“ODISSEA” E LA VISIONE URBANA
Questionario-intervista
sull’uso della città e i suoi arredi
rispondono Giorgio Colombo, Jacopo Gardella, Arturo Schwarz
RISPOSTE DI GIORGIO
COLOMBO
ODISSEA. È
opinione comune che a Milano, come del resto in molte città italiane grandi e
piccole, a partire dagli anni Settanta del Novecento, sono stati realizzati una
serie di manufatti urbani ibridi piuttosto discutibili, ed inseriti in contesti
non pertinenti o assolutamente dissonanti. Mi riferisco in particolare alle “capannette
scheletriche” realizzate da Gae Aulenti in Piazzale Cadorna, che dovrebbero
dare l’idea di un Foro, ma che quasi nessuno capisce il senso e la funzione; ai
tubi attorcigliati dello svedese Claes Oldenburg nello stesso luogo, e che non
si capisce che ci facciano in un luogo come quello, a pochi passi dal Castello
Sforzesco. Qual è la sua opinione in merito?
COLOMBO. Se si
saltano gli anni dell’affrettata ricostruzione post-bellica, La città
postmoderna -pur ricordando la speculazione edilizia, in
Italia sempre ben presente- è stata messa in evidenza da Aldo Rossi (il suo
‘Teatro del Mondo’, Venezia 1979-80) e Paolo Portoghesi (‘La Strada Novissima’,
la presenza del passato, Venezia 1980), teorici della crisi dell’unico modello,
il ‘moderno’ sempre e dovunque. L’unità dei modelli-idee è scomparsa. Non c’è
una linea uniforme che lega una presunta continuità, una progressione ordinata
degli stili architettonici, legata a quei ‘poteri’ che ne sarebbero stati base
politico-finanziaria, ma salti, buchi, scosse, riprese, tanto più evidenti
quanto più le società si sono moltiplicate, frantumate e i cosiddetti ‘poteri
’si sono diffusi, mescolati, nascosti nella postmodernità. Gli stili e le
tecniche costruttive sono diventate un mercato aperto alle più svariate
invenzioni e proposte. Il Novissimo non si contrappone all’Antiquo: è libero di
riprenderlo, includerlo o escluderlo, accettarlo o negarlo. Nella città
postmoderna non c’è un’unica ‘idea’, ma molte ‘idee’. La loro condivisione è
difficile ma non impossibile, in perenne patteggiamento con la speculazione. La
città postmoderna è un insieme di diversità. Così se mi paiono infelici le
“capannette” della Aulenti, vedrei con maggiore accondiscendenza il grande
‘ago’ di Oldenburg, che tenta di cucire la disgregazione in atto.
ODISSEA. Definito
da più parti particolarmente invasivo rispetto al piccolo slargo che lo
contiene (di per sé alquanto armonico), il monumento alla memoria dell’ex
presidente della Repubblica Sandro Pertini di Aldo Rossi in via Croce Rossa
(fermata Montenapoleone della Metropolitana Gialla linea 3), appare in effetti
completamente decontestualizzato e dissonante, tanto che il giornale “Odissea”
ne ha suggerito la rimozione per rimontarlo in un contesto più coerente, e di
creare al suo posto un’aiuola fiorita da affidare alle cure dell’Emporio Armani
che si affaccia sulla piazzetta. Come giudica lei quest’idea?
COLOMBO. Condivido
la possibilità di uno spostamento del monumento di Aldo Rossi (che ho ricordato
prima, più interessante nelle proposte che nelle realizzazioni). Sarebbe
opportuno anche suggerire ‘dove’ spostarlo.
ODISSEA. L’architetto
e urbanista Jacopo Gardella in un lungo e documentato saggio pubblicato di
recente su “Odissea” nella Rubrica “La Carboneria” (www.libertariam.blogspot.it),
accusa principalmente amministratori pubblici e istituzioni, di quella che lui
chiama “una mancata idea di città”. L’assenza di regole certe e buone per un
sano governo del territorio e la sua progettualità (che da amministratori e
istituzioni dovrebbero derivare), ha prodotto il caos urbano, le speculazioni e
le incoerenti e dannose realizzazioni che oggi ci ritroviamo sotto gli occhi.
“Colpevoli i politici e gli amministratori pubblici, ma altrettanto colpevoli i
committenti ed i finanziatori privati” scrive Gardella. E come dargli torto? Se
si guarda a quello che è successo sui terreni dell’ex Fiera Campionaria
con“City Life”, sull’area di Porta Garibaldi, ecc., si rimane sconcertati.
