ACQUA
PUBBLICA: PER UNA NUOVA VISIONE
di
Emilio Molinari
Con
questo intervento letto il 18 gennaio scorso al Convegno promosso dal Forum
Italiano dei Movimenti dell’Acqua, tenutosi a Milano nella sede delle Acli di
via della Signora, e che “Odissea” è lieta di ospitare, Emilio Molinari, che è
uno degli esponenti più in vista del Forum, ci invita a riconsiderare il
diritto all’acqua come una battaglia globale e sempre più aperta ad una visione
mondiale. Gli spunti qui proposti mirano in quella direzione. I pericoli sono
ovviamente grossissimi: le multinazionali tentano di piegare ai loro interessi
ogni sovranità pubblica e popolare; ad impossessarsi dei beni naturali che
devono restare diritti universali. A due anni e mezzo dal referendum vittorioso
(12-13 giugno 2011) per l’acqua pubblica, si tenta di vanificare quella
straordinaria mobilitazione popolare nata dal basso.
Pretendere
che la decisione popolare di quel referendum venga applicata in tutto il suo
significato, resta un imperativo categorico per ciascuno di noi.
Ciò di cui
discutiamo oggi, è: la tariffa, il ruolo dell'AEEG, la perdita di
sovranità degli enti locali che ne deriva e la vocazione al suicidio da parte
dei comuni stessi, il referendum tradito. Ma tutto ciò viene da lontano è il
riflesso della politica Europea e mondiale e della cultura che irradia nelle
istituzioni. È in gioco la mercificazione globale
dell'acqua e la sovranità di tutte le istituzioni (stati, enti locali, UE
stessa) delle costituzioni, del bene pubblico) che vengono trasferiti ad organismi
privati e transnazionali.
La
crisi e il debito pubblico vengono, a tal fine, usati come clavi per vincere la
resistenza dei cittadini e dei lavoratori alle privatizzazioni. Resistenza che
i movimenti dell'acqua hanno concorso a determinare in Europa e nel mondo.
Da
qui la necessità di ridare vigore alla narrazione universale
dell'acqua, di mettere in campo nuovi obbiettivi e campagne capaci di ricreare
nuova consapevolezza di massa. Chiamare altre realtà di movimento come quelle
per il cibo e l'energia, le ONG a fare sinergie con noi. Scuotere la politica e
parlare di nuovo alle masse (anche con l'orizzonte delle elezioni europee).
I
ricercatori universitari: Chiara Carrozza ed Emanuele Fantini hanno
scritto, che le motivazioni prevalenti nel voto di 27 milioni di persone e di 4
milioni attivate, non sono meramente economiche (i costi, la tariffa,
ecc.), ma sono la narrazione del bene comune da cui dipende la vita e
i pericoli di una consegna ai
privati del fondamentale elemento naturale
per la vita di tutti. Questi argomenti hanno permesso di sconfiggere nel
referendum le tesi dominanti degli economisti senza anima: sull'incapacità
del pubblico, l'efficacia, l'efficienza e l'economicità del mercato e del
privato.
Tesi
che oggi vengono riproposte nei piani europei e trattati internazionali ed
estese su scala ancora più ampia e globale:
-il Water Parnership di Obama
- il trattato USA /UE che da questo
prende ispirazione
-Il Blueprint della commissione
europea.
Tutti
partono da una affermazione:
siamo
nel pieno di una crisi idrica (io preferisco definirla disastro idrico, la
crisi da l'idea di un qualcosa da cui si può
uscire con correttivi).
I
profeti di sventura dell'acqua sono tanti: sono le agenzie dell'ONU, l'UE, gli
USA, la Banca Mondiale e soprattutto gli organismi transnazionali che ormai
proliferano: il Consiglio Mondiale dell'acqua controllato da Suez e
Veolia, il CEO Water Mandate ovvero il patto tra 50 multinazionali di tutti
settori dall'agroalimentare, alla energia, alla grande distribuzione,
all'automobile, ecc.
Il
Water and food for live della Nestlè, il Barilla center for food
and nutrition, che si candida ad autority mondiale e lancia il Protocollo
di Milano su cibo e acqua e chiede alle istituzioni di sottoscrivere e
legiferare in tal senso.
