produzione industriale, dalla crisi del settore auto alla perdita di competitività industriale fino al soffocamento delle famiglie con le bollette di luce e gas. Oltretutto è evidente che l'obiettivo della manifestazione sia quello di disorientare il movimento contro la guerra indirizzando l'opinione pubblica verso un generico e idealista sostegno alla UE guerrafondaia.

"Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico."


 

Comitato Contro La Guerra - Milano

 

 

EUROPA UNO SPAZIO POLITICO
di Franco Astengo


 
Al riguardo della manifestazione organizzata dal quotidiano guerrafondaio la Repubblica per il 15 marzo.
  
La partecipazione alla manifestazione sull'Europa organizzata da la Repubblica per il 15 marzo va sottoposta, a sinistra, ad una seria riflessione.
Soprattutto bisognerebbe evitare di cadere nella trappola del riarmo della Germania. Evitare la trappola non tanto per similitudini con fatti antichi ma, perché di questo si tratta nel momento contingente quando la Von der Layen lancia l'idea e spara cifre a centinaia di miliardi. Prima di tutto l'ipotesi di un esercito europeo è tutta di là da venire. In questa situazione la Germania è la sola a disporre di una siderurgia all'altezza di una produzione capace di soddisfare un'ipotesi di adeguato riarmo (torna qui il tema della capacità industriale di ogni singolo paese con particolare riferimento all'Italia). La Rheinmetall produce già carri armati e Leonardo è junior partner mentre è noto che l'industria meccanica italiana è del tutto sussidiaria a quella tedesca.
Inoltre si tratterebbe di un riarmo "da combattimento sul terreno" perché la migliore tecnologia missilistica e dei droni sta da altre parti e questo è un altro elemento da considerare. Quanto al nucleare la messa a disposizione del loro potenziale da parte di Francia e Gran Bretagna vale più o meno un decimo del potenziale russo (che rimane numericamente il più consistente) e americano, oltre al presentarsi del problema di a chi sarebbe assegnato il comando strategico (sempre con riferimento all'assenza di un esercito europeo). 



Quindi le manifestazioni pro-Europa come quella indetta da la Repubblica per il 15 marzo non possono considerarsi "neutre" da questo punto di vista e la presenza di bandiere di un solo colore e un solo simbolo farebbe perdere di vista l'obiettivo paradossalmente causando confusione e non chiarezza. La sinistra dovrebbe aver l'obbligo di caratterizzarsi autonomamente elaborando un progetto di pace anche e soprattutto rispetto al proprio territorio. Non c'è traccia di idee che un tempo pure circolavano a Est come a Ovest (penso al Piano Rapacki su di una zona smilitarizzata al centro del continente). Ribadisco un giudizio di totale disarticolazione delle istituzioni sovranazionali, anche di quelle elette a suffragio universale come il Parlamento Europeo che non ha trovato la forza e la capacità di riunirsi in sessione straordinaria e andrà in sessione ordinaria il 10 marzo. Nessuno tra l'altro valuta i tempi di un possibile riarmo in conseguenza di una riconversione industriale che comporta problemi di materiali, trasformazione di linee di montaggio, dimensione degli impianti, tecnologia. In Italia l'operazione contraria, cioè di dismissione dell'industria bellica dopo la seconda guerra mondiale durò all'incirca quindici anni dal 1945 al 1960 cioè alla vigilia del boom quando una parte della siderurgia fu abbandonata e l'industria cominciò a lavorare sui prodotti del consumo individuale oltre l'auto gli elettrodomestici e la televisione per rendere il tutto accessibile al grande pubblico, più o meno in contemporanea con la nazionalizzazione dell'energia elettrica e lo sviluppo della telefonia che con la SIP cominciò ad entrare nelle case della piccola borghesia e della classe operaia con il telefono duplex. Quanto tempo occorrerebbe oggi per una operazione all'inverso sia pure usufruendo di tecnologie ben diverse? Armarsi significa pensare alla guerra: è questo un inevitabile orizzonte? Anche e soprattutto per questo serve subito una proposta di pace considerando l'Europa uno spazio politico e non acriticamente come un bene in sé, e agendo di conseguenza a quel livello. Insomma è più realistica una proposta di pace che un'utopia di un armamento davvero difficile da realizzare.
 

