UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 16 settembre 2024

LA MILANO DEI NON MILANESI



Gaccione alla Biblioteca Chiesa Rossa  
Via San Domenico Savio 3 – piazzale Abbiategrasso, Milano
Capolinea MM2/Verde – tram 3 e 15. Ingresso libero.
 
Giovedì 26 settembre 2024 alle ore 18
Presentazione del libro di Angelo Gaccione
 
La mia Milano
Meravigli Ed. Milano 2023


 


Dialogano con l’autore
Nino Di Paolo
Giuseppe Langella
Adam Vaccaro
Maria Carla Baroni




 

 

POLITICI E MAGISTRATI
di Franco Astengo
 
Salvini e Toti

Vantaggi elettorali e supplenza della magistratura.
 
Lintreccio tra il "caso Toti" e quello "Salvini" (pur ben diversi tra loro) rappresenta ancora una volta il ruolo di supplenza che la magistratura esercita ormai da molto tempo sul fragile sistema politico italiano.
Al riguardo del tema degli equilibri e dei rapporti di forza il punto rimane quello degli effetti sulla partecipazione al voto in costante discesa ed è prevedibile che il fenomeno si ripeterà, nonostante l'attenzione dei media, anche nelle prossime elezioni regionali in Liguria.
Il fenomeno della “supplenza” che la magistratura ha esercitato, in Italia, nei confronti della politica risale ormai a quarant'anni fa ben in anticipo di rispetto a "Tangentopoli": se pensiamo, ad esempio, al “caso Teardo” scoppiato in Liguria nel 1983 (diverso fu il caso, contemporaneo, di Torino, perché in quel frangente fu il sindaco Diego Novelli ad attivare il percorso giudiziario, e quindi fu la politica a “investire” la magistratura).
Guai a chi pensa di trarne vantaggi elettorali!
Un ruolo di “supplenza” che non è stato esercitato soltanto nei confronti del classico rapporto tra “questione morale” e “questione politica”, quella delle tangenti tanto per intenderci (nel frattempo mutata di segno, come hanno dimostrato i casi più recenti) ma sull’insieme delle contraddizioni sociali più rilevanti, pensiamo, tanto per fare un esempio al conflitto (un orrore chiamarlo così e mi scuso di usare un termine meramente giornalistico) tra ambiente e lavoro,  nel caso dell’Ilva di Taranto e dei migranti.
Nel frattempo che la magistratura svolgeva questo compito, deperivano, via, via, i soggetti politici ridotti a espressione di mera “geografia elettorale” (tanto per sintetizzare con una sola battuta) del tutto subalterni, anche a sinistra, ai meccanismi della personalizzazione e alle sirene del movimentismo.
A Sinistra la questione non è stata affrontata dal punto di vista riguardante le “fratture” sulle quali agire politicamente prospettando un’alternativa che non sia di “governo”, ma di società e di sistema, ma soltanto sotto l'aspetto della ricerca di artifizi che consentissero la "governabilità" in un quadro di successivo aggravarsi del fenomeno della "fragilità del sistema".

 

 

GUERRA AL DIRITTO, GUERRA ALL’UMANITÀ
Scempi di pace, disastri di guerra
 
 
Tromba d'aria a Piombino

Scempi di pace   
Segnali inquietanti nella città del rigassificatore, Piombino: ripetute trombe d’aria sul porto, incendio su un traghetto. Dov’è il piano di evacuazione per 33.000 abitanti? Chilometri di scavi ingenti in corso nel sottosuolo della città d’arte alluvionata nel 1966.
A luglio 2023 i Vigili del Fuoco denunciano: si scava senza un piano di emergenza.
A luglio 2023 un’audizione urgente su questa e altre gravi falle del progetto viene chiesta in Commissione ambiente della Regione: mai accordata, nonostante i solleciti.
Dove sono le misure di protezione di decine di migliaia di abitanti e visitatori?
Possono Giunta e Consiglio regionale della Toscana dormire sonni tranquilli? 
 
Disastri di guerra 



Dal Regno Unito la minaccia di missili a lunga gittata con cui armare l’esercito ucraino nel conflitto con la Federazione russa
Verso un epilogo nucleare? Non in nostro nome!
Regno Unito, per piacere ripensaci!
  
Guerra al diritto, guerra all’umanità: un solo codice? 
Martedì 17 settembre l’associazione fiorentina Idra propone informazione alla cittadinanza: alle ore 12 davanti al Consiglio regionale della Toscana, Via Cavour 4; alle ore 15 davanti al British Institute of Florence, Lungarno Guicciardini 9, sede della rappresentanza culturale del Regno Unito nel capoluogo toscano.
 
