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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
martedì 31 maggio 2022
POETI E GUERRA
Disegno di Claudio Zanini
Svuotate gli
arsenali
Svuotateli, svuotiamoli
questi
Arsenali che turbano i
sogni
e negano il futuro!
Svuotateli, svuotiamoli
in fretta questi
arsenali di morte o non
ci sarà
più vita sulla terra.
Riempiamo i sacchi di
grano, le giare di olio
e le botti di vino.
Riempiamoli e
dividiamoli con chi
non ne ha.
C’è abbondanza per tutti
senza armi,
c’è vita e futuro senza
armi,
c’è armonia e
fratellanza senza armi.
Portiamo al macero i
protocolli
di morte, i patti di
belligeranza,
le alleanze di morte.
Il tempo è giunto per
decisioni
forti che sappiano
spiazzare
il comune buonsenso
costruito
sull’ “occhio per occhio
e dente per dente”.
Cataldo
Russo
[Milano 2022]
Disegno di Claudio Zanini |
Povero uomo
Dalla cattedra alla guerra
dalla storia all’abisso temporale
dalla civiltà al viver da bruti
Povero uomo
nomade in ricerca di virtude
colono e schiavo
bellicoso e usurpatore
Buio e luce
luce e buio
Il giorno e la notte
da due emisferi
dai ghiacci al deserto
un cammino lungo come
i tempi.
sempre più solo e
disperato
con un’arma in mano
il biondo grano
è bruciato
Povero uomo
togli il pane ai tuoi
figli
neghi l’amore la vita
per dargli la morte
Povero uomo
costruttore distruttivo
artigiano affilatore di lame
Povero uomo
di te
una larva non resta
neppure
per risorgere dalle morte ceneri.
[Laura Margherita Volante]
LETTORI E GUERRA
Caro
Angelo,
purtroppo,
di armi nucleari il nostro Paese ne è pieno e c’è il rischio reale che, in casi
malaugurati, si possano adoperare. Queste bombe non sono eterne e hanno una
vita; dopo pochi anni diventano obsolete perché sono superate dai nuovi
modelli. È giusto ciò che viene detto: non siamo in guerra direttamente, ma,
inviando armi agli Ucraini, è come se lo fossimo per la prova transitiva. Fin
quando parlano le armi non parlano le bocche; ai colloqui di pace si va col
ramoscello d’ulivo e non con piani di minaccia o di ricatto.
Sono
certo che persone comuni, come te, ma molto assennate e ricche di argomenti,
potrebbero essere la soluzione a mettere fine alla guerra. Basterebbe portare
pochi articoli di Odissea, per mettere tutti a tacere. Parlare ai sordi, si
perdono solo tempo ed energie; però, sarebbe più grave girare la faccia
dall’altra parte e far parlare solo l’indifferenza.
Non
ci resta che aspettare e sperare che il tarlo della speranza scavi profondi
solchi nelle menti dei contendenti e faccia capire che la guerra non è mai la
soluzione dei problemi. Potrà essere solo utile a sollevarli, ma non a
risolverli con la sola forza. Gli spiriti, dei tanti morti in guerra,
potrebbero andare di notte nelle case di coloro che hanno in mano le leve del
potere e disturbare il loro sonno; solo guardando in faccia la morte si potrà
dare un senso alla vita.
Carmine
Scavello
lunedì 30 maggio 2022
CIRCOLO
CULTURALE “GIORDANO BRUNO”
GIOVEDI
2 GIUGNO 2022
Presso
la Sala di Via Albertinelli n. 5 a Milano
(MM5
Segesta)
Incontro-dibattito:
La
guerra russo-ucraina è anche una specie
di
nuova guerra di religione?
