UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 31 agosto 2015

GLI ALBERI MASSACRATI DI MILANO


PISAPIA E IL PESTO MILANESE
di Luigi Caroli

Per quattro anni lodi sperticate
e quarantotto verità “cambiate” (una al mese).
Effetto è “comunicazione”:
“fatto sostituir con l’opinione” (lautamente retribuita).

Avea puntato tutto sull’ascolto
sol tempo ai muti ha dedicato molto.
Insiste adesso: “Giulian, rimani!” Mazzi
e al tempo: “Assessor brillan per lazzi”.

Se “rock” lo definiva Celentano
idea cambiò con monchi alberi in mano.
“Buio” expottimista non vede “pesto”
è stato Pisapia a colmar cesto.

Lo fecer già Albertini e Moratti
coi segaioli, stretti ricchi patti.
Ne ha rase quattromila d’alto fusto
si vanta d’aver fatto tutto giusto.

Dice: “Ne ho messe ben settantamila”
piantine di basilico tutte in fila.
Verdassessora propina piatti pronti (tramette al pesto)
coi dati suoi non basta far bis conti!!

Non rammenta Giulian d’essersi scusato
per piante di Stazion aver tagliato?
(sul viale che costeggia la Stazione Centrale)
Disse ch’era previsto abbatter poche
e l’altre avean seguito come oche…

…avean capo chinato sotto la sega
mentr’assessora facea la messa in piega.
La strage già qualcuno avea previsto  
E di Moneta il conio era sul visto 
(cioè sull’ordine di tagliarle tutte).

Moneta, direttor dipartimento
ne mette una. Conta almeno cento.
Con Sala ingaggiar vuol grande duello:
chi avrà di lor naso più lungo e bello?

[27 agosto 2015]



ALCUNE OPINIONI SULL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE
DI MILANO

Mons. Luis Infanti (vescovo della Patagonia cilena)
Il territorio mistico, l´abbondanza di acque e la poca popolazione fanno della Patagonia Cilena una regione di speciale conquista per le multinazionali. ENEL è proprietaria del 96% delle acque della regione di Aysén (Patagonia Cilena) e ha in progetto di costruire 5 grandi dighe per produrre idroelettricità per le grandi miniere del nord del Cile (a 3.000 Km). L´opposizione e la resistenza della popolazione (chiesa inclusa) e della società cilena hanno frenato (per ora) il mega progetto. Resta sempre il problema della proprietà monopolistica dell´acqua, promossa in Cile dalla stessa Costituzione Politica dello Stato (redatta e approvata nella dittatura di Pinochet). Di fronte a questi problemi ho scritto una lettera pastorale sul tema dell´acqua (ambiente, energia, conflitti di poteri…): “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana” (2008).

Susan George (Transnational Institute Amsterdam/Parigi)
Sono favorevole a conoscere le culture di altri Paesi e la loro cucina, ma lo slogan di EXPO "Nutrire il pianeta" mostra che gli organizzatori non hanno compreso nulla di cosa significa costruire un mondo senza fame e malnutrizione e sono incapaci di comprendere il ruolo negativo che l'agrobusiness, presente in forze ad EXPO, gioca nel nostro sistema alimentare. Dare una possibilità, significa abbastanza terra e reddito sufficiente; le persone si nutrono senza fare appello all'EXPO o a uno qualsiasi dei suoi partecipanti

Paul Nicholson (Via Campesina Internazionale)
Allevamenti di piccole dimensioni possono raffreddare il pianeta e il mondo contadino può sfamare la popolazione. Già ci sono segnali di cambiamento a fronte delle politiche neo liberiste  e dei cambiamenti climatici, i contadini stanno sviluppando e perfezionando modelli agro ecologici di produzione, stanno creando mercati alternativi per difendere la terra, l'acqua e i semi di fronte alle politiche di privatizzazione e all'agrobusinnes.

Padre Alex Zanotelli (missionario comboniano)
Expo 2015 è la grande vetrina del nostro sistema economico-finanziario: un Sistema assurdo dove l’1% della popolazione mondiale ha più del 99% della stessa, secondo le stime di OXFAM. Altro che “Nutrire il Pianeta”, come recita lo slogan dell’Expo di Milano! Sono le stesse multinazionali del cibo, così ben rappresentate all’Expo, ad affamare un miliardo di esseri umani e ad ingozzare un altro miliardo, rendendoli obesi. Senza parlare dell’altro slogan Expo: ”Energia per al vita”. Dovremo invece dire che l’energia di questo Sistema, prodotta utilizzando il petrolio e il carbone, sta portando il Pianeta a una spaventosa crisi ecologica. Se vogliamo salvarci, dobbiamo lasciare il petrolio e il carbone nel sottosuolo. Altrimenti il Pianeta Terra non sopporterà più la presenza di Homo Sapiens, che è diventato Homo Demens.

Vittorio Agnoletto (Associazione CostituzioneBeniComuni)
"Dietro ogni grande fortuna c'è un crimine" scriveva Honorè de Balzac. Dietro i vestiti scintillanti, le vetrine illuminate, i cibi colorati e i padiglioni sfavillanti di Expo [anche se già cadono a pezzi dopo 24 ore dall'inaugurazione] ci sono i responsabili di ogni essere umano che muore di fame. Hanno nomi e cognomi, sono le grandi corporations dell'agrobusiness, coloro che hanno privatizzato l'acqua e i semi, sono i governi responsabili delle politiche liberiste, dei sussidi alle grandi multinazionali agroalimentari, delle politiche di water e land grabbing. La "Carta di Milano" è un contenitore vuoto ed inutile, l'unica eredità di Expo saranno i debiti milionari che i cittadini milanesi e lombardi dovranno pagare per i prossimi anni.

Gianni Barbacetto (giornalista de "Il Fatto Quotidiano")
Expo con suoi ritardi, gli sprechi, la corruzione, le infiltrazioni mafiose e la retorica dell'evento di cui non si deve parlar male altrimenti si è nemici della patria e della ripresa – ormai è partito e, come diceva Chiambretti, "comunque vada sarà un successo". Quel che resta aperto è il destino dei terreni: che cosa fare su quell'area immensa dopo la fine di expo? La domanda, finora senza risposta, sul futuro di un'area  privata, agricola, inutilizzabile, che valeva 20 milioni e che ora ne vale 314, qualifica expo come operazione immobiliare. Operazione oltretutto fallita, perché nessun operatore privato si è fatto avanti per comprare i terreni, con il rischio di lasciare un debito milionario al comune di Milano e alla regione Lombardia, cioè ai cittadini.

Piero Basso (Associazione CostituzioneBeniComuni)
Deficit di partecipazione.  Nel 1901 il sindaco di Milano chiese ai cittadini se il Comune dovesse prioritariamente finanziare la Scala o l'istruzione elementare. Qualche anno fa la scelta avrebbe potuto essere tra la grande esposizione universale e i mille bisogni della città, dagli asili-nido alle case di riposo, dalle case popolari al trasporto pubblico, al sostegno all'occupazione. Oggi l'esposizione è partita e direttamente o indirettamente coinvolge tutta la città, appannando il ricordo degli scandali del "prima", e i grossi problemi del "dopo". E sono convinto che la soluzione migliore per il "dopo" possa essere trovata solo con la partecipazione piena, attiva e cosciente (perché informata) di tutti i cittadini e le cittadine. E' questa partecipazione che vogliamo sollecitare e promuovere

Monica Di Sisto (Comitato Nazionale STOP-TTIP)
L'Expo all'italiana è il tentativo di raccontare agricoltura e cibo e modellarli per intero sull'identità e le esigenze di quel 10% della produzione che viaggia attraverso le filiere globali. Ci vogliono far credere che possiamo coltivare, allevare, scambiare, salvaguardare solo quello. In realtà ciò che regala la vita e il suo sapore alla maggior parte degli abitanti del pianeta è tutto al di fuori di quei patinati tornelli.

Mamadou Goita (Associazione contadini Africa occidentale)
Occorre che i mercati funzionino per le persone e non il contrario, i produttori di piccola scala, che già garantiscono in Africa l'80% del cibo prodotto, devono essere al centro delle politiche agricole ed alimentari.