Associazione Idra - Firenze

 

venerdì 13 settembre 2024

IL DON JUAN DI BYRON
di Angelo Gaccione


 
È stato un vero peccato che Giuliano Dego non abbia potuto tradurre tutto intero il Don Juan di Byron. Ma forse, come scrive egli stesso a conclusione dell’introduzione al Canto I dell’edizione tascabile Bur di Rizzoli, uscita nel maggio del 1992, ci sarebbero voluti decenni fra il tempo della traduzione e quello della stampa dei XVI canti completi e dei frammenti del XVII, rimasto incompiuto per la morte prematura del poeta inglese avvenuta ad appena 36 anni: una vita breve come una meteora. Peccato, perché Dego aveva le carte in regola non solo per la sua lunga attività letteraria e di insegnamento in Inghilterra (ben 23 anni), ma perché in quanto egli stesso poeta, si era costruito in proprio una robusta e solida bottega sull’uso dell’ottava, dedicando più di un ventennio alla sua vasta parabola storica dal titolo: La storia in rima. Si trattava di ben 1.014 ottave comprese in dieci capitoli per un totale di 8.112 versi. Dego aveva tradotto solo il Primo dei canti del Don Juan, quello che il poeta stesso considerava già completo in sé, anche se nell’ottava numero 221, Lord Byron, prendendo concedo dal lettore, lo definiva un assaggio, e sperava che questo commiato poetico non fosse un addio.


Giuliano Dego

Fu questo, di Giovanni, il primo cozzo.
Ma se ancor narrerò le sue avventure
dipenderà dal plauso, o predicozzo,
del pubblico, le cui punzonature
sono bizze. Per contro un barilozzo
saran d’incenso le sue gran premure.
Se il pubblico, comunque, non mi scarica,
fra un anno circa tornerò alla carica.


Così scrive nell’ottava numero 199 e ci informa che l’opera sarà costituita da dodici libri, ognuno pieno di re, duci e amanti e personaggi di ogni sorta. Con le più spettacolari avventure da fare invidia ad Omero e ad Ovidio. Con scenari mitologici ed eventi soprannaturali, il tutto raccontato rigidamente in rima (lo sciolto non mi va, amo le rime) perché “sui propri arnesi sputan solo i brocchi”, ma senza trascurare, come ripete in varie occasioni, il fondamento di verità e la correttezza dei fatti (“Odio tutto ciò che è interamente fiction”). E soprattutto odiava tutto ciò che gli suonava falso, “fasullo”, artefatto, patinato, convenzionale, privo di mordente.



La copia in mio possesso porta una dedica del traduttore al giornalista e scrittore Ugo Ronfani, vicedirettore del quotidiano “Il Giorno”, e la data del 12 ottobre 1992. In verità c’è un 9 che vergato a mano è rimasto col tondino superiore aperto e sembra un 5. Deve essere giunto a me in occasione di un dono di libri, e a mia moglie di due lavori artistici: uno di Purificato e uno di Orfeo Tamburi, che Ugo aveva voluto affettuosamente farci. Dunque è una copia preziosa perché mi ricorda due amici e collaboratori. Tra l’altro la versione finale de La storia in rima di Dego la pubblicai io nella Collana Carmina da me diretta per le Edizioni Nuove Scritture nel 2006, e porta questa dedica: “Al mio coraggioso editore, con tanti auguri di futuro proficuo buon lavoro, Giuliano”.
Tradurre in rima da una lingua straniera è un’impresa titanica se devi far combaciare le rime e mancandoti la parola corrispondente. Nessuno può, perciò, aspettarsi o pretendere una fedeltà impossibile; ma Dego è entrato fino in fondo nello spirito di George Gordon Byron e del suo capolavoro e vi si muove con disinvolta capacità, e dove la parola gli manca ne crea una da poeta qual è, senza tradirne lo spirito e soprattutto la gioiosa ironia che lo pervade. Ironia, irriverenza, sberleffo, oscenità, eros, registro a volte alto a volte fortemente popolano e carico di comicità; comicità e divertimento che Byron sottolinea più volte.
“Ho terminato il primo canto di un poema. L’ho intitolato Don Juan, e vorrei che fosse tranquillamente faceto sulle cose della vita” scrive all’editore. Ma è anche preoccupato per i tempi così esageratamente “timorati”, e teme che possa suonare “troppo osé” per i bacchettoni dell’alta società puritana inglese. Aveva visto giusto Byron esprimendo questi suoi dubbi. All’apparire dei primi due canti in Inghilterra era scoppiato il putiferio. Indignate le reazioni di Foscolo, Thomas Moore, Robert Southey, Coleridge e di quasi tutta la stampa: comprese le riviste letterarie “Quarterley Rewiew” e “Blackwood Magazine”. Si parlava di oscenità e di oltraggio ai princìpi religiosi, ed era prevedibile. Come scrive Marilyn Butler: “La maggior parte dei critici erano attivi anglicani. Parecchi erano preti”. Vedevano nell’arte poetica di Byron solo ciò che volevano vedere, e così finivano per farne uno strumento al servizio del vizio, e in ultima analisi delle mire di Satana. Byron difese a spada tratta il suo poema nato per “divertirmi un po’, e far divertire i lettori”, ed era profondamente consapevole di aver creato un’opera non conformista, irriverente, ricca di comicità e di sarcasmo verso i valori su cui si fondava quella che egli arriva a definire “questa nostra epoca sciagurata”. I lettori lo ricambiavano abbondantemente acquistando i libretti che andavano esauriti in un batter d’occhi e addirittura stampati anche di contrabbando per esaudire le richieste. Era un’opera innovativa come lo erano state quelle dei grandi del passato, e alle quali non era stata risparmiata l’accusa di empietà.



