RACCONTI
di Elisabetta Violani

Picasso: Ritratto di zia Pepa
La zia
“Vedi, non
dovevo andare a trovare quella mia vecchia collega. Guarda che macello ho qua
sulla spalla. Certo quel cretino che mi ha aiutata a salire sull’autobus poteva
almeno agguantarmi meglio, non dalla clavicola, ma magari prendendomi sotto
l’ascella. Quel gradino era veramente alto!”.
“Zia, te l’ho detto mille volte
di stare attenta quando prendi l’autobus. Hai ottantanove anni compiuti, se ti
spacchi qualcosa sei morta”.
“Ma cosa vuoi che mi spacchi, sto
attenta!”
“Sì, ma la strada è tutta in
salita, abiti sui bricchi, e i gradini dell’autobus l’hai detto anche tu che
sono alti. Fatti un po’ vedere. Zia, secondo me è meglio se ti fai due raggi,
potresti avere la clavicola rotta”.
“Ma maledizione a me quel giorno
che sono nata e maledetta me quando mi è venuto in mente di andare a trovare la
mia amica alla casa di riposo! Però lei i novant’anni li ha già compiuti e io
no, era giusto andarla a trovare. E poi io sono fortunata, abito a casa mia e
vicino ho mia sorella”.
Referto dei raggi: clavicola
rotta.
“Ma zia, cosa ti ha detto
l’ortopedico?”.
La zia era voluta andare di
persona a ritirare i raggi.
“Mi ha detto che devo stare
così”.
“Come devi stare così? Non ti
mettono neanche un tutore per bloccare la clavicola? Ma non si può lasciare un
osso rotto al suo destino!”
“Senti figlia mia, se il dottore
mi ha detto così vuole dire che si deve fare così. Il dottore è lui”.
“Zia, ascoltami io non sono
medico, ma come biologa qualcosina anch’io me ne capisco, anzi, lo sai anche tu
che la biologia è la mamma della medicina. Per carità, le diagnosi non sono
certo il mio mestiere, ma vai da un altro ortopedico, dammi retta”.
“Vabbè ora vedrò”.
“Ma che altro ortopedico e altro
ortopedico!” esclama una terza voce, quella della sorella, di qualche anno più
giovane della zia: “se le hanno detto
così, stia così, e che non
angosci, sono ottantanove anni che angoscia!”.
“Sì, saranno anche ottantanove
anni che angoscia ma la clavicola ce l’ha rotta”.
“Senti, tu non hai una laurea in
medicina, quando l’avrai dirai la tua”.
Ok... Tempo tre giorni e
l’angosciosa comincia ad avere un bel bozzo all’altezza della clavicola.
“Ma basta, piantala di lamentarti
e di angosciare, angosciosa! Ti sei fissata, pensa a qualcos’altro!”
“Ma come faccio a pensare a
qualcos’altro, ho ’sta cosa qua che cresce”.
“È il versamento zia, il
versamento causato dalla rottura, vai da un altro ortopedico”.
“No, vado da un’internista”.
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| Picasso: Ritratto di zia Pepa |

Elisabetta Violani
Ok zia, anche tu sei convinta che
i biologi non contino un cazzo. Avete bisogno del mago o megu che dir si
voglia. Il grande internista prescrive una PET, ossia una sorta di super TAC.
Maledizione a te, brutto coglione, e brutto coglione anche tu, medico vecchio
amico di famiglia scarica barile e grande stronzo. Perché non hai consigliato
bene mia zia? Te la sei voluta togliere dai piedi eh? Hai da farti i cazzi
tuoi, porco bastardo, ma guarda che mia zia è venuta da te perché ti ha tenuto
in braccio da piccolo, è venuta da te perché è convinta che tu le voglia bene,
invece tu l’hai scaricata. L’hai mandata da quel tuo collega che ora vuol farle
fare un esame che potrebbe rovinarle l’ultimo annetto che le resta da vivere
discretamente. Se saltasse fuori qualche cosa da qualche altra parte, non si
potrebbe fare nulla per lei, non si potrebbe certo operarla. E poi lei sta
bene. È completamente asintomatica, non ha altro che una clavicola rotta. La
zia si fida ma non sa cosa rischia. Meglio non sapere più di tanto, in certe
occasioni... meglio campare sereno quel poco tempo che ti resta.
“Zia, ascoltami, ci vado io a
prendere il referto”.
“No ragazza, vengo anch’io,
guarda che non sono mica scema! Sono vecchia ma non scema!”.
