UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 31 ottobre 2021

TRADIMENTO!
di Greta Thunberg 



L'umanità sta fallendo nel fermare la crisi climatica.
 
Ormai siamo oltre l'urgenza: il Pianeta sta gridando aiuto.
In questo momento i leader mondiali si stanno incontrando per negoziati storici sui cambiamenti climatici, ma le promesse, senza un'azione concreta, non bastano più. Abbiamo bisogno di leader audaci e lungimiranti, che facciano finalmente ciò che è necessario per evitare di cadere nell'abisso.
Sarò al vertice con altre incredibili giovani leader del movimento per il clima, come Vanessa Nakate e Dominika Lasota. Incontreremo personalmente decine di governi: è l'occasione perfetta per lanciare un enorme appello per un'azione urgente. Unisciti a noi ora: firma con un clic e passa parola.

 


A tutti i leader mondiali,
"Tradimento". Così i giovani in tutto il mondo definiscono l'incapacità dei nostri governi di ridurre le emissioni. E non c'è da sorprendersi.
Siamo disastrosamente lontani dall'obiettivo cruciale di 1,5°C, mentre i governi di tutto il mondo addirittura accelerano la crisi, continuando a spendere miliardi per i combustibili fossili.
Questa non è un'esercitazione. È codice rosso per la Terra. Milioni di persone soffriranno per la devastazione del nostro Pianeta. Le vostre decisioni causeranno o eviteranno questo scenario terrificante. Sta a voi scegliere.
Come cittadini di tutto il Pianeta, vi chiediamo con urgenza di contrastare l'emergenza climatica. Non l'anno prossimo. Non il mese prossimo. Adesso. È fondamentale: Continuare a perseguire l’obiettivo fondamentale di 1,5°C, riducendo immediatamente e drasticamente le emissioni annue, con un atto coraggioso mai visto prima d’ora.
Porre fine immediatamente a tutti gli investimenti in combustibili fossili, i sussidi e i nuovi progetti e fermare nuove esplorazioni ed estrazioni.
Smettere di contare la riduzione di CO2 in modo "creativo", pubblicando le emissioni totali per tutti gli indici di consumo, le catene di approvvigionamento, l'aviazione e la navigazione internazionali e la combustione della biomassa.
Consegnare i 100 miliardi di dollari che avete promesso ai paesi più vulnerabili, con fondi aggiuntivi per i disastri climatici.
Adottare politiche climatiche per proteggere i lavoratori e i più vulnerabili, e ridurre tutte le forme di disuguaglianza.
Possiamo ancora farcela. Possiamo ancora evitare le conseguenze peggiori, se siamo pronti a cambiare. Ci vuole una politica determinata, lungimirante e un enorme coraggio, ma vi ripagherà, perché il vostro impegno sarà sostenuto da miliardi di persone.

 

 

 

LA NORMALITÀ
di Pierpaolo Calonaci

Opera di Vinicio Verzieri 2021

“Chiarire le nozioni, screditare le parole intrinsecamente vuote,
definire l'uso delle altre attraverso analisi precise.
Ecco un lavoro che, per quanto strano possa sembrare,
potrebbe preservare delle vite umane”.
Simone Weil
 
Questo contributo vorrebbe essere una riflessione utile a comprendere l’uso e il significato della locuzione normalità alla luce dell’uso che l’opinione comune ne fa per rappresentare una data realtà, un determinato ordine delle cose - come normalità del costituito - e quindi da accettare in modo irreversibile. Data la complessità di quella locuzione, divido questa riflessione in due parti.


Eden e normalità


La parola “normalità” viene comunemente e con disinvoltura invocata oggi - forse da sempre - come richiamo a quella condizione edenica verso cui sperare di tornare. L’analisi di questa locuzione parte quindi da questo sentimento interiorizzato che rimanda ad un bisogno di “sicurezza” perduta. Poiché l’Eden, come narrazione, racchiude in una sorta di maternage continuo il bisogno dell’uomo di essere accudito dai suoi antropomorfismi divinizzati. È un uomo incapace di qualsiasi responsabilità e autonomia poiché vive sotto l’imperativo rassicurante in cui trasgressione è immediatamente morte. È l’interiorizzazione più possente del comando e del potere. Fortunatamente, direi, per la specie umana irrompe l’irrazionale, la dionisiaca decisione della femminilità che sceglie la mela; simbolo e metafora di chi ha compreso che se le leggi e i limiti possono contenere un certo livello di realismo, ce l’hanno in virtù della loro trasgressione e della successiva ricomposizione. La conseguenza della narrazione la sappiamo. L’atto della responsabilità è essenzialmente un’azione che trasgredisce ed emancipa colui o colei che la compie in quanto permette la rielaborazione autonoma dell’essere umano e del suo agire. È un atto che rifiuta il moralismo del significato della norma, della normalità e delle regole. È grazie ad Eva (non un mero nome ma il simbolo stesso del femmineo in ogni uomo) che ci siamo responsabilizzati, abbandonando (solo provvisoriamente, purtroppo, considerando lo stato di prostrazione in cui siamo) lo stato di minorità in cui un dato processo di istituzionalizzazione delle norme (il peccato) e della loro naturalizzazione in cui invece prevede che rimaniamo. Non posso per evidenti ragioni richiamare l’enorme millenaria incisività deformante dell’educazione cattolica in questo doppio processo.