L’empietà di Lucrezio è un cibo rude
ed a teneri stomaci indigesto.
Sì, certo, Giovenale al vero allude,
e chiama vino il vino, ma è per questo
che linfe ha spesso alquanto asprigne e crude.
Marziale e gli epigrammi? Un uomo onesto
li troverebbe tanto inverecondi
da definirli, al meglio, nauseabondi.


Dego nella sua stimolante introduzione parla di “fascino e candore” del Don Juan e lo definisce “un capolavoro senza eguali per finezza, inventiva e potenza”. Le aveva scritte in Italia Byron le prime ottave del suo poema, e precisamente a Venezia nella notte del 3 luglio del 1818. Forse non era stato un caso, visto che in Italia era nata l’arte compositiva dell’ottava, e per giocosità, irriverenza ed ironia si caratterizzava lo stile dei suoi maggiori cultori. Una sensibilità che aveva certamente influito sull’estetica e la creatività del poeta d’Oltremanica.


Legata è ormai da anni è la sua vita
a un tipico partito cinquantenne;
mentre meglio l’avrebbero servita
due mariti ognun venticinquenne,
in tierra che è dal sol ringalluzzita,
ogni donna d’istinto maggiorenne
e sia pur di difficile virtù
presceglie quell’età o supergiù.
 
Il puritanesimo anglosassone non poteva che stigmatizzare l’irriverenza giocosa e ilare insita nei versi di questo dissacrante poeta. Come sempre, l’ipocrisia faceva muro contro la parola di un poeta, ma tollerava tutto ciò che di veramente osceno avveniva nelle corti, nelle curie e nei salotti. Benediceva la guerra, chiudeva gli occhi sulla condotta libertina dei lord e delle dame dell’alta società e altro ancora.

IL PROCESSO AL CRIMINALE NAZISTA     
di Anna Lina Molteni e Giuseppe Mendicino


 
Seifert a vent'anni

 
La battaglia legale di Arnaldo Loner e Bartolomeo Costantini per dare giustizia alle vittime del lager di Bolzano.
 
 
L’occasione di scrivere del Lager di Bolzano e del processo Seifert è conseguenza di una recente stesura a quattro mani della biografia di Arnaldo Loner, avvocato, bibliofilo, appassionato cultore di storia e di tutela del paesaggio. Loner è stato infatti legale di parte civile del Comune di Bolzano nel processo a Michael Seifert, il “boia del Lager di Bolzano”, processato dal Tribunale militare di Verona, estradato dal Canada nel 2008, morto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere nel 2010. Con Walter Reder per la strage di Marzabotto, Herbert Kappler ed Erich Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, è uno dei soli quattro criminali di guerra tedeschi che abbiano scontato il carcere in Italia.
A Bolzano oggi del Lager rimane solo il muro perimetrale e un percorso di pannelli con immagini della sua storia; è stato il processo Seifert a fornire prove documentali inconfutabili che non sia stato solo un campo di transito, come diceva il nome Polizeiliches Durchgangslager Bozen, ma un vero e proprio campo di sterminio in cui si torturò, si seviziò, si uccise. Fu aperto nell’estate del 1944, in contemporanea con la chiusura dell’altro campo d’internamento e di transito italiano, quello di Fossoli in Emilia, i cui prigionieri non ancora deportati vi furono trasferiti in blocco, insieme alle SS, al personale addetto, al comandante Karl Friedrich Titho e al vicecomandante Hans Haage.



