UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 5 ottobre 2025

UNA GIOIOSA FATICA
di Salvatore Di Marzo


Angelo Gaccione

Questo dialogo con Angelo Gaccione è stato pubblicato sabato 27 settembre 2025 su “Eroica Fenice”. “Odissea” ringrazia l’autore e la testata per averne autorizzato la riproposizione anche su queste pagine.  
  
Una gioiosa fatica di Angelo Gaccione, a cura di Giuseppe Langella ed edito nella collana di poesia civile Fendinebbia da lui diretta per la casa editrice La Scuola di Pitagora, è un’antologia poetica di profonda consapevolezza; in essa l’autore non semplicemente raccoglie componimenti scritti durante l’arco della sua vita (1964-2022), bensì definisce le tappe cruciali della propria biografia intellettuale attraverso la poesia. Leggendo le pagine di Una gioiosa fatica si ha la sensazione, infatti, di percepire una quasi totale sovrapposizione tra la biografia dell’uomo e quella del poeta, in quanto le poesie raccolte nella sezione prima, Le ritrovate, sono risalenti alla prima giovinezza di Gaccione ed in esse è possibile già scorgere gli esiti del lirismo che progredirà nei componimenti scritti nell’arco di un’intera vita: una personalità poetica latente che si manifesta all’altezza cronologica a cui risalgono le poesie “ritrovate” e che si definisce lungo l’intero libro, riflesso di un’esistenza intenta nella “gioiosa fatica” del costruire poesia. È sulla base di questa considerazione che Una gioiosa fatica assume la fisionomia di qualcosa di molto di più di una semplice raccolta di poesie. Il lettore di questo libro avrà, dunque, modo di conoscere l’andare e il ritornare poetico di un ingegno dinamico e in continua riflessione, quasi di dialogare con il suo autore, arrivando a comprendere, e a condividere, gli impulsi poetici e morali che danno origine ad ogni verso.


La copertina del libro


Salvatore Di Marzo: La sua raccolta Una gioiosa fatica custodisce il frutto di una devozione poetica durata un’intera vita. Nel suo Incipit, così principia: «La poesia mi è appartenuta. Io sono appartenuto alla poesia». Qual è stata la scintilla che ha originato questo «rapporto cominciato presto e che non si è mai interrotto»?
 
Angelo Gaccione: Penso sia stato un problema di sensibilità, di sensibilità eccessiva impossibile da tenere a bada; non saprei spiegare diversamente questa “urgenza” che ha preso corpo in una età tanto giovane. In fondo ero poco più che un ragazzo quando la scintilla, come correttamente ha detto lei, si è accesa, si è rivelata.
 
Di Marzo: Leggendo l’Ouverture di Franco Loi in soglia del suo volume, si apprende che le due sole poesie che compongono la sezione liminare de Le ritrovate sono scritte all’altezza dei tredici anni circa; rileggendole ora, quale distanza percepisce col suo attuale sentire poetico?
 
Gaccione: Li aveva conservati mia madre quei due brevi testi, e fortunosamente non sono andati dispersi. Riletti da adulto mi sono stupito del disagio che rivelano e dell’inquietudine che fermentava nell’anima di un adolescente qual ero. Forse quel sentire ha contaminato tutto il percorso poetico fino all’età tarda.
 


Di Marzo: Ancora nel suo Incipit, scrive: «Ho letto e continuo a leggere i poeti di ogni luogo e di ogni tempo, e senza prevenzioni, tanto che posso con semplicità affermare che la poesia ha riempito la mia vita e me ne sono nutrito. In maniera discreta, ma continua, l’ho sempre praticata». In virtù di questo, quali sono le tappe e i modelli principali della sua continua pratica e formazione poetiche?
 
Gaccione: Una gioiosa fatica comprende una parabola temporale molto lunga ed è naturale che la pratica poetica venga influenzata dal nostro vissuto e dal nostro sguardo sul mondo. Le sezioni in cui è diviso il libro, dodici (per coerenza con la Collana editoriale sono state tenute fuori altre cinque sezioni che componevano l’intero corpus: Le amorose, Le svagate, Le appassionate, Le attonite, Le amare), lo mostrano sia per tematiche che per stile. O, se preferisce, per mutamento di sguardo e di linguaggio.
 
