UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 5 febbraio 2025

LA SPARTIZIONE DELL’ARTICO




SAN GIORGIO A CREMANO



Gli studenti scrivono al Sindaco.


Caro Sindaco,
Siamo un gruppo di studenti della scuola media I.C. Don Milani Dorso di San Giorgio a Cremano e scriviamo questa petizione per chiederle che i beni confiscati alla mafia vengano intitolati alle vittime innocenti delle organizzazioni criminali. I beni confiscati sono simboli della vittoria dello Stato contro la criminalità e, per noi, dovrebbero onorare chi ha perso la vita per combattere la mafia. Troppo spesso le vittime vengono dimenticate, ma è fondamentale mantenere vivo il loro ricordo, affinché il loro sacrificio non vada perduto. Le 9 strutture confiscate dal Comune potrebbero diventare luoghi di memoria e speranza. Ogni nome associato a questi beni sarebbe non solo un atto di giustizia, ma anche un messaggio forte per le future generazioni sul valore della legalità e della lotta contro la criminalità organizzata. Chiediamo inoltre che il Comune garantisca trasparenza nella gestione dei beni confiscati (procedura di assegnazione, destinazione d’uso, realtà assegnataria) affinché tutti possano sapere ed essere coinvolti. Chiediamo dunque che sul sito del Comune tutti possano sapere, leggere e comprendere quali sono i beni confiscati e quale uso se ne fa. 
Con affetto,
Gli studenti delle classi 2I, 2E e 2A
I.C. Don Milani Dorso di San Giorgio a Cremano
 
Firma questa petizione se anche tu credi che ogni vittima della mafia meriti di essere ricordata e che i beni confiscati possano diventare simboli di memoria e rinascita. Unisciti a noi per costruire un futuro dove giustizia e legalità prevalgano.
 
https://www.change.org/p/diamo-nome-alla-memoria-intitoliamo-i-beni-confiscati-alle-vittime-della-mafia/psf/promote_or_share
 

LA COSTITUZIONE IN SARDEGNA
Ad Orani sabato 8 febbraio 2025




ARTE DIFFUSA



martedì 4 febbraio 2025

BIBLIOTECA SORMANI
Immagini e Parole contro le guerre.


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Dal 6 febbraio al 1° marzo 2025

Corso di Porta Vittoria 6 - Milano


Lo spazio Sormani Svelata ospiterà da giovedì 6 febbraio una selezione di testi poetici tratti dal libro di Paolo De BenedettiCantano tutti i ricordiNulla può fare ch’io non sogni (MC Editrice), accompagnati da alcune delle illustrazioni originali realizzate da Francesco Santosuosso per il libro, oltre a riproduzioni dei disegni ingranditi e impreziositi da ritocchi eseguiti per l’esposizione.

Cosa dicono oggi questi testi datati 1944? La giovinezza che incontra morti atroci, il grido che chiede ricordo e che, come sottolinea la sorella Maria nell'introduzione, afferma il diritto a non sottomettersi.

 
Lo sguardo poetico di Paolo De Benedetti, che restituisce memoria trasformando il dolore, ci è d’aiuto ancora per vedere la dimensione collettiva dell’esistenza e agire con una rinnovata coscienza e responsabilità. 
A corredo dell’esposizione, la biblioteca proporrà una selezione di documenti sul tema della pace e dell’opposizione alla guerra, tratti dalle proprie raccolte librarie e archivistiche e dal libro Pace per Vivere. Gandhi Einstein in dialogo 
edito da MC Editrice.


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CONFLITTI E PREPOTENZA
di Romano Rinaldi



Con l’entrata in vigore dei nuovi dazi, l’America di Trump si avvia alla guerra commerciale col resto del mondo. Dunque potremo presto riconoscere la vera natura del “pacifismo” del nuovo presidente degli USA. Per ora scatena la guerra del 25%, ovvero un quarto di guerra… Niente male per essere considerato un pacifista solo per aver dichiarato, in campagna elettorale, che avrebbe posto fine alla guerra Russa contro l’Ucraina in 24 ore e a quella scatenata da Netanyahu contro Hamas, i palestinesi et al., in men che non si dica. Se il buon giorno si vede dal mattino, non credo ci sia molta speranza di una pace duratura in molte parti del mondo da ora in poi. Chiunque sa bene che le guerre sono spesso provocate o da motivi religiosi o da motivazioni economiche (spesso da entrambi) e sono alimentate dall’odio, una volta scatenate. Basta guardare la faccia che fa il neo-presidente del paese più ricco e potente al mondo nella sua foto ufficiale, per rendersi conto che difficilmente un piglio di quel genere può evocare simpatia, convivenza pacifica o addirittura amorevole compassione. Non è quindi difficile prevedere che pur se dovessero verificarsi le condizioni per un cessate il fuoco nelle aree al momento più calde e preoccupanti di conflitto, la Pace in generale sarà una chimera ancora almeno per i prossimi quattro anni.
Penso dunque che le attese dei veri pacifisti che hanno confidato e tutt’ora confidano in questa nuova amministrazione americana per vedere realizzati i loro sogni, saranno ben presto tradite dall’evidente narcisismo egocentrico dell’era MAGA.
A proposito della prepotenza data dalla forza e dal denaro, guarda caso i due peggiori conflitti degli ultimi tempi sono stati scatenati da due potenze nucleari all’apice di una fase di ricchezza (o prosperità) delle classi dirigenti di quei due Paesi. Spinte da un chiaro desiderio espansionista. Il prossimo passo, già annunciato dalla Casa Bianca, sarà la sottomissione, in un modo o nell’altro del Canada e della Groenlandia. Sarà interessante vedere se la NATO, in virtu’ dell’Art. 5 del Trattato, sarà costretta a lanciare un’offensiva militare preventiva su Washington D.C. per evitare un conflitto con gli USA!