La
crisi idrica.
Il
rapporto dell'intelligence USA di Hillary Clinton parla, a partire dal 2022, di
conflitti e di guerre, del Mediterraneo in fiamme, e dice: “sono prospettive
che potrebbero danneggiare gli interessi degli USA e delle sue imprese”.
Il
Blueprint dell'UE che parla dello stato delle risorse idriche europee: 1/5 del
territorio a rischio di carenza d'acqua, il 57% dei fiumi in pessimo stato, un
peggioramento al 2030.
E
tutti ci dicono che a metà del secolo, il 70% della popolazione vivrà nelle
città con il conseguente problema dei servizi essenziali.
Affermazioni
che non partono dalla consapevolezza di dover cambiare l'idea della crescita ma
dal come assicurare acqua alle imprese.
Da
qui
Una
estensione del concetto di monetizzazione a tutta l'acqua e non sono della
gestione, ma di fatto della proprietà risorsa.
Spariscono
dal vocabolario politico/ legislativo le nozioni di diritto e di mantenimento
della naturalità delle fonti idriche, dell'essere fonte di vita, della loro
sacralità.
Si
afferma l'ineluttabilità della:
-
finanziarizzazione globale della risorsa naturale:
-
la perdita della sovranità della politica, degli stati, delle comunità locali,
della stessa Europa verso i poteri transnazionali:
-
l'annullamento della partecipazione e delle lotte dei cittadini;
-
il water grabbing, nuova “corsa all'oro”
-
il modello cileno della lottizzazione dei fiumi e la vendita delle concessioni
crediti idrici sul modello di quelli della CO2 e le banche di mitigazione a
regolare tali crediti.
Nel
Blueprint e
nei documenti collegati questo risulta chiaro.
L'acqua
scarseggia? Occorre produrla con l'innovazione, le tecnologie di depurazione
e rimessa in ciclo (dovrà essere chiaro che berremo acqua più volte depurata) è
quanto avviene già a Singapore e a Los Angeles, di desalinizzazione (altre
tecniche che se ci ragioniamo, portano alla concessione/mercificazione del
mare), di purificazione. Occorre trasferirla da un posto all'altro, quindi (tecniche
di trasferimento), risparmiarla (con le tecnologie per il risparmio per unità
di prodotto in agricoltura, nell'industria e nel domestico)
La
green economy e tecnology come opportunità di crescita produttiva: la
“sostenibilità dell'insostenibile”.
Expo
sarà la vetrina di queste politiche: il made in Italy, il risparmio idrico,
ecc.
Innovazione,
tecnologia, finanza per coprire i costi
Quindi
il full ricovery cost applicato a tutte le acque e a tutti gli usi e quindi
naturalità dei criteri chi: “inquina paga”, chi “consuma paga”, del mercato
come unico regolatore dei consumi e della concorrenza tra le multinazionali
stesse per accedere all'acqua.
Risultato:
il grande passaggio epocale al prezzo dell'acqua e alla borsa dell'acqua, un
tragico passaggio epocale
frenato
dai referendum e dal milione e mezzo di firme, di ICE e dai successi della ripubblicizzazione di Berlino.
Il
trattato USA /UE.
Siamo
di fronte ad una riedizione più feroce della Bolkestain con inclusi i servizi
idrici. Un primo incontro è avvenuto il 20 di Novembre e l'accordo è atteso per
il 2015.
Le
aziende potranno obbligare gli stati e gli enti locali a rispettare le leggi
commerciali del trattato.
Gli
stati e i cittadini verranno giudicati da Tribunali arbitrali aziendali e dagli
avvocati.
La
politica tutta e la volontà espressa dai cittadini con i referendum o le loro
lotte per cambiare le leggi nazionali, possono essere messe in discussione
dalle aziende e soggette a forti penali.
Il
trattato apre alla concorrenza a tutti i settori di interesse generale. Gli
stati saranno costretti a sottomettere i servizi pubblici e a rinunciare ad
intervenire sui fornitori stranieri di questi servizi che ambiscono ai loro
mercati.
Tutto
questo avviene in grande silenzio “per non creare ansia e senso di
minaccia da parte dei cittadini”, come recita un memo riservato
sull'incontro, in possesso di IRPI.