Di Marzo: Già ad una prima lettura, balza all’occhio la natura composita di Una gioiosa fatica e delle sezioni che compongono il volume. In termini di cronologia delle poesie, ad esempio, nel gruppo de Le straniere, risalenti agli anni ’80, appare una poesia datata ottobre 2019; o, ne Le milanesi, il lasso temporale abbraccia i primi anni ’80, il 1999, per poi balzare al 2020, tornare indietro al 2006 e ritornare al 2019; ciò si verifica anche per altre sezioni. In tal senso, quale è stato il criterio di selezione e di ordinamento delle poesie della sua raccolta?
 
Gaccione: Come scrive il filosofo Fulvio Papi nella sua postfazione, ho preferito una enucleazione per temi “rispetto al segno temporale”. Anche se come avrà visto tutte le poesie portano una data e un luogo. Mi sembrava più coerente procedere secondo questa scansione, proprio in virtù del senso e della ripetizione di cui ha parlato Papi.


Gaccione in un dipinto
di Max Hamlet
 
Di Marzo: In un componimento de Le illuminate, non titolato, scrive: «Fermate la morte sull’uscio | datemi il tempo di raccogliere | le ultime conchiglie | dopo la bassa marea | devo ordinare le mie carte | e spolverare il vestito | voglio che la morte | mi trovi pulito». Se messo in relazione con i versi di altre poesie di carattere più strettamente civile (ad esempio Ventinove versi, 2011; Cinquantanove versi, 2011; Da una parte sola, 2020; Poesia impertinente, 2022), è possibile notare un’antinomia tra l’io lirico, super partes ed esplicitamente espresso, e un ‘voi’ o un ‘loro’. Cosa può dire di questo legame antinomico del suo ‘io’ col mondo?
 
Gaccione: Tutta questa raccolta, ma direi la mia intera produzione poetica, oscilla fra un io lirico ed esistenziale più privato e un io sociale che si confronta con quella che potremmo definire una macro-realtà senza confini. Una macro-realtà a volte scandalosamente empia e disumana, pullulante di vite e di eventi a cui l’io sociale non può restare indifferente. Un io sociale che si indigna o riflette e si fa voce collettiva.

Gaccione con il poeta Franco Loi

Di Marzo: Emerge una tensione ‘civile’ nella sua opera che è difficile non notare. Cosa significa per lei ‘poesia civile’ e in che modo essa ritrova utilità in un mondo che pare alla deriva?
 
Gaccione: Nella raccolta di riflessioni e aforismi dal titolo Schegge uscita nel 2024, c’è n’è uno che ha per titolo “Poesia civile” e così recita: “È civile tutto ciò che oppone l’umano ad disumano”. Ogni volta che ci opponiamo al disumano noi facciamo una scelta civile. Per citare le parole del critico e poeta Giuseppe Langella, nessun poeta dovrebbe “Distogliere lo sguardo dall’abisso verso cui siamo incamminati” perché se lo facciamo questo ci renderà “complici del più assurdo genocidio della storia terrestre: la cancellazione della specie umana”. Dobbiamo contribuire a “scongiurare il peggio” come scrive Langella, usare anche la parola poetica per porre un argine al male, per “rendere meno maledetto il mondo” come ebbe a scrivere Elsa Morante. Senza dimenticare l’impegno personale portando il proprio corpo là dove l’empietà e il disumano lo esigono; mescolandolo agli altri corpi che parlano e si muovono concretamente dentro lo spazio pubblico. È una lezione che ho fatto mia sin da giovanissimo e non ho mai derogato.


Gaccione con il poeta
Filippo Ravizza
 
Di Marzo: La figura femminile nelle sue poesie sembra assumere un valore particolare: essa pare talora consentire una prospettiva diversa all’osservare poetico (Vecchiaia, 2014), talaltra appare come pacificatrice del suo ‘io’ col mondo (vedi ad esempio Place de la Concorde, 1980). Ci parla della presenza della donna nei suoi versi?
 