Amministrativamente dipendeva dalle SS di Verona. Rimase attivo fino al 3 maggio 1945. In dieci mesi di attività vi transitarono circa 11.000 arrestati: civili, partigiani, soldati sbandati, famiglie di renitenti alla leva e ricercati, rastrellati, ebrei, sinti che furono trasferiti a Mauthausen, Flossenbürg, Dachau, Ravensbrück e Auschwitz. Gli internati erano uomini e donne di ogni età, ragazzi e bambini di entrambi i sessi, provenivano da tutte le regioni dell’Italia del nord e soprattutto dalla Zona di Operazione delle Prealpi, Alpenvorland, comprendente le provincie di Bolzano, Trento e Belluno. Quasi tutti furono adibiti a lavori interni al lager o nelle fabbriche di materiale bellico, alla raccolta di mele per conto di privati, allo sgombero delle macerie nel centro storico di Bolzano dopo i bombardamenti, allo scavo per la posa di tubature e cavi elettrici.
Il processo contro Michael Seifert, accusato di aver causato la morte di 18 internati nel lager di Bolzano, è stato celebrato presso il Tribunale Militare di Verona nel 2000. La prima sentenza, del 24 novembre 2000, lo riconobbe colpevole di 11 omicidi provocati con torture e sevizie e lo condannò all’ergastolo. Impugnata dall’imputato, venne confermata in data 18 ottobre 2001 dalla Corte Militare d’Appello di Verona. L’ulteriore ricorso venne rigettato dalla Corte di Cassazione a Roma in data 8 ottobre 2002 e la sentenza divenne definitiva. Proseguiva intanto la pratica per la estradizione, richiesta nel 1999 dalla Procura e infine accolta dall’Alta Corte di Giustizia del Canada, che nel 2008 consegnò Michael Seifert alle autorità italiane, la sua latitanza era durata 63 anni.


 

Nel processo spiccano due figure, Arnaldo Loner, avvocato di parte civile, e il pubblico ministero Bartolomeo Costantini. Ognuno nel proprio ambito, agirono entrambi avendo ben chiaro il significato che il procedimento aveva sia dal punto di vista storico sia da quello etico. Non si trattava, come qualcuno disse, di “archeologia giudiziaria”, né di inutile giustizia a posteriori o di accanimento contro un imputato ormai anziano, ma di un atto dovuto alla verità storica e alla memoria delle vittime e di coloro che, pur sopravvissuti, avevano portato per tutta la vita i segni delle torture e della violenza subite. Certi delitti non si possono, non dico perdonare, ma nemmeno dimenticare. Non dimenticare è quindi un obbligo morale, ma è anche in certo senso un obbligo giuridico” afferma il pubblico ministero Costantini.
La materia di questo processo riguarda crimini che aggrediscono i valori fondamentali dell’uomo, l’integrità della vita fisica e la dignità della persona umana” conclude l’avvocato Loner nell’arringa finale.
Dalle carte del processo emerge la brutalità dell’imputato che in molti casi era stata solo un cieco soddisfacimento della sua natura sadica, senza una qualsiasi ragione, pur aberrante, che la potesse giustificare. La violenza per la violenza, l’uccidere per il gusto di uccidere. Non a caso Seifert, dopo torture e sevizie atroci, specie con armi da taglio e bastoni, non sferrava il colpo finale con un’arma, ma usava le mani strangolando o i piedi, finendo la vittima a pedate. Il tutto nella condiscendente indifferenza del comandante del Lager, Karl Titho. Più le vittime erano giovani e fragili, più Seifert si accaniva.
Nei primi giorni del marzo 1945 morì sotto tortura anche il giovane capitano Steve Hall, dei servizi segreti americani, che nei mesi precedenti aveva collaborato con le formazioni partigiane del Bellunese. Il più diretto responsabile della sua morte, il sadico maggiore August Schiffer venne processato a Napoli alla fine del conflitto da una corte marziale statunitense e fucilato. Purtroppo, la giustizia italiana del dopoguerra non fu altrettanto solerte con gli altri criminali del lager.


