di Rita Bompadre
La copertina del libro |
“Contagiati” di Andrea Mauri
(Edizioni Ensemble 2019) è una narrazione ossessiva sulla caducità delle
relazioni umane, sul senso psicoanalitico di angoscia che separa la mente dal
corpo con il cambiamento inevitabile delle patologie improvvise che influenzano
i legami con gli altri. La fredda ed implacabile indicazione delle storie è
un'esecuzione prolungata di insicurezza ed esitazione, contaminata da ogni
influsso negativo conseguente ad ogni sentimento di umanità, diffusa in un'apprensione
corale quando il contagio si impone a scompenso aggressivo dell'intelletto e
priva l'onesta maturità dei rapporti umani. Il castigo corrisponde alla colpa e
la sofferenza è la riflessione sull'incomunicabilità, il tormento insistente ed
assillante è tradimento e separazione. L'autore riconosce la trama maniacale
del malessere emotivo e ammette la manipolazione della solidarietà. L'ansia
disastrosa di isolamento impulsivo che orienta i racconti è il cedevole
scenario in cui si proietta l'interpretazione trattenuta e soffocata della
vita, nel contesto terapeutico della cura decadente alle affezioni della
realtà. Ogni racconto è comunicazione satura di estraneità nella sfida
quotidiana e morale per la guarigione, nell'assurda ed illogica contraddizione
dei protagonisti, custodi della dolorosa difficoltà, disperata e vitale, di
sostenere il tempo ed impedire il congedo dalla vita. I personaggi ammettono la
debolezza malinconica e fiera di chi rivolge lo sguardo alla fine e vivono
affatturati, ammaliati da pensieri filosofici impassibili ma nell'intento
introspettivo di dare un significato alle loro vicissitudini ne diventano
ineluttabilmente schiavi. Spaventati da un eccesso di lucidità, scossi da
caotici clamori, si abbandonano a nocivi ed impazienti monologhi. Lo stile dell'autore,
autentico, sano ed essenziale implica nelle parole incessanti il coinvolgimento
apprensivo di ogni confessione e le variazioni dell'inquietudine dilatano una
letteratura della fine contro la fine, come principio nella finalità inviolata
di un antidoto che coesiste con le nostre tensioni, con il decoro della
cognizione, con la sapienza dell'accortezza. L'omaggio all'inizio del libro ne
è serena profezia: “A chi ama lasciarsi contagiare dalla vita”.
*
“La campagna circostante aveva perso ogni riferimento.
Si erano perduti alberi, cespugli, giardini, steccati, pullmini.
Niente. Il deserto. Il silenzio di una città morta. Faceva freddo sull’ultimo
gradino, ma non avevo intenzione di rintanarmi in casa: là dentro mi aspettava
la quarantena, ancora più incattivita. Alla fine sono crollata, come
addormentata sulla terra nuda”.
*
“Sono sicuro che tornerai con il clima più
clemente, in tempo per raccontarti del miracolo dell’inverno e della nuova
fioritura, che si preannuncia feconda. Solo per questo regalo inatteso non
tutto è perduto. Il roseto ci inchioda alla terra madre, ci costringe ad aspettare
il vento del sud e con lui tutte le rose, le più stravaganti e le più
resistenti che deciderai di portarmi”.