Gaccione: In questa raccolta mancano alcune sezioni: le amorose, le appassionate, e anche le dolorose espunte per esigenze editoriali. Tuttavia qualche eco si può trovare in testi come Anniversario o Acrostico. Qui si tratta di donne che mi appartengono per consanguineità, e i versi si riferiscono ad un evento lieto: l’ingresso nel mondo della mia adorata nipotina. E poi c’è La conta, gioiosa ma dal retrogusto amaro. Forse la presenza femminile più pregnante si trova nei ritratti che ho composto numerosi nel volume di racconti Sonata in due movimenti e nei testi teatrali raccolti nel volume Ostaggi a teatro. Ma se me lo permette vorrei regalare ai suoi lettori questo testo inedito che si trova nella sezione delle amorose. È del 18 ottobre del 2021, non ha titolo, ma mi rappresenta abbastanza.
 
E quando arriverà la pioggia,
quella che il vento sferza di sghimbescio
– la più amara e anche traditrice –
io sarò lì con te per sostenerti.
 
Terrò saldo nel pugno il parapioggia
quello più grande, quello di riserva,
per ripararti da ogni sua ferita.
 
Per gli occhi no, non ci sarà riparo,
ma il pianto puoi adagiarlo sul mio petto
lo terrà caldo e gli darà conforto.


Gaccione con il filosofo Fulvio Papi
 
Di Marzo: La tematica della morte è presente indirettamente in varie poesie (ad esempio nella sezione Le sacre), ma sembra palesarsi maggiormente sul finire del libro, nel gruppo de Le ultime, che raccoglie poesie risalenti a novembre 2022: ne sono un esempio Misteri e Istinto e destino; tale tematica sembra intrecciarsi a quella trascendente, riflessa da una prospettiva umana (Dio e la chimica, Non est requiem, Controversia sull’anima). Inoltre, in tal senso, mi viene in mente l’incipit di una poesia precedente, Per padre David Maria Turoldo (2015-2016): «Sono venuto sulla tua tomba di credente | perché hai tuonato spesso contro il Cielo | e la tua fede ha più volte vacillato». Quale è il rapporto della poesia con la fede e il trascendente? Cosa può dire a proposito?
 
Gaccione: Nel libretto Poeti. Ventinove cavalieri e una dama pubblicato dalla Di Felice Edizioni, c’è un testo che ha per titolo “Testori”. In quei versi ho immaginato un irrisolvibile conflitto fra il poeta e Dio destinato a non avere tregua. Il rapporto della poesia con la fede e la trascendenza ha una lunga tradizione e basterebbe fare i nomi di due giganti come Rebora e Turoldo. E quello dello stesso Testori, naturalmente. Io sono più interessato alla sacralità delle cose e degli esseri. Soprattutto alle cose più umili e minute su cui gli uomini hanno lasciato i loro segni, infuso la loro intelligenza, nate dalla loro passione. Un semplice oggetto passato di mano in mano, privo di valore di scambio, può arrivare a commuovermi. Come le vite umili, pacifiche, spoglie, private da ogni male. La raccolta Spore pubblicata alcuni anni fa da Interlinea rivela quanto quei versi siano impastati di sacralità.  


 
Di Marzo: Milano trova spazio privilegiato nei suoi componimenti, sia come luogo della loro stesura sia nella precipua sezione Le milanesi: città reale e città ideale, ambiente e carattere dei suoi versi. Quale è il legame della vera Milano con la Milano poetica?
 
Gaccione: Domanda difficile. La Milano “poetica”, architettonicamente poetica, dalle atmosfere poetiche, è stata umiliata e violentata. La guerra con i bombardamenti da un lato ed il saccheggio urbano dall’altro ne hanno disperso i tratti. I poeti l’hanno celebrata numerosi, come ho dimostrato con le due antologie da me curate per la Viennepierre: Poeti per Milano e Milano in versi. Poeti di ogni luogo, soprattutto non milanesi. Io posso parlare del mio rapporto con Milano, con la mia Milano, su cui ho scritto molto e continuo a farlo. Scrivo in sua difesa e scrivo delle sue bellezze e del suo degrado. Scrivo del suo muto dolore e del mio. A volte prevale lo sconforto, e per non disperare del tutto mi ripeto mentalmente i versi di Città mia che si trova a pagina 55 di Una gioiosa fatica. E mi rassereno.