Marco Job (Comitato Italiano per il Contratto Mondiale dell'Acqua)
Expo 2015 con la sua "Carta di Milano" sembra essere una grande sagra del buonismo. Grande assente è il tema della responsabilità dei Governi, delle Istituzioni internazionali e delle multinazionali; i primi nell'aver creato regole che sono la causa delle attuali iniquità e le multinazionali nell'essere le protagoniste dei processi di accaparramento privato di beni comuni: acqua, terra, in primis. L'acqua è un bene fondamentale nella produzione di cibo e di energia; l'assetto futuro delle nostre società dipenderà da come saranno gestite le risorse fondamentali alla vita come l'acqua. La risoluzione dell'Assemblea dell'ONU del 2010 ha riconosciuto l'acqua un diritto umano e resta oggi una risoluzione in larga parte inapplicata. Dobbiamo dotarci di strumenti giuridici che vincolino prima di tutto gli Stati a rendere concreto il diritto all'acqua e a fermarne la privatizzazione in tutte le sue forme.

Chukki Nanjundaswamy (Via Campesina, India) 
L'agroecologia è un sistema di vita, di produzione, di commercializzazione che può aprire possibilità per i giovani e le donne in India. Le donne sono coinvolte dal seme alla trasformazione dei prodotti, anche se la proprietà della terra resta nelle mani degli uomini. I giovani possono trovare opportunità attraverso l'economia solidale, cosa che li tratterrebbe dal migrare verso le città

Nora McKeon (Associazione Terranuova)
All’EXPO del 2015 si metteranno in mostra le “migliori tecnologie” per cercare un modo migliore di alimentare il pianeta tuttavia il vero problema è un altro ed è politico. La responsabilità della sicurezza alimentare che era compito degli Stati è stata svenduta a mercati e corporazioni mentre gli attori in prima linea,  come i piccoli produttori agroalimentari locali, hanno perso ogni loro diritto.

Curzio Maltese (parlamentare europeo "L'Altra Europa con Tsipras")
L’Expo 2015 è soltanto una fiera, tanto costosa per le casse pubbliche quanto vantaggiosa per le multinazionali in passerella. Un’occasione persa, ha detto Carlin Petrini.  

Basilio Rizzo (presidente del Consiglio Comunale di Milano)
A partire dalle modalità con cui veniva realizzandosi l’EXPO 2015, scelta delle aree, di proprietà private acquistate a caro prezzo; paralizzanti scontri di potere  al vertice della società Expo; sostanziale abbandono del tema prescelto sostituito dallo schema affaristico/speculativo del sistema “Grandi Eventi” e dei connessi fenomeni di corruzione e dilapidazione di risorse pubbliche ho tenuto una linea di denuncia e di critica al modello Expo 2015, rivendicando il ritorno ai temi del cibo, dell’acqua e della sovranità alimentare beni comuni da valorizzare come centrali sia nell’evento sia nella sua eredità ideale e materiale (destinazione delle aree).

Gianni Tamino (Università di Padova)
L’Expo di Milano, lungi dal saper affrontare il problema di come nutrire tutti gli abitanti del pianeta, condizionato dagli interessi delle multinazionali-sponsor, non ha mai posto all’attenzione generale il vero problema dell’alimentazione e dell’agricoltura nel mondo: quello della sovranità alimentare.

Emilio Molinari (Associazione CostituzioneBeniComuni)
Per il governo è l'occasione per propinare al popolo italiano l'ennesima illusione ovvero: che Expo sarà il rilancio dell'economia italiana. Per tutti noi è l'occasione per denunciare le multinazionali che dominano e distruggono gli elementi fondamentali per nostra vita: l'acqua e il cibo e proporre delle alternative.

Eleonora Forenza (parlamentare europea "L'Altra Europa con Tsipras")
Expo è una vetrina che nasconde appalti, corruzione, infiltrazione mafiosa. Rappresenta un modello di sfruttamento e precarizzazione. Per questo ero in piazza il primo maggio a Milano e per questo come militante e deputata europea continuerò a contestare questa vetrina che serve per nutrire le multinazionali, non certo il pianeta.
Il blocco di Gaza deve finire


È già passato un anno dall’ultima devastante guerra su Gaza, ma migliaia di bambini dormono ancora fra le macerie delle loro case. Violando le leggi internazionali, Israele sta limitando l’entrata di qualsiasi materiale da costruzione. Ma in questo modo case, scuole e ospedali non possono essere ricostruiti, e così i bambini sono costretti a vivere fra le macerie e vanno a scuola in edifici bombardati. Ora però abbiamo un piano per cambiare tutto questo: Avaaz sta lavorando con le più grandi agenzie umanitarie per lanciare un appello urgente all’Italia e a tutti gli stati che finanziano la ricostruzione di Gaza. Essendo loro che pagano, possono insistere perché Israele revochi le restrizioni e faccia entrare i materiali da costruzione necessari. Se saremo tantissimi da tutto il mondo, Renzi e gli altri capi di stato non potranno ignorarci e dovranno andare oltre le belle parole, intensificando il lavoro diplomatico per mettere fine al blocco a Gaza. Firma la petizione sulla Rete, è inaccettabile che i nostri governi non facciano nulla per risolvere questa crisi umanitaria.

Al ministro italiano Mogherini e a tutti i capi di stato:
A un anno dalle operazioni militari di Israele a Gaza, vi chiediamo di fare pressione su Israele per mettere fine al blocco e rimuovere immediatamente legno, barre d'acciaio, cemento, aggregati e altri materiali da costruzione fondamentali dalla lista delle merci il cui ingresso è proibito nella Striscia di Gaza. I governi da tutto il mondo hanno promesso 3,5 miliardi di dollari per ricostruire Gaza, ma le restrizioni imposte da Israele sull'entrata di materiali edilizi stanno causando ritardi incalcolabili alle opere di ricostruzione. Nessuna delle 19mila case distrutte a Gaza è stata ricostruita in quest'ultimo anno. Questa situazione è inaccettabile e noi, cittadini da tutto il mondo, vi chiediamo di prendere provvedimenti immediati per mettere subito fine a queste restrizioni.
Fadi Quran (Avaaz)





Un'idea semplice ma geniale


Cari avaaziani,
Vogliamo proporvi un’idea semplice ma geniale.
Avete presente la foresta amazzonica, no? Quella che da sola fornisce il 20% dell’ossigeno e ospita il 10% della biodiversità del Pianeta, e che rimane la nostra miglior difesa contro il cambiamento climatico e l'unica casa di intere popolazioni indigene. Beh, la stanno distruggendo. Nel tempo che ci si mette a leggere questa mail sparirà un’area grande quanto 16 campi da calcio. E non stiamo esagerando. Come li fermiamo? Ecco l’idea geniale: creare la prima gigantesca riserva naturale transfrontaliera, internazionale e interamente protetta! Abbiamo già un milione di firme e l’appoggio del governo colombiano. Ora dobbiamo convincere il Brasile e possiamo sfruttare il fatto che la popolarità della Presidente Dilma non è mai stata così bassa: le serve qualcosa per riconquistare la fiducia dei suoi cittadini e sappiamo che questa idea può convincerla.
Stiamo parlando di un’area grande quattro volte l’Italia. Sembra un sogno, ma siamo veramente vicini e sarebbe una delle cose migliori che abbiamo mai fatto. Però siamo sicuri che più ci avvicineremo al traguardo e più i grandi allevatori e le compagnie minerarie faranno di tutto per fermarci. Abbiamo bisogno di un’enorme campagna mediatica per convincere Dilma al più presto! E se 50mila di noi doneranno anche solo l’equivalente di un aperitivo nelle prossime 24 ore, possiamo farcela!
Ricken Patel

sabato 29 agosto 2015

Cagliari - Campeggio antimilitarista contro Trident Juncture   
9-10-11 ottobre

Dalla Russia con stupore
di Giovanni Bianchi

Un puntuale ed illuminate reportage di Giovanni Bianchi sulla Russia


La scivolata del rublo
In un anno la Russia di Putin ha dimezzato il valore del rublo scivolando lungo la montagna di sapone della perdita di valore sui mercati del petrolio. C'entrano le sanzioni, centrano le manovre dei sauditi, come pure il rinnovato confronto con l'Occidente della Nato e di Obama. La Russia, che fa parte dei Brics, ne segue dunque la china e la musica. In un concerto globale nel quale sono le impreviste stonature a dare il clima e a creare l’atmosfera. Mentre tutto l'apparato dei media osanna o almeno asseconda il potere sempre più concentrato degli oligarchi, qualche perplessità e perfino -nelle fraternità e nelle chiese- qualche cenno apocalittico comincia ad emergere. I russi oramai vestono come noi "occidentali" e hanno diminuito la frequentazione al ristorante esattamente come noi. Parallelismi? Parallelismi che la propaganda cerca di ottundere e deviare. E allora? E allora ho abbandonato ancora una volta i numeri delle statistiche finanziarie o del Pil per occuparmi, dopo una decina di giorni di permanenza tra amici di fede ortodossa a San Pietroburgo e a Mosca, degli uomini in carne ed ossa. Come vanno i russi? Meglio la demografia e l'antropologia valgono a capire i processi sociali in atto e le trasformazioni rispetto ai calcoli e all’avidità finanziaria che li determina. Considero infatti da tempo la vita media o speranza di vita uno degli indicatori più credibili ed efficaci nel dar conto di come funzioni la salute di un popolo e quali siano quindi le sue chances di futuro.

