UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 31 luglio 2023

BUON RIPOSO A TUTTE E TUTTI


A
partire da oggi “Odissea” si concede una pausa. Riprenderemo il lavoro ai primi di settembre. Daremo un po’ di tregua ai nostri occhi. Avrete modo di leggere ciò che vi è sfuggito o che avete dovuto trascurare per mancanza di tempo.

MELVILLE E IL CASSONETTO DELL’IMMONDIZIA
di Angelo Gaccione
 

Cesare Pavese

Parlando di Herman Melville, e in particolare del racconto Benito Cereno, in un lontano scritto del 1932, Cesare Pavese sottolinea il clima di indifferenza e di avversione del pubblico nei confronti dell’autore di Moby Dick. La magia era svanita man mano che la sua prosa si era allontanata dall’esotismo, lo stile si era fatto più “pregnante” e la materia aveva imboccato strade nuove e più ardite. La critica non sarà da meno e oscillerà fra silenzio, avversione e stroncature. Finiva così l’illusione del narratore di guadagnare con la scrittura “il pane per sé e per la sua famiglia”. Il passaggio di Pavese è impietoso: “(…) accadeva che toccasse ai lettori e ai recensori il compito di ricordargli che la società non da nulla per nulla e che chi vuole essere acclamato deve in sostanza divertirla o viziarla” [‘Melville, i miti di Moby Dick e Benito Cereno’].
Questo scritto è stato ora riproposto nel volume Cesare Pavese il mito, curato da Marcello Veneziani per la casa editrice Vallecchi di Firenze. Credo che ad ogni scrittore degno di tale nome dovrebbe interessare questa puntuta sottolineatura di Pavese e meditarla. Assecondare il gusto del pubblico fino a viziarlo, costituisce, a mio modesto parere, un tradimento. Un tradimento per la sua coscienza morale, la sola a cui uno scrittore scrupoloso deve obbedire. Da tempo, oramai, il novantanove per cento di quello che ancora definiamo letteratura, ha preso una pericolosa deriva. Da un lato il pubblico viene viziato e saziato fino alla bulimia, dall’altro si sono fatti sempre più stretti e invalicabili gli anfratti, già molto accidentati, per quei pochissimi che non vogliono né vellicare i gusti deteriori del pubblico, né provocare offesa alla propria coscienza morale di scrittori.


Herman Melville
in un ritratto di Joseph O. Eaton

Non c’è figura pubblica (vale per ogni ambito delle professioni e per ogni ambito dell’intrattenimento), che non possa contare sulla benevolenza del potere mediatico e sui suoi circuiti di diffusione di massa – variamente connotati – a cui non venga spalancata la porta dell’editoria “maggiore”. È divenuto così pervasivo, invadente, e forse inarrestabile, questo processo, che una marea di titoli inutili e mediocri sommerge il poco di buono in circolazione e lo soffoca. Una foresta fitta e intricata, che raramente lascia scampo a qualche “cespuglio” dalla forma e dal pensiero dissonanti, che tenta disperatamente di far capolino dalla sterpaglia. Il prodotto stesso (così si parla del libro negli ambienti del commercio) ha finito per perdere di autorevolezza, ed è scomparsa quell’aura di rispetto che lo aveva per secoli e secoli contraddistinto. Si dirà: la società di massa ha bisogno di prodotti di massa. Il consumismo è basato sulla merce, anche su merci deteriori, ed il libro è una merce come un’altra soggetta al consumo e al cassonetto dell’immondizia.
Potevano bastare le televisioni per questo, gli stadi, i festival di San Remo, i rotocalchi, i talk show. Ma così stanno le cose e bisogna prenderne atto.
Tenete duro voi scrittori dignitosi e marginali, non concedete un centimetro al nemico. Lo so, dovete farvi largo avanzando con il pugnale ben serrato fra i denti, ma non vi è dato altro, se non volete finire nel cassonetto della spazzatura. 

VASSALLI
di Luigi Mazzella



Moine, salamelecchi e svenevolezze diplomatiche: oggi si ubbidisce così!
 
Ciò che era consentito ai Romani, egemoni nel Mediterraneo (che con scarso understatement proclamavano: mare nostrum) dev’essere vietato ai loro epigoni attuali, gli Italiani. Questi, infatti, lasciatisi infinocchiare dal digrignar di mascelle di un maestro elementare di Predappio, Benito Mussolini, si erano fatti coinvolgere, successivamente e dopo avventure africane di tipo coloniale, in una guerra suicida iniziata da un imbianchino di Vienna, Adolph Hitler e avevano dovuto arrendersi senza condizioni agli alleati anglo-americani ottanta anni fa circa. Memori di un detto anch’esso romano (Vae victis: guai ai vinti), gli Alleati avevano imposto la presenza nel Trattato di pace di una clausola che vietava ogni ipotesi di crescita economica incontrollabile di un Paese sconfitto. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata convocata, in buona sostanza, a Washington per essere redarguita, tra affettazioni “complimentose” e giudizi vagamente elogiativi, per avere, sinora, omesso di rinunciare agli scambi commerciali con la Cina, potenzialmente forieri di imprevedibili incrementi economici, previsti nel patto sottoscritto da Giuseppe Conte e denominato “Via della Seta” (ancora una volta, in ricordo degli antichi scambi di merci dell’epoca romana). 
Il suo “signorsì” è stato pronunciate tra le consuete moine e svenevolezze pseudo-diplomatiche cui ci stanno abituando i suoi incontri internazionali, 
ma la sostanza, a dispetto dei “salamelecchi”, è stata quella dell’ennesimo atto di sottomissione agli ordini di Biden. D’altronde, l’idea che il massimo rappresentante del suo governo, si tenga mano nella mano e sorrida maliziosamente con lo sguardo rivolto (necessariamente) dal basso verso l’alto, a chi le impartisca comandi, piace enormemente a un popolo, come il nostro, la cui tendenza al servilismo complimentoso è nota fin dai tempi di padre Dante (Ahi serva Italia… e quel che segue). E, nel Paese, la stampa che sosteneva orgogliosamente di aver fatto dell’antifascismo una religione, dà prova di essere stata anche capace di una repentina abiura!