Costantini e Loner nel 2017

“Concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata” è il reato contestato a Seifert dal pubblico ministero Costantini, che raccolse elementi di prova circostanziali per 18 omicidi. Alcuni testimoni, ancora viventi, lo riconobbero dalle foto e i loro ricordi coincidevano con la relazione scritta alla fine del 1945 dal professor Alfredo Poggi, ex internato, e allegata al fascicolo 1250, rimasto chiuso per mezzo secolo nel cosiddetto “armadio della vergogna”. Un mobile situato negli uffici della Procura Militare di Roma, sigillato con una catena. Aperto nel 1994 durante una ricerca di documentazione per il massacro delle Fosse Ardeatine, al suo interno sono stati rinvenuti fascicoli riguardanti le stragi e i crimini commessi dai nazifascisti in Italia. I procedimenti erano stati praticamente insabbiati, in quanto era stato apposto in calce un timbro di “archiviazione provvisoria”; procedura questa, sconosciuta al nostro ordinamento processuale. Nel fascicolo 1250 compaiono i nomi di tutti i maggiori responsabili di torture e assassinii avvenuti nel lager di Bolzano e tra questi Michael Seifert. Il procedimento è della Procura Generale Militare del Regno – Ufficio procedimenti contro criminali di guerra tedeschi e la data della trasmissione per “l’eventuale azione giudiziaria” è 25 aprile 1946. Come parte lesa sono indicati gli “internati italiani nel lager di Bolzano” e gli eventi sono così riassunti: “Nel campo di concentramento di Bolzano, durante il lungo periodo della occupazione nazista, trattarono in modo inumano gli italiani (militari, ebrei ed altri civili), sottoponendoli a continue sevizie e bastonature, imprigionamenti lunghi, terribili ed estenuanti. Per questo brutale trattamento alcuni internati perirono (…)”.


Il decreto di archiviazione del 1960

Seifert vi è descritto come un sadico torturatore e assassino, ma il suo comportamento non può essere ridotto a una faccenda privata tra un carnefice e le sue vittime, entra in un contesto più ampio, in un “massacro dell’umanità” dalle proporzioni enormi. È un criminale, ma è figlio del suo tempo. “Non è una scheggia impazzita del sistema, è funzionale al sistema (…) un uomo che realizza gli obiettivi di sistema, sia pure con dei massacri voluti e decisi individualmente, ma che il sistema consentiva, tollerava e facilitava, non ordinava in questo caso” scrive ancora Loner.
In un clima politico in cui a tratti riemerge la tentazione del revisionismo, o del riduzionismo che ne è la versione attenuata, e si mira a riscrivere la storia “in base non a un più attento esame dei documenti e delle testimonianze, bensì in base alle proprie pregiudiziali ideologiche” (Costantini) è importante che sia mantenuta viva la memoria su quanto accadde davvero, perché “verità alternative” costruite a posteriori non ne prendano il posto.
Arnaldo Loner e Bartolomeo Costantini sono oggi due anziani e tranquilli signori che passano i loro giorni tra libri e incontri finalizzati a diffondere cultura e coscienza civile, se parlando con loro il discorso cade sul lager di Bolzano i loro occhi si accendono di passione e indignazione. Facile immaginare che sarà così usque ad finem, sino all’ultimo dei loro giorni.

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 12 settembre 2024

MILANO PER LA PACE

 

Silvano Piccardi a destra della foto

Sabato 21 settembre 2024 in occasione della Tre giorni per la pace presso il C.I.Q di via Fabio Massimo n. 19 a Milano (fermata della Metropolitana Porto di Mare, Linea Gialla) l’attore e regista Silvano Piccardi, dalle ore 21 in poi, terrà una lettura teatrale sulla cultura della guerra. Dall’antichità fino ai giorni nostri, attraverso la parola dei poeti. Da Omero fino ai contemporanei.  



 

IL LAVORO SPORCO DEGLI USA



Per chi non fosse ancora convinto che gli Stati Uniti stanno facendo un lavoro molto sporco, mettendo a rischio il futuro dell’umanità, è consigliabile la lettura dell’intervista del già citato Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca negli anni cruciali della fine della Guerra Fredda. Si tratta di una testimonianza importante, e un’occasione per tutti per ripercorrere gli ultimi 40 anni di storia. Nella risposta alla prima domanda, tradotta con l’aiuto di Google (o meglio, da Google con il mio aiuto), c’è il giudizio conclusivo; un giudizio che il resto del racconto giustifica pienamente.
 
