LA SPARTIZIONE DELL’ARTICO
Pagine
- HOME
- IL LATO ESTREMO
- FUORI LUOGO
- AGORA'
- LA LAMPADA DI ALADINO
- ALTA TENSIONE
- FINESTRA ERETICA
- ARTE
- SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO
- I DOSSIER
- I LIBRI DI GACCIONE
- BIBLIOTECA ODISSEA
- SEGNALI DI FUMO
- I TACCUINI DI GACCIONE
- NEVSKIJ PROSPEKT
- LA GAIA SCIENZA
- LIBER
- GUTENBERG
- GROUND ZERO
- LA CARBONERIA
- CAMPI ELISI
- LA COMUNE
- OFFICINA
- QUARTIERE LATINO
- IL PANE E LE ROSE
- MARE MOSSO
- LITTERAE
- DALLA PARTE DEL TORTO
- NO
- NOTE
- FORO
- KAOS
- LUMI
- ARCA
- CIAK
- IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE
UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
mercoledì 5 febbraio 2025
SAN GIORGIO A CREMANO
Gli studenti scrivono al Sindaco.
Caro
Sindaco,
Siamo un gruppo di studenti della scuola media I.C. Don Milani Dorso di San Giorgio a
Cremano e scriviamo questa petizione per chiederle
che i beni confiscati alla mafia
vengano intitolati alle vittime innocenti delle organizzazioni criminali.
I beni confiscati sono simboli della vittoria dello Stato contro la
criminalità e, per noi, dovrebbero onorare chi ha perso la vita per combattere
la mafia. Troppo spesso le vittime vengono dimenticate, ma è fondamentale
mantenere vivo il loro ricordo, affinché il loro sacrificio non vada perduto.
Le 9 strutture confiscate dal
Comune potrebbero diventare
luoghi di memoria e speranza. Ogni nome associato a questi beni sarebbe non
solo un atto di giustizia, ma anche un messaggio forte per le future
generazioni sul valore della legalità e della lotta contro la criminalità
organizzata. Chiediamo inoltre che il Comune garantisca trasparenza nella gestione dei beni confiscati (procedura
di assegnazione, destinazione d’uso, realtà assegnataria) affinché tutti
possano sapere ed essere coinvolti. Chiediamo dunque che sul sito del Comune
tutti possano sapere, leggere e comprendere quali sono i beni confiscati e
quale uso se ne fa.
Con affetto,
Gli studenti delle classi 2I, 2E e 2A
I.C. Don Milani Dorso di San Giorgio a Cremano
Firma questa
petizione se anche tu credi che ogni vittima della mafia meriti di essere
ricordata e che i beni confiscati possano diventare simboli di memoria e rinascita. Unisciti a noi per costruire un
futuro dove giustizia e legalità prevalgano.
https://www.change.org/p/diamo-nome-alla-memoria-intitoliamo-i-beni-confiscati-alle-vittime-della-mafia/psf/promote_or_share
martedì 4 febbraio 2025
BIBLIOTECA
SORMANI
Immagini e Parole
contro le guerre.
Cliccare sulla locandina per ingrandire
Dal 6 febbraio al 1° marzo 2025
Corso di Porta Vittoria 6 - Milano
Lo spazio Sormani
Svelata ospiterà da giovedì 6
febbraio una selezione di testi poetici tratti dal libro di Paolo De Benedetti, Cantano tutti i ricordi. Nulla può fare ch’io non sogni (MC Editrice), accompagnati da alcune delle
illustrazioni originali realizzate da Francesco Santosuosso per il libro, oltre a riproduzioni dei disegni ingranditi e
impreziositi da ritocchi eseguiti per l’esposizione.
Cosa dicono oggi questi testi datati 1944? La giovinezza che incontra morti
atroci, il grido che chiede ricordo e che, come sottolinea la sorella Maria
nell'introduzione, afferma il diritto a non sottomettersi.
Lo sguardo poetico di Paolo De Benedetti,
che restituisce memoria trasformando il dolore, ci è d’aiuto ancora per vedere
la dimensione collettiva dell’esistenza e agire con una rinnovata
coscienza e responsabilità.
A corredo dell’esposizione, la biblioteca proporrà una selezione di documenti
sul tema della pace e dell’opposizione alla guerra, tratti dalle proprie
raccolte librarie e archivistiche e dal libro Pace per Vivere. Gandhi
Einstein in dialogo edito
da MC Editrice.
Cliccare sulla locandina per ingrandire |
CONFLITTI E PREPOTENZA
di Romano
Rinaldi
Con l’entrata in vigore dei nuovi dazi, l’America
di Trump si avvia alla guerra commerciale col resto del mondo. Dunque potremo
presto riconoscere la vera natura del “pacifismo” del nuovo presidente degli
USA. Per ora scatena la guerra del 25%, ovvero un quarto di guerra… Niente male
per essere considerato un pacifista solo per aver dichiarato, in campagna
elettorale, che avrebbe posto fine alla guerra Russa contro l’Ucraina in 24 ore
e a quella scatenata da Netanyahu contro Hamas, i palestinesi et al., in men
che non si dica. Se il buon giorno si vede dal mattino, non credo ci sia molta
speranza di una pace duratura in molte parti del mondo da ora in poi. Chiunque
sa bene che le guerre sono spesso provocate o da motivi religiosi o da
motivazioni economiche (spesso da entrambi) e sono alimentate dall’odio, una
volta scatenate. Basta guardare la faccia che fa il neo-presidente del paese
più ricco e potente al mondo nella sua foto ufficiale, per rendersi conto che
difficilmente un piglio di quel genere può evocare simpatia, convivenza pacifica
o addirittura amorevole compassione. Non è quindi difficile prevedere che pur
se dovessero verificarsi le condizioni per un cessate il fuoco nelle aree al
momento più calde e preoccupanti di conflitto, la Pace in generale sarà una
chimera ancora almeno per i prossimi quattro anni.