 

DIVORATORI DI SUOLO
Alla Coop La Liberazione




mercoledì 5 marzo 2025

VOGLIA DI GUERRA
di Angelo Gaccione


 

Eurotossici drogati di guerra


Che i vertici del Parlamento Europeo vogliano la guerra non ci sono più dubbi. Gli eurotossici che il drogato di guerra laburista Starmer ha riunito a Londra lo ripetono apertamente e si stanno attrezzando alla bisogna. Parlano di riconversione dell’industria automobilistica in industria di guerra, di Banca di guerra, di esercito comune di guerra, di economia di guerra, di investire una quantità spaventevole di miliardi e miliardi di euro per la guerra. Fra le più assatanate guerrafondaie spiccano la von der Leyen e la Kaja Kallas, il presidente dimezzato francese Macron, il primo ministro Pedro Sánchez (si definisce socialista ed è persino segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo. Poveri miliziani, e poveri caduti nella guerra di Spagna!), il presidente del consiglio polacco Tusk (si vede che alla Polonia non sono bastati né il sangue versato durante la Seconda guerra mondiale né le distruzioni), e persevera, come se niente fosse, il tedesco Scholz a cui gli elettori della Germania hanno dato una sonora sberla elettorale. 



Da noi i più agguerriti sono i “progressisti” del Pd, i “moderati” di Forza Italia (meno male che sono moderati), i clan insignificanti, ma pur molto loquaci di quello che resta dei radicali (ve le ricordate le loro marce per la pace? Che brutta fine!), dei Calendiani, dei Renziani, dei Totiani, dei Lupiani e altra frattaglia che, come scriverebbe il mio compianto amico scrittore Giuseppe Bonura se fosse ancora in vita: “si riuniscono in una cabina telefonica”; naturalmente i “patrioti” di Fratelli d’Italia e il loro ministro dell’Offesa al buon senso che si preoccupano talmente tanto della patria da prepararsi a ridurla in misera con un vertiginoso impiego di miliardi per la guerra, ma non sono in grado di garantire negli ospedali pubblici un miserabile esame se non a distanza di 10 mesi. Se vuole una prova la “statista” della Garbatella Giorgia Meloni, le posso mandare la prenotazione della mia defecografia fissata in novembre, o quella della visita oculistica prevista fra un anno. 



Se continuano su questa follia militarista e guerrafondaia è prevedibile che la “loro” patria la faranno ridurre, prima ancora, in cenere. Se non amassi sfegatatamente la mia patria e la mia lingua, tiferei perché quattro missili nucleari cadessero sui quattro punti cardinali della Capitale e cancellassero questi drogati di guerra con le loro famiglie, i loro beni, i loro privilegi, al più presto possibile. E invece mi tocca usare la ragione e dannarmi per tentare di disintossicarli dalla loro follia, unendo la mia voce a quanti la ragione non l’hanno ancora perduta. Dopo il Comunicato di Londra stilato da Starmer e le dichiarazioni di Macron e von der Leyen - che sono un aperto sabotaggio al tentativo di negoziato per far finire la carneficina in Ucraina e trasformare l’Europa in una macchina da guerra - questo genere di Europa ai miei occhi è divenuta matrigna e deve implodere. Dobbiamo lavorare perché si sfasci prima possibile; dare un sostegno a questo genere di Europa è dare un sostegno alla terza guerra mondiale. Questo tipo di Europa che non ha mosso un dito in tre anni per trovare una via d’uscita diplomatica al conflitto russo-ucraino, che saccheggia risorse ai cittadini dell’Unione per diventare un bastione armato, che ha paura della parola pace, che è diretta e governata da irresponsabili e dilettanti, questa Europa si è rivelata non solo inutile ma concretamente pericolosa. 