Jack Matlock: Ovviamente, siamo entrati in una fase molto pericolosa, perché la Russia ha attribuito alle azioni degli Stati Uniti e dei suoi alleati della NATO intenzioni aggressive, azioni che minacciano la sua sicurezza nazionale. La Russia è una potenza dotata di armi nucleari con un arsenale, che sembra essere del tutto equivalente, se non addirittura più grande, di quello degli Stati Uniti; un arsenale molto più grande di quelli dei nostri alleati della NATO, Francia e Gran Bretagna. Mi sembra un atto estremamente pericoloso tentare quella che è, di fatto, una guerra non dichiarata contro una potenza nucleare, che percepisce, giustamente o erroneamente, che la sua sovranità e perfino la sua esistenza politica sono minacciate. Quindi penso che sia una situazione molto pericolosa. Non al punto che entrambe le parti faranno necessariamente uso delle armi nucleari. Ma penso che una situazione come questa può facilmente sfociare in uno scambio nucleare per errore. Una volta messi in posizione i missili su entrambi i fronti, e messo in allerta il loro sistema nucleare, è molto facile confondere i segnali. Queste cose sono successe diverse volte durante la Guerra Fredda, e siamo stati fortunati che in qualche modo esse non hanno avuto seguito.
Direi anche che ciò che ignoriamo nella nostra attuale guerra non dichiarata contro la Russia è che la Russia ha a disposizione molti altri mezzi per colpirci, il che sarebbe molto difficile da tollerare. Ad esempio, la loro capacità nella guerra cibernetica è certamente equivalente a quella degli Stati Uniti o di qualsiasi membro della NATO. Inoltre, non siamo in grado di stabilire con certezza l’origine di questi attacchi. In secondo luogo, la Russia ha certamente la capacità di eliminare i satelliti di comunicazione che sono essenziali per la guerra che si combatte oggi. Mi sembra quindi che correre un rischio del genere sia assolutamente folle.
 
[Traduzione di Franco Continolo]

 

DECRETO ANTI GANDHI ALLA CAMERA
di Ultima Generazione


 
Due nuovi esempi della strategia di accanimento del governo contro chi protesta.
 