Per richieste libro:
info@scuoladipitagora.it
Tel. Tel. 081 7646814 - fax al numero 081 7646814
Attraverso le librerie e Amazon
 

 

 

POETI


R. M. Rilke

La concezione del “Weltinnenraum”, dello “spazio interno del mondo” di R. M. Rilke, si dispiega in tutta la sua potente eppur drammatica e malinconica spiritualità nei versi dedicati ad un Giorno d’autunno” (Herbsttag), poesia composta nel 1902 e appartenente alla raccolta Das Buch der Bilder (Il libro delle immagini), in cui il connubio fra religiosità, nel senso etimologico che ne dà Lattanzio dal latino “religare” (ricreare legami con il divino) e poesia, diviene sentimento impalpabile inciso nella scrittura. [Anna Rutigliano]
 
Giorno d’Autunno
di R.M.Rilke



Signore: è giunto il tempo. L’estate è stata molto lunga.
Posa ora la tua ombra sulle meridiane,
e lascia che i venti spirino nelle correnti.
Fa’ in modo che gli ultimi frutti siano maturi,
concedi loro ancora due giorni di meridione,
spingili alla pienezza e inseguine
nel vino pesante l’ultima dolcezza.
Chi ora casa non ha, non più una ne avrà.
Chi ora in solitudine è, a lungo tale rimarrà,
veglierà, leggerà, lunghe lettere scriverà
e per i vicoli qui e là vagherà,
 inquieto, nel fluttuare delle foglie.
(Trad. A. R.)
 
 

  

CINEMA
di Marco Sbrana
 

Legge, hybris e animalità su As bestas di Rodrigo Sorogoyen.


Nelle montagne spagnole in cui si ambienterà la vicenda, era tradizione locale strappare la criniera ai cavalli con l’ausilio delle sole proprie forze, a mani nude. E, subito dopo questa notizia storica, ha inizio l’opera di Sorogoyen, presentata nel 2022 a Cannes. Una coppia francese si è stabilita in un quasi abbandonato villaggio spagnolo. Si è esposta, andando contro la tendenza dei locali, che volevano vendere le terre a un’azienda eolica norvegese, sperando, con il ricavato, in una vita migliore, resa impossibile dai progetti dei due, che diventano bersaglio di una persecuzione da parte di due fratelli del luogo. I quali fratelli, inizialmente, rovinano il raccolto della coppia tramite due batterie poste nel pozzo che alimenta il terreno. E questo evento, quando viene inquadrato, ha l’aria di essere non plus ultra. Non lo è: Antoine, il protagonista, verrà soffocato, tenuto fermo da entrambi i fratelli, com’è lui un uomo estremamente massiccio, alla stessa stregua dei cavalli che vediamo, nella sequenza iniziale al ralenti, venire trattenuti.
Sin dalla prima sequenza - e anche dal titolo - Sorogoyen evidenzia uno dei nuclei tematici portanti del film: il concetto di bestialità, che nel corso della narrazione si declinerà in modi affatto differenti.



As bestas è un film di domande insolute. Netto, preciso, una sorta thriller rurale che vede, nell’epilogo tragico della persecuzione, non lo scioglimento dei nodi ma la creazione di inedite difficoltà per la moglie di Antoine, Olga, rimasta sola. A dire di lei, lui volevano morto mentre lei non rischiava. Ma la sua infinita solitudine non gode di placidità; vive anzi l’oppressione del paese tutto, per essere “moglie di” quello che ha impedito la vendita dei terreni. È più volte esplicitato che, con il ricavato, nessuno avrebbe potuto cambiare vita. E più volte si cita la Storia. Viene attribuita a Napoleone una frase in prossimità del tentativo di invasione della Spagna: “Gli spagnoli sono degli idioti del cazzo”.
È insomma un film di territori. Non solo quelli filmati - che circondano di ameno (scelta che ricorda Midsommar di Ari Aster) il crescendo di barbarie - ma anche quelli respirati, quelli della storia privata dei singoli personaggi. Ma è anche, As bestas, un film di paradossi (il più grande dei quali si rivelerà essere quello della Legge). Sì, perché se, da una parte, gli indigeni sono ovviamente legati a quel villaggio, nulla fanno per mantenerlo vivo; gli unici che agiscono - rifiutando la proposta dell’azienda norvegese - sono Antoine e Olga, che mirano alla ristrutturazione delle case derelitte perché possano un giorno ospitare nuove persone (attività parallela a quella dell’orto).