LIBERARE ÖCALAN


 
Verso la soluzione.
 
Il 15 febbraio 2025 segnerà il 26° anniversario della cattura di Abdullah Öcalan, il leader storico del movimento curdo e figura centrale nella lotta per i diritti e l'autodeterminazione del popolo curdo. Dal 1999, Öcalan è detenuto in isolamento sull'isola-prigione di Imrali. La sua prigionia rappresenta un simbolo della più ampia repressione contro le rivendicazioni curde, ma anche della difficoltà della Turchia nell'affrontare una soluzione politica e pacifica a un conflitto che perdura da decenni. La liberazione di Abdullah Öcalan non riguarda soltanto la giustizia per un uomo imprigionato in condizioni che violano il diritto internazionale e lo stesso sistema giuridico turco, ma costituisce anche un passo fondamentale per la costruzione di una pace duratura tra lo stato turco e il popolo curdo. Nel corso degli anni, Öcalan ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare e a promuovere la pace, avanzando proposte che prevedono il riconoscimento dei diritti dei curdi all'interno di una Turchia democratica e pluralista. In tutto il paese, le pratiche utilizzate sull'isola di Imrali sono state estese per soffocare ogni forma di dissenso e di opposizione che veda nella soluzione politica della questione curda una possibile svolta verso una trasformazione democratica dell'intero Medio Oriente. Attraverso la prigionia di Abdullah Öcalan, lo Stato turco non solo cerca di isolarlo fisicamente come individuo, ma mira anche a soffocare i risultati democratici emersi dalle sue idee.
Il 28 dicembre scorso, una delegazione del Partito DEM, composta dai parlamentari Sırrı Süreyya Önder e Pervin Buldan, ha incontrato Abdullah Öcalan nell'isola-prigione di Imrali. Si trattava del primo incontro completo con Öcalan dopo nove anni, a seguito dei negoziati del 2015 tra lo stato turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) interrotti da Erdogan. Questo incontro è stato preceduto da una visita familiare, avvenuta a ottobre, con il nipote Omer Öcalan.
Pur rappresentando un segnale positivo, considerando che Öcalan era stato sottoposto a un isolamento totale per quasi quattro anni, le condizioni della sua detenzione rimangono inaccettabili e continuano a costituire un ostacolo a un possibile nuovo processo di pace. Infatti, se i colloqui avviati a Imrali dovessero portare a una nuova fase negoziale, essi non sarebbero né equi né trasparenti se una delle parti fosse costretta a parteciparvi in condizioni di prigionia, senza la possibilità di comunicare liberamente con il proprio movimento politico e con il popolo curdo. Le implicazioni di un nuovo processo di pace non si limitano ai confini turchi. Un possibile accordo potrebbe infatti rimuovere l'ostacolo maggiore per l'Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (Rojava) nella partecipazione alla costruzione di una nuova Siria, dopo la fine del regime di Assad. Le minacce, le pressioni e le operazioni militari turche, che attraverso i suoi mercenari ha già occupato vasti territori del Rojava, minacciano di distruggere la rivoluzione delle donne del Rojava e di sfollare i popoli che la portano avanti.
Il Confederalismo Democratico, proposto da Abdullah Öcalan, ha innescato un risveglio sociale in tutto il Kurdistan. I principi di uguaglianza di genere e la costruzione di una società democratica ed ecologica sono alla base di importanti processi di trasformazione, come quelli in atto in Rojava e nell'autogoverno ezida di Shengal.
Per queste ragioni invitiamo tutti i partiti, organizzazioni politiche e umanitarie, sindacati, collettivi e singoli solidali a partecipare alle manifestazioni che si terranno alle 14:30 a Roma Piazzale Ugo La Malfa e Milano Piazza Cairoli il 15 Febbraio 2025.
Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia 
Rete Kurdistan Italia
Associazione Centro Socio-Culturale Ararat 


Per adesioni:
Info.uikionlus@gmail.com
info@retekurdistan.it
 
Adesioni
COBAS Confederazione dei Comitati di Base
Associazione Ya Basta Bologna
Municipi Sociali Bologna - Tpo e Làbas 
Associazione Anbamed
Associazione Verso il Kurdistan Odv
CRED - Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia aderisce!
CULTURA È LIBERTÀ
Catanesi solidali con il popolo curdo
Rete Jin
Alkemia News Modena
La redazione del giornale "Odissea" di Milano
Associazione Senzaconfine
Jineoloji Italia
COBAS SCUOLA SARDEGNA
Cooperazione Rebelde Napoli
LOA Acrobax
Il Comitato Berta Vive Milano
COBAS Pescara-Chieti 
Palermo Solidale con il Popolo Kurdo,
Assemblea NoGuerra di Palermo 
Laboratorio Andrea Ballarò di Palermo 
Gianni Sartori (giornalista free-lance)
Caterina Mecozzi - Marino (RM)
Stefano Mannironi, avvocato


 

SETTIMO MILANESE


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Maratona di Poesia e Musica per la Pace e il Disarmo

Sabato 8 febbraio 2025 dalle ore 10 in poi presso Palazzo Granaio e Biblioteca Caronni.

lunedì 3 febbraio 2025

IL PARTITO DELLA NAZIONE
di Franco Astengo



Arianna Meloni: “Siamo il partito della nazione”.
 