La vita media
La vita media dei russi è tra le più basse in Europa, ed è peggiorata vistosamente negli ultimi quindici anni. La speranza di vita di un russo è oggi di 64 anni. Anzi, ad essere precisi, 58 anni campano in media i maschi e 71 anni vivono in media le donne russe. Tredici anni di differenza tra l'uno dell'altro sesso rappresentano una distanza e uno scarto notevole, irrintracciabile in altre popolazioni, dove la differenza si aggira sui cinque anni (quattro in Italia e Giappone). Le ragioni di questa fragilità del maschio russo? C'è chi punta l'indice contro l'uso di alcool. Ogni russo consuma statisticamente ogni anno 12 litri di alcool puro. Riproducendo una condizione ad Est che vede spessissimo quello che dovrebbe essere il capo famiglia debilitato dall'alcolismo, mentre la conduzione della casa viene mandata avanti dalle donne. La storia di molte badanti ucraine e moldave approdate nel nostro Paese ripete questo cliché. È a partire da questo quadro non incoraggiante che le previsioni danno una diminuzione della popolazione russa destinata a passare dagli attuali 147 milioni di abitanti (12 milioni nella sola Mosca) a 123 milioni di abitanti nel 2030. Con una perdita di 24 milioni di cittadini, pari al 6% in 15 anni. Insomma, le prospettive non sono rosee e tutto sembra attendere all'orizzonte i nuovi russi tranne il sole dell'avvenire. Eroi non si rimane. E neppure bolscevichi o internazionalisti, quasi a decretare, anche nella terra immensa che fu teatro dell'esperimento di Lenin, che la stagione storica è irrimediabilmente cambiata, la globalizzazione finanziaria è davvero globale, e che il congedo dal Novecento non esclude niente e nessuno.  Si dice da quasi sempre che la Russia è San Pietroburgo, Mosca, e poi tutto il resto: intendendo per tutto il resto le lande immense, le steppe e i borghi dispersi nel più grande Stato del mondo. E in questa terra che non finisce di stupire ritrovi il senso di una storia che ha dolorosamente sperimentato nei secoli il dolore quotidiano di legioni di contadini e servi della gleba, insieme alle più spericolate avventure del progresso che hanno tentato di dare l'assalto al cielo, fino a volerlo accartocciare in una mano. Da Rasputin, che non riusciva a morire, a Kandinsky, dai soviet più l'elettrificazione, alla "democratura" di Putin, che rischia di estendere il contagio ben oltre i confini dell'impero.


La lontananza e la vicinanza
Quanto lontani dal discorso sulla "casa comune" europea che fu comune al Gorbaciov della perestrojka e a quel Papa polacco che voleva una costruzione politica a "due polmoni", e che per favorirne la nascita non trovò di meglio che affiancare ai due patroni cattolici, Benedetto e Caterina, i due slavi Cirillo e Metodio. Tutto finito? Non credo. Putin e gli oligarchi hanno puntato su una crescita economica della quale Eltsin aveva disperato, affidando, alla russa, il proprio sconforto a dosi non consigliabili di vodka. Hanno anche pensato, diversamente da Gorbaciov, un rilancio dell'idea imperiale. Un'idea lunga nei secoli e dai molti echi nel cuore della gente, perché non va dimenticato che proprio gli imperi e le città sono stati storicamente il fattore maggiore per creare cittadinanza, prima e più degli Stati. Gli stili di vita paiono avvicinare, anche se ovunque accanto alle fogge sportive e alla stessa griffe si accompagna il vuoto inestinguibile del pensiero unico. Anche questa è similitudine. Tuttavia nessuna pubblicità e nessun guadagno finanziario possono impedire il sogno. Quello che due statisti italiani posero a fondamento del proprio progetto europeo: che l'Europa cioè risultasse la prima tappa di un progressivo governo mondiale. Quei due statisti litigavano tra loro quasi su tutto, salvo che sulla passione e il progetto d’Europa. Si chiamavano Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Gli amici russi della comunità ortodossa, progressiva e trasgressiva di Sretenie (Trasfugurazione), mi hanno anche sottoposto una serie di sondaggi, raccolti per capirne di più circa le propensioni attuali del popolo russo. Tutti concordi nel dire che testimoniare vale più che insegnare, predicare, pubblicizzare. La gente ha bisogno ovunque di indicatori credibili, è stata anche nauseata da propagande ridotte a pubblicità inconsistente.


Quale composizione sociale?
Avrei tuttavia molte incertezze nell'indicare un profilo sociologico di questa Russia. Mi riesce estremamente difficile coglierne la nuova composizione sociale. Capire quale sia oggi, nella terra che Lenin volle rivoluzionare a dispetto delle previsioni marxiane, una composizione di classe che non si allontani troppo dalle trasformazioni in atto. Tutte cose che la crisi del rublo e le infinite spregiudicate manovre degli oligarchi non sono in grado di spiegare. Sono i poveri e gli impoveriti una nuova componente di classe che attraversa la globalizzazione  e i suoi effetti? Sono quei russi che tornano alla religione ortodossa cercando amicizia e fraternità per ottenere solidarietà… Lo dicono le loro mense, senza vodka e senza alcool, ineditamente ricche di verdure e di insalate russe che cercano di occultare l'assenza di pietanze più ricche di proteine. Ho capito subito che per i miei ospiti non si trattava di un problema dietetico. È vero: la Russia continua ad essere tre  cose e a dividersi come la Gallia di Cesare in partes tres: Mosca, San Pietroburgo e il resto. L'incertezza delle metropoli in costante in espansione collega gallerie d’arte  frequentate da  giovani russi e da turisti italiani di tutte le età. Mosca continua a mostrare al mondo la più bella metropolitana che sia stata mai concepita: frequentatissima a tutte le ore, ricca d'arte, di velocità tecnologica, di un sogno di mondo che ha cercato di deviare il senso religioso dal Dio della Bibbia agli idoli della tecnica.
Ma fuori dalle due grandi metropoli è difficile capire come l'eco di questo sforzo faustiano sia in grado di arrivare e di permanere. Nelle mense periferiche gli operai hanno ancora l'aspetto dei contadini. Sembrano tolti dalle pagine di Gogol e di Gorkj piuttosto che da quelle di Bulgakov o di Platonov. Fanno parte di quella terza parte della Russia che continua ad arrancare e talvolta la giudicheresti chissà come stremata. All'epopea del kolkhoz si sono sostituite terre incolte in eccesso. E mi è venuto da pensare che nella Russia che non è più di Tolstoj una bella riforma agraria dovrebbe pur essere messa all'ordine del giorno. Mi sono commosso di fronte a qualche orto familiare, che però familiare non era, perché coltivato dalle monache dell'antico monastero di Vladimir. E mi sono ancora più stupito di qualche serra dalla quale occhieggiavano pomodori di stazza ostentatamente doppia rispetto a quelli en plein air. Forse il torto è di avere guardato alla grande madre Russia con l’occhio più del letterato o del critico figurativo, anziché con quello dell'economista. Ma la Russia che ho amato non è soltanto una grande nazione di proletari costretta a sua volta, come tutti, a congedarsi dal Novecento.