Penso
dunque che le attese dei veri pacifisti che hanno confidato e tutt’ora
confidano in questa nuova amministrazione americana per vedere realizzati i
loro sogni, saranno ben presto tradite dall’evidente narcisismo egocentrico
dell’era MAGA.
A proposito della prepotenza data
dalla forza e dal denaro, guarda caso i due peggiori conflitti degli ultimi
tempi sono stati scatenati da due potenze nucleari all’apice di una fase di
ricchezza (o prosperità) delle classi dirigenti di quei due Paesi. Spinte da un
chiaro desiderio espansionista. Il prossimo passo, già annunciato dalla Casa
Bianca, sarà la sottomissione, in un modo o nell’altro del Canada e della
Groenlandia. Sarà interessante vedere se la NATO, in virtu’ dell’Art. 5 del
Trattato, sarà costretta a lanciare un’offensiva militare preventiva su
Washington D.C. per evitare un conflitto con gli USA!
LIBERARE ÖCALAN
Verso
la soluzione.
Il 15 febbraio
2025 segnerà il 26° anniversario della cattura di Abdullah Öcalan, il leader
storico del movimento curdo e figura centrale nella lotta per i diritti e
l'autodeterminazione del popolo curdo. Dal 1999, Öcalan è detenuto in
isolamento sull'isola-prigione di Imrali. La sua prigionia rappresenta un
simbolo della più ampia repressione contro le rivendicazioni curde, ma anche
della difficoltà della Turchia nell'affrontare una soluzione politica e
pacifica a un conflitto che perdura da decenni. La liberazione di Abdullah
Öcalan non riguarda soltanto la giustizia per un uomo imprigionato in
condizioni che violano il diritto internazionale e lo stesso sistema giuridico
turco, ma costituisce anche un passo fondamentale per la costruzione di una
pace duratura tra lo stato turco e il popolo curdo. Nel corso degli anni,
Öcalan ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare e a promuovere la
pace, avanzando proposte che prevedono il riconoscimento dei diritti dei curdi
all'interno di una Turchia democratica e pluralista. In tutto il paese, le
pratiche utilizzate sull'isola di Imrali sono state estese per soffocare ogni
forma di dissenso e di opposizione che veda nella soluzione politica della
questione curda una possibile svolta verso una trasformazione democratica
dell'intero Medio Oriente. Attraverso la prigionia di Abdullah Öcalan, lo Stato
turco non solo cerca di isolarlo fisicamente come individuo, ma mira anche a
soffocare i risultati democratici emersi dalle sue idee.
Il 28 dicembre scorso, una
delegazione del Partito DEM, composta dai parlamentari Sırrı Süreyya Önder e
Pervin Buldan, ha incontrato Abdullah Öcalan nell'isola-prigione di Imrali. Si
trattava del primo incontro completo con Öcalan dopo nove anni, a seguito dei
negoziati del 2015 tra lo stato turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan
(PKK) interrotti da Erdogan. Questo incontro è stato preceduto da una visita
familiare, avvenuta a ottobre, con il nipote Omer Öcalan.
Pur rappresentando un segnale
positivo, considerando che Öcalan era stato sottoposto a un isolamento totale
per quasi quattro anni, le condizioni della sua detenzione rimangono
inaccettabili e continuano a costituire un ostacolo a un possibile nuovo
processo di pace. Infatti, se i colloqui avviati a Imrali dovessero portare a
una nuova fase negoziale, essi non sarebbero né equi né trasparenti se una
delle parti fosse costretta a parteciparvi in condizioni di prigionia, senza la
possibilità di comunicare liberamente con il proprio movimento politico e con
il popolo curdo. Le implicazioni di un nuovo processo di pace non si limitano
ai confini turchi. Un possibile accordo potrebbe infatti rimuovere l'ostacolo
maggiore per l'Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (Rojava) nella
partecipazione alla costruzione di una nuova Siria, dopo la fine del regime di
Assad. Le minacce, le pressioni e le operazioni militari turche, che attraverso
i suoi mercenari ha già occupato vasti territori del Rojava, minacciano di
distruggere la rivoluzione delle donne del Rojava e di sfollare i popoli che la
portano avanti.
Il Confederalismo Democratico,
proposto da Abdullah Öcalan, ha innescato un risveglio sociale in tutto il
Kurdistan. I principi di uguaglianza di genere e la costruzione di una società
democratica ed ecologica sono alla base di importanti processi di
trasformazione, come quelli in atto in Rojava e nell'autogoverno ezida di
Shengal.
Per queste ragioni invitiamo tutti i
partiti, organizzazioni politiche e umanitarie, sindacati, collettivi e singoli
solidali a partecipare alle manifestazioni che si terranno alle
14:30 a Roma Piazzale Ugo La Malfa e Milano Piazza Cairoli il 15
Febbraio 2025.
Ufficio d’informazione del Kurdistan
in Italia
Rete Kurdistan Italia
Associazione Centro Socio-Culturale
Ararat
Per adesioni:
Info.uikionlus@gmail.com
info@retekurdistan.it
Adesioni
COBAS Confederazione dei Comitati di
Base
Associazione Ya Basta
Bologna
Municipi Sociali
Bologna - Tpo e Làbas
Associazione Anbamed
Associazione Verso il Kurdistan Odv
CRED - Centro di Ricerca ed
Elaborazione per la Democrazia aderisce!