Al di là delle ragioni motivazionali rivolte alla propria squadra che possono risultare anche comprensibili questa frase merita un approfondimento senza il quale si lascia intatta tutta la sua - pericolosa - valenza enfatica. Prima di tutto l’idea di autoproclamarsi “partito della nazione” si scontra contro una crisi costante del sistema dei partiti e di trasformazione di natura stessa del partito politico che appare assolutamente evidente. Verifichiamo prima di tutto il piano del consenso elettorale: gli ultimi dati complessivi in nostro possesso riguardano le elezioni europee 2024 (elezioni europee che rappresentano storicamente il punto di più basso di raccolta del consenso da parte dell'insieme del sistema politico).
Il 9 giugno 2024 su 51.214.348 aventi diritto i voti validi espressi furono 23. 415. 587. Fratelli d’Italia ha conseguito la maggioranza relativa con 6.733.906 voti e le tre forze che formano il governo hanno ottenuto complessivamente 9.079.242: nell’analoga votazione svolta nel 2019 la maggioranza relativa spettò alla Lega con 9.175.208 voti (all’incirca 2.500.000 in più rispetto a FdI 2024: fu quando Salvini chiese i “pieni poteri”) mentre l’insieme del centro destra raccolse 13.252. 990 voti (oltre 4 milioni di voti in più rispetto al 2024) in un quadro generale di partecipazione al voto che aveva visto l’espressione di 26. 783.732 suffragi su 50.974.994 aventi diritto.
Per quel che può valere il dato elettorale appare evidente il calo di consenso complessivo: nel tempo Fratelli d’Italia ha tolto voti agli alleati (in particolare alla Lega) in un quadro di calo complessivo nella raccolta di consenso sia del centro-destra sia del sistema nel suo insieme (un dato questo che dovrebbe preoccupare tutti e nell'occasione tralasciamo le cifre - paurose - del calo accusato dal M5S soggetto trainante dell’anti-politica e assoluto primo fornitore della crescita della disaffezione e della crisi complessiva del sistema). L’altro elemento da prendere in considerazione in uno sviluppo d’analisi è quello della funzione di governo che Fratelli d’Italia esercita in una dimensione fortemente accentrata nella figura della presidente del Consiglio.



Esaminiamo allora alcuni aspetti di questa politica di governo:
1) Sul piano della politica economica la legge di bilancio si situa tranquillamente nell’alveo dell’austerity imposto da Bruxelles e interpretata, attraverso modeste torsioni sul piano fiscale, a favore dei ceti più abbienti e a scapito di “ultimi” e “penultimi” (copyright questo dei “penultimi” del convegno di Orvieto dell’area liberaldemocratica);
2) Sul piano della politica estera le vicende più recenti segnalano una sorta di delega al “nuovo corso” USA cui la presidente del consiglio si è prontamente allineata nel tentativo di interpretare una variazione sostanziale soprattutto nel riguardo dell’UE di cui l'Italia intenderebbe farsi ambasciatrice in un quadro di ripresa nazionalistica (verificheremo cosa ci dirà l’esito delle elezioni tedesche);
3) sul piano degli obiettivi di riforma a livello nazionale, finora si sono mossi gli obiettivi degli altri partner (Lega: autonomia differenziata; Forza Italia: magistratura) che urtano con la tradizione storica del partito di discendenza ideologica di FdI (il MSI) nazionalista e giustizialista (addirittura pro-pena di morte, del resto esercitata con larghezza nel corso della Repubblica Sociale 1943-45). Si è perso per strada l’improbabile premierato, bandiera di partenza della formazione di maggioranza relativa mentre del tutto fallimentare si è dimostrata la politica fin qui perseguita nei confronti del delicato tema dei migranti. Insomma: una politica di governo che parafrasando il motto di un film americano: “tutta chiacchiere e distintivo”. Quanto uscito fuori dalla riunione della Direzione Nazionale di Fdi non può restare senza risposta, una risposta però che - sui contenuti - dovrebbe far riflettere anche le forze di opposizione: infatti ci sono punti che li riguardano direttamente.

 

SALERNO
di Luigi Mazzella 


Luigi Mazzella
 
Sono nato a Salerno e sono stato sempre felice di sentirmi un figlio della Magna Grecia della cui cultura sono molto orgoglioso. Ad essa ho sempre ispirato la mia vita pubblica e privata. Ho sempre pensato che se gli immigrati dal Medio Oriente, ebrei, cristiani e mussulmani, con il loro fantasioso dualismo (un mondo di qua, reale e  concreto, e uno di là, solo immaginato) non avessero contaminato la filosofia monistica, empiristica, sperimentale e razionale dei filosofi sofisti e presocratici dell’era greco-romana e che se il supponente e autoritario Platone non avesse fornito la base per l’ideazione delle due utopie politiche più nefaste e funeste mai sognate ad occhi aperti (il fascismo e il comunismo), oggi la cultura Occidentale non sarebbe caratterizzata dall’assolutismo, dall’intolleranza e dall’autoritarismo camuffato della cosiddetta “democrazia” (termine usurpato). 



Ho sempre avuto una forte antipatia per Platone (nato nella Grecia, “parva” e troppo poco distante da popoli barbari per non conoscerne usi e costumi) creatore supponente e dispotico di una “schola” (l’Accademia) che, imponendo agli allievi di giurare unicamente in verba magistri, ha impedito per secoli ogni progresso e mutamento del pensiero. Di Platone e dei suoi succubi seguaci non mi ha mai convinto un bel nulla: né il mito della caverna né la sua immaginazione dell’“al di là” iperuranico che, a mio giudizio, faceva acqua come una nuvola piena di pioggia.