IL COLONIALISMO FRANCESE È FINITO
di Franco Continolo
 


Il giudizio di Romano Prodi sul colpo di stato in Niger è molto chiaro: è la fine definitiva del colonialismo francese. C’è un altro episodio che rafforza questo giudizio: nei giorni scorsi, con un referendum, il Mali ha abolito il francese come lingua ufficiale. Il primo nodo che dovrà sciogliere la giunta insediatasi a Niamey è la presenza militare straniera: oltre ai francesi ci sono 300 italiani, che non dovrebbero costituire un problema visto che non si capisce cosa siano andati a fare, e più di mille americani - come fa notare Dave DeCamp, da quando ci sono gli americani gli episodi di terrorismo nell’Africa centrale si sono moltiplicati per mille (a conferma della teoria che l’obiettivo di Washington è destabilizzare). Prodi conclude l’editoriale auspicando che l’UE prenda esempio dalla Russia, e convochi un vertice con i leader africani. Per l’ex presidente del Consiglio sembra che basti un po’ di buona volontà per avere successo. In realtà il fallimento del recente vertice con i paesi della dell’America Latina dimostra che la buona volontà e la promessa di investimenti non bastano. Per essere credibili occorre prima di tutto smettere di raccontare balle, e di pretendere di avere qualcosa da insegnare - vedi la democrazia, i valori e altre fantasie; poi rompere con l’imperialismo passato e presente - quest’ultimo a rimorchio di Washington. L’esempio è la Russia che pur partendo avvantaggiata – essa può infatti rivendicare di non avere avuto colonie in Africa, e di essere l’erede dell’Unione Sovietica, il cui sostegno ai movimenti di liberazione è riconosciuto - offre ai leader africani l’idea di un ordine internazionale più equo, quindi multipolare: in altre parole, l’idea di un concerto di imperi - tra i quali l’Unione Africana, la cui realizzazione viene incoraggiata – che è la condizione necessaria affinché le Nazioni Unite non finiscano, come oggi, sottomesse alla potenza egemone. Questo è il messaggio che Putin ha ripetuto in tutte le lingue, e che i leader africani sembrano avere apprezzato. Il vertice di San Pietroburgo ha visto anche una presenza inusuale, Kirill, il patriarca della Chiesa Ortodossa. È stato il suo un intervento utile, opportuno? Si può immaginare utile a Putin, a fini interni; ma opportuno? Qui i dubbi nascono dalla difficoltà di delineare con precisione i confini tra religione e politica; ciò che si può dire però con sufficiente certezza è che quando la religione e la politica si lasciano tentare dalla retorica dei valori, entrambe finiscono fuori strada, ma forse più la religione della politica. I valori sono anche quella nebbia che consente, per esempio, ai governanti italiani di occultare, o di vendere come libere scelte, le imposizioni di Washington. Lo ricorda Alberto Negri a proposito della ridicola pretesa della Meloni di riproporsi nelle vesti di Enrico Mattei. La Meloni è infatti una serva come i Draghi, i Renzi, i Letta e le Schlein, ma va aggiunto - repetita iuvant - con l’aggravante di rappresentare un movimento che si è distinto per fare il lavoro sporco per conto dell’occupante, prima i tedeschi, poi gli americani. 

REFERENDUM E GUERRA
 

Gabriella Galzio pone una questione molto seria a proposito del fallimento del Referendum contro l’invio di armi in Ucraina e bisognerà fare un’autocritica severa. Anche se chi come noi non ha nulla da rimproverarsi (personalmente ho messo a disposizione “Odissea”, ho preso parte ai banchetti di Milano e sfilato ai cortei anche in condizioni di salute precarie). Ma il fallimento ha le sue ragioni e bisognerà interrogarsi pubblicamente e senza ambiguità.
 
 
Caro Angelo,
sono appena venuta a sapere dell’esito negativo della raccolta firme per i referendum contro l’invio di armi in Ucraina, cui senz’altro ha concorso il silenziamento dei media di regime; ciò nonostante mi sono cadute le braccia leggendo l’analisi di questa assenza da parte dei cittadini: giovani, pacifisti, parrocchie, M5S... assenti! Il papa non è “riuscito” a mobilitare le parrocchie, Conte si schiera contro l’invio di armi in Parlamento, ma poi non “riesce” a mobilitare iscritti (133.664 all’agosto 2022) e simpatizzanti (eredi di una tradizione radicale della democrazia diretta)... e i pacifisti? Quanti sono i pacifisti? E quelli dei sondaggi dati oltre il 50%? E i giovani? Le giovani larve, prime ad essere sbattute al fronte in caso di guerra? Possibile che viviamo in un mondo di smidollati? Se non esercitiamo quei pochi istituti di democrazia diretta, peraltro in questioni cruciali come pace o guerra, tanto vale consegnarci a qualunque regime voglia esautorarci. Altro che cittadini sovrani, sudditi, ecco quello che sono, quelli che potevano firmare e non l’hanno fatto.
Gabriella Galzio

 

domenica 30 luglio 2023

VA TUTTO PER IL MEGLIO!
di Associazione di volontariato Idra


 
Adesso è ufficiale: a Firenze, città delle alluvioni, il progetto bendato della Tav riparte senza neppure un piano di emergenza. Lo scrive a Idra il comando provinciale dei Vigili del Fuoco. Ma è solo l’ennesima indecenza: altro che ‘settimana che rimarrà nella storia’! Idra documenta un inquietante concorso di silenzi, omissioni e responsabilità. Con posta elettronica certificata, il comandante provinciale dei Vigili del Fuoco di Firenze risponde a un quesito posto invano da mesi a tutte le istituzioni competenti (Comune, Regione, Autorità di bacino, Prefettura, Osservatorio Ambientale): dov’è il ‘Piano di emergenza’? Nel caso di Firenze, questo strumento assume un particolare rilievo, tenuto conto che l’inserimento e l’esercizio dell’opera sono previsti in un contesto urbano, fortemente antropizzato, e che la vulnerabilità idrogeologica della città* è storicamente attestata e drammaticamente confermata dall’alluvione nel 1966 del fiume Arno e da quella nel 1992 dei torrenti Mugnone e Terzolle (nella cui area di esondazione sono peraltro ubicati la stazione sotterranea AV e parte dei tunnel): di qui la necessità, l’urgenza e la improcrastinabilità di uno strumento di prevenzione come il Piano di emergenza che per i due tunnel di 6.444 metri consideri anche il rischio esondazione.


