PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
I
sensi
Il verbo medio (aisthànomai) αἰσθάνομαι: mi accorgo, percepisco con i sensi, comprendo indicò
cosa conseguiva al pastore quando si rendeva conto dell’incipiente gravidanza. La
perifrasi coniata è la seguente: è ciò che deduco quando, a seguito
della crescita del flusso gravidico, inizia il mancare, che è la
fase della formazione graduale di organi e funzioni. Da questo verbo furono
dedotti i sostantivi: (aisthetés) αἰσθητής: chi ha la facoltà di sentire, chi ha la
facoltà di percepire, l’esteta (colui che sente, si accorge), (aisthesis)
αἴσθησις: percezione con i sensi, uno dei sensi e con il
significato specifico di organo della sensazione: (aistheterion) αἰσθητήριον. Quindi, tutti i sensi concorrevano a far sì che ci
si accorgesse, anche nella fase iniziale, dell’ingravidamento. Infatti, tutti i
nomi afferenti ai sensi attengono a questo processo. Il
verbo (orao) ὁράω: guardo, osservo, bado, attendo
è il risultato di questa perifrasi, resa a senso: è ciò che faccio durante
i mesi dell’incubazione (si genera dallo scorrere del tempo per nascere), quindi,
dedussero: ὅραμα: veduta, visione, da cui, in
italiano: panorama, mentre i latini mutuarono oracolo. Dalla
radice (id) ιδ (genera il mancare)
fu dedotto l’aoristo 2: (eidon) εἶδον: vidi, osservai. Questa radice
trasmigrò nella cultura latina e, acquisendo il digamma, divenne v-id
di vid-eo. Per indicare la vista si avvalsero di (opé) όπή (da cui ottico), che indica ciò che si
esercita quando la creatura è in formazione, mentre per indicare l’occhio coniarono
(ofthalmόs) όφθαλμός (in italiano fu estrapolato: oftalmico),
che è l’organo che percepisce la gravidanza.
Per quanto
riguarda la percezione uditiva, i greci coniarono, dapprima, οὖς ὠτός (ous otόs): orecchio (da cui otite e otalgia),
poi, con un deduttivo (ak) ακ (dal generare) coniarono: (ak-ou-o) ἀκ-ού-ω: percepisco dall’orecchio (letteralmente: è
ciò che genera l’orecchio), odo, quindi: ἀκ-ου-ή/ἀκ-ο-ή:
udito, da cui (akousticos) ἀκουστικός: che riguarda l’udito e, quindi, l’acustica.
Per
indicare toccare, i greci coniarono il verbo medio ἅπτομαι, che rende questo concetto: è
ciò che io deduco per me, quando spingo qualcosa (la tocco), da cui tatto:
(afè) ἁφή. Coniarono anche (thingano) θιγγάνω: tocco con mano, da cui i latini,
probabilmente, dedussero tango, che è il toccare, forse, del
pastore quando prende il nato. Quindi, dal participio perfetto tactus: che
ha toccato dedussero l’organo del tatto.
Per
quanto riguarda l’olfatto, i greci coniarono (ris rinòs) ρίς ρινός: naso, che è il risultato di
questa perifrasi: va a scorrere il legare, quando dentro c’è il
mancare, è quello che serve al pastore (annusare) per rendersi conto se c’è
ingravidamento o se la femmina è in calore. Da sottolineare che nella cultura
italica da fiuto fu dedotto: rifiutare. Il naso consente di cogliere
(legare) la fonte di quello che non c’è (manca perché non si vede).
Mi
piace ricordare che a Cerchiara di Calabria per dire: ha l’odore di, si
dice: amm’riz’d’, da (myrizo) μυρίζω:
profumo, cospargo d’unguento a sua volta dedotto da (myron) μύρον: olio odoroso, unguento, profumo.
Inoltre, la parola nausea, verosimilmente, è da collegare a: (naysie) ναυσίη: mal di mare (mal d’imbarcazione), disgusto.
Così, in dialetto da: ἅση (ase): sazietà, disgusto, nausea,
si formò: n-as-iare, che causa il voltastomaco. Per quanto riguarda puzza
e puzzare furono dedotti da parole coniate dai greci. Infatti, si
generarono da: (pyon/pyòs) πύον/πυός: pus/colostro e da: (pytho) πύθω: faccio imputridire, per cui i latini ebbero:
πύθer e, in italiano, putrido.