CULTURA È LIBERTÀ
Catanesi solidali con il popolo curdo
Rete Jin
Alkemia News Modena
La redazione del giornale "Odissea" di Milano
Associazione Senzaconfine
Jineoloji Italia
COBAS SCUOLA SARDEGNA
Cooperazione Rebelde
Napoli
LOA Acrobax
Il Comitato Berta Vive
Milano
COBAS
Pescara-Chieti
Palermo Solidale con il Popolo Kurdo,
Assemblea NoGuerra di Palermo
Laboratorio Andrea Ballarò di Palermo
Gianni Sartori (giornalista
free-lance)
Caterina Mecozzi -
Marino (RM)
Stefano Mannironi,
avvocato
lunedì 3 febbraio 2025
IL PARTITO DELLA NAZIONE
di Franco Astengo
Arianna Meloni: “Siamo il partito della nazione”.
Al di là delle ragioni
motivazionali rivolte alla propria squadra che possono risultare anche
comprensibili questa frase merita un approfondimento senza il quale si lascia
intatta tutta la sua - pericolosa - valenza enfatica. Prima di tutto l’idea di
autoproclamarsi “partito della nazione” si scontra contro una crisi costante
del sistema dei partiti e di trasformazione di natura stessa del partito
politico che appare assolutamente evidente. Verifichiamo prima di
tutto il piano del consenso elettorale: gli ultimi dati complessivi in nostro possesso
riguardano le elezioni europee 2024 (elezioni europee che rappresentano
storicamente il punto di più basso di raccolta del consenso da parte
dell'insieme del sistema politico).
Il 9 giugno 2024 su 51.214.348 aventi
diritto i voti validi espressi furono 23. 415. 587. Fratelli d’Italia ha
conseguito la maggioranza relativa con 6.733.906 voti e le tre forze che
formano il governo hanno ottenuto complessivamente 9.079.242: nell’analoga
votazione svolta nel 2019 la maggioranza relativa spettò alla Lega con
9.175.208 voti (all’incirca 2.500.000 in più rispetto a FdI 2024: fu quando
Salvini chiese i “pieni poteri”) mentre l’insieme del centro destra raccolse
13.252. 990 voti (oltre 4 milioni di voti in più rispetto al 2024) in un quadro
generale di partecipazione al voto che aveva visto l’espressione di 26. 783.732
suffragi su 50.974.994 aventi diritto.
Per quel che può valere il dato
elettorale appare evidente il calo di consenso complessivo: nel tempo Fratelli
d’Italia ha tolto voti agli alleati (in particolare alla Lega) in un quadro di
calo complessivo nella raccolta di consenso sia del centro-destra sia del
sistema nel suo insieme (un dato questo che dovrebbe preoccupare tutti e
nell'occasione tralasciamo le cifre - paurose - del calo accusato dal M5S soggetto
trainante dell’anti-politica e assoluto primo fornitore della crescita della
disaffezione e della crisi complessiva del sistema). L’altro elemento da
prendere in considerazione in uno sviluppo d’analisi è quello della funzione di
governo che Fratelli d’Italia esercita in una dimensione fortemente accentrata
nella figura della presidente del Consiglio.
Esaminiamo allora alcuni aspetti di
questa politica di governo:
1) Sul piano della politica economica la
legge di bilancio si situa tranquillamente nell’alveo dell’austerity imposto da
Bruxelles e interpretata, attraverso modeste torsioni sul piano fiscale, a
favore dei ceti più abbienti e a scapito di “ultimi” e “penultimi” (copyright
questo dei “penultimi” del convegno di Orvieto dell’area liberaldemocratica);
2) Sul piano della politica estera le
vicende più recenti segnalano una sorta di delega al “nuovo corso” USA cui la
presidente del consiglio si è prontamente allineata nel tentativo di
interpretare una variazione sostanziale soprattutto nel riguardo dell’UE di cui
l'Italia intenderebbe farsi ambasciatrice in un quadro di ripresa
nazionalistica (verificheremo cosa ci dirà l’esito delle elezioni tedesche);
3) sul piano degli obiettivi di riforma a
livello nazionale, finora si sono mossi gli obiettivi degli altri partner
(Lega: autonomia differenziata; Forza Italia: magistratura) che urtano con la
tradizione storica del partito di discendenza ideologica di FdI (il MSI)
nazionalista e giustizialista (addirittura pro-pena di morte, del resto esercitata
con larghezza nel corso della Repubblica Sociale 1943-45). Si è perso per
strada l’improbabile premierato, bandiera di partenza della formazione di
maggioranza relativa mentre del tutto fallimentare si è dimostrata la politica
fin qui perseguita nei confronti del delicato tema dei migranti. Insomma: una politica di
governo che parafrasando il motto di un film americano: “tutta chiacchiere e
distintivo”. Quanto uscito fuori dalla riunione della
Direzione Nazionale di Fdi non può restare senza risposta, una risposta però
che - sui contenuti - dovrebbe far riflettere anche le forze di opposizione:
infatti ci sono punti che li riguardano direttamente.
SALERNO
di Luigi Mazzella
Luigi Mazzella
Sono nato a
Salerno e sono stato sempre felice di sentirmi un figlio della Magna
Grecia della cui cultura sono molto orgoglioso. Ad essa ho sempre ispirato la mia vita pubblica e
privata. Ho sempre pensato che se gli immigrati dal Medio Oriente, ebrei,
cristiani e mussulmani, con il loro fantasioso dualismo (un mondo di qua, reale
e concreto, e uno di là, solo immaginato) non avessero
contaminato la filosofia monistica, empiristica, sperimentale e razionale dei
filosofi sofisti e presocratici dell’era greco-romana e che se il
supponente e autoritario Platone non avesse fornito la base per l’ideazione
delle due utopie politiche più nefaste e funeste mai sognate ad occhi aperti
(il fascismo e il comunismo), oggi la cultura Occidentale non sarebbe
caratterizzata dall’assolutismo, dall’intolleranza e dall’autoritarismo
camuffato della cosiddetta “democrazia” (termine usurpato).