Concludendo,
da qui nasce la necessità per il movimento dell'acqua di tornare a guardare al
mondo, a mettere in campo nuovi contenuti le nuove campagne sulla
Costituzionalizzazione dell'acqua nel mondo. Ma anche quella di riprendere un
nostro contenuto, votato in tutte le nostre dichiarazioni ai Forum Alternativi:
quello di Una Autorità mondiale pubblica. Cogliendo con logica di battaglia
politica, d'informazione alternativa, l'opportunità di Expo 2015. Non ha senso
la nostra indifferenza a questo evento. Come non ha senso l'indifferenza della
galassia dei movimenti dei Social Forum mondiali.
Questo
impegno l'abbiamo preso come Contratto Mondiale ed è un impegno anche mio per
le forze di cui dispongo, che intendiamo mantenere assieme al Forum.
Non
sono in discussione i ricorsi, le azioni giudiziarie, la vertenza con le
istituzioni locali e la tariffa; -cose più che mai necessarie- ma è in
discussione il rilancio di una grande idea che ha dato senso universale alla
nostra battaglia e che ci ha permesso di vincere e cambiare la politica in
tante parti del mondo.
Navi libiche anti-migranti. Paga l’Italia
di Antonio Mazzeo
Sei milioni e
mezzo di euro in nove mesi per addestrare gli uomini della Guardia costiera
libica a contrastare le imbarcazioni di migranti in fuga dal continente
africano. È quanto è stato stanziato dal governo Letta con i due decreti
approvati, rispettivamente, il 5 dicembre 2013 e il 10 gennaio 2014, e che
hanno consentito di prorogare la partecipazione delle forze armate e di polizia
italiane in missioni operative all’estero. Nello specifico, con il primo
decreto, sono stati destinati 2.895.192 euro per la copertura del periodo
compreso dal primo ottobre al 31 dicembre 2013, mentre il secondo atto estende
l’addestramento italiano anti-migranti sino al prossimo 30 giugno, con una
spesa di 3.604.700 euro. A operare in Libia è stato chiamato il personale della
Guardia di finanza, che dovrà assicurare pure la manutenzione ordinaria delle
unità navali cedute dall’Italia al governo libico in esecuzione degli accordi
di cooperazione sottoscritti per “fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione
clandestina e della tratta degli esseri umani”.
Il 29 dicembre
2007, Roma e Tripoli firmarono in particolare due protocolli anti-migrazione
che prevedevano il pattugliamento marittimo congiunto delle acque del Mediterraneo
e la “cessione in uso” di sei motovedette della Guardia di finanza alla Guardia
costiera libica. Le unità militari avrebbero dovuto imbarcare “equipaggi misti”
con personale libico e agenti di polizia italiani per attività di
addestramento, formazione, assistenza e manutenzione. La cessione in via
“temporanea” riguardava nello specifico tre guardacoste della classe “Bigliani”
e tre vedette veloci della classe “V.5000”. Le unità “Bigliani”, realizzate
dalla società Intermarine, erano omologate per imbarcare sino a 12 militari:
fornite di un radar “Gemant 2(V)1” e di uno “Scancoverter SC 1410”, furono
armate con una mitragliera “Breda” cal. 30/70 e due “MG” cal. 7,62 Nato. Le
vedette in vetroresina della classe “V.5000” erano state costruite dalla “Moschini
S.p.A.” di Fano: in grado di superare i 50 nodi di velocità, esse potevano
ospitare sino a cinque persone a bordo e furono armate, ognuna, con una
mitragliera “MG” da 7,62 e quattro “M/12” calibro “parabellum”. “Dette unità
navali – fu specificato nei protocolli di cooperazione anti-immigrazione -
effettueranno le operazioni di controllo, ricerca e salvataggio nei luoghi di
partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporti di immigrati
clandestini, sia in acque territoriali libiche che internazionali”.