“Putin
non può dirlo, ma contro l’Ucraina ha voluto scatenare una guerra di religione”
(Corriere della Sera 4 maggio 2022)
Interverranno:
Angelo
Gaccione, scrittore
Pierino
Marazzani, medico, saggista
Rolando Dubini, avv. del Foro di Milano
Mario Bonfanti, ex sacerdote diocesi di Milano
Cataldo
Russo, scrittore
Giovanni
Bonomo, avvocato
Giuseppe
Bruzzone, obiettore di coscienza
Ingresso
libero con mascherina di protezione
Info:
331 730 2874
www.giordanobrunomi.wordpress.com
LA LORO GIUSTIZIA E LA NOSTRA MORTE
Assolti i manager della
Pirelli responsabili della morte per amianto di 28 operai.
Come
previsto (l’avevamo già scritto l’11 marzo) il Tribunale di Milano ha assolto
in 2° grado, il 26 maggio 2022, 9 managers della Pirelli di viale Sarca
(Milano), imputati di omicidio colposo per la morte di 28 operai dello
stabilimento morti per patologie da amianto.
I
9 dirigenti erano già stati assolti con formula piena in 1° grado dalla giudice
Annamaria Gatto perché “il fatto non sussiste” e perché “il fatto non
costituisce reato”, motivazione ripresa ieri per assolverli nuovamente.
Nel
tribunale di Milano - V sezione - sono stati celebrati diversi processi (Breda,
Pirelli, Scala di Milano ecc. solo per ricordarne alcuni) per l‘omicidio di
centinaia di lavoratori, morte causata dall’esposizione all’amianto,
cancerogeno ben noto fin dai primi del ‘900 e usato nelle fabbriche a man bassa
dato il suo basso costo.
Eppure
nessuno è stato, nessuno è colpevole.
La
V sezione del Tribunale di Milano ribadisce così che uccidere gli operai nel
nostro paese NON è reato: una strage senza colpevoli in un paese che al danno
aggiunge la beffa, e soprattutto la
vendetta, per aver osato “disturbare il manovratore” - in questo caso i
managers di una multinazionale come la Pirelli - chiedendo uno straccio di
giustizia e dove le parti civili (il nostro Comitato per la Difesa della Salute
nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, Medicina Democratica, AIEA Associazione
Esposti Amianto, Camera del Lavoro) in questo caso) si vedono condannate a pagare le spese processuali.
Una
volta di più in Italia, paese “libero e democratico” che si arroga il diritto
di dare lezioni sui diritti umani, il “mercato”, o meglio il profitto dei
padroni, vale di più della vita dei lavoratori, che sono coloro che
costruiscono la ricchezza del nostro Paese. Sulla loro pelle e sul loro sangue:
in questi primi mesi del 2022 sono già 182 i morti sul lavoro, senza contare
gli “incidenti” che avvengono per il mancato rispetto delle misure di
sicurezza, per l’aumento bestiale dei ritmi di lavoro, per la totale
indifferenza verso la salute e la vita dei lavoratori. Salvo poi vedere le
istituzioni versare lacrime da coccodrillo sui corpi senza vita e giurare che
non deve succedere mai più. Eppure continua a succedere, non cambia nulla e non
c’è mai un colpevole.
Questa
è la giustizia dei padroni, che ribadisce che il profitto viene prima di tutto,
anche della vita e della salute di lavoratori e cittadini.
Non
lacrime ma lotta. Spetta solo a noi - operai, lavoratori, familiari, cittadini -
gridare forte che non vogliamo più morire per il profitto di pochi; spetta solo
a noi unirci, organizzarci e lottare contro questa piaga perché nessuno - e
questa vicenda lo dimostra una volta di più - ci darà giustizia: la legge non è
uguale per tutti e per i padroni c‘è l’impunità, ribadita ancora una volta dai
tribunali dello Stato.
Comitato
per la Difesa della Salute
nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio
LA SCOMPARSA DI EMILIO RENZI
di Gianni Trimarchi
Emilio Renzi
Emilio
Renzi purtroppo in questi giorni ci ha lasciati. Nato a Como nel 1937, studiò filosofia
all’università di Milano, laureandosi con Enzo Paci, al quale fu legato da
grande stima per tutta la sua vita.