Luigi Mazzella |
Ho sempre avuto una forte antipatia per Platone (nato nella Grecia, “parva” e troppo poco distante da popoli barbari per non conoscerne usi e costumi) creatore supponente e dispotico di una “schola” (l’Accademia) che, imponendo agli allievi di giurare unicamente in verba magistri, ha impedito per secoli ogni progresso e mutamento del pensiero. Di Platone e dei suoi succubi seguaci non mi ha mai convinto un bel nulla: né il mito della caverna né la sua immaginazione dell’“al di là” iperuranico che, a mio giudizio, faceva acqua come una nuvola piena di pioggia.
Il mio ceppo
paterno era originario di Procida. Quei miei antenati, trasferitisi in
“Continente” si erano assestati a Vitulano nel Beneventano e poi a Eboli,
Campagna, altri centri della piana del Sele e Salerno. Mio nonno, Camillo,
mi parlava spesso di un cugino, suo omonimo rimasto nel Patriziato di
Vitulano e divenuto il primo cardinale gesuita nella storia del
Papato. Di questo parente la libreria di nonno Camillo racchiudeva libri
voluminosi (oggi in mio possesso) scritti in latino. La famiglia di mia
madre era, invece, salernitana tout court e vantava l’esercizio
della professione forense a livelli molto alti da diverse generazioni. Grazie al mio amico Vincenzo De Luca, di cui non
ho mai condiviso la militanza politica a causa della mia idiosincrasia per
ogni assolutismo (religioso o politico, senza alcuna differenza) ma di cui sono
stato (e sono) grande estimatore come Sindaco (per diversi mandati) della mia
città, ritorno sempre volentieri a Salerno che ha ricevuto una
trasformazione urbana che ne
ha mutato radicalmente il volto.
Credo che nessuna città italiana come Salerno possa vantare l’apporto internazionale dei maggiori architetti contemporanei. Il barcellonese Oriol Bohigas ha ridisegnato soprattutto il suo splendido “lungomare”; Ricardo Bofill, anch’egli spagnolo di Barcellona e di madre veneziana, ha firmato il Crescent di piazza della Libertà, costruzione poderosa di grande impatto scenografico che ricalca le linee curve (come quelle della gobba a ponente della “luna crescente”, e prende lo stesso nome dell’edificio esistente a Bath, in Inghilterra; David Chipperfield, inglese, ha progettato la “cittadella giudiziaria” che a dispetto del nome ha un’estensione immensa; a Zaha Hadid si deve la progettazione della Stazione marittima; a Santiago Calatrava quella della Marina d’Arechi (probabilmente, il porto turistico più bello del Mediterraneo.
Infine, al mio amico fraterno, Paolo Portoghesi, primo di ogni altro suo collega in ordine di tempo, è dovuta la realizzazione della Chiesa della Sacra Famiglia, vero capolavoro dell’architettura contemporanea post-moderna. Naturalmente, vi sono monumenti insigni anche di epoche antecedenti, riportati nei libri di storia dell’arte italiana. I due più famosi sono la Cattedrale dell’XI secolo edificata per volere di Roberto il Guiscardo e del vescovo Alfano I° con un famoso campanile in stile arabo-normanno di notevole altezza e l’Acquedotto medievale eretto, su originalissime (per quei tempi) arcate ogivali, dai Longobardi nel IX secolo. Da non credente ho sempre apprezzato l’equidistanza e l’ironia dei miei antichi concittadini che hanno sempre ammirato, nel Duomo, l’opera di Dio e nell’acquedotto quella di Satana (l’acquedotto è stato battezzato popolarmente “Ponte del Diavolo” perché considerato costruito “con l’aiuto di demoni”).
Salerno, al
di là del suo interesse architettonico e della sua bellezza paesaggistica, è una città considerata, da molti suoi visitatori, civile e
ordinata, molto diversa dalla vicina Napoli di cui condivide, con la
costiera amalfitana e quella sorrentina, il dialetto ma non la capacità di
comporre canzoni di sonora e soave bellezza melodica. È, in altre parole,
un centro di vita caratterizzato più dalla razionalità delle scelte dei suoi
abitanti che non della loro fantasia creativa. E ciò, forse, perché le influenze subìte dalle due città
sono state, nei secoli, diverse. Gli Etruschi
aggirarono Napoli e il suo territorio circostante e arrivarono alla piana
del Sele e dell’Irno (donde: Salerno).
In seguito
Salerno vide alternarsi sul suo territorio popoli in prevalenza nordici (Normanni, Svevi, Longobardi) dai nomi strani: Arechi, Gisolfo, Ermengarda, Sichelgaita in luogo dei Ciro, Gennaro, Carmela,
Concetta del capoluogo napoletano, dominato prevalentemente da Francesi e
Spagnoli (il motto “Franza o Spagna purché se magna” sarebbe nato nei
vicoli di Forcella). Salerno, come
colonia romana, era frequentata da villeggianti amanti del mare, come Orazio.
La mia città
vanta primati più in sede scientifica che artistica. Nel Medio Evo divenne nota per la Scuola Medica, di fama europea, particolarmente esperta
nella conoscenza e nella cura dei veleni e per i giardini della
Minerva. In letteratura, Salerno è citata in tre novelle del Boccaccio, nel
Cunto de li Cunti di Basile, nella tragedia Ricciarda di Ugo
Foscolo e in un romanzo di Andersen L’improvvisatore. Gli scrittori
nativi divenuti celebri sono stati Masuccio salernitano che esalta i suoi
concittadini e sbertuccia amalfitani e cavaiuoli (deformazione di: cavesi) e
tra i contemporanei Alfonso Gatto che nel nome della citta coglie una “rima
d’inverno (dolce) e di eterno”. A Salerno ho
frequentato il Liceo classico “Torquato Tasso” ma per l’Università ho dovuto
recarmi a Napoli negli imponenti edifici, siti sul Rettifilo, della famosa
“Federico II”, nota soprattutto per la sua Facoltà di Giurisprudenza. La
mia città, infatti, è divenuta sede universitaria solo dopo oltre un
decennio dal mio trasferimento a Roma.