Del resto, lo stesso Decreto Ministeriale 28 ottobre 2005 - Sicurezza nelle gallerie ferroviarie prevede all’art. 1, comma 2, che le gallerie ferroviarie devono essere progettate, costruite, sottoposte a manutenzione ed esercite in maniera da assicurare adeguati livelli di sicurezza agli utenti, ai lavoratori e agli incaricati delle operazioni di soccorso. E specifica: Il piano di emergenza deve essere proposto fin dalla fase di progettazione”.
C’è chi non ha dato alcun riscontro, come il prefetto, l’assessore regionale alle Infrastrutture e l’Autorità di bacino. Chi – ad attestare la qualità del vino – ha presentato la generica certificazione dell’oste. Il direttore generale del Comune ‘rassicura’ allegando le poche righe di conforto del progettista, le Ferrovie, che dopo oltre un ventennio di impasse hanno meritoriamente assunto - va detto - la responsabilità della rivisitazione del progetto e dell’alta sorveglianza sulla sua esecuzione, affidata finalmente a una stazione appaltante invece che a un contraente generale controllore-controllato, dopo il fallimento consecutivo delle grandi cordate guidate da Coopsette e Condotte.
Relativamente al progetto, agli atti di questo Comando - scrive dunque a Idra il comandante provinciale dei Vigili del Fuoco Marisa Cesario - non risulta ancora essere stata depositata alcuna documentazione, tanto ai sensi del DPR 151/2011, quanto ai sensi del D.M. 28/10/2005. E opportunamente chiosa: Il decreto ministeriale 28/10/2005 Sicurezza nelle gallerie ferroviarie trova applicazione alle gallerie ferroviarie di lunghezza superiore a 1000 m, prevedendo l’adozione di un piano di emergenza fin dalle fasi progettuali. Ma intanto qualcuno festeggia per i lavori già avviati.



Della ‘project review’ effettuata in questi ultimi anni dalla neonata costola Infrarail delle Ferrovie nulla del resto trapela, se non in via ancora informale attraverso i colloqui accordati da Rfi a Idra, l’associazione ecologista che dal 1994 monitora i progetti e i lavori della TAV in Toscana, e che per questo è stata iscritta come parte civile nel procedimento penale a carico del consorzio costruttore del pericoloso passaggio appenninico in galleria monotubo fra Vaglia e Bologna, e come parte ad adiuvandum nel procedimento contabile con cui la Corte dei Conti ha acclarato la colpa grave degli amministratori regionali del tempo (Vannino Chiti e Claudio Martini fra gli altri) e dei responsabili ministeriali centrali. Paradossalmente, è con Rete Ferroviaria Italiana infatti che Idra intrattiene dal 2019 gli unici rapporti fruttuosi di interlocuzione, fino a ricevere l'invito il 15 maggio scorso alla presentazione di Iris, la nuova penultima fresa (l’ultima arriverebbe infatti più tardi, ed entrerebbe in servizio quando Iris avrà percorso metà strada, raggiungendo da Campo di Marte la soglia dello scavo per la stazione Foster, in via Circondaria). Abbottonatissimo, invece, Palazzo Vecchio, che peraltro guida lo strumento dell’Osservatorio Ambientale, ricostituito da qualche mese, esprimendone la presidenza nella persona del direttore generale del Comune Giacomo Parenti. Nel corso dell’ audizione ottenuta da Idra per mezz’ora e in via telematica dopo mesi di attesa, l’ing. Parenti ha dispensato garanzie di trasparenza sul progetto esecutivo da parte del Comune, annunciando che è pubblicato sulla pagina web dell’Ufficio Nodo. Ma lì si trova il progetto vecchio, risalente al primo decennio del secolo, siglato Nodavia! Eppure l’ing. Vincenzo Macello, in sede di audizione presso le commissioni consiliari Terza e Sesta di Palazzo Vecchio, ha dichiarato per Rfi che il link al progetto rivisitato è a disposizione di Palazzo Vecchio dal 6 giugno!
Non ha inteso rispondere, invece, il presidente-direttore Parenti, alle altre domande poste dall’associazione all’Osservatorio Ambientale, perché rivolte a un soggetto definito non competente nelle materie sollevate, ancorché vi siano presenti con un proprio rappresentante tutte le autorità, locali e centrali, e due organi di supporto tecnico, l’ARPAT e l’Autorità di bacino. Così che l’audizione si è risolta in continue interruzioni degli interrogativi proposti dall’associazione, alla quale però è stata accordata la possibilità di inviare un elenco scritto che riceverà risposta. 



Idra l’ha trasmesso qualche giorno fa a tutti i componenti dell’Osservatorio, ma anche al Comune di Firenze, perché ciascuno possa fornire le notizie attese sulla scorta delle proprie competenze. Per doverosa conoscenza, il cahier è stato inviato al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, dato che anche fotograficamente vi si documenta l'altro grande corno della nuova vergogna Tav a Firenze: l’ammaloramento idraulico del giovane ‘scavalco AV di Rifredi’, il Lotto 1 del progetto, a pochi anni dalla sua realizzazione e inaugurazione. Incomprensibilmente, la segnalazione di Idra presso l’Osservatorio ambientale è stata troncata ancora una volta da una dichiarazione di incompetenza da parte del presidente Parenti: persino l’impatto della falda con l’opera viene considerato infatti non di interesse dell’organo collegiale istituito dal Ministero dell’Ambiente! Pretesto (ma in realtà un’aggravante), la circostanza che a descrivere le conseguenze della cattiva progettazione sull’esecuzione del manufatto sia stata la Commissione di collaudo tecnico-amministrativo, l’organismo pubblico che - nominato due anni dopo la fine della realizzazione dell’opera -quel collaudo ha appunto negato. Non è competenza dell’Osservatorio andare a verificare il collaudo di una galleria che è stata eseguita, così ha chiuso seccamente il discorso il direttore Parenti.