Questo delirio di grattacieli incoerenti, storti e storpi, spuntati dal nulla e
senza uno straccio di progettualità complessiva, rende quei luoghi artificiali,
privi di anima. Ci si è illusi che un supermercato (seppure bello vasto)
interrato sotto Piazza Gae Aulenti, bastasse ad animare il luogo. È vero, i
grattacieli funzionano come una calamita visiva attirando l’attenzione di chi
transita da quelle parti, ma appaiono come corpi separati, luoghi blindati;
mentre la Stazione ferroviaria, vale a dire il nodo strategico dell’area, ha
perso ogni centralità, è divenuta marginale. Lei che opinione se ne è
fatta?
Foto-assemblaggio di Giuseppe Denti |
COLOMBO. Nel
parlare di speculazione dimenticavo l’importanza della pubblicità. È evidente
che un grattacielo è più visibile, è più autopubblicitario di una costruzione
bassa che obbedisce alla continuità ambientale. Non dimentico però che la torre
(vedi anche la Torre Velasca), il campanile, la cupola, la cattedrale, il
castello del principe obbedivano ad un principio simile. Certo, un problema di
numeri. La moltiplicazione delle torri era stato un problema già per gli
antichi borghi. Ma le moderne tecniche costruttive ingigantiscono il problema,
anche là dove, al contrario dello stretto spazio di Manhattan, non sarebbe
affatto necessario. Quindi un gesto di esibizionismo che andrebbe seriamente
regolato e calcolato in relazione alle richieste abitative -del tutto ignorate-.
Ma quando mai? Riprendendo la
pubblicità insulsa, vedi il ridicolo delle piante sui terrazzi del grattacielo
premiato di Boeri, e in contemporanea il taglio mortale, chiamato ‘potatura’,
dei pochi alberi sopravvissuti nei viali della città.
Spettri urbani, foto assemblaggio di Giuseppe Denti |
ODISSEA. Se
dovesse eliminare uno dei tanti controversi manufatti presenti in città, quale
eliminerebbe subito e perché?
COLOMBO. C’è solo
l’imbarazzo della scelta. Non si sa da dove cominciare. Penso anche gli
interventi cosiddetti ‘provvisori’ come lo sconcio del piazzale davanti al
Castello Sforzesco. Tra i definitivi, la proliferazione indiscriminata di casette,
tettucci, sopraelevazioni di ogni tipo, misura, colore che spuntato sempre più
numerosi sulle sommità delle precedenti costruzioni. Ma l’elenco sarebbe troppo
lungo.
RISPOSTE DI JACOPO
GARDELLA
Jacopo gardella |
ODISSEA. È
opinione comune che a Milano, come del resto in molte città italiane grandi e
piccole, a partire dagli anni Settanta del Novecento, sono stati realizzati una
serie di manufatti urbani ibridi piuttosto discutibili, ed inseriti in contesti
non pertinenti o assolutamente dissonanti. Mi riferisco in particolare alle
“capannette scheletriche” realizzate da Gae Aulenti in Piazzale Cadorna, che
dovrebbero dare l’idea di un Foro, ma che quasi nessuno capisce il senso e la
funzione; ai tubi attorcigliati dello svedese Claes Oldenburg nello stesso
luogo, e che non si capisce che ci facciano in un luogo come quello, a pochi
passi dal Castello Sforzesco. Qual è la sua opinione in merito?
GARDELLA. Nella
prima domanda e nell’implicito giudizio negativo su Piazza Cadorna è già
contenuto tutto il senso della risposta che si potrebbe dare. C’è solo da
aggiungere che il viaggiatore, scendendo dal treno ed affacciandosi alla
piazza, non vede uno spazio urbano ma un angusto orizzonte schiacciato sotto
capannoni metallici. Non è un bel modo di essere accolti da una metropoli di
importanza internazionale.
ODISSEA. Definito
da più parti particolarmente invasivo rispetto al piccolo slargo che lo
contiene (di per sé alquanto armonico), il monumento alla memoria dell’ex
presidente della Repubblica Sandro Pertini di Aldo Rossi in via Croce Rossa
(fermata Montenapoleone della Metropolitana Gialla linea 3), appare in effetti
completamente decontestualizzato e dissonante, tanto che il giornale “Odissea”
ne ha suggerito la rimozione per rimontarlo in un contesto più coerente, e di
creare al suo posto un’aiuola fiorita da affidare alle cure dell’Emporio Armani
che si affaccia sulla piazzetta. Come giudica lei quest’idea?
