di Angelo Gaccione
Pablo Picasso |
Di Picasso è stato detto e scritto di tutto e
sono state date le definizioni più diverse. Si è usato addirittura il sostantivo
“cannibale”, per sottolineare la sua incredibile facilità e voracità nel divorare
e metabolizzare arte; arte di qualsiasi tipo, di qualsiasi specie.
Se la scrittrice americana
Gertrude Stein, sua amica e collezionista (nel 1938 gli aveva dedicato anche un
libretto) ne evidenzia la genialità e la capacità di vedere - e far vedere - le
cose in modo nuovo: “Ecco perché i geni
sono rari: complicare le cose in modo nuovo è facile, ma vedere le cose in modo
nuovo è molto difficile”, non c’è dubbio che è stato Hans Sedlmayr quello
che più di tutti ne ha sintetizzato l’essenza più vera, definendolo “l’artista proteiforme”. Vale la pena
riportarle per intero le parole di Sedlmayr: “Davvero, non c’è probabilmente nessun
nome che caratterizzi Picasso meglio di questo, e nessun artista che lo possa portare con maggior diritto
di lui. L’uomo proteiforme, capace di
trasformare ogni cosa, ora Dio, ora
granello di sabbia”.
Questa corposa mostra allestita
al Palazzo Reale di Milano, cui è stata data il titolo di Picasso. Metamorfosi, darà conferma dell’artista proteiforme, anche agli occhi di quanti non avevano potuto
vedere l’antologica del 2001 e la monografica del 2012, che la città ambrosiana
aveva dedicato al pittore malagueño.
Anonimo. Frammento di oscillum "Il bacio" |
P. Picasso "Il bacio" |
L’intento del curatore Pascale
Picard è stato quello di mettere a confronto il lavoro dell’artista spagnolo,
così come si è dispiegato attraverso alcune fasi temporali ben precise, con i
modelli e i simboli (formali e culturali) che lo hanno via via sedotto e
suggestionato. In primis, e in maniera corposa, con le fonti della tradizione
antica mediterranea, ma non solo. Il percorso si articola in sei sezioni così
suddivise: “Mitologia del bacio”, “Arianna tra Minotauro e Fauno”, “Alla fonte
dell’antico”, “Il Louvre di Picasso”, “Antropologia dell’antico”, “L’antichità
delle metamorfosi”. I materiali esposti provengono dal Louvre di Parigi
(fondamentalmente dal Dipartimento delle Antichità greche, ed etrusco-romane e
dal Dipartimento delle Antichità Orientali), dal Museo Nazionale Picasso della
stessa città francese, un marmo proveniente dai Musei Vaticani e una matita su
carta prestata dal Museo Ingres di Montauban, qualcosa dal Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, dai Musei Picasso di Antibes e di Barcellona, dal Museo
dell’Orangerie e dal Centro Pompidou sempre di Parigi, dal Museo delle Belle
Arti di Lione, dalla Fondazione Almine e Bernard Ruiz-Picasso per l’Arte (Bruxelles,
Madrid), e una statua frammentaria dal Museo Barracco di Roma. Numerosi anche i
prestiti da collezioni private. Se non ho contato male, considerando le
acqueforti realizzate per illustrare il volume de Le Metamorfosi di Ovidio
per l’editore Skira, i lavori di Picasso sono all’incirca un centinaio. Il
resto è composto da coppe, anfore, crateri, skyphos, lekythos, statuette,
piatti, hydria, stele, affreschi, mosaici, frammenti di materiale vario,
bronzi, appartenenti all’antichità.
Anonimo "Arianna addormentata" |
P. Picasso "Nudo disteso" |
Come si sa, Picasso è sempre
stato affascinato dall’arte antica e dalla mitologia cui essa è legata. Ci sono
tracce nei suoi lavori giovanili, lo sappiamo dalla frequentazione assidua
delle Sale del Louvre dove si recava per “copiare” quell’arte con le sue figure
e i suoi simboli; dalle letture, dagli appunti, e dalle sue stesse collezioni.
Quando Apollinaire compì il famoso furto al Louvre, si scoprì che era stato
proprio Picasso a comprare quelle statuette. Una fedeltà che abbraccia, come
questa mostra registra, un arco di tempo che va dagli anni Venti ai tardi anni
Cinquanta del secolo scorso. C’è una piastrellina decorata con un baccanale, su
cui sono raffigurati un musico, un danzatore e un bevitore, che Picasso ha
dipinto nel 1957; e del 1958 sono le lastre in argilla con i suonatori di flauto.
Picasso ha avuto costantemente un occhio rivolto all’arte antica, anche nel
pieno dei suoi periodi di maggiore sperimentazione, ed ha guardato più al mito
ed ai suoi significati profondi che al gusto. Più alla metafora che al bello
ideale, più al mistero che allo stile. “Il
peggior nemico di un pittore è lo stile” amava dire, e forse è stato per
questo che egli nel corso della sua lunga vita (morirà a 92 anni), di stili ne
ha cambiati in continuazione.