 
Nel frattempo, naturalmente, Idra prosegue nel proprio percorso di attenzione a tutti i lati del problema, come suggerito a suo tempo dal presidente dell'Anac Raffaele Cantone. È stata avanzata presso Rfi un’istanza di accesso agli atti della Commissione di collaudo (istanza ancora in fase di valutazione da parte dell’ufficio legale di Rete Ferroviaria) e la richiesta di effettuare un sopralluogo alla galleria dello scavalco con un proprio esperto. Di più: Idra ha chiesto di essere audita in Consiglio regionale e in Consiglio comunale, e alle rispettive Commissioni competenti propone di ascoltare anche la fonte delle notizie sullo scavalco, già comparse lo scorso agosto 2022 sugli organi di informazione cittadini, ma misteriosamente cadute nel dimenticatoio, nonostante l’annunciata apertura di un fascicolo per danno erariale da parte della Corte dei Conti. 
La ‘settimana che rimarrà nella storia’, celebrata dal presidente della giunta regionale toscana Eugenio Giani (non nuovo a dichiarazioni enfatiche, e spesso incline - anche in questi giorni - alle inesattezze o all’approssimazione nell’informazione istituzionale), si chiude dunque con due spade di Damocle sui primi dieci metri di scavo (che, per quel che s’è capito, sono in realtà quelli indispensabili a montare dietro la testa della fresa tutto il resto, inclusa la componente che asporta lo smarino), prova della perdurante sciatteria con cui si programma a Firenze la realizzazione dell’intervento osannato come in assoluto il più importante dal dopoguerra a oggi, con la stazione nuova, la stazione sotterranea, a 15 metri, che riemerge, proprio in Via Circondaria, dove ci sarà verde, parcheggi, scambio di bus, un vero e proprio cambio urbanistico di Firenze. Ma chi gestirà, e come, questo intervento che sposterà il baricentro della città da quello che oggi significava Santa Maria Novella a circa un chilometro più verso nord ovestnon è dato sapere. Del tavolo tecnico fra Rfi, Comune e Regione istituito anche per definire le sistemazioni esterne alla nuova stazione non si vedono risultati, conclusioni, neppure carte intermedie… Ma è prudente partire col carro davanti ai buoi? E manifestare un così scarso rispetto per il diritto all’informazione dei cittadini?


 
Nota
* Dalla fine del XII secolo al 1966 si sono susseguite sicuramente, a Firenze, ben 42 piene e inondazioni. Di portata diversa dal pun­to di vista dei danni arrecati: in primo luogo, eccezionali i veri e propri diluvi del 1333, del 1557 e ultimo quello tragico del 1966, probabilmente superiore a tutti; rovinose furono tuttavia anche le piene del 1171, del 1289, de1 1547, del 1589, del 1740, del 1758 e del 1844, che giunsero ad inondare buona parte della città di Firenze(Leonardo Rombai, “Ambiente Arno”, 2005).

AMIANTO AD ACRI
 


Questa garbata lettera inviata anche a noi di “Odissea” è stata spedita da Milano, via email, al sindaco di Acri, alla sua Segreteria e ai rappresentanti dei Comitati Beni Comuni e Liberi Cittadini, a seguito dello scritto apparso su “Odissea” mercoledì 26 luglio scorso. Non ha bisogno di commenti, e ci auguriamo che autorità e cittadini si liberino al più presto dell’amianto sparso sul loro territorio. Li invitiamo a vigilare, a non disperdere tali manufatti sul loro territorio in maniera irresponsabile, e soprattutto a raccoglierlo e smaltirlo legalmente e in sicurezza. Ne va della loro stessa incolumità.
 
Chi scrive, fa riferimento a sua moglie, Teresa Martinelli, deceduta per mesotelioma pleurico nell’ ottobre 2015. Malattia provocata da una fibra di amianto inseritasi nei polmoni. Teresa, assistente sociale, collaboratrice del Centro anti violenza contro le donne dell’Ospedale Mangiagalli, facente parte del gruppo medico-infermieristico che per primo, in Milano, cercò di attualizzare la legge Basaglia sui manicomi, fosse viva, non avrebbe problemi ad accettare che parli di un suo problema. Problema che purtroppo ha riguardato anche altri e potrebbe riguardare anche altri ancora, se certe situazioni non venissero affrontate per tempo. Lo dico senza alterigia con la consapevolezza che mi sto rivolgendo a persone che penso desiderino per sé e i loro cari, una vita decente senza problemi, almeno, di salute. C’è la possibilità tecnica di bloccare le fibre di amianto. È stata impiegata in tante parti d’Italia e potrebbe avvenire anche ad Acri, nell’ interesse generale di istituzioni e cittadini. Spero possa accadere. Non nascondo il mio rispetto per chi parla di questi problemi anche se, ovviamente, non sono i soli della vita.
 
Giuseppe Bruzzone

 

NON VOGLIO TACERE
 


Nuova traduzione in lingua francese con traduzione italiana a fronte di un’autoantologia del poeta veneto Ferruccio Brugnaro pubblicata dalle Edizioni Inclinaison con il titolo Je ne veux pas me taire di Parthenay.
Tradotte da Jean-Luc Lamouille per un totale di 190 pagine euro 15, il volume contiene alcune delle più note poesie di Brugnaro. Continua l’attenzione dell’editoria e della critica internazionale verso la produzione di questo poeta che non ha mai derogato dalla sua caparbia ostinata scelta in favore dei lavoratori e contro lo sfruttamento, della protezione della natura, della pace, dei diritti di tutti ad una vita di giustizia e di dignità umana collettiva.

 

 

 

CASA BIANCA E COLONIE
 


Il presidente Biden ha ricevuto alla Casa Bianca
la presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
trattenendola a lungo in un cordiale e paterno soliloquio…”
Il Petragallensis
 
* 
APOCALISSE



Appreso che le lancette dell’orologio dell’apocalisse nucleare
sono state fissate a meno di sette minuti,
i segretari dei partiti italiani hanno chiesto e ottenuto
di fare slittare la fine del mondo a dopo le prossime elezioni.
Il Petragallensis
  
*
STOLTI


L’uomo fa tutto in barba alla Terra.
E questa reagisce facendogli pelo e contropelo.
Il Sannicolensis