Un’ultima
annotazione. Come avvocato dello Stato (fino al culmine della carriera con la
carica di Avvocato Generale) e, poi, giudice della Corte
Costituzionale, oltre che come Ministro per la Funzione Pubblica e capo di
gabinetto in molti Ministeri sono vissuto nell’ambiente forense e
della pubblica Amministrazione per circa sessanta anni. Orbene, a parte la Corte Costituzionale
(costituita successivamente), Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti,
Ministeri hanno avuto, sia pure per breve tempo, sede nella mia città e ho
avuto modi di conoscerne esistenza e struttura prima del mio trasferimento a
Roma.
Dal febbraio all’agosto del 1944 Salerno è stata, infatti, la sede del governo italiano, ospitando due Esecutivi Badoglio ed uno Bonomi. Nei libri di Storia si parla pure di “svolta di Salerno”; ma data la sostanziale immobilità dell’Occidente da oltre duemila anni credo che il valore enfatico dell’espressione sia indubbio.
domenica 2 febbraio 2025
SCAFFALI
di Elisa Bertoni
La copertina del libro
A noi non accadrà, libro a quattro mani di Mario Zeppolini e Romano Zipolini.
Non è facile approcciare un libro di memorie perché si rischia di volerlo inquadrare
in modo rigoroso, facendone smarrire l’identità: è storia e se ne può attingere
come fosse un documento o è romanzo in cui l’aspetto di una trasfigurazione
soggettiva dell’elemento autenticamente biografico traligna dall'oggettività
del reale? A rendere ancora più complessa la questione è la presenza, in questo
caso specifico, di una coppia di autori, padre e figlio, come se il testo fosse
stato scritto a quattro mani, nonostante la pubblicazione avvenga molti anni
dopo la morte di uno degli autori, Mario. Inoltre, perché padre e figlio
presentano un cognome simile ma diverso? Il libro incuriosisce dunque già in
partenza aprendo la porta a svariati interrogativi.
Una chiave per avvicinarsi ad una comprensione più genuina
dell’opera la troviamo nelle pagine che precedono la vera e propria narrazione.
Si legge nella sezione Cartiglio: “Tutto è meglio della pura verità” (Pierre
Sebor, 6.1.86). La dimensione soggettiva insita nella vita di ognuno è ciò che
permette di vivere, nel momento in cui la pura verità, se si rivelasse limpida
come un’idea platonica nell’iperuranio, nel momento in cui spazza via in modo
cinico e brutale l’entusiasmo di un ideale vissuto con autentica passione,
alimenterebbe solo rabbia, rinuncia se non disperazione e nichilismo. La
memoria anche di fedi che hanno deluso e tradito si impone come esperienza
utile per provare a rifocalizzarsi verso obiettivi di speranza e non di morte.
Inoltre, vendere “pure verità” può essere la bandiera a cui si attaccano i
potenziali dittatori perché il reale sfugge sempre al monopensiero delle
tirannidi.
E sempre in Cartiglio, ad apertura: “Quel giorno erano in
migliaia, con le loro grida nervose ed il batti mani ritmato, a sovrastare Jimi
Hendrix. Invocavano sul palco i Monkees” (8 luglio 1967, Jacksonville-Florida).
Perché questa citazione? Di fronte ad una epopea rivoluzionaria della musica
come quella incarnata da Jimi Hendrix, il pubblico chiama a gran voce i
Monkees, un gruppo che è stato creato per inscatolare commercialmente la
canzone sulla scia del successo dei Beatles, tanto che il critico musicale Glen
Baker li definì “la prima grande vergogna del rock”. La voce del popolo non è
sempre vox dei, secondo il noto motto popolare; in epoca
contemporanea la massa subisce costantemente un processo di strumentalizzazione
sia nel campo dei consumi che in quello politico sociale ed il messaggio che
arriva forte dalle pagine di questo diario è proprio l’occhio a non lasciarsi
trascinare da effimere esaltazioni che invece di promuovere il
talento/progresso inneggiano all’omologazione/regresso, all’ubbidienza cieca e
acritica ad un potere che si proclama forte ed autoritario.
La copertina del libro |
Il libro si può anche considerare una sorta di romanzo di formazione con un finale che tuttavia rimane aperto. L’approdo, dopo la tragica conclusione del conflitto e la dolente percezione dell'inutile spargimento di sangue di tanti civili inermi, si potrebbe sintetizzare in una coppia di versi di Montale: “codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Lo Stato fascista pur nell’esibita ostentazione della sua forza non è riuscito a proteggere la sua gente per una insufficiente preparazione allo sforzo bellico o, secondo la ribadita opinione di Mario, per il tradimento di comandanti e di reparti, e a quanti sono stati animati da un genuino amor di patria non rimane che un cocente senso di smarrimento e sbandamento. Il vitalismo di matrice dannunziana che aveva animato il giovane Mario incline a gustare la sua vita come fosse un vero e proprio romanzo tra gesti di insubordinazione e l’eroismo della solidarietà, tra atti di coraggio ed avventure amorose molteplici, vissute tutte con intensità, come chi voglia assaporarne ogni sfumatura nella diversità degli incontri, viene barbaramente umiliato dalla storia, frustrato dal disinganno che lascia il marinaio barghigiano incapace di ritrovare in modo non contraddittorio un’altra fede cui donare il cuore. Se si esclude il valore degli affetti e dell’amicizia, specie quella per Ottone suo compatriota e compagno d'armi, che alla fine diventa il fil rouge che dà unità alla storia. Si legga in chiusa al libro “(...) scrutando la realtà del cielo e del mare, dalla mia nave, che ho perduto, sono stato indotto a spingermi incontro alla vastità di tutto quanto non conoscevo, a costruire il sogno della mia vita, che non si è perso nell’orizzonte, perché era celato nel corpo e nell’anima delle persone amate, in cui mi sono specchiato, per provare ad essere diverso da come mi avevano costruito”. Il sogno miseramente vessato dalla storia si cela nel cuore delle persone amate: questa frase ha il sapore di un testimone che consegna agli affetti, anche al figlio Romano, ed è un impegno a non spegnere la vita e l'entusiasmo per essa attraverso vie diverse e nuove al di là di quelle in cui il giovane Mario si era incamminato con baldanzosa audacia e genuina speranza.
