MERCATI BANDITI
Il mercato della sicurezza dei confini Ue
vale 15 miliardi di euro all'anno. I profitti armati lungo le frontiere
dell'Europa
La crescente
militarizzazione dei confini dell'Unione europea ha alimentato i ricavi delle
principali aziende di armamenti, da Airbus a Leonardo-Finmeccanica. Le stesse
che sono impegnate nella vendita di sistemi militari in Medio Oriente. È il
paradosso rivelato dal report "Frontiera di guerra. Come i produttori di
armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa"
promosso dalla ong “Stop Wapenhandel”
Armi e dollari |
Le frontiere europee hanno bloccato i
migranti ma non i profitti delle principali aziende di armamenti. Anzi, la
crescente militarizzazione dei confini dell’Unione europea -un mercato stimato
in 15 miliardi di euro nel 2015 e che nel 2020 toccherà quota 29 miliardi di
euro- ha alimentato i ricavi di quelle imprese già coinvolte nella vendita di
sistemi militari al Medio Oriente. A rivelare il paradosso è il report “Border
Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (Frontiera di
guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei
rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese “Stop Wapenhandel”, pubblicato
dal Transnational Institute (Tni) e rilanciato in Italia dalla Rete Italiana
per il Disarmo. Nelle 60 pagine del report, l’autore Mark Akkerman, membro di
Stop Wapenhandel, va oltre la retorica degli annunciati di programmi di
“contrasto all’immigrazione clandestina” e misura, nome per nome, affare per
affare, gli interessi dei colossi della sicurezza dei confini dell’Ue. Tra
questi spiccano come detto aziende che producono sistemi militari del calibro
di Airbus -64 miliardi di euro di ricavi nel 2015-, Leonardo-Finmeccanica (13
miliardi di euro il fatturato dello scorso anno), Thales, francese, 14,1
miliardi di euro a bilancio 2015, Safran e del gigante del settore tecnologico
Indra. “Tre di queste imprese (Airbus, Finmeccanica e Thales) -evidenzia il
rapporto- sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di
sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri sistemi ai paesi del
Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine
della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio.
Tra il 2005 e il 2014,
gli Stati membri dell’UE hanno autorizzato a queste ed altre aziende oltre 82
miliardi di euro di licenze per esportazioni verso Medio Oriente e Nord
Africa”. Il sostegno economico alla Fortezza Europa non conosce austerità. Tra
il 2004 e il 2020, infatti, l’Unione europea ha stanziato circa 4,5 miliardi di
euro a favore di misure di sicurezza dei confini degli Stati membri. E
l’agenzia di controllo delle frontiere Frontex, nata nel 2005, ha visto
crescere il proprio bilancio del 3.688% al 2016, portato da 6,3 milioni a 238,7
milioni di euro. Inoltre, all’industria degli armamenti e della sicurezza sono
state destinati gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro messi a
disposizione dall’Ue per la ricerca in materia di sicurezza. In materia di
finanziamenti per la ricerca, peraltro, le aziende non europee ritenute
meritevoli di riceverli sono tutte israeliane, in forza di un accordo del 1996
tra l’Unione europea e Israele. “Queste aziende hanno svolto un ruolo nel
fortificare i confini di Bulgaria e Ungheria, promuovendo il know-how
sviluppato con l’esperienza del muro di separazione in Cisgiordania e del
confine di Gaza con l'Egitto -spiega l’autore del rapporto-. L’azienda
israeliana BTec Electronic Security Systems è stata selezionata da Frontex a
partecipare al laboratorio svolto nell’aprile 2014 su ‘Sensori e piattaforme di
sorveglianza delle frontiere’: l’azienda vantava nella sua domanda di
applicazione via mail che le sue ‘tecnologie, soluzioni e prodotti sono
installati sul confine israelo-palestinese’”.
E intorno
alle “frontiere di guerra” si sarebbe condotta anche una costante operazione di
lobby. “L’industria degli armamenti e della sicurezza ha contribuito a definire
la politica europea di sicurezza delle frontiere con attività di lobby e per
mezzo delle abituali interazioni con le istituzioni europee per le frontiere e
anche delineando le politica per la ricerca -si legge nel report-.
L’Organizzazione europea per la Sicurezza (EOS), che comprende Thales,
Finmecannica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle
frontiere. Inoltre, molte delle sue proposte, come ad esempio la spinta ad
istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate
politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in
‘Guardia costiera e di frontiera europea’ (European Border and Coast Guard -
EBCG). Infine le giornate biennali di Frontex/EBCG e la loro partecipazione a
tavole rotonde sul tema della sicurezza e ai saloni fieristici dedicate ai
sistemi militari e alla sicurezza garantiscono una comunicazione regolare e una
naturale affinità per la cooperazione”.
“Purtroppo non è stupefacente vedere anche
Finmeccanica-Leonardo tra i principali destinatari di questa enorme massa di
fondi -riflette Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il
Disarmo– grazie ai quali l'azienda controllata dallo Stato italiano può
accrescere il proprio fatturato. Mentre, al contrario, sarebbero necessari
investimenti di tutt'altra natura per ottenere soluzioni vere alle dinamiche
migratorie attuali. Fin da subito la nostra Rete ha commentato negativamente la
crescita dei fondi per una risposta meramente muscolare e di controllo
(comunque impossibile) delle frontiere. Una scelta che è ancora più miope ed
insensata se si va a considerare l'enorme numero di profughi che stanno
scappando dalle guerre alimentate dalle armi prodotte e vendute da queste
stesse industrie militari”.