Il mio ceppo paterno era originario di Procida. Quei miei antenati, trasferitisi in “Continente” si erano assestati a Vitulano nel Beneventano e poi a Eboli, Campagna, altri centri della piana del Sele e Salerno. Mio nonno, Camillo, mi parlava spesso di un cugino, suo omonimo rimasto nel Patriziato di Vitulano e divenuto il primo cardinale gesuita nella storia del Papato. Di questo parente la libreria di nonno Camillo racchiudeva libri voluminosi (oggi in mio possesso) scritti in latino. La famiglia di mia madre era, invece, salernitana tout court e vantava l’esercizio della professione forense a livelli molto alti da diverse generazioni. Grazie al mio amico Vincenzo De Luca, di cui non ho mai condiviso la militanza politica a causa della mia idiosincrasia per ogni assolutismo (religioso o politico, senza alcuna differenza) ma di cui sono stato (e sono) grande estimatore come Sindaco (per diversi mandati) della mia città, ritorno sempre volentieri a Salerno che ha ricevuto una trasformazione urbana che ne ha mutato radicalmente il volto. 



Credo che nessuna città italiana come Salerno possa vantare l’apporto internazionale dei maggiori architetti contemporanei. Il barcellonese Oriol Bohigas ha ridisegnato soprattutto il suo splendido “lungomare”; Ricardo Bofill, anch’egli spagnolo di Barcellona e di madre veneziana, ha firmato il Crescent di piazza della Libertà, costruzione poderosa di grande impatto scenografico che ricalca le linee curve (come quelle della gobba a ponente della “luna crescente”, e prende lo stesso nome dell’edificio esistente a Bath, in Inghilterra; David Chipperfield, inglese, ha progettato la “cittadella giudiziaria” che a dispetto del nome ha un’estensione immensa; a Zaha Hadid si deve la progettazione della Stazione marittima; a Santiago Calatrava quella della Marina d’Arechi (probabilmente, il porto turistico più bello del Mediterraneo. 



Infine, al mio amico fraterno, Paolo Portoghesi, primo di ogni altro suo collega in ordine di tempo, è dovuta la realizzazione della Chiesa della Sacra Famiglia, vero capolavoro dell’architettura contemporanea post-moderna. Naturalmente, vi sono monumenti insigni anche di epoche antecedenti, riportati nei libri di storia dell’arte italiana. I due più famosi sono la Cattedrale dell’XI secolo edificata per volere di Roberto il Guiscardo e del vescovo Alfano I° con un famoso campanile in stile arabo-normanno di notevole altezza e l’Acquedotto medievale eretto, su originalissime (per quei tempi) arcate ogivali, dai Longobardi nel IX secolo. Da non credente ho sempre apprezzato l’equidistanza e l’ironia dei miei antichi concittadini che hanno sempre ammirato, nel Duomo, l’opera di Dio e nell’acquedotto quella di Satana (l’acquedotto è stato battezzato popolarmente “Ponte del Diavolo” perché considerato costruito “con l’aiuto di demoni”).



Salerno, al di là del suo interesse architettonico e della sua bellezza  paesaggistica, è una città considerata, da molti suoi visitatori, civile e ordinata, molto diversa dalla vicina Napoli di cui condivide, con la costiera amalfitana e quella sorrentina, il dialetto ma non la capacità di comporre canzoni di sonora e soave bellezza melodica. È, in altre parole, un centro di vita caratterizzato più dalla razionalità delle scelte dei suoi abitanti che non della loro fantasia creativa. E ciò, forse, perché le influenze subìte dalle due città sono state, nei secoli, diverse. Gli Etruschi aggirarono Napoli e il suo territorio circostante e arrivarono alla piana del Sele e dell’Irno (donde: Salerno). 



In seguito Salerno vide alternarsi sul suo territorio popoli in prevalenza nordici (Normanni, Svevi, Longobardi) dai nomi strani: Arechi, Gisolfo, Ermengarda, Sichelgaita in luogo dei Ciro, Gennaro, Carmela, Concetta del capoluogo napoletano, dominato prevalentemente da Francesi e Spagnoli (il motto “Franza o Spagna purché se magna” sarebbe nato nei vicoli di Forcella). Salerno, come colonia romana, era frequentata da villeggianti amanti del mare, come Orazio.



La mia città vanta primati più in sede scientifica che artistica. Nel Medio Evo divenne nota per la Scuola Medica, di fama europea, particolarmente esperta nella conoscenza e nella cura dei veleni e per i giardini della Minerva. In letteratura, Salerno è citata in tre novelle del Boccaccio, nel Cunto de li Cunti di Basile, nella tragedia Ricciarda di Ugo Foscolo e in un romanzo di Andersen L’improvvisatoreGli scrittori nativi divenuti celebri sono stati Masuccio salernitano che esalta i suoi concittadini e sbertuccia amalfitani e cavaiuoli (deformazione di: cavesi) e tra i contemporanei Alfonso Gatto che nel nome della citta coglie una “rima d’inverno (dolce) e di eterno”. A Salerno ho frequentato il Liceo classico “Torquato Tasso” ma per l’Università ho dovuto recarmi a Napoli negli imponenti edifici, siti sul Rettifilo, della famosa “Federico II”, nota soprattutto per la sua Facoltà di Giurisprudenza. La mia città, infatti, è divenuta sede universitaria solo dopo oltre un decennio dal mio trasferimento a Roma.