Alla lettura si può percepire una netta cesura tra quello che
avviene prima della guerra e della disfatta di Capo Matapan e il dopo: le
pagine della prima parte più leggere e briose, tessute di reminiscenze musicali
e della giovanile esuberanza dell'autore paiono invecchiare di colpo, si fanno
più stanche, nude, crude, rispecchiando la frustrazione dei reduci. Nella
scrittura del diario, rispetto ad un documentario cinematografico, le immagini
affiorano con la forza dei sentimenti di chi descrive eventi che ha vissuto e
visto, perciò permangono con più incisività anche nella memoria del lettore.
Come non figurarsi il marinaio Mario, amante della lettura e delle donne,
aperto al nuovo, dotato di squisita sensibilità lirica, che si avventura nei
mari pur venendo dai monti di Barga? Come non sentire vicine le sofferenze ed i
turbamenti di un uomo che affronta eventi eccezionali in tempi eccezionali
destinati poi a precipitare miseramente nel disincanto di chi non può fidarsi
più neppure dei propri generali? Gli siamo accanto quando si riflette nel motto
“tenacemente” della nave ammiraglia Zara su cui è imbarcato, accanto nella
notte atroce che trascorre naufrago tra tanti commilitoni a seguito
dell'affondamento dello Zara, percependo il suo stesso “disgusto infinito, per
tutti quei corpi dilaniati, per quei pesci immondi, per questo freddo, per chi
ci ha condannato a morire senza combattere...”, e accanto nella sua prigionia
greca, a nutrirsi di olive e di paleo bollito, come prevenzione allo scorbuto.
Il mare, nella sospensione di lunghe traversate, abitua alla
riflessione: “il destino del marinaio è quello di sentirsi lontano da tutto e
da tutti, nella grande immensità del mare, che rispecchia la vastità delle
sensazioni dell'anima, con le quali si confronta”. Ci sono momenti in cui
Mario, pur in un contesto storico come quello fascista, che relega la donna al
ruolo asessuato di madre e moglie devota, precorre i tempi nel cammino verso l’uguaglianza
di genere, quando afferma a proposito delle delusioni amorose: “o forse è
difficile accettare che la donna, anche in questo, sia uguale all'uomo e che il
desiderio di conquista, pure per lei, sia più forte di ogni fedeltà”. C’è in
lui una forma di anarchia del pensiero che lo spinge a riconsiderare tutto alla
luce delle proprie rimeditate esperienze.
È lui stesso a costruirsi vero e proprio personaggio
letterario nel momento in cui si autobattezza Zeppolini dall’originario
Zipolini, sulla scia della fama del dirigibile Zeppelin, capace di navigare i
cieli così come il protagonista vola proteso sui suoi sogni; sogni che grazie
al libro ci vengono riconsegnati intatti perché si stabilisca quella sana
dialettica tra le epoche che dovrebbe far approdare al porto dell’evoluzione.
Dallo scontro delle generazioni deve nascere l’incontro delle generazioni con
le specifiche peculiarità, il foxtrot e le danze coreografiche di Tangolita
amate da Mario si possono mettere accanto allo shake amato da Romano: chissà
che non ne nasca un ballo nuovo che unisca tutti, il ballo dell'umanità. A
noi non accadrà, in questo imperativo futuro che si pone volutamente
più come certezza che come speranza proprio nell'incertezza dolente di un mondo
in cui la guerra continua ad affacciarsi, sono affidate memorie che non si
consumano in loro stesse ma che vogliono programmaticamente costruire dialoghi
aperti, non settari, e per questo fortemente coraggiosi.
JOE WRIGHT E M. IL FIGLIO DEL SECOLO
di Luigi Mazzella
Anni fa
avevo visto con grande interesse e apprezzamento L’ora più buia di Joe
Wright che seguiva le vicende di Winston Churchill all’inizio della seconda
guerra mondiale. È con
il medesimo interesse, quindi, che ho seguito in streaming il
serial televisivo dello stesso regista M: il figlio del secolo sul
primo Mussolini, interpretato da un Luca Marinelli, costantemente sopra le
righe, più macchietta che personaggio. Ho tentato di capire i motivi della
scelta di regia. Wright
nasce nell’ambiente del Teatro di marionette di Islington e l’influenza su di
lui esercitata dai genitori (fondatori appunto del Little Angel
Theatre) in questa sua opera si coglie tutta. Sullo schermo si muovono
burattini tra finte quinte teatrali e cupi, "sfuocati" e incerti
scenari di sapore espressionista. Il tutto quanto si conviene a una
rappresentazione che non vuole apparire realistica, nonostante il riferimento a
una realtà che è stata invece molto vera e pesantemente tragica. Al di là degli aspetti spettacolari, certamente
originali ma piuttosto discutibili, il serial riesce a dare una
rappresentazione degli effetti cruenti di un violento fanatismo politico
tendente all’instaurazione di una dittatura, secondo la previsione di Albert
Camus de L’Homme révolté.
Nel caso specifico del serial si tratta dei fascisti” e libro e film sono
stati probabilmente ispirati dagli ultimi eventi italiani, quando la
bionda trasandatezza e l’inseguita (e mai raggiunta) eleganza di abbigliamento
di una pulzella della periferia romana è giunta al potere in un Paese con la
stessa minoranza di elettori che consentì al Duce di Predappio tutto ciò che
ben dovrebbero ricordare gli Italiani non proprio a digiuno di notizie
storiche.