GARDELLA. La
rimozione del Monumento a Pertini è auspicabile. Purché si scelga bene il posto
in cui trasferirlo. La aiuola fiorita è una sostituzione troppo timida; occorre
creare uno spazio di sosta e ricreazione circoscritto e protetto da una siepe
fitta ed alta, all’interno della quale ci si senta distanti dall’intenso
traffico urbano.
Naviganti di "Odissea" sul monumento a Pertini |
ODISSEA. Se
dovesse eliminare uno dei tanti controversi manufatti presenti in città, quale
eliminerebbe subito e perché?
GARDELLA.
Paradossalmente (e scherzosamente) eliminerei tutti gli edifici sorti di
recente perché tutti hanno tradito una sana “idea di città”.
Roma, Piazza Navona, la magnifica fontana del Moro |
RISPOSTE DI ARTURO SCHWARZ
Queste le perentorie e laconiche risposte di Schwarz
ODISSEA. È
opinione comune che a Milano, come del resto in molte città italiane grandi e
piccole, a partire dagli anni Settanta del Novecento, sono stati realizzati una
serie di manufatti urbani ibridi piuttosto discutibili, ed inseriti in contesti
non pertinenti o assolutamente dissonanti. Mi riferisco in particolare alle “capannette
scheletriche” realizzate da Gae Aulenti in Piazzale Cadorna, che dovrebbero
dare l’idea di un Foro, ma che quasi nessuno capisce il senso e la funzione; ai
tubi attorcigliati dello svedese Claes Oldenburg nello stesso luogo, e che non
si capisce che ci facciano in un luogo come quello, a pochi passi dal Castello
Sforzesco. Qual è la sua opinione in merito?
SCHWARZ. Un
assurdo, da eliminare
ODISSEA. Definito
da più parti particolarmente invasivo rispetto al piccolo slargo che lo
contiene (di per sé alquanto armonico), il monumento alla memoria dell’ex
presidente della Repubblica Sandro Pertini di Aldo Rossi in via Croce Rossa
(fermata Montenapoleone della Metropolitana Gialla linea 3), appare in effetti
completamente decontestualizzato e dissonante, tanto che il giornale “Odissea”
ne ha suggerito la rimozione per rimontarlo in un contesto più coerente, e di
creare al suo posto un’aiuola fiorita da affidare alle cure dell’Emporio Armani
che si affaccia sulla piazzetta. Come giudica lei quest’idea?
SCHWARZ. Sono
d’accordo
ODISSEA. L’architetto
e urbanista Jacopo Gardella in un lungo e documentato saggio pubblicato di
recente su “Odissea” nella Rubrica “La Carboneria” (www.libertariam.blogspot.it), accusa
principalmente amministratori pubblici e istituzioni, di quella che lui chiama
“una mancata idea di città”. L’assenza di regole certe e buone per un sano
governo del territorio e la sua progettualità (che da amministratori e
istituzioni dovrebbero derivare), ha prodotto il caos urbano, le speculazioni e
le incoerenti e dannose realizzazioni che oggi ci ritroviamo sotto gli occhi.
“Colpevoli i politici e gli amministratori pubblici, ma altrettanto colpevoli i
committenti ed i finanziatori privati” scrive Gardella. E come dargli torto? Se
si guarda a quello che è successo sui terreni dell’ex Fiera Campionaria con“City
Life”, sull’area di Porta Garibaldi, ecc., si rimane sconcertati. Questo
delirio di grattacieli incoerenti, storti e storpi, spuntati dal nulla e senza
uno straccio di progettualità complessiva, rende quei luoghi artificiali, privi
di anima. Ci si è illusi che un supermercato (seppure bello vasto) interrato
sotto Piazza Gae Aulenti, bastasse ad animare il luogo. È vero, i grattacieli
funzionano come una calamita visiva attirando l’attenzione di chi transita da
quelle parti, ma appaiono come corpi separati, luoghi blindati; mentre la
Stazione ferroviaria, vale a dire il nodo strategico dell’area, ha perso ogni
centralità, è divenuta marginale. Lei che opinione se ne è fatta?
SCHWARZ. L’attuale
sistemazione è uno schifo!
ODISSEA. Se dovesse
eliminare uno dei tanti controversi manufatti presenti in città, quale
eliminerebbe subito e perché?
