UNA GIOIOSA FATICA
di
Salvatore Di Marzo

Angelo Gaccione
Questo
dialogo con Angelo Gaccione è stato pubblicato sabato 27 settembre 2025 su
“Eroica Fenice”. “Odissea” ringrazia l’autore e la testata per averne
autorizzato la riproposizione anche su queste pagine.
Una gioiosa fatica di Angelo Gaccione, a cura di Giuseppe Langella ed edito nella collana di poesia civile Fendinebbia
da lui diretta per
la casa
editrice La Scuola di Pitagora, è un’antologia
poetica di profonda consapevolezza; in essa l’autore non semplicemente raccoglie componimenti
scritti durante l’arco della sua vita (1964-2022), bensì definisce le tappe cruciali della propria biografia
intellettuale attraverso la poesia. Leggendo le pagine di Una gioiosa fatica si ha la sensazione, infatti, di percepire una quasi totale sovrapposizione
tra la biografia dell’uomo e quella del poeta, in quanto le poesie raccolte
nella sezione prima, Le
ritrovate, sono risalenti alla
prima giovinezza di Gaccione ed in esse è possibile già scorgere gli esiti del
lirismo che progredirà nei componimenti scritti nell’arco di un’intera vita:
una personalità poetica latente che si manifesta all’altezza cronologica a cui
risalgono le poesie “ritrovate” e che si definisce lungo l’intero libro,
riflesso di un’esistenza intenta nella “gioiosa fatica” del costruire
poesia. È sulla base di questa considerazione che Una gioiosa fatica assume la fisionomia di qualcosa
di molto di più di una semplice raccolta di poesie. Il lettore di questo libro
avrà, dunque, modo di conoscere l’andare e il ritornare poetico di un ingegno dinamico e in continua riflessione, quasi di dialogare con il suo autore,
arrivando a comprendere, e a condividere, gli impulsi poetici e morali che danno
origine ad ogni verso.
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Angelo Gaccione |

La copertina del libro
Salvatore
Di Marzo: La sua raccolta Una
gioiosa fatica custodisce il frutto di una devozione poetica durata
un’intera vita. Nel suo Incipit, così
principia: «La poesia mi è appartenuta. Io sono appartenuto alla poesia». Qual
è stata la scintilla che ha originato questo «rapporto cominciato presto e che
non si è mai interrotto»?
Angelo
Gaccione: Penso sia stato un problema di sensibilità, di sensibilità
eccessiva impossibile da tenere a bada; non saprei spiegare diversamente questa
“urgenza” che ha preso corpo in una età tanto giovane. In fondo ero poco più che
un ragazzo quando la scintilla, come correttamente ha detto lei, si è
accesa, si è rivelata.
Di
Marzo: Leggendo l’Ouverture
di Franco Loi in soglia del suo volume, si apprende che le due sole poesie che
compongono la sezione liminare de Le
ritrovate sono scritte all’altezza dei tredici anni circa; rileggendole
ora, quale distanza percepisce col suo attuale sentire poetico?
Gaccione: Li
aveva conservati mia madre quei due brevi testi, e fortunosamente non sono
andati dispersi. Riletti da adulto mi sono stupito del disagio che rivelano e
dell’inquietudine che fermentava nell’anima di un adolescente qual ero. Forse
quel sentire ha contaminato tutto il percorso poetico fino all’età tarda.