 

sabato 29 luglio 2023

LA BIBLIOTECA DI BASSANI
di Angelo Gaccione
 

Giorgio Bassani

V
orrei partire dalla scatola: un parallelepipedo dalle misure 30 x 40 per un volume di 13 x 21, un vero spreco di alberi e di energia per riciclarla. Da quando a occuparsi di distribuire sono arrivati colossi come Amazon e compagnia, l’involucro che ti viene recapitato è venti volte più grande dell’oggetto spedito. In tempi di crisi ambientale e sommersi come siamo dai rifiuti si dovrebbe evitarlo, ma tant’è. Il libro però è prezioso, almeno per gli studiosi, perché fare la mappatura di una biblioteca composta da migliaia di volumi non è uno scherzo. E poi si tratta della biblioteca personale di uno scrittore, di Giorgio Bassani. A sobbarcarsi la fatica è stata Angela Siciliano che all’autore ferrarese dedica da tempo molte delle sue ricerche. A pubblicarlo, per un totale di 392 pagine sotto il titolo: Catalogo della biblioteca di Giorgio Bassani (euro 30), è stato l’editore Giorgio Pozzi di Ravenna, seppure con il patrocinio e il contributo della Fondazione che porta il nome dello scrittore. Come scrive in una breve premessa la figlia Paola: “La biblioteca di Giorgio Bassani ha un significato unico: non ne documenta solo gli interessi, gli incontri, il percorso culturale, ma anche la testimonianza del suo rapporto assoluto con l’oggetto libro”. Non so se questo vale per tutti coloro i quali mettono assieme nel corso della loro vita una biblioteca personale. Di sicuro è stato così per un bibliofilo come lo scrittore Beppe Pontiggia, e lo è stato certamente per il critico Carlo Bo. La marea di libri che invadeva la sua casa (forse il timore che i suoi pavimenti potessero sprofondare e seppellirci assieme non è del tutto estraneo all’idea del mio racconto “Il libro della staffa” compreso nella raccolta: Sonata in due movimenti, in cui perderà la vita il maestro che aveva tentato disperatamente di donare i suoi libri alla Biblioteca della città, perché i pavimenti erano a rischio) in parte, come per Bassani, significava interessi, incontri, scoperte, amicizie, percorso spirituale, lavoro critico, ma in parte accumulo casuale, arbitrario, spurio. Ne riceveva da ogni dove, da autori ed editori fra i più diversi, e dunque separare il grano dal loglio non è mai impresa facile. Questo avviene per tutti coloro che di libri vivono, scrivono, si interessano, e per uno scrittore in modo particolare. 



Dunque, ha fatto bene Angela Siciliano a seguire il percorso della biblioteca smembrata, e anche un po’ dispersa, di Bassani, a seguito dell’ignobile vicenda razziale: da Ferrara a Roma a Parigi. Quella già corposa ereditata dai suoi avi e che Bassani ha sostanziosamente rimpinguato a partire dal dopoguerra in poi, e quella postuma ricongiunta, devo dirlo, con favorevole fortuna, dopo la sua scomparsa. Hanno contribuito in molti a questa ricongiunzione e bisogna dar loro merito. Posso immaginare (e Siciliano ce lo fa avvertire nella sua lunga introduzione) lo stato d’animo dello scrittore quando, dovendosi spostare a Roma, si troverà completamente privato dei suoi amati libri. Del resto: “Non c’è casa più povera di una casa senza libri”. Per chi scrive, i libri non sono semplici strumenti di consultazione; la loro muta presenza intorno al suo tavolo di lavoro, o i dorsi allineati come ubbidienti soldati nelle scansie, sono un faro e un monito: “Ricordati come non devi scrivere! – lo ammoniscono; ricordati perché devi scrivere – gli ripetono”. E lui conosce bene quelle voci, il senso del loro ammonimento, l’imperativo etico da cui non deve derogare, ecco perché ci sono titoli e autori che devono trovarsi lì, attorno a lui, dentro la sua stanza. Non tutte le voci parlano e dialogano con lui, ma alcune sì; e non correggono soltanto la traiettoria del suo sguardo, non alimentano il puro esercizio del suo stile. No, vanno più a fondo, modificano le sue vite. Perché uno scrittore degno di questo nome, di vite ne ha molte di più di quanto si possa immaginare; e quando uno di questi scrittori muore, non muore un uomo solo, non scompare una sola idea, non perdiamo un solo sentimento. Muore una civiltà intera, perdiamo un mondo.

SIAMO A RISCHIO ESTINZIONE


 

Buongiorno amici di “Odissea”, avevo insieme al mio amico Angelo Gaccione, prima ancora di questa tempesta su Milano, del caldo estremo, degli incendi delle alluvioni in tutte i casi, micidiali, esortato disperatamente i governi e tutte le istituzioni a cambiare rotta. Agire sulle cause e mitigare gli effetti. Intervenire sulle cause della crisi climatica, riducendo progressivamente il consumo di fossili, coinvolgendo le popolazioni che ora più che mai “vedono in faccia la morte”. Ho esortato disperatamente le istituzioni e le popolazioni a porre fine alla guerra in Ucraina, che non può avere un vincitore. Si deve ripartire dagli accordi di Minsk 2. Altrimenti la opzione nucleare è “sul tavolo”. Il governo attuale fa precedere, sia che si tratti di clima che di guerra, l’aggettivo fanatici a ogni discorso saggio. Le due spade di Damocle, crisi climatica e opzione nucleare, più della minaccia proverbiale, si sono già conficcate nel corpo della vita del nostro Unico e Bellissimo Pianeta. Stiamo trascinando nella morte animali e piante, incolpevoli vittime, mentre la scomparsa dei Sapiens non sarebbe pianta da nessuno. Se rimanesse vita direbbero come già dicono in molti: “I Sapiens sono e sono stati la più grande sciagura che si è abbattuta sulla terra, dopo la grande glaciazione di 700 milioni di anni fa”. Il terribile giudizio si sta spostando da quello che facciamo a quello che siamo. Molti antropologi ritengono l’uomo irredimibile, quindi la marcia verso l’abisso non è più evitabile. Può darsi che la vita rinascerà: “Ma noi non ci saremo”, come recita la canzone premonitrice di Guccini cantata dai Nomadi di più di 50 anni fa. Peccato, forse il più grande rimpianto di noi su noi stessi, sarà: “Eravamo arrivati ad essere gli esseri più geniali mai esistiti, ma abbiamo segato stupidamente il ramo su cui eravamo seduti”.
Anche la stragrande maggioranza dell’umanità povera è incolpevole.
Alla fine, i veri colpevoli sono i signori del potere - e non solo politico - i quali fanno il loro comodo usando trucchi e menzogne. Faccio un altro disperato appello: “Signori del potere, sappiate che neanche voi e i vostri discendenti vi salverete! Popoli poveri e incolpevoli, voi che siete vittime di questa politica suicida esigete il cambiamento! Mobilitiamoci! Siamo e saremo con voi, come voi. Cordiali saluti a tutti.
Francesco Saverio Lanza

venerdì 28 luglio 2023

DIFENDIAMO IL “CARRARO”