Un’ultima annotazione. Come avvocato dello Stato (fino al culmine della carriera con la carica di Avvocato Generale) e, poi, giudice della Corte Costituzionale, oltre che come Ministro per la Funzione Pubblica e capo di gabinetto in molti Ministeri sono vissuto nell’ambiente forense e della pubblica Amministrazione per circa sessanta anni. Orbene, a parte la Corte Costituzionale (costituita successivamente), Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Ministeri hanno avuto, sia pure per breve tempo, sede nella mia città e ho avuto modi di conoscerne esistenza e struttura prima del mio trasferimento a Roma. 



Dal febbraio all’agosto del 1944 Salerno è stata, infatti, la sede del governo italiano, ospitando due Esecutivi Badoglio ed uno Bonomi. Nei libri di Storia si parla pure di “svolta di Salerno”; ma data la sostanziale immobilità dell’Occidente da oltre duemila anni credo che il valore enfatico dell’espressione sia indubbio.

 

domenica 2 febbraio 2025

SCAFFALI
di Elisa Bertoni 


La copertina del libro
 
A noi non accadrà, libro a quattro mani di Mario Zeppolini e Romano Zipolini.
  
Non è facile approcciare un libro di memorie perché si rischia di volerlo inquadrare in modo rigoroso, facendone smarrire l’identità: è storia e se ne può attingere come fosse un documento o è romanzo in cui l’aspetto di una trasfigurazione soggettiva dell’elemento autenticamente biografico traligna dall'oggettività del reale? A rendere ancora più complessa la questione è la presenza, in questo caso specifico, di una coppia di autori, padre e figlio, come se il testo fosse stato scritto a quattro mani, nonostante la pubblicazione avvenga molti anni dopo la morte di uno degli autori, Mario. Inoltre, perché padre e figlio presentano un cognome simile ma diverso? Il libro incuriosisce dunque già in partenza aprendo la porta a svariati interrogativi.
Una chiave per avvicinarsi ad una comprensione più genuina dell’opera la troviamo nelle pagine che precedono la vera e propria narrazione. Si legge nella sezione Cartiglio: “Tutto è meglio della pura verità” (Pierre Sebor, 6.1.86). La dimensione soggettiva insita nella vita di ognuno è ciò che permette di vivere, nel momento in cui la pura verità, se si rivelasse limpida come un’idea platonica nell’iperuranio, nel momento in cui spazza via in modo cinico e brutale l’entusiasmo di un ideale vissuto con autentica passione, alimenterebbe solo rabbia, rinuncia se non disperazione e nichilismo. La memoria anche di fedi che hanno deluso e tradito si impone come esperienza utile per provare a rifocalizzarsi verso obiettivi di speranza e non di morte. Inoltre, vendere “pure verità” può essere la bandiera a cui si attaccano i potenziali dittatori perché il reale sfugge sempre al monopensiero delle tirannidi.
E sempre in Cartiglio, ad apertura: “Quel giorno erano in migliaia, con le loro grida nervose ed il batti mani ritmato, a sovrastare Jimi Hendrix. Invocavano sul palco i Monkees” (8 luglio 1967, Jacksonville-Florida). Perché questa citazione? Di fronte ad una epopea rivoluzionaria della musica come quella incarnata da Jimi Hendrix, il pubblico chiama a gran voce i Monkees, un gruppo che è stato creato per inscatolare commercialmente la canzone sulla scia del successo dei Beatles, tanto che il critico musicale Glen Baker li definì “la prima grande vergogna del rock”. La voce del popolo non è sempre vox dei, secondo il noto motto popolare; in epoca contemporanea la massa subisce costantemente un processo di strumentalizzazione sia nel campo dei consumi che in quello politico sociale ed il messaggio che arriva forte dalle pagine di questo diario è proprio l’occhio a non lasciarsi trascinare da effimere esaltazioni che invece di promuovere il talento/progresso inneggiano all’omologazione/regresso, all’ubbidienza cieca e acritica ad un potere che si proclama forte ed autoritario.



Il libro si può anche considerare una sorta di romanzo di formazione con un finale che tuttavia rimane aperto. L’approdo, dopo la tragica conclusione del conflitto e la dolente percezione dell'inutile spargimento di sangue di tanti civili inermi, si potrebbe sintetizzare in una coppia di versi di Montale: “codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Lo Stato fascista pur nell’esibita ostentazione della sua forza non è riuscito a proteggere la sua gente per una insufficiente preparazione allo sforzo bellico o, secondo la ribadita opinione di Mario, per il tradimento di comandanti e di reparti, e a quanti sono stati animati da un genuino amor di patria non rimane che un cocente senso di smarrimento e sbandamento. Il vitalismo di matrice dannunziana che aveva animato il giovane Mario incline a gustare la sua vita come fosse un vero e proprio romanzo tra gesti di insubordinazione e l’eroismo della solidarietà, tra atti di coraggio ed avventure amorose molteplici, vissute tutte con intensità, come chi voglia assaporarne ogni sfumatura nella diversità degli incontri, viene barbaramente umiliato dalla storia, frustrato dal disinganno che lascia il marinaio barghigiano incapace di ritrovare in modo non contraddittorio un’altra fede cui donare il cuore. Se si esclude il valore degli affetti e dell’amicizia, specie quella per Ottone suo compatriota e compagno d'armi, che alla fine diventa il fil rouge che dà unità alla storia. Si legga in chiusa al libro “(...) scrutando la realtà del cielo e del mare, dalla mia nave, che ho perduto, sono stato indotto a spingermi incontro alla vastità di tutto quanto non conoscevo, a costruire il sogno della mia vita, che non si è perso nell’orizzonte, perché era celato nel corpo e nell’anima delle persone amate, in cui mi sono specchiato, per provare ad essere diverso da come mi avevano costruito”.  Il sogno miseramente vessato dalla storia si cela nel cuore delle persone amate: questa frase ha il sapore di un testimone che consegna agli affetti, anche al figlio Romano, ed è un impegno a non spegnere la vita e l'entusiasmo per essa attraverso vie diverse e nuove al di là di quelle in cui il giovane Mario si era incamminato con baldanzosa audacia e genuina speranza.