Di
Marzo: Ancora nel suo Incipit,
scrive: «Ho letto e continuo a leggere i poeti di ogni luogo e di ogni tempo, e
senza prevenzioni, tanto che posso con semplicità affermare che la poesia ha riempito
la mia vita e me ne sono nutrito. In maniera discreta, ma continua, l’ho sempre
praticata». In virtù di questo, quali sono le tappe e i modelli principali
della sua continua pratica e formazione poetiche?
Gaccione: Una
gioiosa fatica comprende una parabola temporale molto lunga ed è naturale
che la pratica poetica venga influenzata dal nostro vissuto e dal nostro
sguardo sul mondo. Le sezioni in cui è diviso il libro, dodici (per coerenza
con la Collana editoriale sono state tenute fuori altre cinque sezioni che
componevano l’intero corpus: Le amorose, Le svagate, Le
appassionate, Le attonite, Le amare), lo mostrano sia per
tematiche che per stile. O, se preferisce, per mutamento di sguardo e di
linguaggio.
Di
Marzo: Già ad una prima lettura, balza all’occhio la natura composita
di Una gioiosa fatica e delle sezioni
che compongono il volume. In termini di cronologia delle poesie, ad esempio,
nel gruppo de Le straniere, risalenti
agli anni ’80, appare una poesia datata ottobre 2019; o, ne Le milanesi,
il lasso temporale abbraccia i primi anni ’80, il 1999, per poi balzare al
2020, tornare indietro al 2006 e ritornare al 2019; ciò si verifica anche per
altre sezioni. In tal senso, quale è stato il criterio di selezione e di
ordinamento delle poesie della sua raccolta?
Gaccione:
Come scrive il filosofo Fulvio Papi nella sua postfazione, ho preferito una
enucleazione per temi “rispetto al segno temporale”. Anche se come avrà visto
tutte le poesie portano una data e un luogo. Mi sembrava più coerente procedere
secondo questa scansione, proprio in virtù del senso e della ripetizione
di cui ha parlato Papi.
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Gaccione in un dipinto
di Max Hamlet
Di
Marzo: In un componimento de Le
illuminate, non titolato, scrive: «Fermate la morte sull’uscio | datemi il
tempo di raccogliere | le ultime conchiglie | dopo la bassa marea | devo
ordinare le mie carte | e spolverare il vestito | voglio che la morte | mi
trovi pulito». Se messo in relazione con i versi di altre poesie di carattere
più strettamente civile (ad esempio Ventinove
versi, 2011; Cinquantanove versi,
2011; Da una parte sola, 2020; Poesia impertinente, 2022), è possibile
notare un’antinomia tra l’io lirico, super partes ed esplicitamente espresso, e
un ‘voi’ o un ‘loro’. Cosa può dire di questo legame antinomico del suo ‘io’
col mondo?
Gaccione: Tutta
questa raccolta, ma direi la mia intera produzione poetica, oscilla fra un io lirico
ed esistenziale più privato e un io sociale che si confronta con quella che
potremmo definire una macro-realtà senza confini. Una macro-realtà a volte
scandalosamente empia e disumana, pullulante di vite e di eventi a cui l’io
sociale non può restare indifferente. Un io sociale che si indigna o riflette e
si fa voce collettiva.
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di Max Hamlet

Gaccione con il poeta Franco Loi
Di
Marzo: Emerge una tensione ‘civile’ nella sua opera che è difficile
non notare. Cosa significa per lei ‘poesia civile’ e in che modo essa ritrova
utilità in un mondo che pare alla deriva?
Gaccione: Nella
raccolta di riflessioni e aforismi dal titolo Schegge uscita nel 2024,
c’è n’è uno che ha per titolo “Poesia civile” e così recita: “È
civile tutto ciò che oppone l’umano ad disumano”.
Ogni volta che ci opponiamo al disumano noi facciamo una scelta civile. Per
citare le parole del critico e poeta Giuseppe Langella, nessun poeta dovrebbe
“Distogliere lo sguardo dall’abisso verso cui siamo incamminati” perché se lo
facciamo questo ci renderà “complici del più assurdo genocidio della storia
terrestre: la cancellazione della specie umana”. Dobbiamo contribuire a
“scongiurare il peggio” come scrive Langella, usare anche la parola
poetica per porre un argine al male, per “rendere meno maledetto il mondo” come
ebbe a scrivere Elsa Morante. Senza dimenticare l’impegno personale portando il
proprio corpo là dove l’empietà e il disumano lo esigono; mescolandolo agli
altri corpi che parlano e si muovono concretamente dentro lo spazio pubblico. È una
lezione che ho fatto mia sin da giovanissimo e non ho mai derogato.
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Gaccione con il poeta Franco Loi |

