GIUSEPPE GOZZINI: NON COMPLICE
di Renato Seregni
Storia di un
obiettore
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Giuseppe Gozzini |
“Chiunque volesse capire, oggi, una storia che egli
intuisce che lo riguarda e che è l’unica da cui è possibile ripartire
verificandola nei nuovi tempi e dentro una immane mutazione, può trovare
conforto e convinzione confrontandosi con la storia di altre minoranze, e di
una sinistra non ideologica e settaria, non smaniosa di potere e non idolatra
dello sviluppo, non soltanto preoccupata di affermare una leadership e vincere.
Si tratta, oggi come ieri, di affermare una diversità non spavalda, però mite e
decisa nell’esprimere valori alti e insieme radicali e nell’attuare pratiche
conseguenti, attenta al metodo perché cosciente che sono i mezzi a dar senso ai
fini”. Così Goffredo Fofi, nella prefazione al libro “Non complice - storia di un
obiettore”. Una raccolta autobiografica di scritti di Beppe Gozzini, a cura
di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini
(edizioni dell’Asino). Leggere oggi di un amico col quale sei cresciuto,
hai giocato e discusso nell’impulsiva età giovane, in cui il tanto esplode
disordinatamente. Con Beppe cercavamo di mettere in ordine le priorità, il
desiderato possibile e il discutibile impossibile. Con altri amici nati a
Cinisello da famiglie operaie, cercavamo un riscatto sociale tuffandoci sui
libri, frequentando, dopo il lavoro, studi serali scegliendo scuole
raggiungibili in bicicletta. Nel 1955 fondammo il “Gruppo Studentesco” in
balbettio di mezzi ma, con granitiche speranze di un futuro nostro. Beppe, il cui
dire inciampava ma il pensiero illuminava con la massima coerenza il dire e il
fare, divenne il nostro punto di riferimento. Alcuni tra noi continuarono con
gli studi, altri si distinsero nel campo del lavoro. Da giovane, Beppe,
chierichetto e bravino a scuola venne mandato a studiare per diventare prete:
prima in un collegio diocesano, poi dai salesiani. Dal momento che la vocazione
non veniva o se n’era andata, passò al Parini, il liceo (allora) più elitario
di Milano, dove non resistette nemmeno un anno e decise di dare la maturità
classica da solo.
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La copertina del libro |
Per contenere o contestare l’egemonia dell’Azione Cattolica
nell’apostolato fra i giovani, l’amico organizza un campeggio estivo per
ragazzi dell’oratorio di Cinisello con l’appoggio di don Mario Colnaghi, che
farà il prete operaio alla Pirelli e alla Snia Viscosa. Poi, promuove un
cineforum, pubblica diversi giornalini ciclostilati e con gli amici impegnati
nello studio, costituisce il già menzionato “Gruppo Studentesco”, per creare
momenti di riflessione su i molti problemi emergenti, coinvolgendoci in quella
attività di base alla quale rimarrà fedele per tutta la vita. Ma il tempo vola:
pochi gli incontri e avari gli scambi. Per mantenersi agli studi, Beppe fa il
precettore dei figli dell’alta borghesia milanese. E’ durante gli anni
universitari che incontra padre Camillo De Piaz e gli amici della Corsia dei
Servi. Risolutivi per l’amico ventenne sono gli incontri con due “testimoni di
pace”: don Primo Mazzolari e Jean Goss: il primo con il libro “Tu non uccidere”, il secondo, un operaio
cattolico, segretario itinerante del Mir (Movimento internazionale della
riconciliazione) che con la sua irruenza profetica scuoteva le coscienze dei
padri conciliari in Vaticano. Beppe, sempre più orientato verso la non violenza,
è vicino ai gruppi pacifisti protestanti, quaccheri, tolstojani, anarchici, si
impegna trovando rifugio a Milano per i giovani disertori francesi della guerra
d’Algeria. Frequenta la facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1961. Un
giorno, sorprendentemente, l’amico Beppe lo trovammo in cronaca.
