VITA DELLA POESIA
Appunti
di un filosofo di estetica, Gabriele Scaramuzza, e di una musicista, Tiziana
Canfori, sul
libretto di poesie di Gaccione presentato di recente alla Biblioteca Ostinata di
Milano.

Gabriele Scaramuzza
Angelo Gaccione
ci ha di recente lasciato Poeti. Ventinove cavalieri e una dama, con
note introduttive di Vincenzo Guarracino e Alessandra Paganardi, edito nella
Collana “La Carena” (diretta da Silvia Elena Di Donato per le Edizioni Di Felice,
Martinsicuro 2025). I poeti sono per lo più grandi nomi sulla bocca di tutti,
ma anche poeti meno noti, ma non per questo insignificanti. Tutti devono esser
stati amati da Gaccione, “gli hanno detto qualcosa”, in modi e sotto luci
diverse.
Del
tutto originale, e unico a quanto ne so, è l’impianto del libro: ogni composizione
prende l’avvio da un verso di un poeta affermato, spesso grandissimo, e da lì si
innescano versi personali di Gaccione. Parole che si inseriscono nella corrente
di vita sprigionata da quei versi, e testimoniano la risonanza che tuttora esercitano
nelle esistenze di altri. Nella fattispecie di Angelo Gaccione, che si fa qui
portavoce di innumerevoli (si spera) altri, in cui tuttora si danno esistenza
autori scomparsi, ma le cui voci non si sono estinte nella nostra coscienza.
Un
caso particolare per me è il ritorno dell’unica donna presente nella raccolta
di Gaccione: Antonia Pozzi. Figura anche a me intensamente vicina, densa di risonanze
interiori pur nelle differenze che ci separano.
Gabriele
Scaramuzza
Gabriele Scaramuzza |
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IL LEGAME DELLA POESIA DI GACCIONE CON LA MUSICA

Tiziana Canfori
Un incontro di poesia potrebbe
svolgersi nell’imbarazzo, sotto la cappa sinistra della citatissima frase di
Croce secondo cui chi scrive poesie dopo i 18 anni è un poeta o un cretino.
L’autore potrebbe infatti sentirsi a disagio nel dirsi “poeta” e lottare fra
l’amore per le proprie creature e la necessità di mantenere un profilo
convenientemente umile e basso; il pubblico potrebbe rimanere impantanato fra
mille schemi per decidere se collocare il protagonista fra i poeti o fra i
cretini. Per evitare di inciampare in questa trappola ricordo che Fabrizio De
André, si affrettava a rifuggire da ogni chiamata in causa come poeta, con il
dichiarato timore (maniman… avrebbe detto lui da genovese) di poter
passare nell’altra ridicola schiera crociana.
Niente di tutto ciò alla
Biblioteca Ostinata di Milano nell’incontro con Angelo Gaccione: complice un
ambiente nato per la condivisione attiva della cultura, in cui si convive con i
libri in modo confortevole, la presentazione di Poeti. Ventinove cavalieri e
una dama è stata una serata piena di energia e di vero piacere. Alessandra
Paganardi, che ha presentato il libro, ce ne ha saputo proporre la cifra più
autentica, offrendo all’autore la possibilità di raccontarci con sincerità il
suo rapporto con la scrittura poetica.
Da musicista, ho apprezzato
profondamente il legame di questa poesia con la musica, e non solo dal punto di
vista del ritmo e del colore sonoro delle parole, ma più sottilmente
nell’atteggiamento dell’autore. Gaccione ci propone infatti un saggio d’interpretazione,
simile a quello che porta a termine uno strumentista, un cantante o un
direttore d’orchestra: sceglie una schiera di poeti del Novecento fra i suoi
preferiti, ne propone un verso come incipit e da quel verso prosegue in un
approfondimento nel quale la sua vita e la sua scrittura si esprimono tenendo
conto della personalità e dello stile del poeta con cui dialoga.
In musica, se non si potesse fare
questo, non varrebbe la pena di accostarsi allo strumento; nello stesso tempo,
qualsiasi opera musicale nascerebbe morta, costretta ad essere uguale a se
stessa ovunque e per sempre. Simile al diciottenne crociano, il musicista
dovrebbe chiedersi costantemente “che diritto ho, proprio io, di far rivivere
Bach o Puccini o chiunque altro?”.
Invece bisogna avere l’istinto di
riprendere in mano quei mattoni e il coraggio di riutilizzarli per dire una
cosa personale, di nuovo unica e viva. Questo è l’insegnamento di Gaccione, che
dialoga con la propria sensibilità poetica fin da ragazzino e la nutre di letture
ed esperienze per restituircela in questo gioco di specchi in cui ci invita.
L’arte non è un processo lineare, con sviluppi e scadenze obbligati, ma un
misto di intuizione, scuola, fatica, che si sviluppa attraverso la capacità di
filtrare il pensiero di altri e la realtà. È da questo presupposto che l’arte,
e quindi anche la poesia, diventa cibo nutriente da condividere: perché il cibo
va condiviso, non solo celebrato. Gaccione ci ha servito, con gentilezza e
autentica passione, un cibo molto nutriente di cui lo ringrazio.
Tiziana Canfori