Opera di Vinicio Verzieri

Equivoco nel significato di norma

Analizzo come questo stato di minorità sia ancora pienamente operativo nel modo di pensare la relazione tra normalità e patologia, non dal punto di vista medico ma dalla prospettiva politica che struttura un ordine sociale e i comportamenti prodotti per appartenervi (o meno). Inizio col cercare di chiarire il significato di norma. Nel Devoto-Oli essa viene concettualizzata come “singolo precetto morale, giuridico, tecnico riferibile a una formulazione imperativa determinata […] per sottolineare l’assoluta obbligatorietà di un comportamento”. È una definizione che richiama simultaneamente qualcosa che non deve avere nessuna oscillazione poiché si deve mantenere uno stato di equilibrio, o meglio una situazione dove ogni oscillazione sia bandita. È una definizione della cui univocità semplicistica occorre ampliarne il portato etico-politico. Infatti, il cuore dell’obbligatorietà è fare sì che tanto i comportamenti sociali e individuali quanto il corpo fisico e politico non oscillino. Ma entro cosa questo stato di equilibrio coercitivo si mantiene e quali sono le condizioni dalle quali nasce? Quali sono i poli? Chi stabilisce le condizioni di questa oscillazione e i suoi limiti? Chi stabilisce cosa sia la norma e le regola per accedervi? Uno stato di equilibrio (coartante) è costituito contemporaneamente dal fatto designato da esso (descrittivo) e dal valore correlato (valutativo). Fatto e valore sono due poli che vengono stabiliti da colui che “parla”. Il parlare e l’interpretare, sia da parte di un singolo oppure di un’istituzione, riguardano i giudizi di valore intrinseci a quelle azioni. Tutto questo sistema di significanti, di simboli, di valori viene costruito appunto attraverso un sistema sociale che si pone come autorità normativa. Sottolineo che, già fin da questo primo approccio alla norma, essa non abbia niente di naturale e pacifico. L’equivoco qui segnalato tra fatto, valore e chi li fa interagire per un fine, fa risaltare la mancanza dell’elemento centrale in questo processo: l’individuo e la sua capacità di esprimere bisogni e norme interiori. L’individuo è, in questo processo, trasformato in soggetto, “il soggetto delle norme” suggerisce l’acuta analisi filosofica e di critica letteraria di Pierre Macherey. Egli è del tutto assoggettato alla norma. Bisognerebbe essere consapevoli lucidamente di questa arbitrarietà poiché essa contiene non una attività normativa generata da norme rispondenti ai bisogni reali dell’individuo nella sua totalità umana e sociale, ma la sua ideologizzazione, rappresentando la normalità come prodotto di naturalizzazione di bisogni e valori esterni, cioè imposti, all’individuo. Attività, quindi, che istituzionalizza la normalità, che le conferisce quell’aspetto incontestabile, dato e rassicurante sicuro che la legittima.

A FIANCO DEI PALESTINESI



“Se siete neutrali in situazioni di ingiustizia,
avete scelto la parte dell’oppressore”.     
Desmond Tutu

*

IN PIAZZA LIBERTY A MILANO




A CALENZANO




IL PENSIERO DEL GIORNO



Ormai si vive in un mondo di ladri,
ove un ladro ruba persino a un altro ladro
”.
Nicolino Longo 
 

LA MUSICA È CULTURA


Danilo Rossi
 

Questa è la lettera che ho appena inviato ad Aldo Cazzullo
del Corriere della Sera
.
 
Carissimo,
dopo una estate stracolma di allori sportivi, medaglie, campionati europei vinti, l'autunno è il periodo dei grandi concorsi internazionali musicali.
Al Concorso Pianistica Chopin di Varsavia l'Italia ha ottenuto il quinto premio con Leonora Armellini, 29 anni e il secondo premio con Alexander Gadjiev 27 anni. Al concorso violinistico Paganini di Genova invece l'Italia con Giuseppe Gibboni 20 anni ha vinto il Primo Premio assoluto, cosa che non succedeva da 24 anni. In nessun giornale nazionale e in nessuna tivù nazionale è stata data questa notizia. Inoltre nessun politico con ruoli istituzionali importanti, dalla cultura alla scuola all'università, ne ha parlato. Mi risulta che i vincitori di medaglie varie, olimpiche o tornei, dal tennis al volley, vengono invitati dal Presidente del Consiglio o addirittura dal Presidente della Repubblica.
La cultura al primo posto? Se fosse veramente così questi straordinari giovani sarebbero su tutti i giornali e su tutte le televisioni e sarebbero già stati invitati dalle più alte cariche dello Stato. Invece nulla di tutto questo è accaduto. Quindi in realtà siamo il terzo mondo culturale?
Mi piacerebbe avere un riscontro a questa mia domanda. La ringrazio.
PS. Aggiungo anche che pochi giorni fa l'Accademia Bizantina, ensemble italiano di musica barocca ha vinto ai Grammy il premio come seconda miglior orchestra al mondo! Anche in questo caso, silenzio totale!
Con stima.
Danilo Rossi
Prima viola Solista Orchestra Teatro alla Scala di Milano.