“Non sei affatto scema zietta
mia, sei sempre ingambissima. Hai insegnato per trent’anni matematica e te la
giochi alla grande nelle gare a chi risolve prima il problema con tua pronipote
di nove anni!”
“Nipote mia prediletta, lo so che
mi vuoi bene e anch’io te ne voglio, e tanto. Ma lasciami fare a modo mio. Ti
prego. Lo sai come sono...”.
“Dammi retta zia, è inutile che
ti stanchi, lasciami andare da sola a parlare con i medici. Ti giuro che ti
riferirò tutto quello che mi hanno detto, dalla a alla zeta, come una scolara
che ti ripete la lezione e mi darai dieci e lode!”.
“E figuriamoci, è giusto che
venga anche lei”, incalza la sorella.
Grazie, un aiutino ci voleva,
molto gentile.
“Certo, è giustissimo!” Aggiunge
la quarta voce, quella del cognato.
Alé. Fottuta.
“Guardi signora, dall’esame
risulta che c’è una macchia qui, nel fegato, che non si sa cos’è. E ce n’è
anche una qui, all’apice dei polmoni”.
Io allungo un calcio al sensibile
internista e lo guardo in atto di supplica.
“Sì, ma senz’altro non è niente”,
dico alzandomi e tirando la mia sedia vicino a quella del simpaticone.
“Mi faccia vedere dottore, in
fondo siamo colleghi. Ah... lei dice questa macchia qua. Ma è solo un maggior
addensamento di quel liquido che avete iniettato nelle vene della zia. Può
essere tutto e niente. Meglio secondo me curare la clavicola rotta e fare un
bel drenaggio del versamento, veroooo?”
“Sì meglio”, ammette il
perspicace internista. “Fate così”.
“La ringraziamo tanto per la sua
professionalità dottore e la salutiamo”.
A mai più rivederci, bastardo!
“Zia, andiamo da un altro
ortopedico per cortesia”.
“Ok. Andiamo da quello che c’è vicino a casa mia,
non mi sembra uno scemo”.
“Ok, andiamo da quello”.
“No signora, se lei si è già
rivolta ad un’internista si affidi a lui, ormai cosa vuole da me?”
Maledetta la tua lingua lunga
zia, ti avevo detto di non cantare troppo, anzi, ti avevo detto di tacere
assolutamente questo particolare. Difficile che un professionista ficchi il
naso nel lavoro di un collega. Solo i coraggiosi si assumono le proprie
responsabilità, e i coraggiosi sono sempre meno, zietta!
“Io però fossi in lei farei una
biopsia, non si sa mai”.
Ok, me l’aspettavo. Avrei
preferito evitarlo ma a questo punto conviene.
Il medico addetto alle biopsie
quando vede la zia dà di matto: “Ma chi l’ha mandata qua da me? Un cretino? Ma
si vede lontano un miglio che lei ha un versamento, non c’è un nodulo, non c’è
niente, io mi rifiuto, la biopsia non gliela faccio!”
Finalmente uno con un po’ di
cervello!
“Dica al tizio che l’ha mandata
qui che si ripassi la medicina, e anche il codice deontologico!”


E. Violani
Evvai zia! Ce l’abbiamo fatta!
Torniamo dall’ortopedico senza biopsia perché la biopsia non la facciamo!
Intanto il bozzo della zia continua a lievitare.
“No, mi dispiace, dobbiamo fare
la biopsia”.
“Ma guardi che il medico che non
fa altro che biopsie ci ha cacciate fuori a pedate e penso che di biopsie un
po’ se ne intenda, non fa altro tutto il giorno...”.
Ma la zia a quei punti non sente
ragioni e vuol fare a tutti i costi la biopsia: ma zia, perché? Torna da quello
delle biopsie e si fa fare la biopsia imponendosi con la forza. Quando era in
classe comandava lei. L’insegnante di matematica era lei quindi era lei che
doveva decidere. Intanto la sorella e il cognato avevano sentito per telefono
il simpatico medico amico di famiglia, che aveva asserito con certezza che il
collega internista dal quale aveva spedito la zia era un fenomeno che non
sbagliava mai. Quindi che se c’erano delle macchie erano per forza quella cosa
là. A quei punti sorella e cognato partono in tromba e si rivolgono ad un altro
amico di famiglia che in completa buona fede consiglia ai due di rivolgersi ad
una famosa casa di cura, dove mettono i malati terminali. Un posto bellissimo
dove ti fanno morire senza soffrire. Però ci vuole la raccomandazione per
entrare. Ci sono liste d’attesa lunghissime perché i malati terminali sono
tantissimi, in ricambio continuo. Non c’è problema: ci penserà lui. Ha un caro
amico vescovo che è nel consiglio d’amministrazione della casa di cura. Di lì a
pochi giorni si presenta a casa della zia un giovane medico, tutto contento del
suo primo contratto a termine: sono il medico della casa di cura. Devo riempire
il modulo per la richiesta di ricovero.