Lavorò prima presso Il
Saggiatore di Alberto Mondadori, poi alla Direzione Relazioni culturali
della Olivetti e fu infine per dieci anni docente di Semiotica alla scuola del
Design del Politecnico di Milano. Per molti anni fece parte del direttivo di Materiali di Estetica e di Filosofia in circolo, dove ebbe modo
di esprimere ad un tempo la sua la sua profondità teorica ed il suo senso
pratico.
Renzi va soprattutto ricordato per essere stato già negli
anni Sessanta uno dei più significativi interpreti italiani del pensiero di
Ricoeur. La sua traduzione di De
l’interprétation, dopo oltre cinquant’anni, fa ancora testo, così come sono
sempre citati i vari articoli da lui scritti in buona parte nello stesso
periodo, tesi a definire l’identità della persona umana.
L’esperienza alla Olivetti costituì per lui qualcosa di
molto significativo. Si trattava di un’attività imprenditoriale che comprendeva
ad un tempo un grande impegno verso lo sviluppo tecnologico, ma anche
un'attenta considerazione per i diritti dei lavoratori, intesi come persone, in
tutta la complessità del termine, che egli aveva ben conosciuto nei suoi studi
filosofici.
Qui una sua definizione, ricavabile dal suo ultimo testo, Persona.
La "concretezza" della Persona sta nel suo
essere un plenum di pensiero ed
empiria, diritti e "storti" della Storia. Persona sta nella Comunità,
comunque intesa (e criticata) e nella Città dell'Uomo, che io vedo (amo vedere)
come Città cosmopolita.
Così Renzi esprime in sintesi il senso del suo pensiero,
ampiamente argomentato da varie riflessioni e da una serie di puntuali
accostamenti ai testi. Un primo riferimento è dato dal personalismo laico di
Renouvier, ma troviamo anche un passo di Bobbio, secondo il quale la persona è
una conquista storica e non una sorta di 'ατομοs. Sartre diceva del resto, con
efficace espressione: “L’uomo è una monade che fa acqua”. La persona infatti
“è, in quanto è dentro a una storia”. Anche il relazionismo di Paci è chiamato
in causa, in quanto in esso “il soggetto è persona concreta”, da vedere al di
fuori delle astrazioni positiviste.
Il sottotitolo del libro tratta di Antropologia filosofica, in quanto la nozione di persona, così come
nel testo viene intesa, non può prescindere dalla dimensione interculturale,
con tutti i conflitti che ad essa si riferiscono. In ogni caso la soluzione,
dice Renzi, non può consistere in un “Multiculturalismo, che sbocca in un
vestito di Arlecchino di quartieri l'un contro l'altro, accostati, impermeabili
e potenzialmente ostili”. Se la persona, come abbiamo detto, è una conquista
storica, ci sarà bene un motivo storico di unificazione, valido anche oggi per
noi, e legato al continuo modificarsi di ogni tradizione, che pur caratterizza
la nostra epoca. “Le dure lotte” in atto in vari casi dovrebbero alla fine
aprire spazio a un’antropologia nuova, capace di superare i conflitti che
stanno lacerando intere nazioni.
Il suo pensiero è espresso in alcuni testi, come la voce Enzo Paci nel Dizionario biografico
degli italiani dell’Istituto Treccani, Comunità
concreta. Le opere e il pensiero di A. Olivetti del 2008, Enzo Paci e Paul Ricoeur del 2010 e Persona, un’antropologia filosofica nell’era della globalizzazione del
2015,
Oltre alle opere teoriche, rimane tuttavia un grande
rimpianto, in tutti quelli che hanno conosciuto Emilio Renzi, per la sua
gentilezza e per la lucidità del suo pensiero.
domenica 29 maggio 2022
ECONOMIA DI GUERRA
di Alfonso Gianni
Disegno di Claudio Zanini (2022)
Per
l’Italia non è più una metafora.