Gaccione con il poeta
Filippo Ravizza
Di
Marzo: La figura femminile nelle sue poesie sembra assumere un valore
particolare: essa pare talora consentire una prospettiva diversa all’osservare
poetico (Vecchiaia, 2014), talaltra
appare come pacificatrice del suo ‘io’ col mondo (vedi ad esempio Place de la Concorde, 1980). Ci parla
della presenza della donna nei suoi versi?
Gaccione: In
questa raccolta mancano alcune sezioni: le amorose, le appassionate, e anche le
dolorose espunte per esigenze editoriali. Tuttavia qualche eco si può trovare
in testi come Anniversario o Acrostico. Qui si tratta di donne
che mi appartengono per consanguineità, e i versi si riferiscono ad un evento
lieto: l’ingresso nel mondo della mia adorata nipotina. E poi c’è La conta,
gioiosa ma dal retrogusto amaro. Forse la presenza femminile più pregnante si
trova nei ritratti che ho composto numerosi nel volume di racconti Sonata in
due movimenti e nei testi teatrali raccolti nel volume Ostaggi a teatro.
Ma se me lo permette vorrei regalare ai suoi lettori questo testo inedito che
si trova nella sezione delle amorose. È del
18 ottobre del 2021, non ha titolo, ma mi rappresenta abbastanza.
E quando arriverà la pioggia,
quella che il vento sferza di sghimbescio
– la più amara e anche traditrice –
io sarò lì con te per sostenerti.
Terrò saldo nel pugno il parapioggia
quello più grande, quello di riserva,
per ripararti da ogni sua ferita.
Per gli occhi no, non ci sarà riparo,
ma il pianto puoi adagiarlo sul mio petto
lo terrà caldo e gli darà conforto.
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Gaccione con il poeta Filippo Ravizza |

Gaccione con il filosofo Fulvio Papi
Di
Marzo: La tematica della morte è presente indirettamente in varie
poesie (ad esempio nella sezione Le sacre),
ma sembra palesarsi maggiormente sul finire del libro, nel gruppo de Le ultime, che raccoglie poesie
risalenti a novembre 2022: ne sono un esempio Misteri e Istinto e destino;
tale tematica sembra intrecciarsi a quella trascendente, riflessa da una prospettiva
umana (Dio e la chimica, Non est requiem, Controversia sull’anima). Inoltre, in tal senso, mi viene in mente
l’incipit di una poesia precedente, Per padre David Maria Turoldo
(2015-2016): «Sono venuto sulla tua tomba di credente | perché hai tuonato
spesso contro il Cielo | e la tua fede ha più volte vacillato». Quale è il
rapporto della poesia con la fede e il trascendente? Cosa può dire a proposito?
Gaccione: Nel
libretto Poeti. Ventinove cavalieri e una dama pubblicato dalla Di
Felice Edizioni, c’è un testo che ha per titolo “Testori”. In quei versi ho
immaginato un irrisolvibile conflitto fra il poeta e Dio destinato a non avere
tregua. Il rapporto della poesia con la fede e la trascendenza ha una lunga
tradizione e basterebbe fare i nomi di due giganti come Rebora e Turoldo. E
quello dello stesso Testori, naturalmente. Io sono più interessato alla
sacralità delle cose e degli esseri. Soprattutto alle cose più umili e minute
su cui gli uomini hanno lasciato i loro segni, infuso la loro intelligenza,
nate dalla loro passione. Un semplice oggetto passato di mano in mano, privo di
valore di scambio, può arrivare a commuovermi. Come le vite umili, pacifiche,
spoglie, private da ogni male. La raccolta Spore pubblicata alcuni anni
fa da Interlinea rivela quanto quei versi siano impastati di sacralità.
Gaccione con il filosofo Fulvio Papi |
Di
Marzo: Milano trova spazio privilegiato nei suoi componimenti, sia
come luogo della loro stesura sia nella precipua sezione Le milanesi: città reale e città ideale, ambiente e carattere dei
suoi versi. Quale è il legame della vera Milano con la Milano poetica?
Gaccione: Domanda
difficile. La Milano “poetica”, architettonicamente poetica, dalle atmosfere
poetiche, è stata umiliata e violentata. La guerra con i bombardamenti da un
lato ed il saccheggio urbano dall’altro ne hanno disperso i tratti. I poeti
l’hanno celebrata numerosi, come ho dimostrato con le due antologie da me
curate per la Viennepierre: Poeti per Milano e Milano in versi.
Poeti di ogni luogo, soprattutto non milanesi. Io posso parlare del mio
rapporto con Milano, con la mia Milano, su cui ho scritto molto e
continuo a farlo. Scrivo in sua difesa e scrivo delle sue bellezze e del suo
degrado. Scrivo del suo muto dolore e del mio. A volte prevale lo sconforto, e
per non disperare del tutto mi ripeto mentalmente i versi di Città mia
che si trova a pagina 55 di Una gioiosa fatica. E mi rassereno.
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