Il focus del serial non può far dimenticare che i “pupari” dell’Occidente
utilizzano, per i loro interessi, tutte le utopie inventate da maestri
religiosi o filosofici; non solo quelle fasciste. Il clima di faziosità che riescono a introdurre nei Paesi detti
“democratici” va a loro vantaggio, quando decidono “il cambio dei cavalli” per
la loro “corriera”.
Perché faziosità? Fazioso è chi sostiene senza obiettività e con la
mancanza di ogni senso critico il proprio partito politico o la propria
tesi ideologica, l’interesse sciovinistico del proprio Paese animato, com’è, da
forte spirito di parte. Usualmente,
il fazioso attribuisce al partito o alla tesi avversa tutte le negatività che la critica più feroce ritiene di riscontrare nelle
posizioni combattute; al partito o alla tesi di cui è “fan”, assegna,
invece, tutte le qualità “meravigliose ed eccezionali” illustrate dalla “propaganda”
che è, notoriamente, una falsa rappresentazione della realtà adottata da
chiunque sappia di affermare fini che sono chiaramente di parte. Detto questo v’è da aggiungere che in un clima
culturale contrassegnato dalla presenza massiccia e prevalente di concezioni
assolutistiche (è questa la verità e non altre), di intolleranze religiose (Dio
è uno ed è solo il mio e non quello di altri) o ideologiche (un popolo amato da
Dio deve governare il mondo o l’eguaglianza dev’essere universale), di
autoritarismi impliciti in ogni preteso possessore del Verbo la faziosità
è la norma: la regola sovrana che impera in una collettività di fanatici che
trascorrono la loro vita impegnandosi in grande parte, a scovare e
rintracciare avversari per metterli alla berlina.
La faziosità, inoltre, colpisce ricchi e poveri, maschi e femmine,
potenti e quidam de populo; si avvale di un linguaggio da caserma ma può
anche avvalersi di una prosa elegante e forbita; coinvolge persone stupide ma
anche colte (e intelligenti soltanto per ciò che riguarda la cognizione di
saperi specifici). La faziosità, infine, è un male che se non è trasmesso
dai cromosomi si acquisisce rapidamente con l’insegnamento di genitori,
docenti, predicatori faziosi.
C’è di peggio: la faziosità non risparmia neppure le cosiddette
Istituzioni, sacre e profane, che sono pur sempre espressioni di una
collettività umana che se è faziosa non può darsi da sola equanimità,
equidistanza e distacco dalle passionalità condivise. Naturalmente
v’è chi si impone di non soggiacere a una visione faziosa delle
cose, ma è difficile che ritenga tale (cioè fazioso) un punto di
vista in cui è stato abituato a credere.
Ergo: in Occidente la faziosità è ineliminabile e fino a quando gli
abitanti della parte ovest del pianeta continueranno a “credere” in ciò che si
propina loro come atto di fede (religiosa o politica) anziché a “pensare”
con la propria testa, facendo affidamento solo sulla ragione… lo spettacolo
offerto al mondo sarà quello della rissa permanente, con scontri feroci (non
sempre solo verbali), ingiurie violente ed epiteti infamanti, carte
bollate, iniziative pubbliche (amministrative o giudiziarie) e private, in un
“crescendo” più che “rossiniano” parossistico e manicomiale.
Domanda: si può ritenere “fazioso” anche il serial di
Joe Wright, ritenendo che la messa in scena del libro di Scurati sarebbe stata
meno burattinesca se il fascismo si fosse sviluppato in Inghilterra dove il
“germe” era peraltro penetrato persino negli ambienti e negli alti ranghi della
Corte?
PELLIZZA DA VOLPEDO AL CINEMA
di Alberto Figliolia
Ogni
età ha un’arte speciale. L’artista deve studiare la società in cui vive e
capire l’arte che gli è data. (Giuseppe Pellizza)
Giuseppe Pellizza da Volpedo, professione:
genio, morto suicida a neanche 39 anni dopo essere caduto in un abisso di
disperazione, un nero irreversibile baratro. Non più amore né gloria. Pellizza
da Volpedo deve principalmente la sua grande fama all'olio su tela ‘Il Quarto
Stato’, monumentale opera conservata alla GAM di Milano, spettacolare e
commovente emblema di pittura sociale e quadro di rarissima perfezione formale
e tecnica. Una rappresentazione che durò, nella composizione da parte del
pittore, anni di studio, fatica, preparazione e prove. Un lavoro che gli avrebbe
dato celebrità imperitura e che invece in vita non riuscì a vendere (per 50.000
lire nel 1921 acquistò infine l'opera il Comune di Milano, ma durante il
ventennio fu sostanzialmente abbandonata, rimossa e non esposta). La gloria fu
postuma per l'artista.
Ma Pellizza non è solo 'Il Quarto
Stato', che pure è una tela di immane bellezza nonché giustamente icona mondiale
dell'arte pittorica; il giovane talentuoso, iscrittosi quindicenne,
all’Accademia di Brera ha lasciato innumerevoli opere, fra il verismo iniziale
e la successiva scelta divisionista. Quanti e quali capolavori avrebbe saputo
ancora realizzare e donare al mondo Giuseppe, che, salito su una scala a pioli,
con un fil di ferro si sarebbe tolto la vita dopo le morti della moglie per
un’infezione post partum e del figlio neonato? Correva l’anno 1907 - l’Italia
stava assestandosi dopo i tumultuosi anni appena trascorsi (la turpe violenza
di Bava Beccaris durante i moti milanesi è del 1898 e del 1900 il regicidio) e
prima del venturo gran bagno di sangue -
e il Paese perdeva uno dei suoi figli migliori, più grandi, puro poeta
di colori e sentimenti.