Se
c’è ancora qualcuno che si domanda per quale ragione il cosiddetto piano
italiano per la pace sia stato accolto dalle parti in causa e nell’ambito
internazionale con reazioni oscillanti fra il disinteresse e il disprezzo, può
forse trovare una delle risposte più plausibili in quanto sta accadendo in
queste ore. L’artiglieria pesante italiana è entrata in azione del Donbass. Si
tratta dei cannoni FH70, esito di un progetto tedesco, inglese e italiano,
capaci di sparare tre colpi al minuto centrando obiettivi situati a 25
chilometri di distanza. Fanno parte delle armi letali che il nostro esercito ha
consegnato alle forze armate ucraine in attuazione dei tre decreti
interministeriali del governo Draghi su cui, essendo segretati, il Parlamento
italiano non ha potuto mettere lingua. È evidente che la credibilità di un
piano di pace, al di là degli specifici punti in esso contenuti, è minata alle
fondamenta dal sempre maggiore coinvolgimento, attuato senza dichiararlo, del
nostro paese nella guerra in atto fra Russia e Ucraina. Le armi italiane si aggiungono a una dotazione bellica già alimentata da
tempo in particolare dagli americani e dagli inglesi. Esattamente un mese dopo
l’invasione russa, si è tenuta a Roma una riunione, passata quasi sotto
silenzio, dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) che risponde
direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri ed ha il compito di
ricercare e fornire tutte le informazioni su quanto si muove al di fuori del
territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari,
economici, scientifici e industriali dell’Italia. Nel corso di quella riunione
si sottolineava come i russi avessero incontrato difficoltà impreviste anche per
il vantaggio ucraino negli armamenti, dal momento che per ogni tank russo vi
sarebbero 11 armi anticarro in dotazione agli ucraini. Infatti, parlando agli
inizi di maggio ai lavoratori della Lockeed Martin - protagonista cinquant’anni
fa di un famoso scandalo nelle relazioni con l’Italia - Biden era andato sul
pesante, celebrando la produzione dei missili anticarro Javelin, di cui 5.500
inviati in Ucraina, e commentando con scarso senso del ridicolo che i genitori
ucraini chiamavano i neonati Javelin e Javelina in onore di quella manna
piovuta dal cielo a stelle e strisce. Davanti al nuovo pacchetto di aiuti di 40
miliardi di dollari a favore dell’Ucraina, il New York Times il 19 maggio si interrogava seriamente se
l’obiettivo di Biden non fosse in realtà quello di destabilizzare e mortificare
la Russa piuttosto che salvare gli ucraini. E il vecchio Kissinger ammoniva
quanto tale obiettivo fosse sciagurato, dati i rischi concreti di una guerra
nucleare. Ma la spinta bellicista e riarmista ha oramai invaso l’Europa. Lo
abbiamo visto nelle scelte del nuovo governo tedesco in aperta controtendenza
con quelle praticate nel dopoguerra da quel paese. Lo vediamo nitidamente anche
da noi. Il pregevole lavoro degli analisti della Rete italiana Pace e Disarmo ha condotto a significative correzioni
del Rapporto annuale al Parlamento sull’export di armi, mettendo in luce che
nel 2021 si è verificato il record storico di esportazioni effettive e
definitive di materiale bellico (oltre 4,7 miliardi di euro) rimanendo alte le
nuove autorizzazioni (per 4,6 miliardi). In totale gli Stati del mondo verso
cui sono state autorizzate nell’anno scorso vendite italiane di armamenti sono
stati ben 92. Il nostro paese si presenta come un hub della produzione
militare, tanto per quantità che per qualità distruttiva. Progetti in sé non
nuovi traggono alimento da questa rinnovata spinta alla produzione di armi.
Riappare il tormentone di una fusione fra Leonardo e Fincantieri. Così sono
state intese le parole di Giorgetti, ministro dello sviluppo economico, durante
la sua recente visita alla Fincantieri di Monfalcone, dove ha avanzato
l’ipotesi di costruire “un polo militare italiano”. Il governo è azionista di
riferimento sia di Leonardo (partecipata dal Mef al 30%) che di Fincantieri
(che Cdp industria controlla con il 71.32%). La sua è dunque la voce del
padrone. Ma non ha finora trovato consensi tra gli Ad delle due imprese e
neppure nel mercato. La reazione negativa di Profumo, Ad di Leonardo, ha subito
fatto risalire le quotazioni azionarie dell’azienda, proponendo in alternativa di
fare di Leonardo il polo di aggregazione per un gruppo europeo dell’elettronica
della Difesa. Altri centri finanziari si sono dichiarati contrari alla fusione.