Si scontrano due griglie valoriali. Quella che, in teoria, provenendo la coppia francese dalla metropoli, si presupporrebbe (con pregiudizio, sì) essere materialista, è in realtà quella a cui il denaro importa poco; gli indigeni, che dovrebbero essere legati alla terra, non vedono l’ora di venderla. Sorogoyen è astuto nel porci Antoine e Olga immediatamente come vittime per cui parteggiare, salvo poi lasciar trasparire le ragioni dei “buzzurri di montagna”. Che, dice il fratello maggiore, uno dei due assassini, hanno condotto una vita a spezzarsi la schiena e, giunta l’occasione per liberarsi dello sforzo senza ricavato alcuno se non una sbronza quotidiana a buon mercato, si vedono strappato il sogno da un altro sogno. Il sogno di chi ha meno diritto a sognare, cioè la coppia francese, stabilitasi lì da due anni soltanto, e che pure - nella trattativa con l’azienda norvegese - è diventata ago della bilancia.
Ed è un nuovo paradosso: è vero che, indipendentemente dal tempo in cui mi trovo in un luogo, i miei diritti sono identici a quelli di chi nel luogo vi è nato, ma questo è il modo giusto di vederla. Il film propone - fin dall’inizio - un’altra visione. 
Si badi, a scanso di equivoci, Sorogoyen non giustifica l’omicidio di Antoine e confeziona un film che è anche (solo superficialmente, ad avviso di chi scrive, contro la xenofobia), ma propone la visione animale del mondo. Se un animale ha fatto tana in uno spiazzo, e un altro animale, in un tempo successivo, a sua volta vi fa tana, a decidere per lo spiazzo - ripeto, nella logica animale che fortunatamente non ha Costituzione scritta - non sarà mai l’animale venuto dopo. Sorogoyen è onesto, nel suo prendere posizione a favore di Antoine e Olga, nel mostrarci le fila del ragionamento dei violenti e, diciamolo di nuovo, ingiustificabili comprimari.



E lo diciamo di nuovo perché As bestas - film di genere a tutti gli effetti che riesce a ricoprirsi di strati semantici su strati semantici - parla della battaglia per agire e vivere nella legalità contro il sopruso, ma trasla quella che avrebbe potuto essere una pellicola di stampo legale in un contesto che va alla radice dei conflitti umani, alla radice brutale delle dinamiche di potere, alla mera sopraffazione, alla bestialità. 
Viene affrontato il concetto di terra e di appartenenza con un tono che è quasi da parabola biblica, dove la prima immagine dei cavalli si sovrappone allo strangolamento (lungo perché difficile, difficile perché ammazzare è difficile – e questa è etica dello sguardo, come insegna Nanni Moretti nell’ultimo Il sol dell’avvenire) di Antoine. Si trasforma poi, As bestas, in un film sul concetto di giustizia e sulle sue aporie. Perché, morto Antoine, nessuno che se ne sia importato. E i colpevoli - a tutti noti - sono rimasti impuniti.