 

VITALE A BIENNO



Carissimi Amici dell’UCID,
vi ricordiamo che sabato 6 Novembre prossimo venturo a partire dalle ore 10,30 in poi, si terrà all’Eremo San Pietro e Paolo di Bienno l’atteso incontro col Professor Marco Vitale, sul tema del Sud Italia ora flagellato anche dal maltempo. Un valido sussidio per preparare questo appuntamento è il testo: “Il Sud esiste”, di Marco Vitale, ed. Tarantola che è davvero uno dei più bei libri di sempre scritti sul meridione d’Italia. Riteniamo l’approfondimento di questo tema cruciale in un momento come questo in cui ogni ganglio vitale del nostro Paese è chiamato a contribuire allo sforzo che deve riportare l’Italia ad essere giustamente reimmessa nel “giro” dei paesi che contano con l’autorevolezza e l’orgoglio che le vengono dal suo passato e dall’attualità che la vede sempre protagonista in diversi ambiti di idee e di imprese straordinarie. Abbiamo anche il piacere di informarvi che al nostro evento, grazie ai buoni uffici del Professore, parteciperà anche un testimone importante di una di quelle case histories considerata da tutti come un esempio, una best practice assoluta, di buon governo delle risorse e di efficienza nata, guarda caso, proprio a Napoli che spesso dai miscredenti viene additata in negativo: si tratta di Enzo Porzio, Responsabile della Comunicazione del Rione Sanità che con Padre Antonio Loffredo ha dato un contributo importante alla buona riuscita di questa esperienza. Questo seme di bene, che è per il bene comune o, come dico sempre tautologicamente io, per l’interesse comune, va diffuso e moltiplicato come i pani e i pesci del Santo Evangelo, perché possano crescere, nel Sud come nel Nord, esempi di cooperazione sussidiaria, dal basso, solidale, umanizzante e vincente come questi. Come Ucidini abbiamo la missione di parlare di questo, che è la traduzione pratica della Dottrina Sociale di Santa Madre Chiesa e non mi pare purtroppo faccia molto cassetta sulla stampa e la televisione della, concedetemi, “cultura di regime” che, personalmente, avverso. 
Un caro saluto a tutti
UCID VALLECAMONICA
Il Presidente
Enrico Chini

 

 

MOSTRE



ALTARS
Luigi Presicce/Raffaele Quida
A cura di Carmelo Cipriani e Antonio Grulli
 
 
6 - 28 novembre 2021 a Lecce
Ex chiesa di San Francesco della Scarpa
 
Opening: sabato 6 novembre, ore 18.30
 
Lecce. Sabato 6 novembre, alle ore 18.30, negli spazi dell’ex chiesa di San Francesco della Scarpa di Lecce, prenderà il via la mostra “ALTARS” bipersonale di Luigi Presicce (Porto Cesareo, 1976; vive e lavora a Firenze) e Raffaele Quida (Gallipoli, 1968; vive e lavora a Lecce), a cura di Carmelo Cipriani e Antonio Grulli. Smessa la funzione liturgica, la chiesa è oggi prestigioso luogo espositivo di proprietà della Provincia di Lecce. I due artisti dialogheranno tra loro e al contempo si porranno in diretta relazione con lo spazio, in particolare con gli altari, elementi significativi sotto molteplici punti di vista: religioso, antropologico, concettuale e non ultimo estetico. Attraverso le opere selezionate, Presicce e Quida daranno luogo, in forma autonoma, ad un percorso ordinato ed osmotico, da cui emergeranno una laica religiosità, la stessa che oggi permea e caratterizza lo spazio.
La mostra, patrocinata da Regione Puglia, Assessorato all'Industria Turistica e Culturale, dalla Provincia di Lecce e dal Polo Biblio-museale di Lecce, è sostenuta della Fondazione per l’Arte e le Neuroscienze “Francesco Sticchi” di Maglie. Nel corso dell’inaugurazione l’artista Luigi Presicce, che nella ex chiesa ha già lavorato nel 2012 realizzandovi Atto unico sulla morte in cinque compianti, performance corale inscenata utilizzando gli abiti personali e di scena di Carmelo Bene (le foto dell’intervento sono oggi visibili nel nuovo allestimento dedicato al grande drammaturgo realizzato dal Polo Biblio-museale di Lecce nell’attiguo Convitto Palmieri), attuerà una nuova performance dal titolo “Il miracolo della mandibola”. Una nuova performance in cui verrà meno la presenza di riferimenti a fatti realmente accaduti o immagini memorabili del passato, elementi ricorrenti nel lavoro dell’artista.
 