Eppure l’ipotesi resta in campo, più forte che nel passato, in un curioso
braccio di ferro tra politica e finanza. Infatti Giorgetti ribadisce che la
domanda di difesa in Europa crescerà e quindi il nostro paese deve mostrarsi
all’altezza. Come a dire che non abbiamo ancora dato il peggio di noi stessi.
REFERENDUM
di
Franco Astengo
La
diserzione dalle urne come scelta politica di difesa delle istituzioni
repubblicane.
La
diserzione dalle urne nel referendum in materia di giustizia che si svolgerà
domenica 12 giugno va sostenuta come chiara indicazione di scelta politica. In
alcune città si voterà anche per l'elezione del Sindaco e del Consiglio
Comunale e vale ancora la pena insistere nel giudicare come una vera e propria
forzatura istituzionale l'abbinamento tra le due diverse consultazioni.
Le
ragioni della diserzione dalle urne
risiedono, prima di tutto in alcune considerazioni di merito: il raggiungimento
del quorum del 50% dei partecipanti e l'eventuale la vittoria del sì infatti
introdurrebbe nuovi problemi, come nel caso del quesito sulle misure cautelari
la cui applicazione renderebbe molto difficile intervenire sui reati di
violenza di genere, inoltre i quesiti referendari intervengono su aspetti
tecnici e parziali, al riguardo dei quali l'esigenza cui corrispondere dovrebbe
essere quella di una riforma di carattere generale.
È
il caso allora di richiamare, ancora una volta, le necessità di recuperare un
protagonismo parlamentare.
Protagonismo
parlamentare che, dopo l'inopinata riduzione nel numero dei componenti le
assemblee elettive, si sta cercando di ridurre al minimo per seguire la via
populista e dell’affidamento della produzione legislativa alla propaganda o
all'imposizione governativa piuttosto che all'agire della mediazione
politico-istituzionale. A rafforzamento dell'indicazione riguardante l'esigenza
prioritaria di seguire la via parlamentare è ancora il caso di chiarire come
tre dei cinque quesiti che dovrebbero essere sottoposti al voto riguardano la
vita interna all'ordinamento giudiziario: come sono eletti i magistrati nel
loro organo di rappresentanza (il Consiglio Superiore della Magistratura); come
sono giudicati per gli avanzamenti di carriera e i ruoli che possono rivestire
tra inquirente e giudicante. La diserzione dalle urne e il conseguente
fallimento del quorum si impongono così come scelta politica. Una scelta
politica che indichi la via parlamentare come quella idonea per affrontare la
complessità di questioni così tecnicamente specifiche.
Da
tener in conto che la prova referendaria rende complicato mobilitare grandi
masse di elettrici ed elettori e un esito favorevole ai quesiti attraverso
l'espressione di una maggioranza di ridotte dimensioni renderebbe comunque
difficile la formazione di un consenso forte e convinto come sarebbe
fondamentale si affermasse su temi di così grande importanza e delicatezza.
In
sostanza, al di là del merito di ogni singolo quesito, un'affermazione del
fronte abrogazionista assumerebbe il significato di un ulteriore indebolimento
delle istituzioni rappresentative e di conseguenza dell'intero sistema politico
italiano, già così fragile e percorso da tensioni che pericolosamente stanno
reclamando un vero e proprio restringimento dell'azione democratica.
In
questo caso tensioni che debbono essere fermamente respinte con una chiara
espressione di non presenza ai seggi che assuma l'indicazione di una forte
domanda di ritorno alla centralità delle istituzioni.
LE BASI NATO SONO ILLEGALI
Un autorevole parere giuridico commissionato da
22 associazioni pacifiste afferma l’illegalità della presenza di armi nucleari
in Italia.