La figlia della coppia raggiunge Olga e le due si scontrano, perché questa ha consacrato la vita alla ricerca del cadavere del marito, in un’ossessività prossima alla psicosi, versando in un isolamento totale, nell’oppressione, nella minaccia, come dicevamo prima. La Legge è stata calpestata dal momento che le forze dell’ordine stesse non si muovono per agevolare le ricerche di Olga, ma la lasciano colpevolmente fare in solitudine. Ci si lascia alle spalle il concetto di hybris. Perché nell’atto della coppia una hybris la potevano vedere solo i due fratelli assassini, il cui ragionamento è tratteggiato come logica del sopruso e legge del più forte. Adesso il dramma è quello dell’individuo lasciato solo dalle istituzioni, che non riconoscono l’ingiustizia e anzi delegittimano la vittima. Perché nessuno ha fatto nulla? Perché conveniva, dice il regista.
Ma quando Olga trova la videocamera (con la quale Antoine ha filmato invano tutti i soprusi, compreso quello definitivo, legando la macchina a un albero), la situazione cambia, non perché la memory card venga ritrovata ma perché nei pressi della camera deve trovarsi il corpo: così è, e il film si chiude con un primissimo piano di Olga scortata dalla polizia.



Ma non c’è pacificazione, per lei. Potrà appianarsi l’ossessione, di fatto conclusa. Ma dovrà decidere se restare in un paese già ostile e che diventerà soffocante una volta che Olga passerà per quella che “ha fatto arrestare” i due fratelli, o se rinunciare al sogno senile di vivere di un orto e tornare in Francia, in una parimenti dolorosa solitudine.
Sollevando temi attuali quale la colpevolizzazione della vittima, As bestas assolve la sua funzione di film thriller che, facendo del crescendo di atrocità la sua forza (e in questo ricordando la discesa verso il sempre più marcio dei film, mi viene in mente, di Michael Haneke), getta luce sulla radice marcia dei rapporti umani, in un non nuovo ma attuale homo homini lupus.

SCAFFALI
di Andrea Meregalli


Davide Chindamo
 
Il mistero della Poesia: intorno a Dimmi, a cosa stai pensando? di Davide Chindamo.
 
Dimmi, a cosa stai pensando? Non è solo il titolo della raccolta di Davide Chindamo (Capponi editore, 2025). È una domanda che mi seduce, mi fa riflettere. Penso subito a lei, alla persona amata: sento il bisogno di leggere il libro per leggere lei, e di comprendere le poesie per comprendere lei; sfiorare ogni pensiero, ogni sensazione che a lei mi rimanda, per fare di noi una cosa unica. Leggo, e mi accorgo che sono poesie che offrono riparo ai ricordi: siamo distanti, vicini o separati, eppure la figura di colei che amo riaffiora indelebile alla mia memoria; il suo profilo è irremovibile, e quando leggo la sento mia. Così, per non lasciarla scappare, ho deciso di sigillarla tra queste pagine. La respiro in ogni singola lettera, e capisco il mistero della letteratura: ognuno vedrà l’immagine della persona amata, perché, in fin dei conti,l’amore è universale. Ogni pagina per me ha il sapore di lei, e sono certo che ognuno può attingere da queste la fragranza dell’affetto più caro. Per questo mi rivolgo a te, lettore, con la speranza che tu faccio lo stesso. Sei di fronte ad una silloge che permette di astrarti e abbandonare il caos e la velocità dell’epoca moderna. Avvolgiti in ogni singola poesia e lascia che il pensiero si perda nell’infinito, per poi ritrovarsi. Respira, e senti tuo ogni attimo. Fa’ sì che i ricordi riaffiorino dove la razionalità non ha accesso e fatti colpire indifeso, per assaporare ogni pulsione al massimo della forza. Fermati, rilassati. Prendi tempo. Non scappare dalle paure. Abbandonati al movimento delle onde e lascia che le sensazioni scorrano libere, per poi schiantarsi, e scomparire sulla riva: così potrai navigare tra le pagine di questo libro.
Lasciati trascinare in questo turbolento vortice di emozioni, e scoprirai come i gesti più semplici possano essere la salvezza più grande: «A volte lo sguardo / quando è intriso d’amore / può salvare una vita» (Gratitudine). Affronta il baratro della perdita, fai esperienza del dolore e annega per nascere di nuovo; e la mancanza si farà primigenia forma d’amore: «Io continuerò a viverti per sempre, / perché il fardello della tua mancanza / è un fratello che non manca mai» (Mancanza). Abbandona la paura del giudizio, e lasciati cadere nelle braccia di chi, una volta scoperto l’oceano che tieni nascosto, ti dirà lo stesso: «Mi serve saperti felice / per essere felice anche io» (Innamorato).
Vinci il tormento, attraversa la sofferenza, e scoprirai di non essere il solo a subire il dramma di un amore non corrisposto: «Ti amo talmente tanto / che sono giunto alla riva dell’odio, / poiché non riesco a reprimere l’amore / che tu da tempo più non desideri.» (Tormento).
E tu, lettore, che hai perso il coraggio di amare, perché deluso da colui o colei che non meritava il tuo affetto, che non riesci a mostrare il tuo io, fai sfociare la rabbia in un pianto ribelle; fatti coccolare e comprendere dalle parole tessute per te: «Anche io odio e amo, / poiché credevo alle tue parole; / ma in realtà scrivesti il mio nome sul vento veloce / e sull’acqua corrente» (Odi et amo).
E tu, che ormai pensi vuoto e privo di senso il tuo cammino senza di lei, ricorda che la sua stella brillerà per sempre nel tuo cielo e la sua luce non smetterà mai di splendere nel tuo firmamento. Ma dovrai accettare la sua lontananza, il suo essere altrove. Così ritroverai finalmente pace nell’anima: «E il lago, quel lago verdastro e pacato, / si fa distesa su cui camminare insieme. / Ma tu sei altrove, imbrigliata nel cielo» (Nelle sere d’estate).