MEMORIA E FUTURO 


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EVENTI A MILANO




sabato 30 ottobre 2021

LINGUA E CERVELLO
di Romano Rinaldi

Max Hamlet S.
Carl Gustave Jung

A proposito di Fraintendimenti
https://libertariam.blogspot.com/2021/10/fraintendimenti-diangelo-gaccione-e.html

 
Perugia. Capita spesso anche a me, nonostante nella lingua parlata cerchi di usare la corretta terminologia e ponderati aggettivi, di non riuscire a trasmettere il significato accurato del mio pensiero. Questo mi accadeva anche più di frequente durante le lezioni accademiche, nonostante mi sforzassi di utilizzare un linguaggio appropriato e modulando la voce per evitare qualsiasi monotonia. Mi capitò persino uno studente che, pur seguendo le lezioni con interesse, mi disse che dalle mie lezioni aveva imparato molto sulla lingua italiana, ma la sua attenzione per quell’aspetto gli aveva precluso la comprensione della materia che stavo spiegando! Il motivo della incomprensione era dunque dovuto al pressapochismo a cui gli studenti erano abituati (anche dai miei colleghi!) e avrebbero forse capito meglio se avessi infarcito i miei discorsi di “cioè” o più recentemente, di “piuttosto che” usato al posto di “così come”. Tuttavia, in aula mi bastava osservare le espressioni sulla faccia degli studenti per riformulare il concetto con altre parole e giungere ad una tollerabile approssimazione della comprensione.
 


Nello scritto poi, sono sempre stato ancora più severo con me stesso, adottando un principio che soleva ripetere uno dei padri fondatori della cristallografia italiana. Il quale diceva "quando metti la penna sulla carta, devi tremare!". Intendendo che ci si deve apprestare alla scrittura con grande soggezione (dell'interlocutore) e si deve ben essere sicuri di quello che si dice e di come possa essere inteso, per evitare a tutti i costi qualche fraintendimento.
Ciò nonostante, mi è capitato e mi capita spesso di essere frainteso, anche in quello che scrivo. Anzi, negli ultimi anni, dopo l'avvento della scrittura "stile chat", l’uso della lingua scritta sembra aver subito un notevole deterioramento che va di pari passo con la diffusione del mezzo di comunicazione che tutti ci troviamo per le mani tutto il santo giorno. 


 
Max Hamlet S.
Freud

Del resto è tale e tanta l’approssimazione del linguaggio usato in questi scambi e tanto carente di espressioni linguistiche evolute che si è resa indispensabile la creazione di simboletti (i.e. le "faccine" e le “manine”) per esprimere stati d'animo e sentimenti, e quelle piccole immagini che possono arrivare a sostituire tutti i nomi delle cose in un testo! Non può dunque sorprendere più di tanto se il fraintendimento è divenuto quasi una regola anche da parte di persone da cui non te lo aspetti.
Insomma, questa enorme mole di comunicazioni che riempiono l’etere e ci bombardano continuamente sembra portare molti di noi verso una babele anche all’interno della stessa lingua e cultura. Per non parlare di come si è totalmente perduta la capacità di esprimere ironia, sarcasmo o anche solo umorismo. C’è sicuramente molta materia per approfondire l’aspetto psicolinguistico di questo fenomeno ma questo non è il mio campo e lascio ad altri il compito di spiegarmelo, senza fraintendimenti!
 
 
Alcune opinioni

 
Ho letto la tua amara riflessione, in realtà, caro Angelo, alla nostra età non dovremmo ormai più stupirci della verità di quanto osservò una volta Giacomo Leopardi sul fatto che "l'orbe terracqueo è pieno di coglioni". Purtroppo non ricordo il luogo preciso, credo sia una lettera, anzi se la trovi, dimmelo per favore... E comunque sono d'accordo sul fatto che ai coglioni non ci si abitua mai facilmente... ciao Franco  
Franco Toscani (Piacenza) 
 
Caro Angelo,
... non so a quale episodio tu faccia riferimento, ma quando l'interlocutore non si assume la responsabilità di quanto ha scritto, anche volendo prescindere dall'etica, diciamo quantomeno con gergo "aziendalese" che "non sta sul pezzo", che non ha logos, quindi, come tu dici, "non si finisce mai di stupirsi"... e di "stupidirsi"! buona giornata, un caro abbraccio. Gabriella   
Gabriella Galzio (Milano)
 
Bene Angelo, la questione purtroppo non è solo di oggi. A me, in margine a quanto tu scrivi, vengono in mente i versi Antonia Pozzi: tristezza di questa mia bocca / che dice le stesse / parole tue /- altre cose intendendo - /e questo è il modo /della più disperata lontananza.  
Buona giornata, Gabriele
Gabriele Scaramuzza (Milano)
 
Il fraintendimento è facile perché non si è sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda o per l’uso improprio del codice linguistico. Il polemico è colui che è tanto pieno di sé che non è disposto a cambiare opinione anche di fronte all’evidenza logica, anche perché è ignorante. Da sottolineare che da polemos deriva polemico (guerrafondaio).
Nicola Santagada (Amendolara)
 
Carissimo Angelo, semplicemente esemplare. Ne ho purtroppo anch’io dolorosa e inaccettabile esperienza.
Cesare Vergati (Milano)
 