Dal 26 maggio
2022 è in libreria il volume Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari
in Italia (185 pp., Multimage) redatto dagli avvocati Joachim Lau e
Claudio Giangiacomo, di IALANA Italia, indiscutibilmente tra i
più competenti in materia. Fondata nel 1988 a
Stoccolma, IALANA (International Association of Lawyers Against Nuclear Arms)
è un’associazione internazionale di legali che operano per l’eliminazione delle
armi nucleari e il rafforzamento del diritto internazionale umanitario, con
status consultivo presso le Nazioni Unite. Decise a strappare il velo di
silenzio sul pericolo atomico che gli italiani corrono ogni giorno a causa
degli ordigni nucleari custoditi nelle basi NATO di Aviano (Pordenone) e Ghedi
(Brescia), Abbasso la guerra e altre ventuno associazioni
pacifiste territoriali e nazionali si sono rivolte agli avvocati Lau e
Giangiacomo per chiedere uno studio sui possibili rimedi giuridici ben
prima che l’invasione russa dell’Ucraina e il profilarsi di uno scontro tra
superpotenze rendesse la minaccia di distruzione atomica un argomento sempre
più concreto, nominato e persino banalizzato. Ma se le minacce reciproche delle
superpotenze hanno riportato alla luce le fosche dottrine della deterrenza, la
presenza del nucleare statunitense in Italia resta un tabù, circondato dal
segreto di Stato. Per questo motivo, il Parere
giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia assume oggi
una potenzialità straordinaria: mostrare l’insipienza e le convenienze di un
potere istituzionale che negli anni non ha tenuto in alcun conto la sicurezza
dei cittadini, nascondendo e minimizzando la presenza a 85 chilometri da
Milano, nel caso di Ghedi, a 95 chilometri da Venezia, nel caso di Aviano, del
più grande arsenale atomico europeo dispiegato dagli USA. Due luoghi del tutto
ignorati dai media, dove le attuali bombe nucleari B61-3 e B61-4 sono destinate
a essere sostituite entro qualche mese dalle più sofisticate B61-12, dotate di
quattro opzioni di potenza, fino a un massimo di 50 chilotoni ciascuna, vale a
dire una potenza superiore a tre bombe di Hiroshima. Lo studio motiva
l’illegalità della presenza su territorio italiano di almeno quaranta ordigni
nucleari, in violazione del Trattato di Non Proliferazione ratificato dal
nostro Paese nel 1975 e di altre norme nazionali e internazionali, e non
nasconde la paradossale difficoltà di ottenere una condanna in via giudiziaria
e un conseguente ordine di rimozione. Ma le azioni possibili sono numerose e
hanno necessità di essere sostenute da una larga consapevolezza. Secondo un
recente sondaggio condotto da YouGov, il 74% dei cittadini è a favore della
rimozione delle armi atomiche statunitensi dislocate in Italia. Posizioni
distantissime da quelle del potere politico e istituzionale. La speranza è che
questo studio serva a promuovere non solo un’azione legale, ma un capillare
lavoro di conoscenza che ci renda cittadini e cittadine consapevoli, capaci di
riaffermare la centralità dei territori e l’inviolabilità delle vite che li
abitano. Il volume, con un’introduzione di Elio
Pagani e Ugo Giannangeli (associazione Abbasso la guerra) e una prefazione di
Daniela Padoan (associazione Laudato Si’) e Patrizia Sterpetti (Women's
International League for Peace and Freedom - WILPF) sarà presentato
in anteprima il 4 giugno 2022 nell’ambito di EireneFest, il Festival del
libro per la pace e la nonviolenza, che si terrà a Roma tra il 2 e il 5
giugno.
