MINIMA IMMORALIA
Scrivo proprio mentre è in corso la
discussione parlamentare intorno all’abolizione del Senato. Sono un poco pessimista perché non mi pare
facilissimo che se ne vadano abitues di palazzo Madama e novelli
tangheri decidano di rinunciare alla “süsse
Leben” felliniana (oggi dicono molto peggiorata) per tornare al paesello a
una problematica professione. E previsione per previsione anche il disegno del
nuovo Senato mi pare sulle nuvole perché senatori alla Peto Trasca (rivedere
Tacito) mi paiono inesistenti, e temo che a quell’assise non arriverà nessuno
poiché l’educazione politica ha insegnato il valore di scambio meglio dei
commercianti fenici.
L’onore (per
la mia generazione era un onore passare 5 giorni alla settimana a Roma al
Senato, magari in biblioteca quando i tempi languivano) è simile a quei
“derivati” che le banche americane hanno rifilato ad amministratori
incompetenti per arricchire il deficit del bilancio.
Se si vola più in alto, ma molto più in alto, si incontrano
i pareri dei costituzionalisti, più che onorevoli. Ma qualche osservazione si
può fare anche a questo livello. A me pare (ma l’errore è tutto sul terreno
della verità) che tutti i loro ragionamenti derivino da un’idea di democrazia,
molto bene modellata, ma che non è analizzata né da un punto di vista
genealogico, né da un punto di vista storico, né comparativo tenendo conto
delle mutazioni geopolitiche e, purtroppo, non per l’analisi ma per il fatto,
nemmeno dal senso che può avere per gli abitanti della comune terra il valore
di un modello democratico piuttosto che un altro. Malvolentieri devo ricordare
che il desiderio di qualcosa non è sempre a livello fantasmatico ed è mutevole.
In genere le forme nascono e muoiono in relazione ai contenuti. Tenere conto
delle prospettive evocate è non solo molto complesso ma anche spontaneamente estraneo
a un discorso costituzionalista che nella congiuntura che accade è connesso con
un’idea di bene unita ad una idea di efficienza.
Una proposta etica, anche nella sua dignità
intellettuale, è poi necessariamente un colpo di forza. È sempre stato così.
Tuttavia la Wirklichkeit con tutti i suoi intrecci (che diviene persino
complesso elencare), crea un terreno molto difficile per il pensiero che
progetta. Pensare ha proprio questa caratteristica di nascere in un presente
non edificante ed essere sconfitto proprio dal terreno su cui nasce.
Per esempio ricordo le ragioni ideali che
legittimarono l’istituzione delle regioni. Erano tutte quasi perfette, ma
lasciavano ai margini quello che, nella congiuntura, non si poteva pensare. Ora
abbiamo appreso che nella regione più ricca d’Italia (che non vuole dire la più
civile) i consiglieri regionali hanno speso cifre di tutto rilievo per comodità
private, dove i pranzi tengono un posto preminente. E se selezionassimo le
candidature secondo curriculum pubblici? E se pagassimo gli eletti quanto un
professionista di buon livello, ma niente più? Non dovrebbe essere una impresa
sovrumana, e si eviterebbero quelle caccie al tesoro che caratterizzano le
candidature.
Ancora un’osservazione su questa scivolosa realtà. La
teoria delle quote rosa mi appare un rimedio banale. Dalla mia esperienza posso
dire che a livello pubblicistico e didattico il rendimento femminile è
superiore. Tuttavia, in generale, si può dire che capaci e cretini si trovano
egualmente tra gli uomini anziani e giovani e lo stesso capita per le donne. La
proporzione migliore nasce dalle ragioni selettive non da norme di legge che
“scendono” a livello biologico.
Quello che la legge mi pare dica è che una scelta
ragionevole è impossibile. E allora che cosa impedisce, come nelle Università
americane, di stabilire delle quote? Stiamo cadendo nel ridicolo: un disastro.
Fulvio Papi