Per quanto mi riguarda non eserciterò più il mio diritto di voto a meno che non si prenda subito coscienza dello stato delle cose e si metta in piedi una forza che aggreghi su un punto comune: la pace, uomini e donne del nostro Paese e collabori in tal senso con quanti in Europa sono favorevoli al disarmo e a risolvere le controversie internazionali in modo pacifico. Ovviamente non sosterrò la manifestazione ambigua e inutile indetta a Roma il 15 marzo, e che avrebbe dovuto unire sotto un’unica parola d’ordine: Basta guerra! gli italiani stufi di carneficine e vessati da un carovita che è divenuto un vero e proprio mercato-nero legale con prezzi alle stelle e che ha impoverito ancora di più i ceti popolari.          

INDUSTRIA DI GUERRA E NUCLEARE    
di Franco Astengo


 
Il deficit della sinistra nella capacità di progettare una visione alternativa di società e di modello di sviluppo sta misurandosi con una realtà molto difficile che l’attualità ci pone di fronte ogni giorno. L’esito delle elezioni USA ha portato in una situazione in cui l’effetto immediato sarà quello del rovesciamento delle istituzioni sovranazionali compresa l’Unione Europea. 
La condizione generale di conflitto e di conseguente crisi energetica in relazione al modello di sviluppo capitalistico impostosi negli ultimi anni sta portando a un disegno di mutazioni già in atto: ad esempio guardando all’Italia Leonardo in joint venture con il colosso Rheinmetall per la produzione di mezzi corazzati e l’attività di Iveco Defense ma si coltiva anche l’idea di un piano segreto del governo per riconvertire parte dell’industria automobilistica in industria bellica. 



In questo momento l’industria bellica appare essere quella dall’impatto più positivo dal punto di vista del rendimento economico: uno studio del Senato dimostrerebbe che per ogni euro di valore aggiunto creato dal settore Difesa, si generano un euro e sessanta centesimi addizionali di valore aggiunto: il 71% in più rispetto alla media nazionale. Tutto questo sistema però, almeno a nostro giudizio, finirebbe con il convergere all’interno della filiera produttiva tedesca per ragioni di materie prime, capacità tecnologica, know-how complessivo.
Egualmente per quel che riguarda il rilancio del nucleare definito di seconda generazione: in realtà rimangono ferme tutte le ragioni “storiche” del rifiuto (in Italia suffragato anche da due consultazioni referendarie), in primis il tema dell’allocazione delle scorie e dell’intreccio inevitabile tra civile e militare. In ogni caso per quel che riguarda l’Italia rispetto al tema nucleare rimarrebbe comunque una difficoltà di approvvigionamento e di ritardo tecnologico. Il vero nodo di questa situazione risale però alla difficoltà di espressione di un modello alternativo a quello di un impianto industriale complessivamente orientato verso la guerra, compresa l’evoluzione costante della tecnologia e dello sviluppo scientifico come nel caso dell’utilizzo dell’AI.



Nasce da queste constatazioni la proposta del “socialismo della finitudine” che si coglie l’occasione di rilanciare in questa sede. “Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo, di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di un programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante secondo i principi della programmazione democratica e una visione di “società sobria” di forte tensione verso l’uguaglianza e fondata sull’intervento pubblico in economia verso settori decisivi dell’industria, dell’ambiente, dei trasporti, della scuola(la cui priorità di intervento dovrebbe essere quello di affrontare il deficit cognitivo che assilla diversi settori sociali) della sanità. Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l’emergere di tensioni “dittatoriali” sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si sta attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione” e di evidente ripresa del nazionalismo. “Socialismo della finitudine” come elaborazione resa al fine di realizzare un mutamento sociale posto nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo a una nuova realtà di responsabilità collettiva per avanzare un disegno di mutamento nell’offerta politica.
 

 

  

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