Nel novembre del 1962 Gozzini, chiamato alle armi, va al
Car di Pistoia, ma rifiuta di indossare
la divisa militare a motivo delle sue convinzioni. Fino a quell’epoca, in
Italia, gli obiettori di coscienza erano stati gli anarchici o i Testimoni di
Geova, condannati a parecchi anni di galera. Che cosa c’entrava con loro
Gozzini? I cattolici non avevano mai sollevato il problema dell’obiezione di
coscienza e non erano presenti nei movimenti per la pace e per il disarmo.
L’esercito era un argomento tabù. Il film “Non
uccidere” del regista francese Claude Autant-Lara presentato alla Mostra di
Venezia nel 1961 venne boicottato e proibito dalla censura in diversi Paesi e
in Italia non ottenne il visto di programmazione. Giorgio La Pira, che osa
proiettarlo in visione privata a giornalisti e uomini di cultura, scatena un
putiferio. La prima fortuna di Gozzini è però quella di essere trasferito e
processato proprio nella città di La Pira; la seconda è che la sua obiezione di
coscienza avviene a ridosso del Concilio Vaticano II, che scuote dalle
fondamenta il blocco clerico-fascista; la terza è la situazione internazionale
-con Kennedy negli Stati Uniti, e Kruscev in Urss e Papa Giovanni in Vaticano-
nella quale molto più sentita di oggi era la consapevolezza che il mondo poteva
essere distrutto dall’impiego delle armi atomiche. Alla condanna di Gozzini a
sei mesi di carcere, presenti in qualità di testimoni: Aldo Capitini,
precursore della non violenza in Italia, e il sacerdote salesiano don Germano
Proverbio col quale aveva dato vita a un gruppo di studio e di preghiera che
anticipava le “comunità di base”. La città si appassiona al caso dell’obiettore
di coscienza e gli operai della Galileo vanno da padre Balducci per chiedergli:
“Ma qui non si fa nulla?” Oltre a padre Ernesto Balducci, pure don Lorenzo
Milani lo difende contro gli attacchi degli ambienti cattolici più retrivi.
Padre Balducci, denunciato per un articolo apparso su “La Nazione”, è
condannato in Corte d’appello a otto mesi di reclusione. La condanna coinvolse
prelati e teologi, intellettuali e giuristi, giornalisti e diversi parlamentari
che avevano proposto disegni di legge sull’obiezione di coscienza. I cappellani
militari in congedo, tornano alla carica con una lettera a “La Nazione”, nella
quale considerano un “insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta
obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, sia
espressione di viltà”. A insorgere questa volta è don Milani con una lunga
lettera, pubblicata da Rinascita. Portato a giudizio, don Milani -da tempo
molto malato (morirà l’anno dopo)- manda una lettera di difesa, propria e della
libertà di coscienza (la lettera diventerà “L’obbedienza
non è più una virtù”). Dal sasso
lanciato nel 1962 da Beppe Gozzini nelle acque stagnanti del mondo cattolico,
nel 1972 dieci anni dopo, fu approvata la legge sull’obiezione di coscienza.