Pista in abbandono

Come sapete, il Carraro è stato il principale luogo di accoglienza, aggregazione e crescita per migliaia di giovani della zona Sud della città. È chiuso da cinque anni per riqualificazioni che, da progetto, avrebbero richiesto un anno. Nel marzo 2022 l'Assessore disse che il centro sportivo sarebbe stato riaperto a giugno (2022), che poi divenne settembre, poi novembre, poi la primavera del 2023. A primavera ha detto che il Carraro sarebbe stato riaperto dopo i 160 giorni (6 mesi) necessari per i collaudi: vale a dire verso l'ottobre prossimo. Siamo a fine luglio e con gli amici di Ritorno al Carraro abbiamo rilevato la situazione che esponiamo, ampiamente peggiore di quella prima che il Carraro fosse chiuso per "riqualificazioni". Hanno rifatto l'impianto elettrico, e lo vediamo perché le luci sono accese giorno e notte da almeno due settimane, hanno messo a posto spogliatoi e riscaldamento, ed è un peccato, perché non ospiteranno giovani, dato che non c'è una sola struttura sportiva che sia utilizzabile: pista da rifare, campo di calcio in erba da rifare, tennis coperti nei quali piove dentro appena piove e con impianto di riscaldamento vecchio e fermo da cinque anni, tennis all'aperto smontato e inutilizzabile, recinzioni Ovest e del calcetto da rifare. 


Pista con erbacce

Una parete di arrampicata esterna e inutile (50.000 € buttati) e altri errori nei lavori fatti. Non è stato curato il verde e gli alberi, che sarebbero un bene prezioso, stanno distruggendo la recinzione, attaccano le strutture sportive, ed ora si è costretti a tagliarli. Tutto ciò è "filato liscio", nel silenzio delle forze politiche che governano la città e di quelle che sono all'opposizione, degli amministratori (con rare eccezioni in Municipio 5). Le Olimpiadi sulla neve hanno la priorità: "the Games must go on", ma in questa città essi appaiono offensivi per i cittadini di una metropoli con pochi impianti sportivi, dei quali molti sono vecchi e malridotti, dove si chiudono le piscine estive. Più che una riqualificazione sembra che sia stata portata avanti una politica di distruzione di un bene pubblico di grande importanza per i giovani. Il gruppo di società sportive di "Ritorno al Carraro" (16 società, 3.500 giovani), con lo sport ha sempre svolto un lavoro sociale primario e l'assenza del loro "luogo di lavoro" per cinque anni ha provocato pesanti ripercussioni sui nostri quartieri. 


Pista allo sfascio

Mille promesse di tempi rapidi disattese, lavori fatti male e con numerosi errori, mai ascoltate le competenze delle società che costantemente hanno inviato proposte per evitare quegli errori, costi saliti vertiginosamente: dal 1.967.000 € iniziali siamo a 6.440.000 € (compreso il rifacimento del palazzetto, incendiato due anni fa, che con i soldi del PNRR terminerà entro il gennaio 2026). Quanti milioni occorreranno per mettere a posto tutto, ammesso che il Comune voglia farlo? I lavori del primo lotto - escluso il palazzetto, che è un intervento aggiunto - sono terminati a marzo, ma si protrae l'abbandono del centro sportivo da parte del Comune e il clima fa il suo "lavoro", mette a nudo errori, superficialità, disinteresse e carenze. Il Carraro dovrà tornare ai cittadini e per questo vi chiediamo di mantenere l'attenzione su questo bene comune, di diffondere la situazione che di volta in volta Ritorno al Carraro comunicherà alla stampa che sta dalla parte dei cittadini, alle associazioni, ai cittadini. Vi ringraziamo per il sostegno. Per Ritorno al Carraro.
Luciano Bagoli 
 

 

I MASSACRATORI DI ALBERI


 
Anpi Crescenzago esprime solidarietà e condivide la battaglia del Comitato Baiamonti Verde Comune e di tante associazioni e comitati di cittadinanza attiva perché, su quella piccola area verde e alberata e dedicata alla vittima della ’ndrangheta Lea Garofalo, non si costruisca la terza “piramide” e rimanga giardino pubblico. Non si usi la Resistenza come foglia di fico per l’ennesima cementificazione e speculazione edilizia: il Museo della Resistenza può trovare sede adeguata in uno degli edifici storici di Milano, come il Museo del Risorgimento o alla Loggia dei Mercanti già sacrario dei Martiri della Libertà, resistenti e partigiani vittime della barbarie nazifascista.
 
Comitato Sezione Anpi Crescenzago
Giuseppe Natale, presidente della Sezione

 

LA POESIA
di Julia Pikalova


Julia Pikalova
 

Incendi
 
bruciano boschi e città
conservatori musei
intorno come al solito
folla di fannulloni e babbei  
 
un’orda di blogger incapaci
orde di follower curiosi
bruciano boschi e città
bruciano inermi e orgogliosi
 
il mio globo azzurro in fiamme
come porpora si stende
sto di guardia e mi appare
una parola al fuoco resistente
 
non una fesseria del blogger
né le ciglia malaccorte –
ma il secondo volume refrattario
delle anime morte*
 
 
Nota
* Gogol' bruciò il manoscritto del secondo volume del suo celebre romanzo, ma Bulgakov ha scritto: “i manoscritti non bruciano” (N.d.T.)
 
[Traduzione: Paolo Statuti]