Alla lettura si può percepire una netta cesura tra quello che avviene prima della guerra e della disfatta di Capo Matapan e il dopo: le pagine della prima parte più leggere e briose, tessute di reminiscenze musicali e della giovanile esuberanza dell'autore paiono invecchiare di colpo, si fanno più stanche, nude, crude, rispecchiando la frustrazione dei reduci. Nella scrittura del diario, rispetto ad un documentario cinematografico, le immagini affiorano con la forza dei sentimenti di chi descrive eventi che ha vissuto e visto, perciò permangono con più incisività anche nella memoria del lettore. Come non figurarsi il marinaio Mario, amante della lettura e delle donne, aperto al nuovo, dotato di squisita sensibilità lirica, che si avventura nei mari pur venendo dai monti di Barga? Come non sentire vicine le sofferenze ed i turbamenti di un uomo che affronta eventi eccezionali in tempi eccezionali destinati poi a precipitare miseramente nel disincanto di chi non può fidarsi più neppure dei propri generali? Gli siamo accanto quando si riflette nel motto “tenacemente” della nave ammiraglia Zara su cui è imbarcato, accanto nella notte atroce che trascorre naufrago tra tanti commilitoni a seguito dell'affondamento dello Zara, percependo il suo stesso “disgusto infinito, per tutti quei corpi dilaniati, per quei pesci immondi, per questo freddo, per chi ci ha condannato a morire senza combattere...”, e accanto nella sua prigionia greca, a nutrirsi di olive e di paleo bollito, come prevenzione allo scorbuto.
Il mare, nella sospensione di lunghe traversate, abitua alla riflessione: “il destino del marinaio è quello di sentirsi lontano da tutto e da tutti, nella grande immensità del mare, che rispecchia la vastità delle sensazioni dell'anima, con le quali si confronta”. Ci sono momenti in cui Mario, pur in un contesto storico come quello fascista, che relega la donna al ruolo asessuato di madre e moglie devota, precorre i tempi nel cammino verso l’uguaglianza di genere, quando afferma a proposito delle delusioni amorose: “o forse è difficile accettare che la donna, anche in questo, sia uguale all'uomo e che il desiderio di conquista, pure per lei, sia più forte di ogni fedeltà”. C’è in lui una forma di anarchia del pensiero che lo spinge a riconsiderare tutto alla luce delle proprie rimeditate esperienze.
È lui stesso a costruirsi vero e proprio personaggio letterario nel momento in cui si autobattezza Zeppolini dall’originario Zipolini, sulla scia della fama del dirigibile Zeppelin, capace di navigare i cieli così come il protagonista vola proteso sui suoi sogni; sogni che grazie al libro ci vengono riconsegnati intatti perché si stabilisca quella sana dialettica tra le epoche che dovrebbe far approdare al porto dell’evoluzione. Dallo scontro delle generazioni deve nascere l’incontro delle generazioni con le specifiche peculiarità, il foxtrot e le danze coreografiche di Tangolita amate da Mario si possono mettere accanto allo shake amato da Romano: chissà che non ne nasca un ballo nuovo che unisca tutti, il ballo dell'umanità. A noi non accadrà, in questo imperativo futuro che si pone volutamente più come certezza che come speranza proprio nell'incertezza dolente di un mondo in cui la guerra continua ad affacciarsi, sono affidate memorie che non si consumano in loro stesse ma che vogliono programmaticamente costruire dialoghi aperti, non settari, e per questo fortemente coraggiosi.

 

JOE WRIGHT E M. IL FIGLIO DEL SECOLO  
di Luigi Mazzella



Anni fa avevo visto con grande interesse e apprezzamento L’ora più buia di Joe Wright che seguiva le vicende di Winston Churchill all’inizio della seconda guerra mondiale. È con il medesimo interesse, quindi, che ho seguito in streaming il serial televisivo dello stesso regista M: il figlio del secolo sul primo Mussolini, interpretato da un Luca Marinelli, costantemente sopra le righe, più macchietta che personaggio. Ho tentato di capire i motivi della scelta di regia. Wright nasce nell’ambiente del Teatro di marionette di Islington e l’influenza su di lui esercitata dai genitori (fondatori appunto del Little Angel Theatre) in questa sua opera si coglie tutta. Sullo schermo si muovono burattini tra finte quinte teatrali e cupi, "sfuocati" e incerti scenari di sapore espressionista. Il tutto quanto si conviene a una rappresentazione che non vuole apparire realistica, nonostante il riferimento a una realtà che è stata invece molto vera e pesantemente tragica. Al di là degli aspetti spettacolari, certamente originali ma piuttosto discutibili, il serial riesce a dare una rappresentazione degli effetti cruenti di un violento fanatismo politico tendente all’instaurazione di una dittatura, secondo la previsione di Albert Camus de L’Homme révolté.
Nel caso specifico del serial si tratta dei fascisti” e libro e film sono stati probabilmente ispirati dagli ultimi eventi italiani, quando la bionda trasandatezza e l’inseguita (e mai raggiunta) eleganza di abbigliamento di una pulzella della periferia romana è giunta al potere in un Paese con la stessa minoranza di elettori che consentì al Duce di Predappio tutto ciò che ben dovrebbero ricordare gli Italiani non proprio a digiuno di notizie storiche.
Il focus del serial non può far dimenticare che i “pupari” dell’Occidente utilizzano, per i loro interessi, tutte le utopie inventate da maestri religiosi o filosofici; non solo quelle fasciste. Il clima di faziosità che riescono a introdurre nei Paesi detti “democratici” va a loro vantaggio, quando decidono “il cambio dei cavalli” per la loro “corriera”.