I greci
con (gheyo) γεύω dissero: io gusto,
che, probabilmente, è ciò che è proprio del bambino che poppa. Poi,
dedussero: (gheystes) γεύστης: colui che gusta, per cui i
latini da colui che gusta mutuarono: gustus: il gusto, una
parola dedotta da una delle innumerevoli radici che abbiamo preso a piene mani
dalla cultura greca.
Anche sal
salis rimanda a (als alòs) ἅλς ἁλός, che, al femminile, i greci tradussero: mare e,
al maschile, sale. Da sa(l) i latini dedussero sapor
saporis, sapido (insipido) e il verbo omofono/omografo sap-io:
ho sapore e, per, traslato: odora di, mentre sapio, con il
significato: ho senno (da cui: sapiente), capisco, so
(in dialetto: ié sacc(i)’, tu sapis’), si tratta di
un conio latino, il cui significato rimanda alla cultura greca: ciò che nasce
si forma dal mancare (non per crescita): questo io so.
L’omologo
di αἰσθάνομαι, per i latini, fu sent-io sentis, sensi, sensum,
sentire, da scrivere, così, alla greca: σενθ-ιο, che acquisì i seguenti significati: scorgo,
noto, imparo a conoscere, apprendo, comprendo,
frutto della seguente perifrasi: il mancare (il divenire del grembo e
della creatura), da dentro il crescere, fa generare (quanto
appena detto), da rendere meglio: quando noto i processi del grembo per il
flusso gravidico e per la formazione graduale della creatura, i sensi mi
confermano il nuovo stato.
Quando la vista induceva a pensare ad un
nuovo arrivo, il pastore, per conferma, si avvaleva del fiuto, dell’udito
e del tatto. Pertanto, quello scorgere, che è un intravedere, richiedeva
prove che verificassero, prove da collegare ad un affinamento della sensibilità
percettiva di tutti gli organi di senso. Da questo verbo furono dedotte molte
parole, come senziente, consenziente, dissenziente, assentire,
presentire, sentimento, presentimento. Dalla radice senth
fu dedotta la parola astratta sententia: parere, veduta,
voto, giudizio, sentenza. Dal participio perfetto sensus
(che ha sentito, che è stato sentito) fu dedotto il sostantivo: sensus sensus:
accorgersi, avvedersi, facoltà di sentire, senso/significato,
senso/concetto, coscienza, intelligenza, giudizio,
che ha determinato, nella lingua italiana, tante sfumature di significato. Da senso
si ebbero: sensato, sensazione, sensazionale, insensato,
sensibile, ipersensibile, insensibile, sensibilità, sensibilizzare.
Nel mio dialetto, se si dice di uno: “N’ mancan’ i sins(i)” (gli
mancano i sensi), si fa riferimento a una persona sbadata, dissennata, scapestrata,
mancante di consapevolezza e di capacità di giudizio, mentre, come ho già detto
in altra occasione, della persona che “ha i sentimenti”, si vuole
intendere che è avveduta ed ha capacità di giudizio, per cui se uno afferma: “Hai
detto ciò con tutti i sentimenti” si vuole esprimere che
l’affermazione è stata fatta in scienza e coscienza.
Sinonimo di sentio è percipio, dedotto
da cap-io, di cui si conoscono i significati prevalenti: prendo, afferro,
catturo. La perifrasi (è ciò che si genera dal fare il passare, in senso
stretto e durante i nove mesi) contenuta in cap-io, in questo contesto,
è da leggere: è ciò che si deduce mentre la creatura nasce; il pastore,
inoltre, aggiunse: fa dallo scorrere (per) (durante la gestazione) anche
il generarsi dei seguenti significati: m’impossesso, accolgo,
ottengo, ricevo/percepisco, ma anche: noto, intendo,
provo, sento/percepisco. Dal participio passato perceptus
(chi ha percepito) fu dedotta: percezione, che il vocabolario Treccani
così definisce: “L’atto del percepire, cioè del prendere coscienza di una realtà
che si considera esterna, attraverso stimoli sensoriali, analizzati o
interpretati mediante processi intuitivi, psichici, intellettivi ecc.”
Gli italici, oltre ad utilizzare sentire,
coniarono mi accorgo, che indica che da alcuni sintomi/segni mi rendo
conto di una trasformazione. Pertanto, da chi si è accorto ricavarono l’accorto.