ASTENSIONISTI DI TUTTO L’OCCIDENTE UNITEVI!   
di Luigi Mazzella 
 


È vero che gli Italiani che continuano a frequentare le urne elettorali, cambiando radicalmente le regole della cosiddetta “democrazia”, hanno smarrito l’idea della “maggioranza”, qualificando tale una “minoranza” che appaia meno “minoranza” delle altre e spingendola, con marchingegni vari, a governare il Paese. È vero che la “maggioranza” degli Italiani, lungi dallo scomparire dalle lande dello Stivale, ha cominciato a rifugiarsi nell’astensione dal voto e ad approfittare della diffusione di Internet per far conoscere il suo mugugno di insoddisfazione, mostrando senza veli la sua disaffezione dalla vita politica. È vero tutto questo ma è anche indubitabile che la frammentazione dei partiti in minoranze sedicenti in conflitto sta conducendo, paradossalmente (?) alla nascita in Italia di un pensiero politico unico che affonda le sue radici nella comune visionarietà religiosa e ideologica, maturata nel corso di oltre due millenni. E “valga il vero!” scrivevano negli atti processuali i nostri “nonni” dediti al giure! Che cosa differenzia, infatti, il bellicismo antirusso e filoamericano della Schlein da quello della Meloni? Non sono entrambe “pulzelle” che amano le armature “virili” e fanno a gara per conquistare, ambedue, il sorriso di consenso che trapela dagli occhi di Joe Biden sempre più socchiusi per non vedere gli scenari agghiaccianti che sta creando nel mondo? Che cosa differenzia, ancora, il “pauperismo” pensoso di Elly, nostalgica dei comunisti d’antan della falce e martello, da quello di Giorgia, memore dei miti sociali della Repubblica di Salò e dei “fasci di combattimento”, sempre in gara nella ricerca affannosa di sussidi o redditi minimi per la sopravvivenza, di salari ridotti di varia entità, di flat-tax per poveri e titolari di paghe da fame, di cunei fiscali variamente appuntiti? Nel mezzo dello scontro-incontro tra le due “pulzelle” si stende la stagnante palude del cosiddetto Centro i cui leader ormai hanno capito che parlare di alternative di centro-sinistra o di centro-destra è “vuota ciarla” e che l’unico problema per loro è quello di fuggire e trovare accoglienza a destra o a manca. Agli Italiani, non compromessi da interessate scelte partitiche, resta da constatare che le due “pulzelle” sono entrambe “fanatizzate” (id est: rese fanatiche) dal Verbo Statunitense volto a impedire all’Italia e a tutti i Paesi Europei, soprattutto se usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, di crescere economicamente. Nessuna delle due rifiuta la camicia di Nesso pazientemente creata dall’Unione Europea dell’Euro e di Maastricht e ognuna di esse accetta l’esclusione (imposta e coatta) di rapporti del Vecchio Continente con i Paesi Arabi, con la Russia, con la Cina e con tutto il resto del mondo non egemonizzato da Wall Street e alla City. Una volta escluse le canalizzazioni che assumono imprevedibilmente le cosiddette assistenze finanziarie, per loro natura incontrollabili, è difficile escludere che possa ormai presentarsi alle porte degli Italiani il partito unico dei figli riuniti di Hegel, entrambi amati da “mamma-America” che li valorizza alternativamente o congiuntamente, in base alla convenienza per i propri interessi. Si tratta indirettamente di un riconoscimento postumo a Benito Mussolini che aveva capito che passare dal socialismo al fascismo per ottenere il consenso di industriali ed agrari equivalesse sostanzialmente a creare una Repubblica cosiddetta sociale (di Salò) dopo la delusione ricevuta dai ricchi, per avere il supporto dei poveri. Rispetto ai tempi felici di Bartali e Coppi, gli Italiani dovranno solo scegliere, per loro sfortuna, tra Elly e Giorgia. 
   

 

 

 

 


OGGI IN SPAGNA DOMANI IN ITALIA
di Franco Astengo e Felice Besostri


 
Contro le previsioni di molti ed ancor di più degli auspici di altri, ma potenti insospettabili, non solo il PSOE non è stato strabattuto, ma ha anche migliorato rispetto alle ultime elezioni regionali. Con una più alta partecipazione elettorale il PSOE sarebbe stato il primo partito. Il titolo richiama la famosa parola d’ordine “Oggi qui, domani in Italia", pronunciata da Carlo Rosselli a Radio Barcellona, il 13 novembre 1936, perché se alle europee del 2024 avessimo un risultato analogo della sommatoria di Pd e di tutto ciò che sta alla sua sinistra, pari a quello del solo PSOE (31,70%) potrebbe essere un principio di vittoria, anzi di rivincita nel 2027. La sinistra spagnola, che sembrava messa malissimo, è comunque sempre stata meglio di quella italiana a partire dalle prime elezioni, nel 1994, con il maggioritario del Mattarellum. La partecipazione è stata del 70,18%, quasi 4 punti percentuali in più delle ultime italiane e superiore del 2% delle precedenti del novembre 2019, ma sempre 5 punti percentuali sotto a quell’aprile 2019.



Il PSOE 7.760.970 (31,70%) voti  aumenta i seggi che aveva alle precedenti elezioni, ma non è più il primo partito per l’avanzata del PP 8.091.840 (33,05%) voti, che lo supera di 330.870 voti, ma è lontano dalla maggioranza assoluta, non in termini numerici (- 7 seggi) ma politici, anche con VOX, che con una perdita di 623.235 resta il terzo Partito (12,39%) sia pure di poco rispetto a SUMAR (12,31%). Nell'analisi dell'avanzata del PPE va anche tenuto presente la "sparizione" di Ciudadanos: i voti già appartenenti al gruppo centrista -liberale hanno sicuramente rappresentato la maggior riserva di caccia del PP. avendo messo a disposizione 1.650.318 voti ottenuti nel novembre 2019, dove aveva già comunque fatto registrare una forte flessione rispetto alla prima tornata elettorale svoltasi in quello stesso anno. Al di fuori dei 4 partiti nel Congresso dei Deputati, ci sono solo formazioni autonomiste se non indipendentiste, come i catalani di Jxcat-Junts i cui 7 seggi sarebbero giusti giusti quelli necessari per far raggiungere ai 169 di PP 136 più i 33 di Vox la soglia fatidica della maggioranza assoluta. Impossibile perché VOX è esplosa nei consensi elettorali, nel 2016 aveva lo 0,20% e 47.182 voti, come reazione all’indipendentismo catalano e al referendum del 1° ottobre 2017 celebrato nonostante l’annullamento del Tribunale Costituzionale. Un richiamo all’unità dei Partiti spagnoli del PPE non basterebbe, perché il PNV ha solo 6 seggi ed è altrettanto inviso, ricambiato, al centralismo franchista di VOX. Se non si trova una maggioranza di 176 voti si tornerà a votare entro l’anno o al più tardi nel gennaio del 2024 e a quelle elezioni l’unica alternativa è un accordo PP-PSOE in nome dell’Europa. Questo è il trappolone, che si sta preparando per l’alleanza di sinistra a guida socialista. 