Non farti logorare dalla distruzione che ha trovato terreno fertile. Riconosci le ferite, metabolizza il passato e alimenta la forza del perdono e dell’empatia. E potrai incontrarla, e il vostro abbraccio traboccherà in un pianto d’oro che sigillerà l’amore; sarà la vostra cura: «Abbracciami, così come sei, / claudicante e fragile, e distrutta / dalle tante ferite che sanguinano. / Anche io, come te, mi sento / un insieme di stracci e di cenci, / un brandello di muro pericolante. / E quando ti avrò tra le mie braccia, / noi piangeremo a dirotto, e le lacrime / diventeranno oro che aggiusta i cocci» (Kintsugi).
Ricordati che il ritratto di lei non sarà mai sbiadito, se custodito con cura nella cornice del cuore. Ogni notte, lei apparirà in sogno e ti sentirai di nuovo vivere; la percepirai accanto a te, sentirai ogni suo respiro, ogni tocco e la sua figura sembrerà di nuovo viva. Tuttavia, il risveglio porterà con sé la disillusione, l’assenza di lei, e la lama del suo ricordo ti trafiggerà lo spirito: «Finché potrò sognarti, / sarò certo di avere tue notizie: / saremo io e te, e quel noi terminale. / Finché saprò sognarti, / il sogno di notte sarà carezza; / al risveglio sarà mannaia» (Finché potrò sognarti).