Roma, 11 settembre 2024. In questo momento la Camera sta discutendo il DDL 1660, rinominato DDL anti-Gandhi per alcuni suoi provvedimenti antidemocratici. Visto lo spirito di accanimento di questo governo, non ci sorprende l’arrivo della richiesta di sorveglianza speciale al consulente legale e membro di Ultima Generazione Giacomo Baggio. La richiesta è: 2 anni di impossibilità di allontanarsi dal proprio Comune di residenza; coprifuoco notturno dalle 20:00 alle 7:00; obbligo di firma quotidiano; e divieto di partecipare a qualsiasi manifestazione a sfondo politico, gare sportive, concerti negli stadi e processioni religiose. Questa misura cautelare è di fatto una misura prevista dal Codice Antimafia per limitare la libertà personale dei cosiddetti "soggetti pericolosi con tenace propensione delittuosa". Nulla di più distante da Giacomo quindi che con azioni nonviolente di disobbedienza civile, il cui alto valore morale è riconosciuto da diversi tribunali e perfino dall’ONU, ha scelto di portare attenzione sul collasso climatico e sull’inazione del governo nel contrastarlo. Alla luce di questa richiesta e della probabile approvazione del DDL, la nostra domanda è: chi è invece che controlla questo governo?
Giacomo, 33 anni, consulente legale veneto: “Quando ho visto nel 2023 la prima richiesta di sorveglianza speciale per un membro di Ultima Generazione, ho pensato fosse grave. Quando ho ricevuto la mia, ho pensato che la situazione fosse surreale. Quello che ho visto non è stata l'applicazione della legge che ho studiato negli anni di università, ma qualcosa di diverso. La siccità sta facendo danni ovunque e il primo atto discusso alla Camera dopo la pausa estiva è il DDL Anti-Gandhi. Non serve essere ambientalisti per provare un senso di profonda indignazione di fronte alla devastazione sistemica del nostro territorio. Mi rifiuto di rimanere in silenzio davanti a un governo che pensa solo a silenziare l’opposizione per rimanere indisturbato al potere. Il problema non è la disobbedienza civile ma l’obbedienza davanti a questa assurdità. È anche assurda perché dovrebbe essere la Questura di Roma ad essere sorvegliata dopo il soffocamento che ho subito al Commissariato Prati, e successiva manipolazione del referto medico da parte di un agente.
Paola Bevere, avvocato di Giacomo: “Si tratta di una richiesta molto dura, il tipo di sorveglianza più limitativo della libertà personale. Questa richiesta si basa principalmente sul sospetto che questo attivista, che tra l'altro è incensurato, sia una persona pericolosa per la sicurezza pubblica. Come legali sosteniamo sempre che queste persone non possono essere equiparate ai mafiosi”.
Chi è Giacomo?
Giacomo, 33 anni, è un consulente legale e membro di Ultima Generazione. Originario di un piccolo paese di provincia nelle montagne venete, da una decina d’anni vive a Milano, dove ha coniugato la sua formazione giuridica con la sensibilità per le questioni ambientali e sociali. La presa di consapevolezza sull'urgenza e sulla gravità della crisi climatica lo ha spinto a dedicare le proprie competenze legali per difendere e informare gli attivisti sui propri diritti. È proprio per la sua formazione e il grande rispetto per i principi della nostra Costituzione il motivo per cui Giacomo ha deciso di disobbedire alla legge di fronte a una politica che, come ricorda anche il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, ha il piede sull’acceleratore verso l’inferno climatico e sociale.
Invece di affrontare la realtà della crisi climatica, il Governo silenzia chi si oppone.  
Non serve essere ambientalisti per provare paura davanti alle alluvioni o alla siccità. È assurdo pensare che, mentre assistiamo all'aumento di disastri climatici di ogni tipo, i politici non mirano alla sicurezza dell’Italia ma piuttosto a soffocare chi, con spirito critico, mette in discussione il potere e il non-operato di Meloni. Non si tratta solo di una repressione in più, ma di una strategia politica che usa la repressione come meccanismo principale per controllare la società, rappresentando una svolta pericolosa per la democrazia.
Chi sorveglia questo Governo?
Questa Primavera con Ultima Generazione Giacomo ha compiuto diverse azioni di disobbedienza civile nonviolenta. Il 13 maggio 2024, dopo aver partecipato ad una protesta nonviolenta per manifestare contro il collasso climatico, fu fermato dalla polizia e, in commissariato, soffocato. Il pronto soccorso emise una prima prognosi di 15 giorni, che il medico di turno, dopo aver parlato con degli agenti, ridusse a un solo giorno di prognosi. Ma non è con la repressione, gli atti intimidatori e violenti, e il carcere per gli attivisti che si rallentano gli effetti del clima; con questi si riempiranno solo ancora di più le carceri, già stracolme e in condizioni disumane, dove solo quest’anno sono stati fino al 16 luglio, 58 i suicidi di detenuti e 6 quelli degli agenti penitenziari. Mentre il governo legifera, reprime e arresta, la crisi climatica prosegue velocemente nel suo processo estintivo dell’umanità.
Cartella stampa su tutte le azioni organizzate da dicembre 2021 qui
Prossimi incontri
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Processi:
23 settembre, prima udienza predibattimentale per azione sul quadro di Van gogh presso il tribunale di Roma
24 settembre, udienza istruttoria per azione su via del Tritone, presso il Tribunale di Roma
26 settembre, prima udienza di comparizione per azione nel dicembre 2023
26 settembre, prima udienza di comparizione per blocco di Fiumicino, presso tribunale di Civitavecchia
27 settembre, udienza a seguito di richiesta archiviazione per azione agli Uffizi del marzo 2024, presso il Tribunale di Firenze
1° ottobre udienza, dibattimentale per azione alla Barcaccia
3 ottobre udienza, predibattimentale per blocco stradale sulla statale 7 Appia nell’aprile 2023
8 ottobre discussione, per violazione foglio di via presso il tribunale di Milano
10 ottobre, prima udienza di comparizione predibattimentale per azione dell’ aprile 2022 al palazzo dell’ENI
14 ottobre, udienza per richiesta di sorveglianza speciale al Tribunale di Roma

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mercoledì 11 settembre 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione

 

Il Parco Alessandrina Ravizza
 
C
i si può domandare che cosa sarebbero le città senza parchi e viali alberati. Vengono i brividi solo a pensarci. Guardando le immagini di certe megalopoli contemporanee soffocate da colate di cemento, da grattacieli sempre più alti e da palazzi sempre più dilatati, si percepisce immediatamente quanto l’urbanistica sia entrata in conflitto con la natura. Hanno dovuto inventarsi terrazze piantumate forse per rimuovere un inconscio senso di colpa, o di vergogna, e le hanno spacciate per “bosco in città”. Il bosco in città c’era, ma gli urbanisti hanno aiutato amministratori e speculatori dalle diverse fogge a cancellarlo, ad abbatterlo, a farlo sparire, a mercificarlo. Porta Nuova a Milano ne è l’esempio più lampante. La cementificazione intensiva lungo lo scalo di Porta Romana, con la scusa del villaggio olimpico per le olimpiadi invernali, ne è un’altra dimostrazione da manuale. Non se ne possono ritenere assolti né le amministrazioni di centro-destra né quelle di centro-sinistra; né gli urbanisti finti progressisti né gli urbanisti reazionari. Tutti costoro appartengono ad una stessa logica e agiscono allo stesso modo: che se ne voglia prendere atto o meno.