SCHWARZ. Oldenburg,
perché non vogliono dire niente e sono totalmente fuori luogo.
NOVITA' EDITORIALI
DOPO GLI EBOOKS ECCO I BBOOKS
Una sfera che
diventa libro: un’idea “folle” che prende forma e genera un progetto culturale
tra editoria, design e arte. Tra gli invitati alla anteprima del prossimo 3
dicembre Sveva Casati Modignani, Nicola Crocetti, Giorgio Galli, Giovanni
Gastel e Salvatore Veca.
Si chiamano BBooks e mostrano una nuova idea di libro. Un
connubio tra rivoluzione e restaurazione che da un lato altera in modo estremo
la forma e la struttura del libro in quanto oggetto, dall’altro recupera il
concetto di prezioso e unico che era proprio degli antichi codex miniati.
“Ho sempre subito il fascino dei libri, ma volevo
qualcosa di veramente diverso”, spiega l’artefice del progetto Alessandro
Curioni. “Per averlo ho dovuto inventarmelo. E’ stata una vera sfida per creare
qualcosa di unico, prezioso e con una… storia”.
“Quando Alessandro venne da me con il provocatorio brief
dettato da chi ama qualcosa in forma talmente sacrale da volerla
paradossalmente modificare e far crescere, la sfida mi sembrò subito
interessante”, aggiunge Giulio Ceppi, architetto e designer che ha dato forma
all’idea originale. “A maggior ragione perché l’oggetto da ridefinire era
niente poco di meno che “il libro”: un archetipo con qualche migliaio di anni
alle spalle”.
Pochi, anzi pochissimi. I BBooks saranno pezzi unici.
“Alla fine ho deciso rendere un vero omaggio al libro in quanto oggetto”, ha
affermato Alessandro Curioni, artefice del progetto. “Di conseguenza ho pensato
che non potessero superare i numeri rappresentabili con una sola cifra. In effetti
sarà una serie numerata fino a 9”.
I volumi, di forma sferica, saranno realizzati in alcuni
dei legni più pregiati del mondo.
“Il legno mi è sembrato la scelta giusta per questa
raccolta, come legame ultimo con la carta”, aggiunge Curioni. E’ stato anche
scelto il fotografo che immortalerà la prima collana di BBooks, si tratta di
Giovanni Gastel. “Era indispensabile avere un grande interprete del bello e del
ben fatto, qualcuno che avesse anche elevata affinità con l’idea di libro”
spiega Giulio Ceppi, designer della prima serie di BBooks, “Oltretutto Giovanni
Gastel non è solo un fotografo, ma anche un raffinato poeta e quindi l'abbiamo
considerata una scelta inevitabile"
Gaia, questo il nome della prima raccolta, come sinonimo
di Terra, ma forse e soprattutto come la dea primigenia della mitologia dalla
quale tutto ebbe inizio. “Ho voluto che la collana avesse una sua identità”,
spiega Alessandro Curioni. “La sfera richiama immediatamente il nostro pianeta,
così come il legno richiama la vita. Se a questo poi si aggiunge che si tratta
della prima serie, Gaia mi è sembrato quasi doveroso”.
All’imminente conferenza stampa saranno presentati i
primi titoli.
“Flatlands di Abbott e l’Inferno di Dante sono state le
prime opere che ho voluto inserire nella collana”, ha dichiarato Alessandro
Curioni. “Il primo perché appena abbiamo definito il design della serie non ho
potuto fare a meno di pensare a questo racconto sulla geometria, il secondo
perché se esiste un vero visionario quello è Dante”.
Nella collana entra anche l’alta tecnologia. Al fine di
garantire l’unicità dell’oggetto è stato scelto il sistema ACS (Anti
Counterfeiting System) sviluppato dalla società italiana Mazelab. Sfruttando un
chip a tecnologia NFC criptato e inglobato direttamente nei BBooks, è stato
infatti possibile memorizzare in modo inalterabile ed univoco tutte le
informazioni riguardanti l'unicità dell’oggetto. Il riconoscimento è possibile
utilizzando un semplice Smartphome.
Informazioni: fabrizio_amadori@yahoo.it, 3275548880,
0239663499
L'evento avrà
luogo il 3 dicembre al Circolo Filologico di Milano in via Clerici 10 dalle ore
18.
