Museo Salvatore Ferragamo,
Palazzo Spini Feroni, Firenze
25 maggio 2018 - 10 marzo 2019
A cura di: Giuliana Muscio, Stefania Ricci
Una famiglia di Italiani sulla banchina di un porto qualsiasi, in attesa di imbarcarsi per l'America: il grande dipinto di Raffaello Gambogi apre la mostra L'Italia a Hollywood, in programma dal 25 maggio 2018 al 10 marzo 2019 al Museo Salvatore Ferragamo a Firenze.
In quelle figure
infatti, emblema di decine di migliaia di emigrati, può ben vedersi
rappresentato Salvatore Ferragamo stesso, che nel 1915 lascia il paese natio
per raggiungere i fratelli in Nordamerica dove, a Santa Barbara, apre il primo
negozio di riparazioni di scarpe su misura distinguendosi presto come shoemaker e shoedesigner - così viene definito dalla stampa americana - che
sulla scia della nascente industria cinematografica si trasferisce a Hollywood
eternandosi nel mito che oggi conosciamo.
Attraverso le
memorie autobiografiche di Ferragamo, la cui voce accompagna i visitatori lungo
tutto il percorso espositivo grazie a una registrazione audio originale, la
mostra vuole indagare il fenomeno migratorio italiano in California nelle prime
decadi del Novecento, soffermandosi in particolare sul ruolo ricoperto dagli
italiani e sull'influenza esercitata dall'arte e dalla cultura del Belpaese
nello sviluppo del cinema muto americano, in un confronto-scontro con quella
che era invece la percezione che degli immigrati propugnava la cultura Wasp del
tempo.
In un
allestimento curato da Maurizio Balò che rievoca gli studios americani dei Roaring Twenties, il percorso si snoda
tra le sale focalizzando l'attenzione sul mondo dell'arte, dell'artigianato e
dello spettacolo, aree di interesse privilegiate della creatività di Ferragamo.
Dopo una prima sala che inquadra il complesso del fenomeno migratorio
tracciando, attraverso fotografie e filmati, una mappa degli italiani in
California, l'attenzione si concentra dunque sugli influssi artistici della
cultura italiana in America. La mostra si avvale di prestiti prestigiosi,
provenienti da musei e collezioni pubbliche e private, sia italiane sia americane,
e di carattere composito: da costumi di scena a locandine, da opere pittoriche
di artisti quali Federico Zandomeneghi, Ettore Tito e Hugo Ballin alle sculture
di Arturo Martini, Paolo Troubetzokoy, Eugenio Pellini e Amleto Cataldi, passando ovviamente per
documenti fotografici e filmati d'epoca.
Ma l'influenza
dello stile italiano oscilla continuamente tra realtà e finzione: accanto all'Italianate Style, libera interpretazione
dello stile rinascimentale, e al meno noto Mediterranean
Style, che si rifà invece ai modelli più modesti rappresentati dalle
architetture vernacolari dei centri minori, riscontrabili nella progettazione
degli spazi urbani e in tante abitazioni private dell'epoca, il clima di
revival del cosiddetto "neorinascimento" hollywodiano si incontra
anche nelle pellicole, come testimoniato qui dalla presenza di dipinti e
sculture posti in dialogo con le sequenze dei film che ne contengono citazioni
esplicite, nel tentativo di emulazione di un popolo che nel cinema riusciva a mettere
in scena la propria stessa esistenza.
Una video
installazione sulla Panama-Pacific International Exhibition di San Francisco
del 1915 mostra come l'influenza dello stile italiano permei la maggior parte
dei padiglioni americani, e non è dunque un caso se ad aggiudicarsi la vittoria
fu proprio la Cittadella Italiana progettata da Marco Piacentini, progetto che
convince e affascina nella sua intenzione di ricreare non un semplice edificio,
ma l'atmosfera stessa di una città italiana. Completano il richiamo
all'esposizione alcune opere come Baci di
sole di Plinio Nomellini, dalla Galleria d'Arte Moderna Paolo e Adele
Giannoni di Novara, e Nudo di donna
(Susanna) di Giuseppe Graziosi, dalla Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi di
Piacenza, esposte nella mostra curata da Ernesto Nathan proprio in occasione
dell'Expo del 1915.
Ma non sono solo
l'esempio del cinema muto italiano, che dominava assieme a quello francese il
panorama internazionale, la musica, l'artigianalità e le ambientazioni
suggestive a influenzare la nascente industria cinematografica americana:
l'Italia fornisce infatti anche potenziali divi, emigrati o di seconda
generazione, che conquistano il palcoscenico d'America con la propria fantasia
rapida e vivace, con la scioltezza naturale dei movimenti e la capacità di stare
sulla scena, come scrive Gianni Puccini nel 1937. Tra questi alcuni si
impongono in maniera privilegiata, come Lina Cavalieri, presente in mostra
attraverso 40 dei 300 celebri ritratti che di lei fece su piatti di ceramica Pietro
Fornasetti.
Altro aspetto
cardine è la riflessione sulla contemporaneità proposta dalla mostra, che
riportando in scena l'essenza del passato la proietta fino ai giorni nostri: il
giovane fotografo Manfredo Gioacchini ha infatti catturato con il proprio
obiettivo la realtà attuale, realizzando un progetto in 14 ritratti in bianco e
nero che immortalano gli italiani che, pur diversissimi per età, esperienze e
professioni, lavorano oggi per l'industria hollywoodiana mantenendo vivo,
grazie alla propria arte e artigianalità, il filo di una tradizione che, oggi
come un secolo fa, contribuisce al successo dell'industria cinematografica più
importante al mondo.
A lui si affianca
Yuri Ancarani, autore italiano presente con una video installazione su otto
schermi che mostra brevi clip girate a Zuma Beach, scene di quotidianità
rielaborate in un racconto visivo fatto di piccole storie tra le quali si
innesta un riferimento a Il pianeta delle
scimmie (1968) di Franklin J. Schaffner, che su quella spiaggia ambienta la
scena finale.
Trattasi dunque
di un'artigianalità che, oggi come allora, si pone come la sintesi tra l'arte
passata e il mondo moderno della produzione e del consumo: la mostra non può
che chiudersi con un'esposizione di scarpe realizzate per il cinema americano
da Ferragamo, un tributo all'uomo e all'artista che, per aver creduto e
realizzato l'abbraccio tra arte e industria, tra economia e cultura, rimane
tuttora la figura più contemporanea: quella di un uomo che ha saputo
interpretare il mutamento, adattandolo, e non adattandosi, alla propria visione
del mondo.