Pellizza da Volpedo rivive in
quella che fu a ogni modo, nonostante la tragica conclusione, una splendida
parabola nel docufilm Pellizza pittore da Volpedo di Francesco Fei,
girato nei luoghi d’elezione del pittore, da cui mutuò il nome che l’avrebbe
consacrato all’ammirazione dei contemporanei e, soprattutto, dei posteri. La
voce narrante è quella, quieta eppur vibrante, calda, di Fabrizio Bentivoglio,
che legge, “coscienza narrante, con sentitissimo trasporto e soave empito le
lettere e gli scritti lasciatici da Pellizza: meravigliosi esempi di finezza
critica e teorica, spaccati di una mente curiosa, di un’anima in cerca.
Scriveva in maniera splendida Giuseppe, al pari delle sue esecuzioni artistiche.
“Il film si apre nello studio di Pellizza a
Volpedo, rimasto identico a come l’ha lasciato l’artista. È qui che Bentivoglio
accoglie lo spettatore leggendo le toccanti lettere del pittore che rivivono
attraverso la sua voce, ma anche attraverso la fotografia, arte così preziosa
per lo stesso Pellizza: Fei ha infatti privilegiato tonalità che rimandano alle
opere dell’artista piemontese e tagli di inquadratura che appaiono quasi quadri
viventi.”
Giuseppe era refrattario al caos
metropolitano - nonostante gli studi milanesi e le incursioni a Roma e Firenze -
e distante anche dalle relazioni eccellenti: Per lui Volpedo era più che un buen
retiro; era un luogo dell’anima, incubatoio di idee e ispirazioni, privilegiato
posto di osservazione delle dinamiche del mondo e dei moti interiori.
Quanti quadri nati percorrendo
quelle sue amate contrade, la campagna, la Natura che tutto avvolge, e
riempiendoli poi di persone e situazioni: Speranze deluse, Sul fienile (visibile
sino al 6 aprile nella magnifica mostra organizzata
da METS, e a cura di Elisabetta Chiodini, al
Castello di Novara e intitolata Paesaggi. Realtà
Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo), Lo specchio della vita (E ciò che l'una
fa e l'altre fanno), Il pennello del ponte sul Curone, La Processione, Il
ponte, Nubi di sera sul Curone, Il girotondo (Idillio campestre nella pieve a
Volpedo). E, ancora, L'amore nella vita, Membra stanche, Il sole, Ricordo di un
dolore e i paesaggi, i ritratti...
La pellicola esplora di Pellizza
il precoce talento - mai ostacolato dai genitori (il padre amministrava un
fondo agricolo) - e la genesi, la formazione culturale, i primi, già
notevolissimi, tentativi, le opere della maturità in un crescendo di sapienza
tecnica sempre congiunta a forti ideali e a un pensiero profondo, l’attenzione
volta al mondo degli umili, dei lavoratori (colti nella loro intrinseca
bellezza), all’universo naturale e ai suoi cicli.
Un’interpretazione diretta e
carica di simboli, che lo avvicinava artisticamente e umanamente all’altro
gigante della nostra arte, il coevo Giovanni Segantini. I due si erano
incontrati e si scrivevano. Si stimavano e si assomigliavano nell’intimo
(anche, incredibilmente, dal punto di vista fisico), nonostante le apparenti
differenze caratteriali.
Magnifica la fotografia del film,
nella bucolicità non convenzionale, delle colline tortonesi, un pezzo di mondo
che pare ancora in equilibrio in tutti i suoi elementi, al riparo dalle
convulsioni del presente.
La pellicola si avvale del
prezioso contributo di vari specialisti, storici, critici dell’arte, fra cui Aurora Scotti,
la più importante critica e studiosa dell’arte di Pellizza, e responsabili
di musei e collezioni. Interviene anche un pronipote dell’artista, che lasciò comunque
due figlie ed è da citare pure l’Associazione
Pellizza da Volpedo, “nata per la valorizzazione del patrimonio culturale
legato alla figura e all’opera del pittore e custode della maggior parte dei
documenti e delle immagini relative alla sua vita.”
Camminiamo anche noi per le vie
del borgo con Pellizza, circondati da un’umanità feconda, e da campi e colli,
lontani da rumori e frenesie, nel cuore delle cose, di cui Giuseppe sapeva o,
meglio, con umiltà sperava di poter svelare (parzialmente) i segreti in una
ricerca continua, empatica.
Un soffio mistico, sposato al
concreto delle figurazioni, sembra pervadere i quadri di Pellizza, scavando
dolcemente nel profondo, pizzicando le corde più intime, messaggio di pace e
forza, armonia e bellezza.
Da Volpedo. Giuseppe Pellizza.
Pellizza da Volpedo. Professione: genio. Un corpus di opere che lascia
stupefatti, sempre... 39 (quasi) anni di vita fulgida, nel segno della kalokagathia.
Il bello e l’utile dei suoi quadri ancora ci colmano gli occhi con la vastità
dell’ideale e ci consolano di un presente talora infetto o insulso. Sei nel grano che ondeggia,
Pellizza, nel tramonto che imporpora il cielo, nel vento che corre fra i
ciottoli; sei fra coloro che, saldi, solidali e in sé fidenti, le mani parlanti,
ci guardano negli occhi marciando verso un futuro di giustizia e amore. Pellizza pittore da Volpedo, prodotto da Apnea Film, in
collaborazione con Sky Arte, con la partecipazione di METS Percorsi
d’Arte e presentato in anteprima alla scorsa Festa del Cinema di Roma,
inaugura la nuova Stagione della
Grande Arte al Cinema di Nexo Studios e sarà proiettato in 200 sale
cinematografiche il 4 e il 5 febbraio prossimi. L'emozione è garantita insieme
con un totale appagamento
estetico.
Iscriviti a:
Post (Atom)