P. Picasso "Fauno, cavallo e uccello" |
Quella di Picasso non è una
semplice “copiatura” dei capisaldi che l’arte classica ci ha lasciato di più
ragguardevole; è la trasformazione (una metamorfosi,
appunto) geniale, inventiva, delle fonti che hanno nutrito il suo immaginario.
Fonti da cui ha tratto ispirazione, codici che gli sono serviti per formulare
una reinvenzione espressiva, e non una sterile provocatoria “dissacrazione”
fine a se stessa. Qui è l’uomo proteiforme
che, metamorfizzando, si metamorfizza a sua volta. Basterebbe richiamare
alla mente due presenze costanti nella pittura di Picasso: il Fauno e il
Minotauro. Due miti virili con cui spesso si è identificato e che hanno finito
per rappresentare, volta a volta, il suo alter ego.
A proposito della figura del
Minotauro è Picasso stesso a confermarcene la centralità: “Se tutte le tappe della mia vita potessero essere rappresentate con
punti su una mappa e unite con una
linea, il risultato sarebbe la figura del Minotauro”.
E poiché egli maneggia
immagini, figure, la metamorfosi non può che riguardare le forme.
Forme che diventano “altre”,
pronte ad assumere una nuova identità, nuove sembianze; a rivivere in una nuova
vita: “Io prendo un vaso e ne faccio una
donna. Impiego la vecchia metafora, la rovescio e le rendo vita”.
Il raffronto speculare che la
mostra permette nelle sue Sezioni, risulta pregnante e di particolare
interesse. Lo Specchio raffigurante la
scena del giudizio di Paride (bronzo, 350-300 a. C.), gli ispira lo
specchio ligneo Tre nudi del 1907; le
forme della statuetta di marmo: Statuetta
femminile con le braccia incrociate, gruppo di Syros (2700-2300 a. C.), gli
ispirano quelle delle sculture di bronzo del ciclo I Bagnanti realizzati nel 1956; l’immagine della terracotta: Piatto a figure rosse con testa di donna
(350-325 a.C.), gli suggeriscono il profilo di Françoise con chignon floreale dipinto su un frammento di
terracotta del 14 settembre del 1950. Questa comparazione riguarda opere realizzate
con materiali fra i più diversi, e mostra come l’atto creativo, sebbene
sollecitato da quelle visioni e da quello studio, è rimasto perfettamente
autonomo. Picasso fa tesoro di quello studio, di quel viatico che si è rivelato
un prezioso nutrimento, e che affonda le radici in un passato così lontano, in
una tradizione tanto augusta. Egli quelle radici non le ricusa, anzi.
P. Picasso "Portafiori a forma di uccello" |
Consapevole come pochi, egli sa
che “Non c’è passato né futuro in arte. Se un’opera d’arte non può vivere sempre
nel presente non se ne deve assolutamente tener conto”, di questo è profondamente convinto. E la riprova è evidente
nella Mitologia del bacio che apre la
prima sezione di questa mostra. Gli antichi frammenti di oscillum di terracotta
su i quali è raffigurato il bacio fra due amanti, hanno affascinato Picasso
alla stessa maniera del bacio di Rodin, immortalato nel gruppo bronzeo
conservato al Museo delle Belle Arti di Lione, come il bacio fra Paolo e
Francesca del disegno di Ingres. Picasso vi si è avvicinato con la stessa
ammirazione, con la stessa considerazione, senza badare ad alcuna distanza temporale.
Non era interessato a quelle forme, era interessato all’aura che da quelle
opere proveniva, al loro soffio vitale. Nasceranno Il bacio (1929), Il bacio
(1943), Il bacio (1969), e L’abbraccio (1970). Sono tutti oli su
tela, tutti di stile differenti, tutti picassiani, e le forme hanno subìto una
rivoluzione. Ma lo spirito è quello di sempre. Perché compito dell’artista che
viene dopo, non è di rifare pedissequamente il già fatto, ma di vivificare lo
spirito di quel passato e di quella tradizione; ed è quello che fa Picasso. Ha
scritto il compositore Gustav Malher, l’uomo “tre volte senza patria” (boemo,
austriaco, ebreo), che “La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle
ceneri”. Io credo che queste magnifiche parole di Malher possiamo applicarle
a Picasso senza difficoltà.
A lui, che più di ogni altro,
ha custodito il fuoco e respinto le ceneri della tradizione; all’artista più
geniale ed inventivo del XX secolo.
Picasso.
Metamorfosi
Milano. Palazzo Reale
Promossa e prodotta dal Comune
di Milano
Curatore: Pascale Picard
Dal 18 ottobre 2018 al 17
febbraio 2019