Non ti curar di loro ma guarda e passa…
Giovanna Ioli (Torino)
 
Così è, Babele sempre vive.
Marcella Arzuffi (Villa Dalmè)
 
Proprio vero. Non si finisce mai di stupirsi.
Maria Spinelli (Verona)
 
Penso che a ognuno di noi sia capitato di rovinare rapporti per avere interpretato nel modo sbagliato un messaggio, sia verbale che scritto. A volte quello che per noi è chiaro non lo è per chi ci ascolta e viceversa. Secondo me l’importante è esprimere con chiarezza il nostro pensiero e accettare che l’altro lo possa interpretare a modo suo perché ha frainteso o perché pensa diversamente da noi.
Mary Damè (Valle d’Aosta)
 
Sono in piena sintonia col tuo editoriale in merito ad alcuni personaggi pseudo “amici”, in perenni disquisizioni polemiche. Purtroppo nell’ambito letterario, e non solo, sono molto comuni gli sproloqui del tutto infondati e senza alcuna critica costruttiva…
Tano Capuano (Varese)

BIRRA E BREXIT (E REFLUSSI)
di Paolo Vincenti
  


Un giorno di qualche anno fa, i miei figli guardavano “I Simpson” in tivù. Il lercio protagonista Homer al solito si ingolfava di birra e quando all’ennesimo rutto mio figlio Filippo prorompeva in una grassa risata, l’altro figlio, Giacomo, gli diceva: “ma lo sai che noi oggi conosciamo la birra grazie agli inglesi? L’hanno inventata fra Mesopotamia ed Egitto più di cinquemila anni fa, ma fu all’epoca dei Romani che venne importata in Italia dalla Britannia”. Mentre Giacomo faceva sfoggio di erudizione, a danno del fratello minore, io seguivo sull’altro televisore i commenti sulla “Brexit”, cioè l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa decisa dal referendum popolare del 23 giugno 2016. In effetti, nell’83 d.C. la birra, conosciuta dai Celti e dai Germani, arrivò a Roma importata da Agricola, governatore della Britannia, il quale portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l’odierna Gloucester) che insegnarono ai romani a produrre la bevanda e a venderla. Nell’antichità però la birra non era composta di luppolo. Il liquido veniva creato con diversi cereali come l’avena, l’orzo, il frumento, e fermentato con aromi vari. Fu solo a partire dal IX secolo d.C. che si iniziò ad usare il luppolo ma fu propriamente nel XIII secolo che la birra col luppolo venne perfezionata nei paesi della Germania e divenne una bibita amatissima ed esportata in tutto il mondo.



“L’ Inghilterra non ha nulla a che fare con l’Europa. Col suo naso appuntito verso il polo e le sue alture bianche sul mare mostra chiaramente di non voler appartenere al continente. L’Europa non è per lei che una di quelle parti del mondo dove le conviene trafficare, dominare e, se occorre, combattere. Tutte le terre per lei, pari sono. Non è in comunione con l’Europa e neppure con gli altri continenti. Non è solidale con nessuno… la menzogna non è soltanto, per il popolo inglese, un’arma da guerra ma la natura stessa, la sua essenza, la sua forza e insieme la sua debolezza. Si vanta, ad esempio, di essere il paladino del liberalismo mentre ognuno sa che è governato da una ristretta oligarchia formata dai relitti dell’antica nobiltà guerriera e terriera e dai campioni della recente aristocrazia banchiera e manifatturiera. Si vanta di essere un popolo pacifista mentre poi reprime ferocemente le rivolte dei sudditi… proclama di essere cristiano mentre la sua religione non è che un gelido fariseismo o un falotico ereticismo. Ritiene di essere idealista mentre è l’archetipo dei popoli mercatori e bottegai… si atteggia a moralista e puritano ma la sua pudicizia verbale e la sua schizzinosità filistea ricoprono una corruzione assai maggiore di quella dei più malfamati paesi… l’ipocrisia non è dunque una leggenda… L’Inghilterra, più degli altri popoli, è quasi immedesimata colla finzione. Il popolo inglese è talmente avvezzo alla simulazione che non si accorge più di mentire. E ben gli conviene essere alleato col dio Mercurio che era, ad un tempo, il protettore dei mercanti e il patrono dei bugiardi”. Chi scrive è Giovanni Papini (in La spia del mondo, Vallecchi, 1955). Questa tirata anti britannica da parte dello scrittore fiorentino fotografa bene quelli che sono gli stereotipi ai quali ancora oggi pensiamo quando guardiamo al popolo inglese. Varie erano le opinioni della politica inglese riguardo la Brexit, tanto che si giunse ad un referendum, fra il Remain, cioè restare in Europa, e il Leave, cioè lasciare l’Europa, e quest’ultima posizione ottenne il 51, 90% dei voti, vincendo. Del resto, la Gran Bretagna, a suo tempo, non aveva accolto con favore l’ingresso nella Ue e dal punto di vista monetario è sempre rimasta fedele alla sua divisa nazionale, ossia la sterlina. I malumori crescenti nei confronti delle politiche europee, un sano nazionalismo di cui il popolo britannico certo non difetta, i drammatici accadimenti di questi tempi, come le massicce ondate di immigrazione che hanno coinvolto tutta Europa, una agguerrita campagna stampa da parte del partito Ukip col suo leader Nigel Farage, tutto ciò ha portato al risultato del referendum del 2016 a favore della Brexit.  E così, la “perfida Albione” ha confermato quella vena di snobismo che da sempre le attribuiamo. “L’inglese è talmente superbo”, scrive ancora Papini, “che considera tutti gli altri popoli come armenti di esseri subalterni, semiselvaggi o semibarbari, coloured people, poco al di sopra degli animali... L’inglese manifesta il suo orgoglio connaturale e spontaneo col suo contegno stesso, col suo modo di trattare e di fare, con la tranquilla altezzosità verso tutti gli altri, con la fanciullesca compiacenza della sua grandezza e della sua perfezione”.