Visita la zia: “Ma signora,
qualcuno ha mai provato a farle un drenaggio?”
“No, mai”.
Ovviamente la zia era stata
tenuta all’oscuro e non sospettava neanche minimamente chi fosse quel medico:
sorella e cognato le avevano detto che si trattava di un controllo. “Mah”, fa
lui ad un certo punto, “la PET c’’è, ma non c’è il referto della biopsia, la
signora è completamente asintomatica e ha ottantanove anni... non so se...”.
“Guardi, è una malata terminale,
si fidi, l’hanno detto sia l’internista che il mio amico medico di famiglia. In
più sa, abbiamo un amico che è amico di uno che conta: ci ha promesso un aiuto
in questa triste circostanza”.
Il giovane a quei punti capitola
e compila il modulo della domanda di ricovero che viene immediatamente accolta.
Quando lo vengo a sapere la zia è già ricoverata. Impossibile! Non può essere
vero. Cerchiamo il referto della biopsia. A questi punti presa dal panico mi
rivolgo ad una mia cara amica e collega che mi aiuta a trovare il risultato
della famosa biopsia, che giace nel computer e nessuno si è preso la briga di
stampare. La biopsia dice che non sono state trovate cellule tumorali,
presumibilmente si tratta di un versamento. Ovviamente col beneficio
d’inventario, perché la medicina non è una scienza esatta. Intanto il bozzo
della zia è diventato impressionante. Mi reco di corsa dall’ennesimo
ortopedico, quello che mi ha consigliato la mia amica. Gli faccio vedere il
risultato della biopsia e le foto mostruose che ho scattato alla zia nel letto
della clinica. L’ortopedico strabuzza gli occhi e urla: “Qui ci vuole un
ecografo e bisogna fare subito un drenaggio! Dal mio reparto non si esce con
una clavicola rotta senza averla almeno immobilizzata! Poi se c’è dell’altro si
vedrà, intanto la clavicola si blocca!”.


Elisabetta Violani
Mi reco con il cognato a parlare
con il medico dirigente della casa di cura (la sorella proprio non se la sente
e va a farsi un giro al mercato). Il medico è una donna e mi dice: “Guardi che
qui da noi un presidio medico non c’è”.
Quindi tu sei una passacarte
raccomandata, non c’è dubbio. Nella clinica c’è solo un presidio infermieristico
che al primo segnale di peggioramento del paziente induce la dolce morte.
“Qui l’unico medico sono io. Non
sta a me controllare i referti, vi abbiamo mandato quel simpatico e capace
giovane dottore, è lui che fa queste cose insieme ad altri suoi colleghi. Il
protocollo è ferreo, qui da noi la degenza dura al massimo due mesi, poi si
esce”.
Con i piedi in avanti. La
passacarte rifiuta di far entrare nella sua clinica qualsiasi strumentazione
proveniente dall’esterno. Un ecografo manco a dirlo. Lì non si entra per
guarire, si entra solo per morire. E poi quello di mia zia è un cancro. È un
cancro! Lei non ha visto altro che cancri in vita sua per cui lo sa! Sì, ma la
biopsia l’hai vista? La clavicola rotta l’hai vista? No, le ho già detto che a
me non compete. Il cognato è in tripudio: “Vedi? È un cancro, avevamo ragione
noi, in fondo tu non hai una laurea in medicina!”.
Quindi non conti un cazzo.
“Se volete usare l’ecografo
portate vostra zia fuori di qui, non c’è problema, io non la trattengo”.
“Sì cognato, ti prego, portiamola
via subito da qui! Me la carico io la zia sulle spalle!”
“No, questa è la clinica più
ambita in questi casi, la migliore in assoluto, quella dove vogliono andare
tutti. E poi sua sorella è la parente più stretta, è lei che decide e ormai ha
messo tutte le firme del caso”.
“Ma guarda che là dentro c’è una
temperatura che non supera i diciotto gradi, la zia ha solo un lenzuolo, perché
la zia non sopporta le coperte, non le ha mai sopportate! Ha sempre le mani
ghiacciate, in quella stanza il sole non entra mai, morirà di polmonite!”.
Tempo una settimana e la zia ha
una brutta tosse. Una chiamata arriva alla sorella: “Procediamo?”
“Sì, procediamo”.


