di
Fulvio Papi
In
“Vita e pensiero” (luglio-agosto
2019) si può leggere un bel saggio del filosofo Silvano Zucal: “La nascita
fine di una rimozione?”. La tesi che viene sostenuta può essere così
riassunta: la filosofia del Novecento ha concentrato le sue energie teoretiche
sul tema della morte, al centro delle quali sta, ormai quasi centenaria, la
famosa proposizione intorno “all’essere per la morte”. La riflessione di altri
filosofi di tutto rilievo ha elaborato il tema della morte in direzione di un
reticolo di senso che deriva, come una intelligente ermeneutica, dalla
condizione della nostra finitudine.
A
mio avviso si tratta in ogni caso, quale sia la loro intonazione spirituale, di
importanti lezioni che, facendo centro sulla morte, mettono in rilievo la
necessità di elaborare nel proprio finito, un senso che la valorizzi e
impedisca la sua scomparsa nell’ombra del nulla. Declinata in forme differenti,
è pur sempre l’opposizione tra ontico e ontologico di Heidegger.
Prima
di considerare le tesi di Zucal vorrei ricordare ancora due casi filosofici che
“stonano” rispetto alla più diffusa “vulgata”; l’una è la posizione di Sartre
che non vede nella morte alcuna donatrice di senso, ma solo il momento
terminale, la scure che si abbatte su un progetto che è destinato a rimanere
incompiuto. Non mi pare che in Sartre vi siano pagine sulla nascita, vi è
invece quella preziosa riflessione secondo cui il neonato succhia dal latte
materno la sua condizione sociale. La vita quindi non è mai maiuscola (come per
esempio in Bergson e Simmel, per stare a quei livelli che non decadono mai
nell’enfasi vitalistica), ma è sempre socialmente determinata fin dalla
nascita. Si può metaforizzare la nascita come realtà materiale dello spirito,
ma non bisogna dimenticare che, appunto, si tratta di una metafora e non di una
analisi.
La
seconda posizione che vorrei richiamare è quella di un bellissimo saggio di
Jacques Derrida in polemica proprio con Heidegger. Il
filosofo francese nota che la posizione di Heidegger è la laicizzazione del
fondamentale tema cristiano: “Memento homo quia pulvis es, et in pulverem
reverteris”. Il problema educativo quivi è la misura consapevole del ricordo
che stabilisce il rapporto tra il bene e il male, così come viene stabilito il
rapporto tra il senso e il non senso. Non c’è bisogno di ricorrere al “memento
mori” per entrare nella prospettiva del senso che è sempre relativo a una
situazione data, come del resto Derrida ha mostrato in tutta la sua opera dopo
la vetta teoretica secondo cui non c’è altro che il testo. Il filosofo
francese, riguardo alla morte, ha il suo insegnamento ben poco metafisico: nel
nulla ci aspettiamo l’un l’altro.
La
riflessione sulla nascita può dar luogo a metafore filosofiche molto significative:
il “sempre di nuovo” (Rilke, Husserl), l’alba dello spirito, il rinascimento,
e, anche, la misura della nostra stessa vita. Non è un caso qualsiasi che la
meditazione contemporanea sulla morte e sulla nascita sia da dividere tra
maschile e femminile. Tuttavia non ne farei una radicale opposizione, se non in
quanto per il livello femminile la nascita è una riproduzione della propria
vita con gioia e sofferenza; nel maschile la nascita è stata soprattutto la
garanzia della continuità di una forma moderna (dal Re al “padrone delle
ferriere”). In generale non vorrei dimenticare che dopo la nascita, l’attesa di
tutti è rivolta al momento in cui il piccolo articoli le prime forme di linguaggio
che, come è noto, derivano da una vitale mimesi. Ma questo significa che al di
là della nascita come evento fondamentale, il bambino è atteso in un linguaggio
che è quello dei suoi genitori e dell’ambiente che è loro relativo. La nascita
quindi è degna di qualsiasi preziosa metafora intellettuale, ma dal punto di
vista più propriamente teoretico, essa va considerata nel quadro
socio-culturale in cui avviene, e quindi nel suo processo di assimilazione al
luogo sociale in cui accade, aperta al percorso della crescita e la cui
qualità, soggettiva ed oggettiva, apparterrà ad ogni possibile interazione con
l’ambiente sociale e i suoi processi di autoriconoscimento.