La prospettiva non va abbandonata se vogliamo coltivare una speranza di un cambiamento verso una società più libera, giusta e eguale, che è la ragione per la quale la prima l’Internazionale Operaia e Socialista è nata nella seconda metà del XIX secolo in questa nostra Europa e che è anche la ragione per continuare nel processo di integrazione europea. Si attribuisce a Slavoj Žižek la battuta che c’è il rischio che finisca prima l’umanità del capitalismo, ma il legame tra il futuro dell’umanità e l’ordinamento economico e sociale esiste, anche se anticapitalismo, internazionalismo e antimilitarismo non sono più tratti essenziali dei partiti di sinistra, come lo erano fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Tuttavia senza idee e programmi per un cambiamento radicale dello sviluppo non si potrà far fronte all’emergenza planetaria mondiale, quindi, al futuro dell’umanità. La scelta della sinistra spagnola  di un percorso di unità nella diversità se avrà successo sarà un modello, come invece non è stata Syriza in Grecia, che ottenne l’egemonia ma in competizione con i partiti della sinistra storica socialista (Pasok) e comunista (KKE), il primo ne è uscito distrutto ed è stata colpevolmente non sostenuta nella difficoltà del debito, che sarebbe costato meno all’Europa e al popolo greco,  assumerne collettivamente la difesa, piuttosto che sottoporla all’austerità della Troika  (Commissione Europea-Bce-Fmi). L’alleanza tra il PSOE e le formazioni alla sua sinistra esce più forte, perché più coesa grazie a Yolanda Diaz. La sconfitta di Pablo Iglesias, omonimo del fondatore del PSOE nel 1879, il secondo partito socialdemocratico dopo quello tedesco, ha permesso di superare quello che era l’obiettivo primario di Podemos, il sorpasso (parola d’ordine in italiano) perseguito nelle elezioni anticipate del 2015 (PSOE 5.545.315, 22,00%- Podemos 5.212.711, 20,68%) e 2016 (PSOE 5.443.846, 22,63% - Unidos Podemos 5.087.538, 21,15%).



Purtroppo a partire dallo scioglimento della Seconda Internazionale non c’è più un luogo nel quale la sinistra possa discutere, confrontarsi e anche dividersi sulle sue strategie.  Gli stessi partiti socialdemocratici, socialisti e laburisti, che avevano ricostruito un’Internazionale Socialista nel 1951 a Francoforte in piena Guerra Fredda, non hanno più un’organizzazione unitaria, quella che a partire dal Congresso di Ginevra del 1976 era stata protagonista della distensione, della lotta al colonialismo e all’apartheid sud-africano e al riequilibrio dei rapporti Nord Sud, con Willi Brandt e Olof-Palme, come del primo dialogo israeliano-palestinese. Per quanto riguarda l’Italia ne faceva parte tutta la sinistra storica dal PSI al PDS, poi DS. Sotto l’impulso di Third Way britanniche e Neue Mitte tedesche e la formazione del PD e una fascinazione di Bill Clinton l’Internazionale Socialista venne abbandonata da tedeschi, socialdemocratici scandinavi, austriaci (il PD uscì persino dal PSE finché non divento anche democratico progressista), con la conseguente crisi politica, organizzativa e finanziaria. Ora il nuovo Presidente è lo stesso Sanchez protagonista della rinascita del PSOE. In generale, l’internazionalismo non è più pratica della sinistra nelle sue varie incarnazioni, sostituita dal suo surrogato l’europeismo generico, che al massimo può essere compassionevole verso i poveri e difensore delle minoranze di genere, discriminate anche in paesi sviluppati o teocratici.
L’assenza di una visione internazionale, che non può prescindere dallo sviluppo e la riduzione delle diseguaglianze, la maggioranza dell’umanità non ha l’accesso a beni primari quali l’acqua potabile, le cure sanitarie di base e l’istruzione elementare, sta sviluppando in luogo della solidarietà planetaria cooperativa la sindrome della fortezza assediata in Europa e nei suoi singoli Stati. 




In luogo di un’Europa soggetto attivo per un mondo multipolare e solidale si sta rafforzando anche a causa del regime autocratico putiniano russo un europeismo-nordatlantico. Non ci sono le condizioni per una politica di difesa e sicurezza della UE, finché vige l’art. 42 TUE, che può essere modificato solo all’unanimità, ma una posizione paritaria effettiva nella Nato è una decisione politica, che può essere almeno chiesta. I paesi che dettavano la politica europea quando l’Europa era di 15 membri erano 4, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, i primi due anche membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e potenze nucleari. L’asse franco-tedesco è stato un fattore costante di stabilità di indirizzo. Con lo sconsiderato allargamento a Est voluto dalla Commissione presieduta da Prodi, sotto la spinta di interessi economici e geostrategici, non si può più ignorare il peso complessivo degli Stati già membri del Comecon e del Patto di Varsavia, raggruppati nel Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e i Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) più 70 milioni di abitanti, già vittime del condizionamento dell’ex U.R.S.S. Purtroppo la SPD non esprime più una leadership europea come quella Brandt o di Schmidt, i partiti del Semaforo sono tutti superati nei sondaggi da AfD e la Francia con il passaggio dalla guida socialista a quella macronista non può ispirare politiche di sinistra. La Svezia è passata ad una guida di destra nazionalista. Il PD finora non è stato in grado di rappresentare le migliori tradizioni del PCI e del PSI storici quando erano stabilmente il secondo e il terzo partito e i suoi leader erano autorevoli a livello internazionale. Affrontiamo le elezioni europee con una legge del 1979 di cui non si vogliono affrontare i nodi di contrarietà al Trattato di Lisbona in punti qualificanti, limitandosi a piatire una riduzione della soglia dal 4% al 3% o per mettere in sicurezza Italia Viva al 2%. Insieme PD e M5S hanno poco più del solo PSOE e non hanno una visione comune delle politiche europee. Tuttavia i segnali della Spagna sono positivi e le elezioni europee del 2024 saranno precedute da test molto importanti come quello olandese e quello polacco ma sono anche anticipate rispetto a quelle federali tedesche del 2025 e alle legislative e presidenziali francesi del 2027, che precederanno nello stesso anno quelle italiane, sempre che non siano entrambe anticipate. Pertanto saranno quelle europee ad indicare le tendenze per i successivi appuntamenti. Se al PSOE non riesce sulla base di un suo progetto federale a superare il separatismo e l’indipendentismo e a raccogliere tutti i gruppi regionalisti non subendo i condizionamenti di far governare il PP con una sua astensione saranno anche le nuove elezioni spagnole ad anticipare quelle europee. Una ragione in più per concludere “Oggi in Spagna, domani in Europa”.

 

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