Perché faziosità? Fazioso è chi sostiene senza obiettività e con la mancanza di ogni senso critico il proprio partito politico o la propria tesi ideologica, l’interesse sciovinistico del proprio Paese animato, com’è, da forte spirito di parte. Usualmente, il fazioso attribuisce al partito o alla tesi avversa tutte le negatività che la critica più feroce ritiene di riscontrare nelle posizioni combattute; al partito o alla tesi di cui è “fan”, assegna, invece, tutte le qualità “meravigliose ed eccezionali” illustrate dalla “propaganda” che è, notoriamente, una falsa rappresentazione della realtà adottata da chiunque sappia di affermare fini che sono chiaramente di parte. Detto questo v’è da aggiungere che in un clima culturale contrassegnato dalla presenza massiccia e prevalente di concezioni assolutistiche (è questa la verità e non altre), di intolleranze religiose (Dio è uno ed è solo il mio e non quello di altri) o ideologiche (un popolo amato da Dio deve governare il mondo o l’eguaglianza dev’essere universale), di autoritarismi impliciti in ogni preteso possessore del Verbo la faziosità è la norma: la regola sovrana che impera in una collettività di fanatici che trascorrono la loro vita impegnandosi in grande parte, a scovare e rintracciare avversari per metterli alla berlina.
La faziosità, inoltre, colpisce ricchi e poveri, maschi e femmine, potenti e quidam de populo; si avvale di un linguaggio da caserma ma può anche avvalersi di una prosa elegante e forbita; coinvolge persone stupide ma anche colte (e intelligenti soltanto per ciò che riguarda la cognizione di saperi specifici). La faziosità, infine, è un male che se non è trasmesso dai cromosomi si acquisisce rapidamente con l’insegnamento di genitori, docenti, predicatori faziosi.
C’è di peggio: la faziosità non risparmia neppure le cosiddette Istituzioni, sacre e profane, che sono pur sempre espressioni di una collettività umana che se è faziosa non può darsi da sola equanimità, equidistanza e distacco dalle passionalità condivise. Naturalmente v’è chi si impone di non soggiacere a una visione faziosa delle cose, ma è difficile che ritenga tale (cioè fazioso) un punto di vista in cui è stato abituato a credere.



Ergo: in Occidente la faziosità è ineliminabile e fino a quando gli abitanti della parte ovest del pianeta continueranno a “credere” in ciò che si propina loro come atto di fede (religiosa o politica) anziché a “pensare” con la propria testa, facendo affidamento solo sulla ragione… lo spettacolo offerto al mondo sarà quello della rissa permanente, con scontri feroci (non sempre solo verbali), ingiurie violente  ed epiteti infamanti, carte bollate, iniziative pubbliche (amministrative o giudiziarie) e private, in un “crescendo” più che “rossiniano” parossistico e manicomiale. 
Domanda: si può ritenere “fazioso” anche il serial di Joe Wright, ritenendo che la messa in scena del libro di Scurati sarebbe stata meno burattinesca se il fascismo si fosse sviluppato in Inghilterra dove il “germe” era peraltro penetrato persino negli ambienti e negli alti ranghi della Corte? 

PELLIZZA DA VOLPEDO AL CINEMA
di Alberto Figliolia


 
Ogni età ha un’arte speciale. L’artista deve studiare la società in cui vive e capire l’arte che gli è data
. (Giuseppe Pellizza)
 
Giuseppe Pellizza da Volpedo, professione: genio, morto suicida a neanche 39 anni dopo essere caduto in un abisso di disperazione, un nero irreversibile baratro. Non più amore né gloria. Pellizza da Volpedo deve principalmente la sua grande fama all'olio su tela ‘Il Quarto Stato’, monumentale opera conservata alla GAM di Milano, spettacolare e commovente emblema di pittura sociale e quadro di rarissima perfezione formale e tecnica. Una rappresentazione che durò, nella composizione da parte del pittore, anni di studio, fatica, preparazione e prove. Un lavoro che gli avrebbe dato celebrità imperitura e che invece in vita non riuscì a vendere (per 50.000 lire nel 1921 acquistò infine l'opera il Comune di Milano, ma durante il ventennio fu sostanzialmente abbandonata, rimossa e non esposta). La gloria fu postuma per l'artista.



Ma Pellizza non è solo 'Il Quarto Stato', che pure è una tela di immane bellezza nonché giustamente icona mondiale dell'arte pittorica; il giovane talentuoso, iscrittosi quindicenne, all’Accademia di Brera ha lasciato innumerevoli opere, fra il verismo iniziale e la successiva scelta divisionista. Quanti e quali capolavori avrebbe saputo ancora realizzare e donare al mondo Giuseppe, che, salito su una scala a pioli, con un fil di ferro si sarebbe tolto la vita dopo le morti della moglie per un’infezione post partum e del figlio neonato? Correva l’anno 1907 - l’Italia stava assestandosi dopo i tumultuosi anni appena trascorsi (la turpe violenza di Bava Beccaris durante i moti milanesi è del 1898 e del 1900 il regicidio) e prima del venturo gran bagno di sangue -  e il Paese perdeva uno dei suoi figli migliori, più grandi, puro poeta di colori e sentimenti.