Il congedo dal Novecento
Dentro questo possibile e doveroso congedo non possiamo guardare a prescindere da questa sterminata successione di boschi che appartiene anche alla nostra storia, insieme ai suoi grandi romanzi, senza dei quali non è possibile continuare a pensare Europa.
Nessun gattopardismo. Ma neppure nessuna fuga in avanti. La politica non può fare a meno di tutte le sue fonti se non vuole produrre mostri. È la regina delle tecniche e, proprio davanti alla terra russa, dovrebbe ricordarsi d'essere, o di poter essere, anche la regina delle arti. Perché è su questo terreno che la comunicazione è destinata a continuare. Con i suoi capolavori e con le patacche, che pure fanno parte di una quotidianità irrimediabilmente internazionalizza. La globalizzazione ha ragioni che sfuggono agli stessi globalizzatori. Per cui ti capita su un ponte  di Mosca di imbatterti in una serie di alberelli che sono lì a dire le ragioni per cui quel ponte viene chiamato dalla gente, se ho capito bene, "il ponte dei baci".
È stato l’italiano Federico Moccia a scatenare nel mondo intero la mania degli innamorati di comprare un lucchetto che ne dichiara l'amore indissolubile e poi gettare nelle acque del fiume -in questo caso la Moscova- la chiave di un amore.
Un gesto di significato incommensurabilmente superiore al valore del romanzo, Tre metri sopra il cielo. Eppure così i giovani si parlano, sbriciolano i confini, promuovendo il libro  da un enorme boom di diffusione tra i licei romani a una grande notorietà internazionale. Non solo milioni di copie (come in Spagna), ma anche la ripetizione di gesti che nella loro iterazione inaugurano comuni comportamenti. Un'umanità globalizzata può anche funzionare così: ignorando il suo destino e cercando tuttavia i segnali attraverso i quali riconoscersi. Vale la pena di dare fiducia a quei gruppetti di ragazzi e soprattutto di ragazze, "vestite come da noi", che frequentano le pizzerie disseminate un po' dovunque e con le insegne in cirillico. E pazienza se a elemosinare nei tunnel della metropolitana qui sono i vecchi piuttosto che gli extracomunitari e gli zingari.





GIUSEPPE GOZZINI: NON COMPLICE   
di Renato Seregni

Storia di un obiettore
Giuseppe Gozzini
Chiunque volesse capire, oggi, una storia che egli intuisce che lo riguarda e che è l’unica da cui è possibile ripartire verificandola nei nuovi tempi e dentro una immane mutazione, può trovare conforto e convinzione confrontandosi con la storia di altre minoranze, e di una sinistra non ideologica e settaria, non smaniosa di potere e non idolatra dello sviluppo, non soltanto preoccupata di affermare una leadership e vincere. Si tratta, oggi come ieri, di affermare una diversità non spavalda, però mite e decisa nell’esprimere valori alti e insieme radicali e nell’attuare pratiche conseguenti, attenta al metodo perché cosciente che sono i mezzi a dar senso ai fini”. Così Goffredo Fofi, nella prefazione al libro “Non complice - storia di un obiettore”. Una raccolta autobiografica di scritti di Beppe Gozzini, a cura di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini  (edizioni dell’Asino). Leggere oggi di un amico col quale sei cresciuto, hai giocato e discusso nell’impulsiva età giovane, in cui il tanto esplode disordinatamente. Con Beppe cercavamo di mettere in ordine le priorità, il desiderato possibile e il discutibile impossibile. Con altri amici nati a Cinisello da famiglie operaie, cercavamo un riscatto sociale tuffandoci sui libri, frequentando, dopo il lavoro, studi serali scegliendo scuole raggiungibili in bicicletta. Nel 1955 fondammo il “Gruppo Studentesco” in balbettio di mezzi ma, con granitiche speranze di un futuro nostro. Beppe, il cui dire inciampava ma il pensiero illuminava con la massima coerenza il dire e il fare, divenne il nostro punto di riferimento. Alcuni tra noi continuarono con gli studi, altri si distinsero nel campo del lavoro. Da giovane, Beppe, chierichetto e bravino a scuola venne mandato a studiare per diventare prete: prima in un collegio diocesano, poi dai salesiani. Dal momento che la vocazione non veniva o se n’era andata, passò al Parini, il liceo (allora) più elitario di Milano, dove non resistette nemmeno un anno e decise di dare la maturità classica da solo.
La copertina del libro

Per contenere o contestare l’egemonia dell’Azione Cattolica nell’apostolato fra i giovani, l’amico organizza un campeggio estivo per ragazzi dell’oratorio di Cinisello con l’appoggio di don Mario Colnaghi, che farà il prete operaio alla Pirelli e alla Snia Viscosa. Poi, promuove un cineforum, pubblica diversi giornalini ciclostilati e con gli amici impegnati nello studio, costituisce il già menzionato “Gruppo Studentesco”, per creare momenti di riflessione su i molti problemi emergenti, coinvolgendoci in quella attività di base alla quale rimarrà fedele per tutta la vita. Ma il tempo vola: pochi gli incontri e avari gli scambi. Per mantenersi agli studi, Beppe fa il precettore dei figli dell’alta borghesia milanese. E’ durante gli anni universitari che incontra padre Camillo De Piaz e gli amici della Corsia dei Servi. Risolutivi per l’amico ventenne sono gli incontri con due “testimoni di pace”: don Primo Mazzolari e Jean Goss: il primo con il libro “Tu non uccidere”, il secondo, un operaio cattolico, segretario itinerante del Mir (Movimento internazionale della riconciliazione) che con la sua irruenza profetica scuoteva le coscienze dei padri conciliari in Vaticano. Beppe, sempre più orientato verso la non violenza, è vicino ai gruppi pacifisti protestanti, quaccheri, tolstojani, anarchici, si impegna trovando rifugio a Milano per i giovani disertori francesi della guerra d’Algeria. Frequenta la facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1961. Un giorno, sorprendentemente, l’amico Beppe lo trovammo in cronaca.
Nel novembre del 1962 Gozzini, chiamato alle armi, va al Car  di Pistoia, ma rifiuta di indossare la divisa militare a motivo delle sue convinzioni. Fino a quell’epoca, in Italia, gli obiettori di coscienza erano stati gli anarchici o i Testimoni di Geova, condannati a parecchi anni di galera. Che cosa c’entrava con loro Gozzini? I cattolici non avevano mai sollevato il problema dell’obiezione di coscienza e non erano presenti nei movimenti per la pace e per il disarmo. L’esercito era un argomento tabù. Il film “Non uccidere” del regista francese Claude Autant-Lara presentato alla Mostra di Venezia nel 1961 venne boicottato e proibito dalla censura in diversi Paesi e in Italia non ottenne il visto di programmazione. Giorgio La Pira, che osa proiettarlo in visione privata a giornalisti e uomini di cultura, scatena un putiferio. La prima fortuna di Gozzini è però quella di essere trasferito e processato proprio nella città di La Pira; la seconda è che la sua obiezione di coscienza avviene a ridosso del Concilio Vaticano II, che scuote dalle fondamenta il blocco clerico-fascista; la terza è la situazione internazionale -con Kennedy negli Stati Uniti, e Kruscev in Urss e Papa Giovanni in Vaticano- nella quale molto più sentita di oggi era la consapevolezza che il mondo poteva essere distrutto dall’impiego delle armi atomiche. Alla condanna di Gozzini a sei mesi di carcere, presenti in qualità di testimoni: Aldo Capitini, precursore della non violenza in Italia, e il sacerdote salesiano don Germano Proverbio col quale aveva dato vita a un gruppo di studio e di preghiera che anticipava le “comunità di base”. La città si appassiona al caso dell’obiettore di coscienza e gli operai della Galileo vanno da padre Balducci per chiedergli: “Ma qui non si fa nulla?” Oltre a padre Ernesto Balducci, pure don Lorenzo Milani lo difende contro gli attacchi degli ambienti cattolici più retrivi. Padre Balducci, denunciato per un articolo apparso su “La Nazione”, è condannato in Corte d’appello a otto mesi di reclusione. La condanna coinvolse prelati e teologi, intellettuali e giuristi, giornalisti e diversi parlamentari che avevano proposto disegni di legge sull’obiezione di coscienza. I cappellani militari in congedo, tornano alla carica con una lettera a “La Nazione”, nella quale considerano un “insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, sia espressione di viltà”. A insorgere questa volta è don Milani con una lunga lettera, pubblicata da Rinascita. Portato a giudizio, don Milani -da tempo molto malato (morirà l’anno dopo)- manda una lettera di difesa, propria e della libertà di coscienza (la lettera diventerà “L’obbedienza non è più una virtù”). Dal sasso lanciato nel 1962 da Beppe Gozzini nelle acque stagnanti del mondo cattolico, nel 1972 dieci anni dopo, fu approvata la legge sull’obiezione di coscienza. Dalle letture di San Tommaso e San’Agostino, come pure “Il Capitale” di Karl Marx e gli scritti di Rosa Luxemburg, si avvicinò al gruppo dei “Quaderni Rossi” che proponevano una critica del Pci da sinistra. Gozzini si segnala come un cattolico di formazione marxista, come lo erano stati subito dopo la guerra Felice Balbo o Franco Rodano, poi definiti cattolici comunisti o, in tono spregiativo, catto-comunisti. Oltre all’appartenenza ai “Quaderni Rossi”, Gozzini mantiene i contatti con altri gruppi di impronta antimilitarista e conosce così, fra gli altri, Pino Pinelli. La mattina dopo che Pinelli “è stato morto” nella Questura di Milano, sarà il primo a sostenere l’impegno nonviolento di questo ignoto ferroviere, con una lettera aperta pubblicata da decine di giornali e riviste. In questi anni e in quelli che seguono, si domanda: ha senso impegnarsi in gruppi che si occupano del problema della pace, quasi fosse una “specializzazione”, isolata da tutto il resto: cultura, politica, religione e altro? Anche lottare contro l’ingiustizia sociale partendo da un’analisi di classe è un modo per contribuire alla pace. Il superamento evangelico della contrapposizione fra amico e nemico non esclude “da che parte stare”, con chi impegnarsi per abbattere il “disordine costituito”. Anche Gesù stava dalla parte dei poveri, dei pubblicani, delle samaritane. Su questa convinzione di fondo, partecipa al ’68, impegnandosi soprattutto nella controinformazione di base, denunciando la guerra del Vietnam con migliaia di soldati americani ammutinati e disertori. Dopo la prima guerra del Golfo nel ’99, riprende i contatti in Italia con l’area pacifista ed è tra i fondatori della rivista “Guerra & Pace”. Nel libro “Non complice”, significativi sono gli scambi epistolari tra Beppe con amici e sostenitori, come gli incontri e dibattiti: Le lettere dal carcere; Don Milani ieri e oggi; Dialogo su violenza, non violenza e rivoluzione; Lezione agli obiettori di Pesaro. All’amico Giuseppe Pinelli per la sua tragica fine scrisse: “Voglio che mi sia restituita la memoria del Pinelli, quello vero, che io ho conosciuto. Seguono le riflessioni sulla laicità, il ’68 visto dal basso. Nel ’70 nasce a Torino il Collettivo Cr (comunicazioni rivoluzionarie), che pubblica “Il partito delle Pantere Nere”, “Il movimento di lotta dei soldati”, e altri opuscoli sul sindacato americano, sugli Young Lords (portoricani), e su gli indiani d’America.

