IN RICORDO DI
CARLO ANTONIO PONTI
di Giacomo Mameli*
Giacomo Mameli
Antonio
Carlo Ponti, giornalista, scrittore, poeta e critico d’arte, voleva venire lo
scorso luglio a Perdasdefogu (in Ogliastra, Sardegna) alla tredicesima edizione
del festival letterario “Sette Sere - Sette Piazze - Sette Libri” di cui sono
direttore artistico. Al telefono, a metà marzo, aveva detto: “Ho i miei anni,
vivo in Umbria, ma vorrei proprio capire come un piccolo paese è riuscito a far
amare i libri. E a dedicare una serata anche alla poesia”. Gli avevo risposto
che anch’io avevo “i miei anni, ne ho solo cinque in meno di lei” e che “in
paese” era atteso “a braccia aperte”. Avevo aggiunto: “Tra l’altro il mio
paese, da tre secoli, dedica una giornata al forestiero, allo straniero, a “Su
stràngiu”. La festa si chiama “Sa Strangìa”, l’aveva inventata il parroco don
Giovanni Corona vedendo un piemontese girare da solo per le viuzze di un borgo
davvero antico, lo aveva invitato a cena, erano diventati amici. In chiesa, il giorno
dopo (12 settembre 1722), aveva parlato come Papa Francesco oggi: “Ho ospitato
un forestiero perché ogni straniero è un mio fratello”. E nacque la festa che
tanto educherebbe la politica governativa di oggi.
Giacomo Mameli |
Antonio Carlo Ponti
Ponti
avrebbe avuto l’accoglienza che si deve ai migranti di ogni tempo e di ogni
luogo. Sarebbe stato Stràngiu ad honorem. Purtroppo non è stato possibile: non
ho potuto conoscere un intellettuale con alto senso civico.
Avevo
conosciuto per la prima volta il suo nome leggendo, sul Corriere della Sera del
12 aprile 2021, una recensione di Franco Manzoni che, da par suo, commentava il
volume - curato proprio da Ponti - “Gaio Fratini, il mio primo centenario”.
Articolo che avevo ritagliato e inserito nella rubrica degli amarcord di
valore. Mi aveva colpito l’occhiello del titolo con riferimento “all’umbro
Marziale” e poi l’accostamento di Fratini agli autori che più ho amato al liceo
e all’università frequentata a Urbino quando rettore era Carlo Bo.
Di Fratini,
Manzoni sottolineava la “vena satirica all’acido muriatico”. Lo paragonava
(cito nello stesso ordine di Manzoni) a “Simonide, Meleagro, Marziale, Orazio e
Giovenale”. E ho capito lo spessore di un autore purtroppo a me ignoto con
“l’impianto commemorativo a più voci” messo in risalto dai due anni di lavoro
di Ponti (e una prefazione di Filippo Ceccarelli).
A
dicembre dello stesso 2021, sul supplemento “La Lettura” del Corriere, ho
ritrovato Ponti sulla rubrica settimanale “Soglie” di Manzoni che ne segnalava
il libro di poesie L’estate fredda, dedicato alla adorata moglie Nerina,
da poco scomparsa.
Sandro Veronesi con Antonio Brundu
decano dei centenari (106 anni)
Qualche
mese dopo la prima telefonata. Una bella sorpresa e vero feeling. E poi tante
mail. Gli mandavo qualche mio articolo, uno su Carlo Bo che parlava di Grazia
Deledda paragonata a Dostoevskij. Altre telefonate: gli raccontavo i panorami
nel mio casolare nel cuore della macchia mediterranea tra ginepri, filliree,
corbezzoli, erica e sterminate colline di asfodeli. Mi ricambiava con i
paesaggi della sua Perugia, della sua Bevagna, dell’Umbria “verde come la
Sardegna, e speriamo di conoscerle sempre così queste nostre terre, non
devastate dal cemento come ripetevo ai miei redattori quando dirigevo Il
Corriere dell’Umbria”.
Ritrovo
una mail del 30 ottobre, sempre del ’21. Eccola, in parte: “Caro Giacomo, ci
diamo del tu, scusa i miei silenzi ma ho da poco quasi finito - sono alla
revisione - un librotto di ricordi e ritratti... Franco mi ha mandato il tuo
articolo su Bo che ho letto con vero piacere apprendendo cose che ignoravo...
molto bello... spero di riprendere con te colloqui piacevoli... so che ti sei
rimesso in salute alla grande... con questi degenerati dei novax & co. - un
caro saluto, antonio carlo”.
decano dei centenari (106 anni)
Il pubblico durante l'ultima edizione
del Festival 2023
Ho
saputo solo dopo un po’ che il cosiddetto “librotto” altro non era che Dizionario
sentimentale, sottotitolo Ricordi e incontri di una vita, pubblicato
da Futura Libri, dove Antonio Carlo raccoglie in ordine alfabetico tutti i
personaggi da lui incontrati. Altro che librotto. È un “libellus” di oraziana
valenza. C’è tutto in quelle righe che avevo letto su Internet: “Io sono io e
la mia circostanza e se non la salvo non mi salvo io”, un modo per dire che l’uomo
è gli uomini e che gli uomini sono l’uomo, che tutti siamo io e che l’io siamo
tutti. Più avanti un inno laico all’umanità: “Io sono tutte le persone che ho
conosciuto, tutte le storie che ho ascoltato, tutte le case e le città che ho
abitato. L’essere umano è un alveare di esseri”. E ancora i dubbi che ci
affliggono: “Non sono sicuro che io esista”. E la beatificazione della
letteratura: “Io sono tutti gli scrittori che ho letto, tutte le persone che ho
incontrato, tutte le donne che ho amato, tutte le città che ho visitato, tutti
i miei antenati”. E poi il desiderio di certezze e il fascino del dubbio:
“Niente, niente, non sono sicuro di niente, non so niente. Non so nemmeno la
data della mia morte”.
Io
l’ho appresa pochi giorni fa al telefono. Con un messaggio. Era una mattina di
sole di un autunno estivo. Quel messaggio annunciava l’inverno. Con un grande
rimpianto. Antonio Carlo Ponti, l’umbro poliedrico, sarà ricordato il prossimo
anno, la sera dell’8 agosto quando celebreremo la poesia con la serata
“Aspettando San Lorenzo”. Chiederò agli amici che lo hanno conosciuto di
propormi che cosa leggere. Ci arricchiremo di conoscenza e di bellezza.
del Festival 2023