IL LINGUAGGIO E LA
FINANZA
Vista da vicino la pubblicità è un
linguaggio cioè un mezzo di comunicazione, un medium che si serve di un altro
medium per ottenere il proprio obiettivo: comunicare. Ovviamente comunicare il
plus di prodotto, il referente del linguaggio e della creatività nei mass media
cioè in quei medium che raggiungono l’obiettivo della comunicazione, il target.
Insomma un medium che usa un altro medium che a sua volta usa altri medium.
Alla fine tutti i medium si confondono e diventano uno solo. La parola,
l’immagine, la tv, i giornali, internet sono lo stesso medium dal punto di
vista della comunicazione. C’è un emittente, un messaggio e un destinatario.
Oggi! Ma prima, prima dei mass media, prima della pubblicità? In principio era
il logos, dice l’apostolo, il logos era presso Dio e Dio era il logos stesso,
così la scrittura di Giovanni. E prima del logos? E prima del logos ci sono i
materiali, il papiro, il legno, l’argilla che inventano i segni che designano
le cose: la scrittura. Per primi i Sumeri usarono pittogrammi, geroglifici
nella gestione economica della città per
distinguere e assegnare ad ogni tribù la loro parte di cereali e frutti della
terra. Da segni pittorici alla scrittura il passo è stato lungo ma prevedibile
e da allora inizia quell’evoluzione segnica che porterà all’alfabeto, madre
dell’occidente. La scrittura è la memoria, è il culto dei morti è la proprietà.
Con la scrittura, in breve tempo, nasce la moneta, il denaro che da allora
hanno sempre camminato l’una di fianco all’altra stabilendo concetti e
referenti. Ogni parola scritta significa qualcosa, ogni moneta scambia
qualcosa. Una legge semplice che fa della rappresentazione una realtà di
riferimento. L’insieme delle parole è il mondo l’insieme delle monete è la merce.
Ma nel medioevo scrittura e moneta scoprono l’altra metà di sé. La prima si
accorge che ogni parola scritta è anche ‘flatus voci’ cioè puro suono e
calligrafia, l’altra di valere di più di quanto dice grazie all’usura cioè
prestare denaro e riaverlo aumentato. Rompere questo vincolo significa rompere
il proprio significato. Quando le parole sono in libertà cioè non hanno più
significato e referente diventano puro significante (flatus voci) non
comunicano più come quando il denaro si svincola dalla merce. La finanza ha
fatto del significante, cioè dell’usura, il proprio significato cioè invece di
rappresentare la merce, il referente, rappresenta se stessa, il proprio essere
significante diventa il profitto derivato dall’usura. La parola usura
rappresenta il guadagno del capitale al suo rientro: si presta una somma di
denaro a qualcuno che lo restituisce maggiorato di una percentuale che varia a
secondo dell’uso che se ne fa. Più l’uso è importante più la percentuale
aumenta. Ecco allora che il denaro produce denaro, il suo referente non è più
la merce ma l’uso che se ne fa. L’usura è valore, profitto per chi presta e
nuova opportunità di guadagno per chi usa. La storia delle banche corrisponde a
quella dell’usura fino al punto in cui la finanza prende il posto dell’usura e
perde di vista il destinatario del proprio linguaggio. Invece di creare
profitto nella vendita si svaluta progressivamente e il denaro perde valore e
significato. La crisi finanziaria è una crisi linguistica in cui il medium
denaro è svincolato da qualsiasi mercato e merce. Non comunica, non ha
significato ovvero non vale nulla. L’alfabeto detta una volta ancora la propria
legge. Non si muove foglia che lui non voglia.
Michelangelo
Coviello