Gruppo Studentesco, accosciati:  
Renato Seregni, Giorgio Conconi,
Beppe Gozzini, Paolo Sequi   
“C’è un tempo di bilanci, di esami di coscienza. Le giornate si allungano ma il tempo si accorcia - Così scrive tra le note autobiografiche e autocritiche - i miei genitori sempre più poveri, il matrimonio, le figlie da mantenere… insomma la storia di tutti quelli che devono lavorare per vivere, ho accettato un suicidio (spero parziale) della mente, imposto dai condizionamenti esterni, per “responsabilità verso gli altri”. A me è toccato in sorte fare il lavoro di pubblicitario, “il venditore di fumo”. Tuttavia la mia vita era altrove, fuori dal palazzo. Insomma adempivo alla funzione ma rifiutavo il ruolo. Molti “compagni” (e soprattutto quelli di Lotta Continua) che, sull’onda del ’68, non hanno mai analizzato fino in fondo questa contraddizione facendo coincidere l’organizzazione politica con le scelte personali di vita, hanno accettato i peggiori compromessi con il potere (nei media e nel governo). Con splendide eccezioni, s’intende (in primis, Alex Langer e Mauro Rostagno)|. A questo proposito, Beppe amava citare una poesia di Trilussa: “Er lupo e  er micio”.
Un Lupo, che scannò cinque Capretti / in poco meno di una settimana / riunì tutti l’amichi ne la tana / per uno de li soliti banchetti. /  Fra l’invitati c’era pure un Micio / che magnava in silenzio. E tu che fai / - je chiese er Lupo – che nun ridi mai, / manco te costasse un sacrificio? / Invece de sta tutti in allegria / te ne rimani lì come un salame… / Io – disse er Micio – magno perché ho fame / ma nun festeggio la vijaccheria. /


Particolare importanza credo meriti il progetto editoriale: “appunti per una intervista autobiografica - dalla Resistenza al Concilio”. Con l’amico Beppe, oltre a qualche telefonata riguardante i comuni amici, le vicende politiche di Cinisello e qualche scambio di opinione sull’universomondo, provvidenziale fu l’incontro presso la Corsia dei Servi, che dal 1999 ospita Il Circolo Dossetti al quale collaboro. Mi raggiungeva in bicicletta da via Palermo, con la sua garbata ironia, commentava, dandomi il suo parere riguardo gli argomenti che poi avremmo discusso. Schivo come sempre, mai volle partecipare. Un sabato del marzo 2005, mi telefonò dicendomi che voleva farmi una sorpresa. Era il pro manuscripto de “Il mondo di Camillo”, con preghiera di dargli uno sguardo “severo”. Fu una immersione esaltante, con  pennarelli e note a margine evidenziavo altre mappe del suo sapere. Su alcuni punti notai le mie perplessità. Dopo qualche settimana, ne discutemmo. Solo su due annotazioni ritenne importante la mia puntualizzazione e provvide al chiarimento, però mi tranquillizzò sottolineando che pure le altre, non condivise, fossero segnalazioni positive a conferma della correttezza delle sue esposizioni. Il solito Beppe capace di sorridere pedalando in salita. L’anno successivo, il libro venne pubblicato col titolo “Sulla frontiera - Camillo De Piaz, la Resistenza, il Concilio e oltre”. A monte della pubblicazione, con padre Camillo inizia un documentato scambio di riflessioni, per analizzare nella storia la parte migliore del cattolicesimo italiano più sociale, pre e post-conciliare, affrontando temi quali: Le radici: “che cosa è, che cosa dovrebbe essere la chiesa: “uno spazio, anzi lo spazio, della libertà: un luogo dove non si viene irreggimentati: dove si entra e dove si esce. Dove si entra sapendo che poi si può uscire per i pascoli del mondo, e dove si esce senza paura di restare chiusi fuori, di non poter rientrare”. 
La Resistenza: Camillo con David Maria Turoldo, l’inseparabile confratello, l’amico di sempre, e gli uomini che frequentavano la Corsia dei Servi, in particolare Eugenio Curiel col suo contributo all’attività del Fronte della Gioventù che aveva sede in una stanza segreta del convento. Poi, l’iniziativa d’un giornale clandestino: “L’Uomo”, fra i collaboratori troviamo Dino Del Bo, Mario Apollonio, Gustavo Bontadini, Angelo Romano. La Rigenerazione, il Movimento dei cattolici comunisti, con il Partito della sinistra cristiana.

Renato Seregni (2015)
Ho ripreso, riassumendole, le bozze intercorse fra Beppe e padre Camillo, mutilando l’illuminante e documentata esposizione. Poi la pubblicazione. Una foto vorrei descriverla: rappresenta una riunione alla Corsia, del direttivo del Fronte della Gioventù poco dopo la Liberazione. Tra i presenti si riconoscono: Enrico Berlinguer, padre Camillo De Piaz e Gillo Pontecorvo. Una foto che molto dice, una condivisione in cui l’Uomo doveva restare il principio e la fine di ogni discorso fra gli uomini…
Milano, 30 dic. 2008. Uno scritto di Beppe mi raggiunse. Cosi scrisse: “Carissimo Renato, grazie per il tuo “Sintassi” e per avermi ricordato. Non so se ti e giunta voce che sono stato molto male. Ora pare che il peggio sia passato, anche se con questi… “malacci” non si sa mai… A presto Giuseppe”. Già sapevo, ma come fare, telefonare parlando d’altro? Mi appesi alla speranza, come lui amico ci esortava. Nel contenuto spazio di un articolo quante dimenticanze, schizzi per descrivere affreschi, passaggi complessi spremuti in una frase, una parola. Ora che Beppe e Camillo ci hanno lasciato, credo vorranno perdonarmi, donandomi la completezza delle  loro opere.