Alessandrina Ravizza in piedi a destra

Il parco Ravizza (racchiuso tra il viale Toscana, la via Vittadini, la via Bocconi) data ai primi del Novecento. Il piano regolatore Beruto lo aveva destinato a tale uso nel 1889. Gli studenti della vicina Università Bocconi non ne sanno nulla, molti di loro sono stranieri o provengono da altri luoghi d’Italia. Se non ci fosse, se lo avessero cementificato, non potrebbero goderne né stendersi a leggere sul prato. La stragrande maggioranza di loro è convinta che l’economia sia una scienza e non lo è. Si tratta, invece, di una scelta politica, una scelta di campo, una scelta di classe. Una bestemmia, questa parola, in quell’ambiente dove l’economia si studia come una scienza neutra. 


La cucina per malati e poveri

A quel tempo di questo parco si è deciso di farne un uso pubblico, cioè di tutti, e non una merce. È per questo che ne possono ora godere anche loro, gli studenti di economia della vicina Bocconi. È probabile che non sappiano nulla anche di Alessandrina Massini sposata Ravizza: è a lei che è stato intestato il parco. Ed è stata una decisione saggia perché è stata una grande donna e una grande filantropa. La chiamavano la “Madonna dei poveri” e anche la “Contessa del brodo” – perché i poveri li soccorreva davvero – consapevole di quanto è ingiusta l’economia asservita ai ricchi i quali chiamano non abbienti coloro che hanno sfruttato e affamato per arricchire. 



È a questa donna che vogliamo rendere omaggio con questo scritto: a lei che si diede da fare in favore delle operaie milanesi attraverso l’Associazione generale di mutuo soccorso fondata da un’altra grande donna: Laura Solera sposata Mantegazza. A lei che aveva aperto nel 1879 la Cucina per malati poveri, nel 1887 un ambulatorio medico, nel 1904 una scuola-laboratorio per curare le giovani mamme e i bambini infettati di sifilide. Non paga, impegnò soldi ed energie per favorire l’istruzione popolare, dare un mestiere ai giovani disoccupati e poi ancora e ancora fino all’ultimo respiro. 



C’era mezza Milano ai suoi funerali: assieme alle autorità, i suoi diseredati e quelli che con la sua opera filantropica e solidaristica aveva riscattato. Ecco, a voi non parrà, ma questa è una lezione di economia. Di buona economia.

 

TRUMP FA PAURA  
di Luigi Mazzella



Luscita di Mario Draghi che, gridando, all’improvviso, una sorta di “Al lupo! ”Al lupo!” per l’Europa in caduta libera, ci esorta ad indebitarci ulteriormente con l’America (e per essa con la Finanza di Wall Street e della City) per evitare una catastrofe di cui non poteva non essere a conoscenza da tempo per i suoi alti  incarichi europei e nazionali offre lo spunto per molte considerazioni (purtroppo tristi):
a) Essa ha trovato l’immediato consenso di Fratelli d’Italia (Foti) che pure di Draghi era stata la forza di opposizione più accanita e tenace durante il periodo di tempo in cui Giorgia Meloni non aveva ancora adagiato la sua testa bionda sui capaci pettorali dello zio Sam e non si era lasciata convincere ad abbandonare tutti i suoi cavalli di battaglia (anche elettorali) per sposare le cause d’oltreoceano persino sugli scenari di guerra;
b) Essa sembra adombrare la certezza di Draghi, fedele alla linea del Partito Democratico Nordamericano, che la Harris ridens abbia poche prospettive di vittoria alle prossime elezioni presidenziali statunitensi e che le sue personali fortune e soggettive ambizioni di presunto grande statista per il Vecchio Continente siano per lui in irreversibile declino a causa dell’idea che Donald Trump ha di un’Europa non più colonizzata dagli States attraverso l’interposta Unione Europea, attualmente ancora affidata all’Ursula Von der Leyen & co;
c) Essa mette ancora una volta in luce alternativamente o 1) l’incapacità, l’improntitudine, il pressapochismo, la superficialità perniciosa, l’inconcludenza, l’arrendevolezza  oppure: 2) la mala fede, la corruzione, il tradimento dell’interesse nazionale, di una classe dirigente politica che o è incapace di “leggere” gli eventi politici e si lascia incantare da pifferai venduti a Stati stranieri o perpetua l’abitudine contratta ab immemorabili dagli Italiani, di accontentarsi di governanti di mezza tacca.   

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