Le prime tre
motovedette della Guardia di finanza furono consegnate ai libici il 14 maggio
del 2009 a Gaeta (Lt), durante una cerimonia a cui parteciparono l’allora
ministro dell’Interno, Roberto Maroni e l’ambasciatore libico a Roma, Hafid
Gaddur. Sempre a Gaeta, il 10 febbraio 2010, furono consegnate le altre tre
motovedette, tutte dotate di “moderni sistemi di scoperta e telecomunicazioni e
di due potenti propulsori diesel”, come riferì il governo italiano. Due
imbarcazioni furono distrutte a Tripoli e Zuwarah nel 2001 durante i
bombardamenti aeronavali scatenati contro il regime di Gheddafi dalla
coalizione internazionale a guida Nato. Le altre quattro unità furono
seriamente danneggiate e nell’agosto 2013 furono trasferite a Napoli per essere
sottoposte a lavori di riparazione. Il mese successivo fecero ritorno in Italia
anche i trenta finanzieri destinati a funzioni addestrative della Guardia
costiera libica. Secondo Analisi Difesa, le imbarcazioni saranno riconsegnate
nel maggio di quest’anno; nel frattempo, una quarantina di sottufficiali della
marina militare libica saranno addestrati in Italia dalla Guardia di finanza.
Con i
protocolli del dicembre 2007, l’Italia
s’impegnò pure a cooperare con l’Unione Europea per la “fornitura, con
finanziamento a carico del bilancio comunitario, di un sistema di controllo per
le frontiere terrestri e marittime libiche, al fine di fronteggiare il fenomeno
dell’immigrazione clandestina, da realizzare secondo le esigenze rappresentate
dalla parte libica alla delegazione della missione Frontex”. Il Trattato di
Cooperazione Italia-Libia firmato a Roma il 30 agosto 2008, definì all’art. 19
che nell’ambito della mutua collaborazione nella lotta all’immigrazione
clandestina, la realizzazione del sistema di controllo delle frontiere
terrestri sarebbe stata affidata a società italiane “in possesso delle
necessarie competenze tecnologiche” (cioè Selex ES, gruppo Finmeccanica). I
costi del programma sarebbero stati coperti per metà dal governo italiano,
mentre per il restante 50%, “le due Parti chiederanno all’Unione Europea di
farsene carico, tenuto conto delle Intese a suo tempo intervenute tra la Grande
Giamahiria e la Commissione Europea”. Fu convenuto infine d’istituire, “presso
una idonea struttura” in territorio libico, un Comando operativo interforze,
costituito da personale italiano e libico, con il compito di disporre
l’attuazione delle crociere addestrative e di pattugliamento, “raccogliere le
informazioni operative acquisite dalle unità operative” e “impartire le
direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti
con clandestini a bordo”. Per svolgere le sue funzioni, il Comando interforze
poteva “richiedere l’intervento e/o l’ausilio delle unità navali italiane
ordinariamente rischierate presso l’isola di Lampedusa per le attività anti
immigrazione”. Le nuove autorità libiche e il goveno Letta hanno fatto sapere
di essere intenzionate a rafforzare la partnership militare in funzione
anti-migranti. Secondo quanto dichiarato dal ministro della difesa Mauro a
conclusione del vertice bilaterale tenutosi a Roma il 28 novembre 2013, “è
emersa tra le Parti anche la possibilità di imbarcare ufficiali libici a bordo
delle unità navali italiane impegnate nell’Operazione Mare Nostrum”.
Il decreto legge
che ha prorogato le missioni internazionali delle forze armate sino al 30
giugno 2014 ha previsto anche uno stanziamento di 5.118.845 euro a favore del
personale italiano impiegato in attività supporto e formazione ai militari
libici e nella missione dell’Unione europea di “assistenza” alla vigilanza
delle frontiere della Libia (“European Union Border Assistance Mission” - EUBAM
Libya). A favore degli agenti di Polizia di stato distaccati presso EUBAM Libya
sono stati destinati invece 132.380 euro. Il governo ha infine autorizzato lo
stanziamento di 100.000 euro a favore del comando del contingente militare
italiano in Libia “per sopperire a esigenze di prima necessità della
popolazione locale”, attraverso “interventi urgenti o acquisti e lavori da
eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni di contabilità generale
dello Stato”.
Nell’ultimo
trimestre del 2013, per la formazione e l’addestramento dei militari libici i
contribuenti italiani hanno speso invece 2.547.405 euro, a cui vanno aggiunti i
91.430 euro per il personale della Polizia di Stato della missione EUBAM.