FAVOLE PER GATTI                          
di Laura Margherita Volante

Un excursus dotto e poetico su uno degli animali più popolari e legati alla casa



Anna Lorenzetti è un’artista creativa, che produce con arte maschere veneziane, bambole e addirittura ha realizzato un fantastico presepe esoterico esposto nel Castello di San Costanzo. San Costanzo (PU) le ha dedicato presso il Palazzo Cassi  un museo permanente per esporre le sue opere, che hanno partecipato a più sfilate prestigiose, fra cui quelle di  Venezia e di Capua. Il 30 agosto le sue maschere sfileranno a Sant’Angelo in Vado. Persona dall’animo dolce ed enigmatico non mi meraviglia che abbia scritto il libro Favole per gatti, perché penso che incarni lei stessa il mondo interiore di questo felino domestico rappresentato simbolicamente e venerato in molte culture fin dall’antichità.
Sono andata a trovare Anna nella sua dimora di Castel d’Emilio a pochi km. da Castelferretti (AN) situata nella ex chiesa di San Pietro del Castello stesso. Lo stupore è inimmaginabile. Mi è sembrato di entrare in un altro mondo: universo di fate e di misteri, eco della memoria perduta fra le pagine dei libri antichi. Arredi, oggetti antichi, stoffe e collezioni sui tavoli e alle pareti alimentano un fascino attraente e indescrivibile. Il mio è un invito ad andare a vedere e a conoscere questo personaggio alla Mery Poppins, che vola sui tetti della vita come i gatti per amoreggiare con  la luna e le stelle.   

Ognuno nasce per raccontare la sua storia.
Anna ci narra la sua iniziata in un mondo di adulti ipocriti e aridi di cuore, che stabilivano cosa fosse giusto o sbagliato, decide così di crescere alimentando la fantasia attraverso la sua anima esplorativa. Un giorno arriva Berenice, una gatta spaventata e che aveva paura dei temporali. Per calmarla Anna le parla e l’accarezza seguendo il filo di quelle stelle che conducono sui tetti per ascoltare la voce della luna e le favole per gatti. E fu così che il Signore donò alle donne e agli uomini un frammento di anima: l’anima dell’artista che scopre il mondo con lo stupore del fanciullino. Quanta nostalgia hanno i Santi del Paradiso nel ricordare le bellezze della natura e i propri cari. Il Signore per confortare i loro cuori e la loro mente regalò la pioggia. Ogni santo entrava in una goccia per scendere sulla terra portando un bacio a chi voleva. Una dopo l’altra le favole volano fra le nuvole dove angioletti, arcobaleni, diavoletti, tuoni e fulmini in uno spettacolo di vita fra il cielo e la terra giocano con i sogni che si rincorrono fra sciami di stelle. Alla storia di Anna non poteva mancare un cavaliere errante Fortegatto innamorato della sua principessa Berenice, per dichiararle il suo amore che in un’estasi inesprimibile è suggellato dal primo bacio.
Tra tutti gli animali fatati la figura del Gatto assume un’eco particolare: esso viene definito l’animale più misterioso tra tutti, ed è come se fosse un ponte tra la nostra dimensione e la dimensione del Fato. Chi possiede uno di questi animali può capire.
Gatti sono curiosi e complessi, affettuosi ma indipendenti, “addomesticati” ma selvatici, riservati e premurosi…
Affascinante ed enigmatico, il Gatto ama il calore e la tranquillità, è un osservatore attento ma discreto, curiosissimo, che adora ficcare il muso nei nostri affari: si siede sul giornale quando lo stiamo leggendo, o su un foglio proprio nel momento in cui siamo intenti ad appuntarvi sopra qualcosa. È fatto così, non lo fa per dispetto, ma per un irrefrenabile desiderio di essere al centro delle nostre attenzioni.
Misteriosi ed eleganti, giocherelloni e teneri, i gatti sono le creature più “ingannatrici” che la nostra specie abbia mai “civilizzato”, ma, nel corso dei tempi, tutte le civiltà hanno faticato a capire i Gatti. Dolci, o riservati? Solitari, o socievoli? Meditativi, o funerei? Fisicamente i Gatti sono cambiati ben poco, è cambiato il nostro modo di vederli. Una lunga tradizione di pensiero assegna al Gatto poteri magici, in quanto la sua sensibilità va oltre quella dei cinque sensi e gli permette di intuire cose che sfuggono alla nostra percezione.
Un grande legame esoterico dal punto di vista della mitologia e della religione ha sempre caratterizzato il rapporto tra uomo e Gatto. In tutti i tempi e in tutti i luoghi, i Gatti hanno sempre rappresentato quel meraviglioso anello di congiunzione tra il mondo umano e qualcosa che va verso la trascendenza dello spirito, qualcosa che per noi è invisibile. Il Gatto è il simbolo vivente della bellezza, dell’invincibilità, della meraviglia, dell’orgoglio, della libertà, dell’autosufficienza, della squisita individualità e del godersi le cose piacevoli. Attraverso i suoi occhi di profondo osservatore e critico imparziale, egli intuisce profondamente ed accetta con indifferenza vizi e virtù del suo amico umano.

Molti si sono chiesti che cosa stiano guardando i Gatti quando si siedono così, fermi, apparentemente persi nei loro “pensieri”, o forse “a sognare ad occhi aperti”.
Gatto può diventare il vostro portale verso la trama della vita. Allora vi potrà mostrare la meraviglia dei corridoi tra le stelle, i portali verso le altre dimensioni, e l’esistenza magica che gli esseri umani hanno dimenticato.
Le sue zampe possono davvero camminare sui tetti sotto il cielo stellato. Ma la cosa più importante è che la sua vita non cambia, continua sempre a giocare, è sempre vivo. È sempre un Gatto, vivo e sveglio, ed esprime ciò che è.
Chiunque viva con un Gatto non ha alcuna difficoltà a riconoscere le sue facoltà psichiche ed extrasensoriali. I Gatti, spesso, sono portatori di messaggi e presagi; medium e veggenti sono i primi a riconoscere in loro una capacità soprannaturale di percezione ed empatia, tale da indurli ad averli sempre al loro fianco come compagni fidati, ed utilizzarli come mezzi di collegamento tra ciò che è visibile e ciò che non lo è. In molte culture ai Gatti viene riconosciuta la capacità di vedere e percepire l’invisibile, spiriti e fantasmi inclusi. I Gatti in particolare, possiedono la capacità di vedere l’aura che circonda gli esseri umani, il corpo sottile, ovvero i colori che circondano una persona e che sono lo specchio dei suoi stati d’animo, delle sue paure e convinzioni, del suo stato emotivo e fisico. La storia è costellata di episodi che confermano il forte valore simbolico ed evocativo del Gatto. Il Gatto infatti non suscita sentimenti tiepidi: creatura magica e misteriosa, o lo si ama, o lo si detesta.
Gli antichi Greci infatti, ritenevano il Gatto un animale sacro alla dea Artemide, Dea della Caccia e della Luna. Narra la leggenda che la Dea potesse liberamente trasformarsi in un Gatto.

Anche nell’antica Roma i Gatti erano sacri a Diana (Artemide in Grecia), si credeva che avessero poteri magici, concessi loro dalla Dea. Quando moriva un Gatto nero, veniva cremato e le sue ceneri sparse sui campi per propiziare un buon raccolto ed eliminare le erbe infestanti. Gli Egizi onoravano ed idolatravano questo animale. Chi uccideva un Gatto era sempre criminale, e tale crimine si espiava solo col supplizio.
Quando un Gatto moriva naturalmente, dice Erodoto, le persone della casa piangevano il lutto come se fosse scomparso un membro della famiglia. Se moriva il Gatto di casa, tutta la famiglia egizia si rasava le sopracciglia, e il Gatto veniva imbalsamato e degnamente seppellito. Nell’antico Egitto il Gatto era ritenuto animale sacro e divino, ed è quindi naturale che, alla loro morte, essi venissero imbalsamati e sepolti con ogni onore. Il Gatto, la cui pupilla subisce delle variazioni che ricordavano le fasi della luna, veniva paragonato alla Sfinge per la sua natura segreta e misteriosa, e per la sensibilità alle manifestazioni magnetiche ed elettriche. Inoltre la sua abituale posizione raggomitolata e la facoltà di dormire per giornate intere ne fa l’immagine della meditazione. Particolare attenzione fu data al Gatto nero: portatore di magia, egli era rappresentante delle tenebre, ma grazie alla pelliccia capace di assumere il bagliore luminoso del chiaro di luna. Nella mentalità occidentale invece viene visto in maniera sostanzialmente negativa, in quanto legato al buio delle tenebre, alla morte, al lutto, all’ignoto.