Anche l’amore più forte può giungere al termine. Ma sentirai ancora una parte di lei sussurrare ai tuoi rimorsi, ai tuoi rimpianti. Ma la tua voce sarà come la luce di un faro, capace di farsi vedere anche da lontano. E quando lei sarà tra le braccia di un altro, al brillare di quella luce, i suoi occhi saranno trafitti da un lampo che raggiungerà i suoi dubbi. Sul suo volto apparirà un sorriso, e la tua linfa tornerà a scorrere dentro i suoi pensieri: «Quando dormirai con un altro / uomo, sarò da te con la mia voce; / non temere, sarò scaltro, ma tu / fammi arrivare al tuo cuore. / Mi riconoscerai, credimi, e sentirai / il nome proibito come un dito / che sfiora un giglio: sarò come / un figlio inatteso ma gradito. / E se lui ti chiederà la ragione / del tuo sorriso, sorto per sbaglio, / tu gli dirai che spesso i sogni / sono più vivi di un pugno.» (La voce).
Credimi, lettore. Passa da capitolo in capitolo, da Osmosi a Ubriacatura a Influssi e Influenze, e riconosciti in queste poesie da leggere. Lasciale decantare, gusta il Segreto. Permetti ad ogni parola di passare come uno scossa lungo il corpo e naufraga dolcemente nell’amore.
Non sentirti mai debole o fuori luogo a causa della tua sensibilità. Sfogliando queste pagine, scoprirai di non essere l’unico a percepire i sentimenti rimbombare incessantemente tra le pareti della mente. Non ti sentirai più solo, né inadeguato, quando leggerai di chi, come te, si lascia lacerare dal dolore di un amore non corrisposto; e che riesce, al tempo stesso, ad espandersi e a ritrovarsi ogni volta che si innamora.
Abbandonati alla musica di ogni verso, di ogni strofa. Ogni lettera sarà una nota sullo spartito del tuo amore: suonerete la stessa musica, tu e il Poeta, che ha saputo dare forma alle tue inquietudini e alle tue fantasie. Come un canto di ninfe, la poesia ti avvolgerà nell’illusione più dolce: quella di vivere in eterno e di amore per sempre, anche solo per un istante.
Queste sono cento poesie che raccontano il bisogno umano di vivere seguendo l’istinto primordiale dell’amore. Una forza che permea ogni atomo del nostro corpo e intacca ogni secondo della nostra vita, permettendoci di sentirci vivere e di sentire il vivere degli altri dentro di noi.

EVENTI
Al Teatro Bruno di Pasturo (Lecco) per Antonia Pozzi.    





EVENTI
Cataldo Russo all’Auditorium Marchesini di Settimo Milanese. 



Cliccare sulla locandina per ingrandire



sabato 4 ottobre 2025

IL COMUNICATO DI HAMAS


 
Speriamo che la sofferenza dei palestinesi dei rapiti israeliani e dei loro  familiari possa avere fine.


Al fine di fermare l’aggressione e la guerra di sterminio a cui è sottoposto il nostro popolo saldo nella Striscia di Gaza, e in conformità alla responsabilità nazionale, e per preservare i principi, i diritti e gli interessi supremi del nostro popolo, il Movimento di Resistenza Islamica “Hamas” ha condotto approfondite consultazioni con le sue istituzioni di leadership, ampie consultazioni con le forze e le fazioni palestinesi, e consultazioni con mediatori e amici fraterni, per giungere a una posizione responsabile nell’affrontare il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Dopo uno studio approfondito, il movimento ha preso la sua decisione e consegnato la sua risposta ai mediatori come segue:
• Il Movimento di Resistenza Islamica Hamas apprezza gli sforzi arabi, islamici e internazionali, così come quelli del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che chiedono la fine della guerra su Gaza, lo scambio di prigionieri, l’ingresso immediato degli aiuti, il rifiuto dell’occupazione e il rifiuto dello sfollamento del nostro popolo palestinese.
• In questo contesto, e al fine di raggiungere un cessate il fuoco e il ritiro completo da Gaza, il movimento annuncia la sua approvazione per il rilascio di tutti i prigionieri israeliani, vivi o morti, secondo la formula di scambio inclusa nella proposta del presidente Trump, a condizione che le condizioni sul campo consentano il processo di scambio.
 • In questo contesto, il movimento conferma la sua disponibilità a entrare immediatamente in negoziati attraverso i mediatori per discutere i dettagli.
• Il movimento rinnova inoltre la sua approvazione alla consegna dell’amministrazione di Gaza a un organismo palestinese di indipendenti (tecnocrati) basato sul consenso nazionale palestinese e con il sostegno arabo e islamico.
• Per quanto riguarda le altre questioni menzionate nella proposta del presidente Trump relative al futuro di Gaza e ai diritti intrinseci del popolo palestinese, queste sono collegate a una posizione nazionale complessiva basata sulle pertinenti leggi e decisioni internazionali. Esse saranno discusse all’interno di un quadro nazionale palestinese complessivo, del quale Hamas farà parte e a cui contribuirà in modo responsabile”.
 
La risposta di Hamas è stata studiata bene e appoggiata dalla Turchia e Qatar, a Gaza la gente sta festeggiando, incrociamo le dita. La sofferenza dei palestinesi e dei rapiti israeliani deve finire.

Privacy Policy