Gli inglesi festeggiarono in piazza il risultato del referendum, ingozzandosi di birra. Torme di giornalisti sguinzagliati per le strade intervistavano a manetta il fruttivendolo e il macellaio, il professore e l’analista di borsa, la casalinga e il politico, insomma una buona rappresentanza del popolo inglese. Ognuno diceva la propria, ma prevaleva nettamente il sentimento di gioia, quasi di liberazione. E tutti ci bevevano su, allegramente. Ora, a distanza di qualche anno, mi ritorna in mente questo importante evento di politica estera perché si apprende dai mezzi di informazione che l’Inghilterra versi in un grave disagio, a causa del rincaro dei combustibili e della penuria di approvvigionamenti, cosa che ha costretto milioni di automobilisti a lunghissime code davanti alle stazioni di servizio, con non poco imbarazzo del governo e in particolare del Premier Boris Johnson, il cui indice di popolarità è dato in netto calo nei sondaggi. La domanda sorge spontanea, allora: è stata davvero una liberazione quella della Gran Bretagna dal giogo della cosiddetta Troika? Dalle presunte vessazioni della Comunità Europea? La paura e la rabbia di fronte alle ondate di immigrati che si sono registrate negli ultimi anni hanno annebbiato la vista dei britannici? Certo, l’inglese medio pensa che gli extracomunitari, soprattutto romeni e polacchi, rubino il lavoro agli isolani e accettando paghe più basse facciano concorrenza sleale agli inglesi stessi, per questo chiedono che si chiudano le frontiere agli stranieri. Né più né meno di quello che sta avvenendo in tutti i paesi europei, compresa l’Italia. E tuttavia nessun paese europeo chiede l’uscita dalla Ue. Evidentemente, a pesare nella scelta degli inglesi a favore della Brexit - una scelta trasversale, che ha coinvolto il popolo minuto e l’establishment, gli operai e i grandi finanziari e imprenditori, l’artigiano e l’analista di borsa, la stampa e i media -, è stato qualcosa di più, ossia la delusione e la protesta nei confronti delle deludenti politiche interne attuate dagli ultimi governi conservatori.
L’Inghilterra comunque, nel 1400, dalla birra di malto si convertì alla birra di luppolo perché il maggiore tasso alcolico procurava alla bevanda una maggiore attrattiva, conferendole un gusto più forte, deciso. Nelle immagini dei tg, al momento dell’uscita, i baldanzosi britannici sbevazzavano, scalmanando come satiri e folli menadi fra le strade di Londra, Manchester, Liverpool, Nottingham. Tuttavia, si ha l’impressione che quella sia stata una sbandata collettiva, come un brutto sogno. Oggi, dopo aver smaltito la sbornia, e completata ormai la lunga fase di negoziazione con la Ue e a transizione avvenuta, i britannici si stanno accorgendo che non basta una bevuta per dimenticare i guai.

venerdì 29 ottobre 2021

IL PENSIERO DEL GIORNO



Mentre la pandemia, in tutto il mondo, sta facendo un macello,
le altre malattie ne stanno approfittando per fare carne di porco
”.
Nicolino Longo  

INGIUSTIZIA


La società senza giustizia
produce mostri
”.         
Laura Margherita Volante
 

UNA STORIA OPERAIA


Noi ci battiamo perché gli infortuni e i morti sul lavoro e di lavoro non vadano mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità.
 
Lotte operaie e popolari, verità storica e verità giuridica.
La nostra storia per molti aspetti è simile a quella dei lavoratori di Porto Marghera, della Thyssen Krupp, dell’Eternit di Casale Monferrato, della Fibronit di Broni (Pv), dell’Ilva di Taranto e di moltissime altre fabbriche. È simile anche nelle responsabilità d’imprenditori senza scrupoli, di padroni e istituzioni complici di un sistema industriale capitalista che favorendo il profitto a scapito della salute della vita umana hanno avvelenato interi territori condannando a morte anche le future generazioni.
È simile nelle responsabilità dei vertici aziendali, che sapevano in anticipo di questi omicidi annunciati e dei crimini ambientali provocati, dal cloruro di vinile monomero alla Montedison, dall’amianto, cromo e altre sostanze cancerogene all’Ilva, all’Eternit, alla Fibronit e alla Breda e nulla hanno fatto per impedirli.
Il killer in Breda e nelle fabbriche di Sesto San Giovanni si chiamava amianto, ma anche, cromo, nichel, arsenico, piombo e altri ancora.
La nostra esperienza di lotta nasce e si sviluppa a Sesto San Giovanni (Milano), una delle più grandi concentrazioni operaie italiane.
L’ex Stalingrado d’Italia è stata e continua a essere una delle città più inquinate d’Europa. Anche oggi che i 42.000 posti di lavoro delle sue fabbriche sono stati eliminati, continuano a persistere gravi problemi ambientali con danni alla salute dei lavoratori e alla popolazione.