venerdì 28 agosto 2015

APPUNTAMENTO FILOSOFICO
di Fulvio Papi
Stresa, agosto 2015. Fulvio Papi al centro della foto
fra Gaccione (a sinistra) ed Esposito (a destra)
 Carenza della filosofia e qualità del dibattito

Su un quotidiano, di quelli che vengono definiti di valore nazionale, ho letto un breve articolo in cui in modo tranquillo e perentorio si affermava che era definitivamente tramontato il tempo delle complicazioni intellettuali poiché oggi la “gente” vuole comunicare semplicemente, capire, nel caso, emozionarsi e, se è sempre il caso, prendere posizione. Ho pensato che l’autore avesse proprio ragione poiché il pensare con ordine da tempo non è più preso in considerazione , talora, non sempre, dagli stessi filosofi che dovrebbero essere i custodi di questa qualità dell’esistenza che, come privilegio degli uomini liberi, nell’Occidente, è sempre stata stimata come eredità della Grecia antica (un tempo si preferiva “classica”, e mi pare non a torto). Il giorno successivo nello stesso giornale ho letto un altro articolo in cui con enfasi si affermava che da tempo non ci sono più filosofi che siano in grado di offrire un orientamento nella complessità economica, sociale, politica e religiosa dei nostri anni. In questo caso una richiesta del tutto esagerata poiché nessuna filosofia che non sia una, spesso felice, semplificazione retorica è in grado di tessere una coerente ragnatela concettuale che possa dare forma di pensiero al succedersi velocissimo degli eventi che, in realtà, non erano prevedibili, cioè non appartenevano all’ordine di possibilità che il pensiero teorico era in grado di offrire. E credo fosse proprio questo che il giornalista immaginava potesse fare la filosofia. Si potrebbe mostrare abbastanza facilmente come la filosofia abbia avuto rapporti ruvidi, discontinui, falliti, assenti con la vita storica così come essa realmente accade almeno nel lungo periodo quando, bene o male, il pensiero si è sempre misurato nel “continente” della storia. È per questa ragione che molto spesso i grandi scrittori, quale che fosse la loro poetica, hanno mostrato quadri di vita reale più persuasivi di quanto la filosofia, per la sua stessa natura, fosse in grado di costruire. Sono molti anni che dal mio modesto angolo sostengo che la filosofia deve smettere di occuparsi di se stessa, ma fare tesoro di quanto di positivo (e non è poco) vi è nel declino di ogni metafisica (il che comprende anche molte forme di anti-metafisica) per impegnarsi in una ricerca della realtà. Che non sarà mai uno specchio ma una figura intellettuale complessa che non appartiene a nessuno dei saperi positivi (storia, antropologia, psicologia, economia, arte, ecologia, ecc.), ma dei quali una filosofia se vuol essere una ricerca della realtà non può fare a meno.                          
“Si parva licet componere magnis” sono lieto che in questo proposito di realizzare una filosofia (come Badiou chiedeva ormai decenni d’anni orsono) sia sulla stessa linea il mio grandissimo coetaneo, il filosofo francese Michel Serres. A chi si lamenta che non c’è una filosofia capace di dare un orientamento sul mondo, risponderò con cortesia ma, inevitabilmente, in modo un poco duro, che le filosofie ci sono, ma mancano completamente i lettori che siano figure pubbliche. Il che appartiene alle forme prevalenti della comunicazione contemporanea e ai suoi effetti, poiché filosoficamente non si cercano consensi di comodo, ma appartenenze intellettuali. E anche alla supponenza, più o meno barbarica, delle figure pubbliche o, forse, al destino che è loro riservato nel gioco contemporaneo di forze nel mondo. E questo è un tentativo molto preliminare per comprendere il livello dei discorsi “politici” quotidiani. Provate a ricordare e confrontare il dibattito dell’economista liberista Francesco Ferrara con il politico hegeliano Spaventa, o un tema privilegiato degli studi dello scomparso professor Caffè, “riformista solitario”. Altri tempi, dirà il senso comune, ed è vero: ma questo senso comune non riesce a capire che il tempo, in questo caso, è proprio dato dai discorsi, dagli argomenti, dalla cultura di chi prende la parola. Sarebbe bene saperlo.  
Elogio della merda
Nutrire la pancia
Ho sempre avuto un interesse per quel che è il prodotto della nostra digestione, per quel che viene metabolizzato e scartato.
Guardavo le feci con meraviglia; come è possibile mi ripetevo che questo è il risultato finale di ciò che noi mangiamo. Mi colpiva il colore marrone di tale materia sublime miscuglio di toni, mi eccitava la fantasia, una fantasia lunga come il tubo digerente, mi addentravo con il pensiero e immaginavo processi chimici sconosciuti. Un detto popolare associa la merda alla fortuna; una volta tale detto stigmatizzava i ricchi nel senso che chi è fortunato perchè ha abbondanza di cibo abbonda anche la sua produzione di escrementi. Mi viene da pensare ai paesi poveri del cosiddetto terzo mondo laddove manca il necessario per la sussistenza, laddove ancora oggi si muore di fame, di malattie peraltro curabili se l'occidente mettesse a disposizione medicinali invece di spendere in armamenti; laddove le già precarie condizioni di vita sono aggravate dalle guerre.
Poniamo di capovolgere un luogo comune della nostra mente civile, non pensiamo al cibo di cui ci nutriamo ma alle feci che espelliamo a fine ciclo digestivo. Invertiamo i termini. Allora potremmo leggere il motto dell'Expo di Milano non come “nutriamo il pianeta” ma come: “facciamo cagare il pianeta”.
Perfino il Padre Nostro quando recita “dacci oggi il nostro pane quotidiano” diverrebbe “dacci oggi il nostro stronzo quotidiano”.
Soffermiamoci alla nostra città. Quante cacche di cane sporcano i nostri marciapiedi lasciate in loco da persone incivili e calpestate, spiaccicate da qualche incauto passante.
Per analogia in questi gioni ho visto l'intervento urbanistico-edilizio di Porta Nuova con le sue torri denominate bosco verticale e gli interventi residenziali di lusso chiamati con vari nomi allettanti (Solea) sorti sull'area delle ex varesine, ho visto gli interventi di edilizia residenziale sorti nell'area dismessa dell'ex fiera City Life anch'essi extra lusso. La Porsche ultimo modello parcheggiata accanto al marciapiede sottostante.
Anche questa è merda. Alloggi a carissimo prezzo per qualche puttana e qualche magnaccia del mondo dello spettacolo.
Non ho nulla da dire invece dell'estetica di questi interventi che d'altro canto serve a far crescere il prezzo a dismisura.
Infine dobbiamo recitare come il detto popolare, se merda deve essere almeno che sia merda uguale per tutti.
Tiziano Rovelli    