Dalle letture di San Tommaso e San’Agostino, come pure “Il Capitale” di Karl Marx e gli scritti di Rosa Luxemburg, si
avvicinò al gruppo dei “Quaderni Rossi” che proponevano una critica del Pci da
sinistra. Gozzini si segnala come un cattolico di formazione marxista, come lo
erano stati subito dopo la guerra Felice Balbo o Franco Rodano, poi definiti cattolici
comunisti o, in tono spregiativo, catto-comunisti. Oltre all’appartenenza ai
“Quaderni Rossi”, Gozzini mantiene i contatti con altri gruppi di impronta
antimilitarista e conosce così, fra gli altri, Pino Pinelli. La mattina dopo
che Pinelli “è stato morto” nella
Questura di Milano, sarà il primo a sostenere l’impegno nonviolento di questo
ignoto ferroviere, con una lettera aperta pubblicata da decine di giornali e
riviste. In questi anni e in quelli che seguono, si domanda: ha senso
impegnarsi in gruppi che si occupano del problema della pace, quasi fosse una
“specializzazione”, isolata da tutto il resto: cultura, politica, religione e
altro? Anche lottare contro l’ingiustizia sociale partendo da un’analisi di
classe è un modo per contribuire alla pace. Il superamento evangelico della
contrapposizione fra amico e nemico non esclude “da che parte stare”, con chi
impegnarsi per abbattere il “disordine costituito”. Anche Gesù stava dalla
parte dei poveri, dei pubblicani, delle samaritane. Su questa convinzione di
fondo, partecipa al ’68, impegnandosi soprattutto nella controinformazione di
base, denunciando la guerra del Vietnam con migliaia di soldati americani
ammutinati e disertori. Dopo la prima guerra del Golfo nel ’99, riprende i
contatti in Italia con l’area pacifista ed è tra i fondatori della rivista
“Guerra & Pace”. Nel libro “Non
complice”, significativi sono gli scambi epistolari tra Beppe con amici e
sostenitori, come gli incontri e dibattiti: Le lettere dal carcere; Don Milani
ieri e oggi; Dialogo su violenza, non violenza e rivoluzione; Lezione agli
obiettori di Pesaro. All’amico Giuseppe Pinelli per la sua tragica fine
scrisse: “Voglio che mi sia restituita la memoria del Pinelli, quello vero, che
io ho conosciuto. Seguono le riflessioni sulla laicità, il ’68 visto dal basso.
Nel ’70 nasce a Torino il Collettivo Cr (comunicazioni rivoluzionarie), che
pubblica “Il partito delle Pantere Nere”,
“Il movimento di lotta dei soldati”,
e altri opuscoli sul sindacato americano, sugli Young Lords (portoricani), e su
gli indiani d’America.
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Gruppo
Studentesco, accosciati: Renato Seregni,
Giorgio Conconi, Beppe Gozzini, Paolo Sequi
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“C’è un tempo di bilanci, di esami di coscienza. Le giornate
si allungano ma il tempo si accorcia - Così scrive tra le note autobiografiche
e autocritiche - i miei genitori sempre più poveri, il matrimonio, le figlie da
mantenere… insomma la storia di tutti quelli che devono lavorare per vivere, ho
accettato un suicidio (spero parziale) della mente, imposto dai condizionamenti
esterni, per “responsabilità verso gli altri”. A me è toccato in sorte fare il
lavoro di pubblicitario, “il venditore di fumo”. Tuttavia la mia vita era
altrove, fuori dal palazzo. Insomma adempivo alla funzione ma rifiutavo il
ruolo. Molti “compagni” (e soprattutto quelli di Lotta Continua) che, sull’onda
del ’68, non hanno mai analizzato fino in fondo questa contraddizione facendo
coincidere l’organizzazione politica con le scelte personali di vita, hanno
accettato i peggiori compromessi con il potere (nei media e nel governo). Con
splendide eccezioni, s’intende (in primis, Alex Langer e Mauro Rostagno)|. A
questo proposito, Beppe amava citare una poesia di Trilussa: “Er lupo e er micio”.
Un Lupo, che scannò
cinque Capretti / in poco meno di una settimana / riunì tutti l’amichi ne la
tana / per uno de li soliti banchetti. /
Fra l’invitati c’era pure un Micio / che magnava in silenzio. E tu che
fai / - je chiese er Lupo – che nun ridi mai, / manco te costasse un
sacrificio? / Invece de sta tutti in allegria / te ne rimani lì come un salame…
/ Io – disse er Micio – magno perché ho fame / ma nun festeggio la vijaccheria.