Una delle parole d’ordine che abbiamo sempre sostenuto in fabbrica fin dagli anni ‘70 è stata: “La salute non si paga – la nocività si elimina”, scontrandoci con il padrone (che dava la paga di posto più alta per i lavori nocivi e mezzo litro di latte), il sindacato che barattava salario e salute, alcuni sindacalisti sul libro paga del padrone, e anche alcuni nostri compagni di lavoro che vedevano nell’indennità di nocività la possibilità di arrotondare il salario (anche se di poche lire) senza essere coscienti pienamente dei pericoli per la salute.
Nei primi mesi del '94 dopo essere stati espulsi dalla fabbrica con la cassa integrazione in 800, abbiamo organizzato e partecipato attivamente all'occupazione di Cascina Novella, a Sesto San Giovanni, un posto abbandonato nel cuore del quartiere adiacente all'area Breda, da anni luogo di spaccio di droghe varie.
Abbiamo cercato di trasformare Cascina Novella in spazio d’incontro dei cassintegrati e dei disoccupati dell’area di Sesto San Giovanni.
La storia di "Cascina Novella Occupata" è stata veramente interessante per la sua capacità di aggregazione di lavoratori e di giovani, oltre che per il coinvolgimento degli abitanti del quartiere solidali con gli operai.
Dopo più di tre anni di attività Cascina Novella (nel frattempo ripulita e resa parzialmente abitabile a spese degli occupanti) e conosciuta come il “fortino dei cassintegrati”, sarà sgombrata nell'estate '97 dalle Forze del “disordine”, per incarico di un’Amministrazione Comunale di "sinistra" infelice e ingrigita; che però in seguito sarà costretta dalle lotte a promettere e infine concedere una nuova sede.
Ed è così che dalle ceneri di Cascina Novella nasce l'esperienza del Centro di Iniziativa Proletaria di via Magenta 88 a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, il cui primo volantino merita di essere riprodotto almeno in parte.
La nostra storia inizia il 23 aprile 1994, quando un gruppo di cassintegrati delle storiche fabbriche di Sesto (Breda, Ansaldo, Marelli ecc.), dopo aver inutilmente chiesto a varie istituzioni una sede per le loro riunioni, occupano una cascina abbandonata in viale Marelli 225.



Questi lavoratori, sfruttati per anni in nome del profitto e poi espulsi dal ciclo produttivo perché considerati "esuberi", hanno aperto un centro di aggregazione operaia, strappando al degrado Cascina Novella, recuperando quello spazio al quartiere e rendendolo pulito e agibile per le più svariate iniziative.
Con quell’occupazione, il Coordinamento Cassintegrati Milanese ha dato alla sua lotta per il lavoro un significato più ampio, coinvolgendo giovani, disoccupati, studenti, pensionati nel progettare assieme uno spazio di ricomposizione di classe e d’iniziativa proletaria.
In più di tre anni in Cascina Novella sono state promosse centinaia d’iniziative, dal sostegno alle lotte per il lavoro, ai dibattiti sulle questioni internazionali, sulla salute e la prevenzione, all'assistenza legale gratuita, alla compilazione della dichiarazione dei redditi, alle feste per i bambini, alle cene popolari con spettacoli musicali e teatrali, ecc.
Momenti, questi, importanti per riaffermare una pratica di partecipazione diretta, di critica dell'esistente, di messa in discussione della società del profitto, che tutto mercifica, dalla socialità alla salute, alla vita umana stessa. In tale senso abbiamo organizzato la lotta, vittoriosa, insieme a tanti abitanti di Sesto, contro la chiusura del Pronto Soccorso e dell'ospedale, perché riteniamo che la salute non sia una merce, perché riteniamo inaccettabile che qualcuno arricchisca a spese di chi si ammala.
A maggior ragione abbiamo fin da subito sostenuto la battaglia degli ex-operai della Breda e di altre fabbriche ammalati di cancro a causa della nocività in fabbrica, ospitando il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio e appoggiandoli nelle loro lotte; cosa che continueremo a fare nella nuova sede di via Magenta, nella quale questi operai continueranno a riunirsi.
Nel 1996 - a conclusione di un’inchiesta e di un’analisi che portò alcuni operai a collegare le lavorazioni effettuate in fabbrica con l’insorgere di molti tumori fra i lavoratori della Breda Fucine di Sesto San Giovanni - è nato il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio che, da allora, si sta battendo per ottenere giustizia per i lavoratori morti, i loro familiari, i malati e quanti si ammaleranno, purtroppo, nel futuro.



