INSEGNANTI DI
RUOLO: dieci su 100 eliminati
di Franco Manzoni
Servizio
sanitario nazionale: -1.3 per cento. Regioni: - 5 per cento. Scuola: -10,9 per
cento. Sono i dati della riduzione del personale della pubblica amministrazione
con i tagli e le razionalizzazioni degli ultimi 5 anni, dal 2007 al 2012. Solo
l’Università ha «dato» tanto quanto la scuola: - 9.4 per cento. E gli
insegnanti che hanno lasciato o perso il posto di lavoro sono soprattutto
quelli a tempo determinato: la fetta dei precari che ora lavorano nella scuola
è scesa di un quarto, - 25 per cento.
La diminuzione degli insegnanti è il doppio degli altri
comparti del pubblico impiego
A dare questi dati non sono i sindacati ma uno studio
della Fondazione Agnelli che ha incrociato i dati della Ragioneria generale
dello Stato e quelli del Miur. «Il personale della scuola statale (insegnanti e
Ata) - si legge nel rapporto - è diminuito del 10,9%, una percentuale quasi
doppia della media del pubblico impiego, che nello stesso periodo ha visto nel
suo insieme una contrazione del 5,6%. In particolare, mentre nel frattempo la
popolazione studentesca è rimasta a livello nazionale sostanzialmente stabile,
gli insegnanti sono passati da 843mila a 766mila (-9%), una riduzione che ha
toccato in eguale misura tutti i gradi scolastici, con l’eccezione della scuola
dell’infanzia, e ha riguardato in modo più vistoso i docenti con un contratto a
tempo determinato
(-25%), mentre quelli di ruolo sono scesi del 6%».
Il ruolo della riforma e il contributo al
risanamento della spesa pubblica
La contrazione degli insegnanti - che ha portato a
modificare il rapporto professore/numero di studenti visto che la popolazione
dei ragazzi a scuola non è cambiata - si è verificata soprattutto nel triennio
2008-11, come previsto effetto delle misure volute dai ministri Gelmini e
Tremonti con la legge 133/2008. «Sappiamo che verso la fine del secolo scorso
il numero degli insegnanti in Italia era cresciuto anche quando la popolazione
studentesca stava diminuendo – ricorda il direttore della Fondazione, Andrea
Gavosto – e ciò in parte spiega perché il rapporto studenti/docenti era in
Italia inferiore alla media europea e ancora resta tale, sebbene le distanze
ora si siano ridotte. Un riallineamento alle tendenze della demografia
studentesca era necessario. Tuttavia, alla luce dei dati, non c’è dubbio che in
questi anni la scuola italiana abbia già dato molto e contribuito al
risanamento della spesa pubblica in misura assai superiore degli altri comparti
del pubblico impiego. Sarebbe giusto tenerne conto in un’ottica di spending
review».