Per contatti:
abbassolaguerra@gmail.com
331 - 3298611
Abbasso la Guerra OdV
Sede Operativa , c/o Castello Missionari Comboniani,
Venegono Superiore (Va)
sabato 28 maggio 2022
SCRITTI CONTRO LA GUERRA
di
Giovanni Bonomo*
La copertina del libro
Ricordo che l’impegno di Angelo Gaccione
per il disarmo dura da molti anni. Egli è stato una delle voci tra altri autorevoli
intellettuali, come Carlo Cassola e David Maria Turoldo, che predicavano l’abolizione
degli eserciti, che avevano cioè memoria, a differenza dei più, delle due
guerre mondiali, di cosa avevano significato in termini di vite umane, anche di
quelle dei sopravvissuti egualmente distrutte, e che avevano coscienza delle
altre guerre nel mondo di cui poco o per niente si parla. Ma soprattutto perché
avevano già capito, dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e
Nagasaki, quanto fosse disumanamente distruttiva l’arma nucleare e quanto
sconsideratamente idiota fosse continuare a costruire armamenti bellici e
armare gli Stati, sottraendo risorse per la ricerca scientifica, costruttiva
per la salute e per l’ambiente, invece che distruttiva per l’uomo e per il
creato. Erano istanze pacifiste che poi vennero in parte recepite anche in
politica internazionale con il Trattato per la messa al
bando delle armi nucleari ratificato il 20 settembre 2017 da
53 Stati ma rimasto poi lettera morta e inattuato. Ovviamente in occasione di
questa sciagurata guerra in corso, l’istanza pacifista si ripropone in tutta la
sua drammatica e impellente urgenza, soprattutto perché è una guerra che
viviamo quotidianamente, per ora e per fortuna, solo da telespettatori.
La copertina del libro |
A fronte
dei bombardamenti si pone allora il bombardamento buono di articoli sul disarmo
che Angelo Gaccione edita ogni giorno tramite la sua rivista ODISSEA, parte dei
quali sono stati raccolti in questo piccolo ma potente pamphlet, tanto agevole
nella lettura quanto profondo nel propugnare il principio pacifista. Principio
pacifista che per essere veramente tale non tollera né se né ma, non
sopporta le deroghe e i tanti tradimenti, perché le norme delle Costituzioni
degli Stati e dei trattati internazionali ad esso si ispirano solo nella forma
e non nella sostanza. Anche l’art. 11 della nostra lungimirante Costituzione,
che pure inizia con una espressione forte come “ripudia la guerra”, precisa di
seguito che l’Italia acconsente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento internazionale stabilito con i trattati. Viene così in gioco, in
particolare, l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede il “diritto
naturale di autotutela individuale e collettiva nel caso che abbia luogo un
attacco armato contro un Paese membro delle nazioni Unite”
secondo le determinazioni del Consiglio di Sicurezza. Del resto a fare da
contrappeso al principio pacifista formalmente espresso nell’art. 11 Cost., è
l’art. 78, il quale prevede che le Camere deliberano lo stato di guerra e
conferiscono al Governo i poteri necessari.
E allora, dice Gaccione, come si fa
a non rendersi conto che è il concetto stesso di difesa armata, nell’attuale
epoca nucleare, ad essere sbagliato, perché non garantisce la sicurezza di
nessuno, né dello Stato aggredito né dello Stato aggressore, essendo la via più
certa verso l’annientamento e la catastrofe totale. E fa anche una proposta de
jure condendo che consiste, oltre che ovviamente nell’abrogazione
dell’art. 78, nella riformulazione dell’art. 52 (trovate la sua proposta nel
penultimo articolo del libretto): “Poiché l’epoca
nucleare ha reso impossibile qualunque difesa [armata]
per la salvaguardia e l’incolumità dei cittadini e dei beni della nazione, la
Repubblica italiana vi rinuncia e la sostituisce con la negoziazione pacifica e
l’arbitrato internazionale”.
Si
tratta di 16 brevi articoli che stimolano la riflessione contro la guerra con
pathos estremo, ognuno dei quali si potrebbe analizzare per trarne un insegnamento
morale prima che politico. Ma il mio intervento non vuole essere una recensione
quanto piuttosto un elogio alla passione civile dell’autore. Mi limito quindi a
richiamare la frase che più mi sembra significativa e che forse ci incoraggia
un po’ tutti nell’amor patrio, nonostante l’indignazione al pensiero su chi ci
governa: “Mi auguro che sia la mia Patria a dare questo
esempio luminoso al mondo. La nazione con la tradizione culturale più profonda
e vasta e dalle mille bellezze. Se questo passo verso il disarmo lo facesse l’Italia,
avrebbe un impatto straordinario e altri Paesi ci seguirebbero. La perversa
catena della guerra si spezzerebbe”.