Anni di “sacrifici” non hanno evitato lo smembramento della fabbrica, la cassa integrazione e la chiusura della Breda.
Lo stesso processo è avvenuto nelle altre fabbriche sestesi, con la chiusura della Falck, dell’Ercole Marelli, della Magneti Marelli, dell’Ansaldo e di tutte le altre grandi fabbriche.
Molti lavoratori, oltre a quelli della Breda, hanno avuto la salute rovinata e perso la vita.
Il 3 giugno 1999, a 54 anni muore Giambattista Tagarelli, un compagno con cui abbiamo condiviso anni di lotte. Gianni, com’era chiamato dagli amici, è stato uno dei fondatori del nostro e per anni è stato esposto e ha respirato fibre d’amianto e altre sostanze cancerogene in fabbrica, da allora la nostra sede si chiama Centro di Iniziativa Proletaria “G: Tagarelli”.
E’ in questa situazione che si colloca la nostra lotta.
Dopo anni di battaglie, 19 denunce archiviate e oltre 130 lavoratori uccisi dal killer amianto, il primo processo che ha portato sul banco degli imputati due dirigenti della Breda è finito con l’assoluzione dei dirigenti imputati. Dirigenti che, come alla Montedison, alla Fincantieri e in tante altre fabbriche, tutto sapevano e nulla hanno fatto per evitare centinaia e centinaia di morti annunciate. In un secondo processo i dirigenti sono stati condannati a 18 mesi, ma il giudice concedendo le attenuanti generiche ha fatto si che il reato si estinguesse per intervenuta prescrizione e così è scattata l’impunità nei confronti di 9 dirigenti della Breda/Ansaldo condannati per omicidio colposo e la beffa per le vittime.
Così, pur essendo stati riconosciuti colpevoli, nessuno di loro ha pagato.
In Italia chi uccide i lavoratori in nome dei bilanci aziendali salvo casi particolari rimane, impunito. L’unico diritto riconosciuto è quello di fare profitti, a questo sono subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia di classe che protegge in ogni modo i padroni, un intero sistema economico, politico e sociale fondato sul capitalismo fa sì che la salute e vita umana, davanti ai profitti, passino in secondo piano.
Questa è la verità storica che emerge e la “verità giuridica” diventa una chimera, perché riconoscere questi fatti, significherebbe mettere sotto accusa un intero sistema industriale, quello stesso sistema che oggi produce 1000 morti sul lavoro, migliaia di morti per malattie professionali e un milione di infortuni ogni anno.



La nostra lotta ci ha fatto comprendere che non esistono istituzioni neutrali.
Ha dimostrato a molti lavoratori che la frase, scritta nelle aule dei tribunali italiani “la legge è uguale per tutti” non corrisponde a verità. In questa società chi non ha soldi non può neanche far valere le sue ragioni.
Anche se in alcuni casi la lotta dei lavoratori e la pressione dei cittadini, ha contribuito a far condannare i padroni come alla ThyssenKrupp o all’Eureco di Paderno Dugnano (Mi), dove il padrone fu condannato in Cassazione a 5 anni di reclusione per l’omicidio colposo di quattro operai bruciati vivi, altri tre feriti gravemente, molti, troppi, tribunali hanno emesso sentenze assolutorie verso i padroni, sostenendo che “uccidere i lavoratori in nome del profitto non è reato”. In questo senso noi critichiamo anche sentenza della Corte di Cassazione che - pronunciandosi sui sette operai morti bruciati sul lavoro il 6 dicembre del 2007 alla ThyssenKrupp di Torino - ha eliminato il “dolo” riducendo la responsabilità’ dei dirigenti industriali al solo ‘omicidio colposo.
Più volte la Cassazione ha riproposto una tesi che noi combattiamo da sempre, quella che i morti sul lavoro e le malattie professionali sono inevitabili. Noi come tutte le associazioni e comitati che si battono nelle fabbriche nelle piazze e nel territorio abbiamo il dovere di presentarsi parti civili nei processi proprio contro questa tesi.
Non è un caso che questa tesi sia passata nel processo ThyssenKrupp. In questo processo era rimasta come parte civile solo Medicina Democratica perché i sindacati (FIM, FIOM, UILM, CUB) e gli enti pubblici (Comune, Provincia, Regione, INAIL) dopo essere stati risarciti e aver preso soldi sono usciti dal processo.
Contro questo noi continueremo a lottare, fuori e dentro le aule dei tribunali, perché vogliamo e pretendiamo giustizia.
Pur essendo coscienti di andare contro interessi economici giganteschi, contro una società che vive e prospera mettendo il profitto prima degli esseri umani, noi non ci arrendiamo.
Noi ci battiamo perché gli infortuni e i morti sul lavoro e di lavoro non vadano mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità.
 
Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Via Magenta 88 – 20099 Sesto San Giovanni (Mi) telefax 02. 26224099
mail: cip.mi@tiscali.it
http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com
https://www.facebook.com/cip.tagarelli/

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