Ci sono, inoltre, gli accorgimenti, che sono come delle antenne per
avere contezza di quanto circonda. Probabilmente il verbo accorgersi
rimanda a: ὄρνυμι: faccio sorgere, mi alzo, che contestualizza il
sollevamento del grembo. Mi piace, qui, soffermarmi, su vigile, che
è colui, che, avendo piena coscienza, sviluppa la capacità percettiva. Per il
pastore essere vigile significò: non dormire, prestando la massima attenzione, in
attesa del parto. Da vigile, furono dedotte vigilia (giorno in
cui si digiunava perché tutti intenti a o per motivi votivi) e veglia.
Per quanto riguarda la capacità visiva presso i
latini e gli italici, ritengo che altrove abbia esplicitato i processi
formativi di tante parole; qui, è opportuno soffermarmi su oculus, sul
deponente miror miraris: guardo con meraviglia e su spia I
latini definirono oculus l’organo che visualizza il processo di
formazione della creatura. Belli alcuni verbi dedotti: adocchiare, occhieggiare.
Nel mio dialetto, oltre al verbo adocchiare, c’è agguacchiare,
dedotto da: (ayghé) αὐγή: luce, riflessi, lumi, che
indica chi, nella notte, rischiarata da un lucignolo, riesce ad individuare un
chi o una cosa.
Il guardare/contemplare con
meraviglia è del pastore di fronte al nato. Quindi, dedussero mirus:
ammirabile, meraviglioso, quindi: ammirare, ammiratore,
ammirazione, miracolo, mirabilia ecc. Mi piace ricordare che
nel mio dialetto ammirare indica anche: fissare attentamente per
poter cogliere microparticelle.
La parola spia della lingua italiana fu
coniata con la stessa simbologia delle parole greche e latine. Questo concetto
è frutto della seguente perifrasi: il grembo accentuato è il segno/indizio di
un processo in atto, nascosto, che viene rivelato a tutti o a quanti hanno
occhi per notare. Il fumo che esala da un camino fa pensare a tanti che quella
casa è abitata, mentre dice agli eventuali ladri che non è conveniente
intrufolarsi. Molti filologi fanno derivare spia dal gotico spahia,
non so su quale base. Si tratta di una parola molto diffusa, anche nei
dialetti, che dimostra che in ogni epoca si sono coniate nuove parole. Poi,
perché risalire ai Goti, se in latino c’è specio/spicio e inspicio:
guardo dentro?
Aud-io dei latini rimanda a una radice greca: αὑδή: voce,
notizia, la cui perifrasi si può rendere: quando circola la notizia/voce
che c’è una gestazione in atto. In realtà dissero: quando si verifica il
mancare (qui: l’abbozzo), che determina il legare (nominativo: η, genitivo: ης), per cui,
poi, dal concetto di mancare, come situazione di estremo pericolo,
coniarono il verbo semideponente: aud-eo: oso. Da αὑδή i latini dedussero
ausculto auscultas: sto in ascolto, ascolto, origlio,
che indica ciò che faceva il pastore senza stetoscopio. L’ascolto non è di
molti: prestare la massima attenzione a quello che uno riesce a trasmettere:
saper cogliere il battito della creatura che sta divenendo! Quindi, odo
riguarda ogni suono che l’orecchio percepisce, ascolto è il mettersi in
sintonia con l’emittente.
I latini, per indicare: odoro, ho odore,
coniarono ol-eo, la cui radice si può rendere: è ciò che genera
il disciogliersi (nell’aria?), che determina un sentore. Quindi,
dedussero olente, poi: olentia: odore, da cui: olezzo e
olezzare. Dalla radice ol i latini dedussero olfacio: annuso,
che è ciò che faccio quando sento un odore e in chi ha già annusato si
riscontra l’olfatto. Inoltre, si avvalsero di un deponente per indicare
la capacità olfattiva: odoror: sento l’odore, da cui: odore,
odoroso inodore, e in chi ha odorato si riscontra l’odorato.
Mi piace concludere con alcune considerazioni sul
verbo annusare della lingua italiana (nel mio dialetto si rende con: annasc-care,
dedotto da: i nasc-ch’: le narici, dedotte, a loro volta, da naso),
che dovrebbe essere conseguente ad una modificazione fonica di annasare
e/o ad una sorta di imitazione del verbo ammusare, che indica
l’avvicinare al muso.
[Le opere pittoriche a corredo: Paesaggi liguri
sono di Giancarlo Consonni]