*Avvocato, Centro Culturale Candide
COME FRATELLI
di
Lorenzo Buggio
Una
delle parole centrali nel mondo odierno, come ho già presentato nel mio
precedente articolo, è la parola fratellanza. Oggi però vorrei concentrarmi su
un altro aspetto di questa parola, ovvero su che cosa ci rende veramente fratelli?
Devo confessarvi, prima di continuare, che purtroppo o per fortuna, questo non
sta a me deciderlo, sono figlio unico. Ammetto quindi di aver sempre vissuto il
rapporto fraterno da semplice osservatore.
Questa
posizione però forse mi ha permesso di indagare più a fondo gli aspetti
centrali di tale tematica. Una domanda che ha sempre accompagnato questa mia
osservazione è che cosa permette ai fratelli e alle sorelle di litigare,
insultarsi e così via in un momento e nel momento successivo invece
abbracciarsi o aiutarsi a vicenda. Penso che una possibile riposta a questa mia
domanda sia che i fratelli riescono a strutturare un rapporto di questo tipo
perché sotto a tutte quelle litigate c’è l’amore. Più precisamente, amore del
diverso, ovvero volto al riconoscimento di un altro. In altre parole, il
rapporto tra fratelli ci permette di vedere come una prima e fondamentale forma
di amore sia il rispetto delle differenze. Un caro amico mi diceva una volta
riguardo al rapporto con suo fratello: “Certo che a volte non lo sopporto,
ma non per questo lo odio è semplicemente diverso da me ecco tutto”.
Nella
semplicità di questa affermazione è presente un punto però di fondamentale
importanza che la società moderna sembra aver dimenticato.
Oggi,
infatti, si pensa che dire di essere fratelli significhi che siamo tutti uguali
e questo è almeno per quanto mi riguarda un ragionamento sbagliato.
Difatti,
dire di essere tutti uguali significa anche affermare l’esistenza di un
prototipo di persona. Purtroppo, però un prototipo, ovvero un ideale, non può
esistere all’interno di un mondo concreto e reale come il nostro.
In
sintesi, riprendendo l’affermazione del mio amico è facile immaginare come la
sua idea prototipica sarà sicuramente diversa da quella di suo fratello, quindi
una ricerca di totale uguaglianza porterebbe soltanto ad una forma di scontro
tra le due parti. Lo scontro in realtà può essere a volte però fautore di
fratellanza. Ciò mi è stato svelato durante un incontro a Sarajevo. Difatti, una
sera del mio viaggio ho avuto la possibilità di incontrare alcuni terziari
francescani con i quali ho parlato della loro esperienza di minoranza religiosa
durante e dopo la guerra. È stato proprio uno di questi francescani ad un certo
punto della nostra chiacchierata a dire: “Durante la guerra si era più uniti
e vicini (...)”.
Riprendendo
poi questo punto quello che è emerso è che di fronte ad una difficoltà comune,
quelle stesse differenze che normalmente sembrano insuperabili, come ad esempio
il proprio credo, scompaiono permettendo così alle persone di riconoscersi più
facilmente come fratelli.
È
quindi necessario ricordarci che essere fratelli non significa essere uguali e
che un discorso basato sull’estrema uguaglianza è paradossalmente un discorso
volta a dividere le persone piuttosto che ad unirle.
In
questo mi pare possa essere utile richiamare alla nostra memoria il celebre
discorso di Shylock nel mercante di Venezia di Shakespeare: “Ma un ebreo non
ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non
mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli
stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle
stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non
sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non
moriamo?”
Penso
infatti che se iniziassimo a chiederci più spesso che cosa ci differenzia
effettivamente così tanto da un altro diverso da noi scopriremmo di essere più
simili a lui di quanto pensiamo.
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