***
Vivere all'estero. Guida per una relocation
di successo
Il manuale di Francesca Prandstraller, per Egea, che
insegna come gestire un trasferimento all'estero per lavoro: gli aspetti
logistici e psicologici per vivere non da straniero
Chi di noi non
ha pensato almeno una volta di lasciare l’Italia e trasferirsi altrove per
studio, lavoro o semplicemente alla ricerca di un luogo nuovo dove vivere? Ma
quando l’occasione arriva e la prospettiva diventa concreta, oltre
all’entusiasmo si affacciano le paure, le ansie e gli interrogativi: come
imparare in breve tempo a funzionare in un Paese diverso, dove lingua, cultura
e abitudini sono del tutto nuove e sconosciute? Quali difficoltà e opportunità
dovranno affrontare tutti i componenti della famiglia? E tornando a casa sarà
tutto come prima? Per molti Italiani di tutte le età andare a vivere all’estero
oggi non è più solo un sogno, ma un progetto concreto che richiede coraggio ma
anche preparazione, perché l’avventura comincia prima di partire e si conclude
ben dopo essere tornati. Gli aspetti logistici in fondo sono i più facili da
gestire.
Francesca Prandstraller, autrice di Vivere all’estero.
Guida per una relocation di successo (Egea 2014, 160 pagg., 16,50 euro, 9,90
e-pub), dà indicazioni molto pratiche, ma vuole soprattutto aiutare ad
affrontare consapevolmente gli aspetti intangibili del trasferimento, quelli
che ne determinano veramente il successo e che consentono di superare le
difficoltà iniziali per gioire alla scoperta nuovi mondi e per cogliere
l’essenza dell’esperienza fuori dai confini nazionali. Le differenze culturali
si manifestano in primo luogo nei comportamenti quotidiani e nei modi di agire
delle persone.
“Perciò in qualsiasi parte del mondo stiate andando” dice
l’autrice, “anche se vi ritenete persone mentalmente molto aperte e
internazionali, non potrete evitare di sperimentare situazioni nelle quali i
vostri valori, aspettative o abitudini si scontreranno con quelli delle persone
del luogo. Quindi quando andiamo a vivere all’estero quello di cui dobbiamo
essere consapevoli è che vivremo uno shock culturale”, inevitabilmente, più o
meno lungo, più o meno intenso a seconda di chi siamo, che esperienze
precedenti abbiamo e di quanto è distante la cultura d’arrivo dalla nostra
origine.
La cosiddetta curva del culture shock o meglio
dell’adattamento si divide in fasi: la prima fase è definita luna di miele
perché il nuovo arrivato si sente euforico e affascinato da tutte le novità che
incontra, ogni cosa con cui si ha a che fare è sconosciuta ed eccitante e si
tende a vedere in una luce favorevole le novità e le diversità. Purtroppo
questa fase positiva dura solo qualche settimana, e ben presto subentra la
seconda fase, detta della negoziazione nella quale, passato l’entusiasmo,
l’espatriato incontra difficoltà nella vita quotidiana e nella comunicazione.
Capire e farsi capire nella vita di tutti i giorni è difficoltoso, i gesti, le
abitudini, il cibo, l’ambiente circostante diventano irritanti e presto possono
subentrare sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia, tristezza,
incompetenza.
La fase dell’adattamento, inizia solitamente dopo qualche
mese quando la persona comincia a sviluppare routines e capacità che la aiutano
a interagire con la nuova cultura: ciò che era nuovo non lo è più, nasce un
nuovo senso di soddisfazione e di comprensione di ciò che appariva estraneo.
Ritorna pian piano la sensazione di essere in equilibrio
con sé stessi, di avere una direzione nella propria vita e di non sentirsi del
tutto persi ed in balia del mondo esterno. La familiarità con il nuovo ambiente
genera un nuovo senso di appartenenza ed inizia il confronto tra le nuove e le
vecchie abitudini di vita. Man mano che si consolida questa fase, la persona
comprende che la nuova cultura ha in sé, come tutte, aspetti positivi e aspetti
negativi. In questa fase si attuano integrazione ed adattamento accompagnati da
un più solido senso di appartenenza, identità e nuovi fini da raggiungere.
Francesca Prandstraller è docente in Bocconi di
Organizzazione e risorse umane, con particolare attenzione alle problematiche
della gestione delle risorse umane internazionali.
Francesca Prandstraller
Vivere all’estero.
Guida per una relocation di successo
Egea 2014, 160 pagg., 16,50 euro, 9,90 e-pub
UFFICIO STAMPA: fabrizio amadori, 327 5548880, 02
39663499