mercoledì 26 agosto 2015

La "Carta di Milano": sotto le parole... nulla


Ripartiamo da qui e dalla critica alla "Carta di Milano"
La Carta c’è, è ufficiale. E' stata presentata coi toni dei grandi eventi istituzionali che cambiano la Storia. Ma non sarà così. La Carta di Milano scivolerà nella storia senza incidere alcunché, legittimando ancora il modello agroalimentare che ha prodotto insostenibilità, disastri ambientali e le terribili iniquità che vive il nostro mondo e che la stessa Carta denuncia ma ignorando lo strapotere politico delle multinazionali, che stanno dentro ad Expo e che sottoscrivono la Carta.
Il presidente Sala ebbe a dire a suo tempo che in Expo dovevano coniugarsi il diavolo e l’acqua santa: pensiamo intendesse Coca Cola, Monsanto e l’agricoltura familiare e di villaggio, i Gas, il biologico, ecc… Il risultato è che nella Carta si sentono il linguaggio, le difficoltà, le mediazioni e i contributi di tanti docenti, personalità e realtà associative che hanno cercato di migliorarla, ma purtroppo il loro onesto sforzo si è tradotto unicamente in un saccheggio del linguaggio dei movimenti dei contadini e di coloro che si battono per la difesa dell’acqua come bene comune e in favore delle energie alternative al petrolio.
La “Carta di Milano”, presentata come l’eredità che EXPO lascia al mondo, è una grande operazione mediatica, che si limita a dichiarazioni generiche senza andare alle cause e alle responsabilità della situazione attuale. Non una parola sui sussidi che la Commissione Europea regala alle multinazionali europee agroalimentari permettendo loro una concorrenza sleale verso i produttori locali; non una parola sugli accordi commerciali tra l’Europa e l’Africa (gli EPA) che distruggono l’agricoltura africana; né si parla del water e land grabbing; né degli OGM che espropriano dal controllo sui semi i contadini e che condizionano l’agricoltura e l’economia di grandi paesi come il Brasile e l’Argentina; né si accenna alle volontà di privatizzare tutta l’acqua potabile e di monetizzare l’intero patrimonio idrico mondiale, né si fanno i conti con i combustibili fossili e il fraking. Nella “Carta” si parla di diritto al cibo equo, sano e sostenibile, si accenna persino alla sovranità alimentare, si ricorda che il cibo oggi disponibile sarebbe sufficiente a sfamare in modo corretto tutta la popolazione mondiale, si sprecano parole nate e vissute nella carne dei movimenti, ma poi? La responsabilità di tutto questo sarebbe solo dei singoli cittadini: dello spreco familiare (che è invece surplus di produzione) che andrebbe orientato verso i poveri e verso le opere caritatevoli, sta nella loro mancanza di educazione ad una corretta alimentazione, al risparmio di cibo e di acqua, ad una vita sana e sportiva. Le responsabilità pubbliche e private sono ignorate. Manca la concretizzazione del diritto umano all’acqua potabile come indicato dalla risoluzione dell’ONU del 2010 e mancano gli impegni per impedirne la privatizzazione. Mancano le misure da intraprendere contro l’iniquità di un mercato e delle sue leggi, che strangolano i contadini del sud ma anche del nord del mondo. Mancano riferimenti a bloccare gli OGM su cui oggi si gioca concretamente la sovranità alimentare. Mancano i vincoli altrettanto concreti all’uso dei diserbanti e dei pesticidi che inquinano ormai le acque di tutto il mondo e avvelenano il nostro cibo.
Ne prenda atto Sala da buon cattolico: il diavolo scappa se l’acqua è veramente santa. Ma qui di acqua santa non c’è traccia, mentre i diavoli, sotto mentite spoglie, affollano la nostra vita quotidiana e i padiglioni di EXPO.
Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto
Mario Agostinelli, Piero Basso, Vittorio Bellavite
Franco Calamida, Massimo Gatti, Antonio Lupo
Emilio Molinari, Silvano Piccardi, Paolo Pinardi
Basilio Rizzo, Erica Rodari, Anita Sonego
Guglielmo Spettante, Gianni Tamino, Vincenzo Vasciaveo
Associazione CostituzioneBeniComuni
Festival di Forza Nuova a Cantù: un'offesa ai Caduti per la Libertà


L'ANPI Provinciale di Milano esprime la sua profonda indignazione per la concessione da parte dell'Amministrazione Comunale di Cantù, proprio nell'anno in cui ricorre il 70° Anniversario della Liberazione, di una propria struttura pubblica al partito neofascista di Forza Nuova, permettendo lo svolgimento di un festival nazionale dedicato al tragico periodo dell'esperienza nazifascista in Europa. La libertà di espressione, ampiamente garantita dalla Costituzione repubblicana, non significa consentire l'aperta apologia di fascismo e di razzismo, già manifestatasi in occasione delle trascorse iniziative di Forza Nuova a Cantù grazie al nulla osta dell'Amministrazione Comunale.
La decisione è particolarmente grave anche perché è stata assunta in un contesto internazionale  caratterizzato da pericolose spinte antisemite, xenofobe e razziste che si manifestano con crescente intensità in Europa e nel nostro Paese.
Si tenta addirittura di accreditare la vergognosa tesi volta a scambiare le migliaia di migranti che fuggono dalla guerra e dalla fame, per orde nemiche, che starebbero invadendo l'Italia, tra le cui pieghe si infiltrerebbero terroristi islamici.
Per queste ragioni abbiamo denunciato il Convegno svoltosi il 9 luglio 2015 nella sede istituzionale della Regione Lombardia con il leader di Forza Nuova Roberto Fiore e con il sindaco ungherese ideatore del muro da costruire ai confini con la Serbia per impedire l'ingresso di profughi in Ungheria. La proposta fatta propria dall'Ungheria di Orbàn che costringe i profughi a viaggiare su treni blindati  e che due anni fa voleva censire tutti gli ebrei presenti in quel Paese, non ha comportato sanzioni da parte dell'Unione Europea che invece non  ha avuto la minima esitazione ad umiliare la Grecia e a prefigurarne la sua uscita dall'Euro.
Mentre invitiamo le autorità competenti a fare tutto il possibile per evitare il ripetersi di iniziative che si contrappongono ai principi della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza e alle leggi Scelba e Mancino, chiamiamo gli antifascisti, i democratici e la cittadinanza tutta a partecipare al Convegno “Europa e Resistenza” promosso dall'ANPI Regionale della Lombardia che si svolgerà a Como il 12 settembre prossimo, per l'intera giornata.
L'appuntamento è per sabato 12 settembre 2015 alle ore 9,30 presso la Sala Stemmi del Comune di Como, in via Vittorio Emanuele II, 97.
Roberto Cenati - Presidente ANPI Provinciale di Milano
Casamonica: Mafia e Istituzioni


Scandalo. Ciò che era noto è stato notificato con un funerale”.
Laura Margherita Volante

lunedì 24 agosto 2015

Salviamo chi coltiva il pomodoro italiano, combattiamo lo sfruttamento 


Circa il 95 per cento del pomodoro pelato "Sammarzano" trasformato nel mondo, e che ritroviamo sulle nostre tavole, proviene dalla provincia di Foggia.
D'improvviso le industrie conserviere del Sud Italia hanno portato il prezzo del pomodoro pelato da 0,10 cent (prezzo da accordo sottoscritto in fase di contrattazione all’interno delle regole del Distretto Sud del pomodoro da industria) a 0,08 cent al kg, decretando un effetto a pioggia che si riversa non solo sugli agricoltori e le loro famiglie, ma anche sulla mano d'opera e sullo sfruttamento ulteriore di tante povere persone. Più del 30 per cento delle aziende agricole è a rischio fallimento.
A pagarne le spese sarà soprattutto il consumatore finale, che compra a non meno di 0,90 cent al kg (per le marche private label): con una differenza di prezzo, quindi, di 0,83 cent, pari a più del 1000 per cento di differenziale.
Il pomodoro rappresenta l’ingrediente base dell’alimentazione degli italiani. Non è giusto che i consumatori debbano subire un prezzo così elevato, rispetto al valore reale del prodotto. Restituiamo dignità all’oro rosso del Mezzogiorno e a chi, con fatica, ogni giorno si impegna per produrlo.
La nostra terra ha tanto da offrire e può contribuire in modo concreto alla crescita e al reale sviluppo. Dobbiamo continuare a crederci e a fare in modo che si creino prospettive di futuro per i giovani agricoltori, senza farli fuggire verso altri lavori apparentemente più dignitosi.
VaZapp è il primo hub rurale in Puglia, voluto da don Michele de Paolis, sacerdote salesiano volato in cielo lo scorso ottobre e che all’età di 93 anni amava leggere libri sul tablet e scrivere post su Facebook. VàZapp’ nasce nell’Azienda Agricola “Cascina Savino”, al suo interno ci sono spazi di coworking dove ci si incontra per ascoltare gli agricoltori, per creare eventi e format su agricoltura sostenibile e innovativa, workshop e format. Il prossimo step sarà quello di costruire una serra al cui interno si coltivino idee, con tavoli sedie e connessione a internet. Mission di “VàZapp’ - Coltiviamo idee” è quella di ridare dignità agli agricoltori.
Abbiamo a cuore il futuro dell’agricoltura e soprattutto delle nuove generazioni. Se non si porranno le basi del cambiamento, saremo costretti ad abbandonare i nostri terreni e vedere fallire il nostro futuro nella nostra terra.
Chiediamo che il ministro dell’Agricoltura Martina venga a Foggia per riscrivere le regole di una sana contrattazione, considerata la disattenzione degli accordi sottoscritti da parte dell’Industria di trasformazione e recepiti nell’accordo Quadro Pomodoro nell’annata 2015. Chiediamo che venga riconosciuto un prezzo equo per gli agricoltori e la riduzione della forbice del prezzo pagato dai consumatori finali.

Chiediamo al ministro dell’Agricoltura Martina un incontro al fine di confrontarci sulla crisi e di mettere in campo tutte le forze affinché questo problema venga affrontato e risolto.
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