/
Particolare importanza credo meriti il progetto editoriale:
“appunti per una intervista autobiografica - dalla Resistenza al Concilio”. Con
l’amico Beppe, oltre a qualche telefonata riguardante i comuni amici, le
vicende politiche di Cinisello e qualche scambio di opinione
sull’universomondo, provvidenziale fu l’incontro presso la Corsia dei Servi,
che dal 1999 ospita Il Circolo Dossetti al quale collaboro. Mi raggiungeva in
bicicletta da via Palermo, con la sua garbata ironia, commentava, dandomi il
suo parere riguardo gli argomenti che poi avremmo discusso. Schivo come sempre,
mai volle partecipare. Un sabato del marzo 2005, mi telefonò dicendomi che
voleva farmi una sorpresa. Era il pro manuscripto de “Il mondo di Camillo”, con preghiera di dargli uno sguardo “severo”.
Fu una immersione esaltante, con
pennarelli e note a margine evidenziavo altre mappe del suo sapere. Su
alcuni punti notai le mie perplessità. Dopo qualche settimana, ne discutemmo.
Solo su due annotazioni ritenne importante la mia puntualizzazione e provvide
al chiarimento, però mi tranquillizzò sottolineando che pure le altre, non
condivise, fossero segnalazioni positive a conferma della correttezza delle sue
esposizioni. Il solito Beppe capace di sorridere pedalando in salita. L’anno
successivo, il libro venne pubblicato col titolo “Sulla frontiera - Camillo De Piaz, la Resistenza, il Concilio e oltre”. A monte della pubblicazione, con
padre Camillo inizia un documentato scambio di riflessioni, per analizzare
nella storia la parte migliore del cattolicesimo italiano più sociale, pre e
post-conciliare, affrontando temi quali: Le radici: “che cosa è, che cosa
dovrebbe essere la chiesa: “uno spazio, anzi lo spazio, della libertà: un luogo
dove non si viene irreggimentati: dove si entra e dove si esce. Dove si entra
sapendo che poi si può uscire per i pascoli del mondo, e dove si esce senza
paura di restare chiusi fuori, di non poter rientrare”.
La Resistenza: Camillo
con David Maria Turoldo, l’inseparabile confratello, l’amico di sempre, e gli
uomini che frequentavano la Corsia dei Servi, in particolare Eugenio Curiel col
suo contributo all’attività del Fronte della Gioventù che aveva sede in una
stanza segreta del convento. Poi, l’iniziativa d’un giornale clandestino: “L’Uomo”,
fra i collaboratori troviamo Dino Del Bo, Mario Apollonio, Gustavo Bontadini,
Angelo Romano. La Rigenerazione, il Movimento dei cattolici comunisti, con il
Partito della sinistra cristiana.
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Renato Seregni (2015) |
Ho ripreso, riassumendole, le bozze intercorse fra Beppe e
padre Camillo, mutilando l’illuminante e documentata esposizione. Poi la
pubblicazione. Una foto vorrei descriverla: rappresenta una riunione alla
Corsia, del direttivo del Fronte della Gioventù poco dopo la Liberazione. Tra i
presenti si riconoscono: Enrico Berlinguer, padre Camillo De Piaz e Gillo
Pontecorvo. Una foto che molto dice, una condivisione in cui l’Uomo doveva
restare il principio e la fine di ogni discorso fra gli uomini…
Milano, 30 dic. 2008. Uno scritto di Beppe mi raggiunse.
Cosi scrisse: “Carissimo Renato, grazie per il tuo “Sintassi” e per avermi ricordato. Non so se ti e giunta voce che
sono stato molto male. Ora pare che il peggio sia passato, anche se con questi…
“malacci” non si sa mai… A presto Giuseppe”. Già sapevo, ma come fare,
telefonare parlando d’altro? Mi appesi alla speranza, come lui amico ci
esortava. Nel contenuto spazio di un articolo quante dimenticanze, schizzi per
descrivere affreschi, passaggi complessi spremuti in una frase, una parola. Ora
che Beppe e Camillo ci hanno lasciato, credo vorranno perdonarmi, donandomi la
completezza delle loro opere.