Pellizza da Volpedo rivive in quella che fu a ogni modo, nonostante la tragica conclusione, una splendida parabola nel docufilm Pellizza pittore da Volpedo di Francesco Fei, girato nei luoghi d’elezione del pittore, da cui mutuò il nome che l’avrebbe consacrato all’ammirazione dei contemporanei e, soprattutto, dei posteri. La voce narrante è quella, quieta eppur vibrante, calda, di Fabrizio Bentivoglio, che legge, “coscienza narrante, con sentitissimo trasporto e soave empito le lettere e gli scritti lasciatici da Pellizza: meravigliosi esempi di finezza critica e teorica, spaccati di una mente curiosa, di un’anima in cerca. Scriveva in maniera splendida Giuseppe, al pari delle sue esecuzioni artistiche.
“Il film si apre nello studio di Pellizza a Volpedo, rimasto identico a come l’ha lasciato l’artista. È qui che Bentivoglio accoglie lo spettatore leggendo le toccanti lettere del pittore che rivivono attraverso la sua voce, ma anche attraverso la fotografia, arte così preziosa per lo stesso Pellizza: Fei ha infatti privilegiato tonalità che rimandano alle opere dell’artista piemontese e tagli di inquadratura che appaiono quasi quadri viventi.”



Giuseppe era refrattario al caos metropolitano - nonostante gli studi milanesi e le incursioni a Roma e Firenze - e distante anche dalle relazioni eccellenti: Per lui Volpedo era più che un buen retiro; era un luogo dell’anima, incubatoio di idee e ispirazioni, privilegiato posto di osservazione delle dinamiche del mondo e dei moti interiori.
Quanti quadri nati percorrendo quelle sue amate contrade, la campagna, la Natura che tutto avvolge, e riempiendoli poi di persone e situazioni: Speranze deluse, Sul fienile (visibile sino al 6 aprile nella magnifica mostra organizzata da METS, e a cura di Elisabetta Chiodini, al Castello di Novara e intitolata Paesaggi. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo), Lo specchio della vita (E ciò che l'una fa e l'altre fanno), Il pennello del ponte sul Curone, La Processione, Il ponte, Nubi di sera sul Curone, Il girotondo (Idillio campestre nella pieve a Volpedo). E, ancora, L'amore nella vita, Membra stanche, Il sole, Ricordo di un dolore e i paesaggi, i ritratti...
La pellicola esplora di Pellizza il precoce talento - mai ostacolato dai genitori (il padre amministrava un fondo agricolo) - e la genesi, la formazione culturale, i primi, già notevolissimi, tentativi, le opere della maturità in un crescendo di sapienza tecnica sempre congiunta a forti ideali e a un pensiero profondo, l’attenzione volta al mondo degli umili, dei lavoratori (colti nella loro intrinseca bellezza), all’universo naturale e ai suoi cicli.



Un’interpretazione diretta e carica di simboli, che lo avvicinava artisticamente e umanamente all’altro gigante della nostra arte, il coevo Giovanni Segantini. I due si erano incontrati e si scrivevano. Si stimavano e si assomigliavano nell’intimo (anche, incredibilmente, dal punto di vista fisico), nonostante le apparenti differenze caratteriali.
Magnifica la fotografia del film, nella bucolicità non convenzionale, delle colline tortonesi, un pezzo di mondo che pare ancora in equilibrio in tutti i suoi elementi, al riparo dalle convulsioni del presente.
La pellicola si avvale del prezioso contributo di vari specialisti, storici, critici dell’arte, fra cui Aurora Scotti, la più importante critica e studiosa dell’arte di Pellizza, e responsabili di musei e collezioni. Interviene anche un pronipote dell’artista, che lasciò comunque due figlie ed è da citare pure l’Associazione Pellizza da Volpedo, “nata per la valorizzazione del patrimonio culturale legato alla figura e all’opera del pittore e custode della maggior parte dei documenti e delle immagini relative alla sua vita.”



Camminiamo anche noi per le vie del borgo con Pellizza, circondati da un’umanità feconda, e da campi e colli, lontani da rumori e frenesie, nel cuore delle cose, di cui Giuseppe sapeva o, meglio, con umiltà sperava di poter svelare (parzialmente) i segreti in una ricerca continua, empatica.
Un soffio mistico, sposato al concreto delle figurazioni, sembra pervadere i quadri di Pellizza, scavando dolcemente nel profondo, pizzicando le corde più intime, messaggio di pace e forza, armonia e bellezza.
Da Volpedo. Giuseppe Pellizza. Pellizza da Volpedo. Professione: genio. Un corpus di opere che lascia stupefatti, sempre... 39 (quasi) anni di vita fulgida, nel segno della kalokagathia. Il bello e l’utile dei suoi quadri ancora ci colmano gli occhi con la vastità dell’ideale e ci consolano di un presente talora infetto o insulso. Sei nel grano che ondeggia, Pellizza, nel tramonto che imporpora il cielo, nel vento che corre fra i ciottoli; sei fra coloro che, saldi, solidali e in sé fidenti, le mani parlanti, ci guardano negli occhi marciando verso un futuro di giustizia e amore. Pellizza pittore da Volpedo, prodotto da Apnea Film, in collaborazione con Sky Arte, con la partecipazione di METS Percorsi d’Arte e presentato in anteprima alla scorsa Festa del Cinema di Roma, inaugura la nuova Stagione della Grande Arte al Cinema di Nexo Studios e sarà proiettato in 200 sale cinematografiche il 4 e il 5 febbraio prossimi. L'emozione è garantita insieme con un totale appagamento estetico.

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