MANHATTAN
di
Adam Vaccaro
Adam Vaccaro
Tra
i libri di Angelo Gaccione, questo Manhattan (scritto tra il 1990 e il 1991
e pubblicato nel 1995) mi era sfuggito, e a leggerlo dopo quasi 30 anni dalla
sua stampa, è stato come aprire la porta per uscire ed essere investiti da una
ventata impietosa che apre insieme al cappotto, solchi tra i capelli e le idee
che ognuno di noi cerca di mettere in ordine, nel trambusto incessante di
questi ultimi decenni.
Devo
dire, una ventata impietosa ma anche salutare che spazza via granelli di
polvere e invisibili polveri sottili pm10. Polveri accumulate tra le tante
scritture di poetese e prosatese della letteratura nostrana,
rigonfia come un’epa o un deretano di quadri di Botero, ininfluenti rispetto
alle macerie e disgregazioni socioculturali prodotte dal pensiero unico
dominante della globalizzazione neoliberista. Un vento, questo, impetuoso,
trionfante e incurante di quella che è stata definita catastrofe antropologica,
che continua a essere narrata (grazie a un esercito fidelizzato di maggiordomi
e supporter) dal mainstream al servizio della ca(u)sa, come incessanti
magnifiche sorti e progressive. Su tutto questo, gran parte delle scritture
contemporanee ama rimanere appartata, chiusa in proprie alte e rarefatte stanze
di esercizi preziosi e privati.
Questo
libretto di Gaccione di 30 anni fa, apre invece la porta e si fa travolgere dal
disastro, incapace di ignorarlo e darcene conto buttandoci in faccia frantumi
umani, ridotti a sassi, briciole e infimi invisibili pulviscoli, prodotti da
quel vento che piega tutti come canne, incapaci di contrapporsi e ignare del
sapere coltivato da querce solitarie.
Il
non detto dei quadri offerti dal Manhattan di Gaccione è un urlo nel
silenzio arreso circostante, che restituisce ai frantumi sgangherati e
disperati cui dà voce, l’implicito imperativo categorico – etico, culturale e
umano – di chi non rinuncia allo sguardo sui mali del mondo, per non ridursi a
vivere in un paradiso di idioti, o di schiavi contenti e incapaci di uscire
dalla moderna caverna platoniana di mille canali televisivi, in cui è
impossibile vedere le proprie catene.
Ne
consegue la forma di questi mini-flash teatrali, di cui coglie opportunamente i
ritmi da rap nella sua prestigiosa postfazione, Roberto Roversi. Dialoghi
serrati che sanno esaltare il nondetto rispetto al contesto, e che, pur
mettendo sulla pagina crudezze e realtà umane degradate, fanno sempre
sapientemente percepire quella pietas, senza la quale, ci arrendiamo
alla barbarie in cui il valore dominante è quello per il quale tutto è ridotto
a merce.
[4
gennaio 2022]
Angelo
Gaccione
Manhattan
Racconti minimi per il teatro
Ed.
Atelier Onesti, 1995
Pagg.
98 Lire 15.000