INDUSTRIA:
PRIVATIZZAZIONI E PIANO INDUSTRIALE
di Franco Astengo
Calenda: "All'Italia serve un
piano industriale. La crisi non è alle spalle".Dice il ministro dello
Sviluppo economico Carlo Calenda: "La verità, vuol sapere? La verità è che
in trent'anni nessuno ha fatto niente per le imprese di questo Paese".
Chi non ha
fatto nulla?
"I vari
governi della fine della prima e della seconda Repubblica. Se dal 2007 al 2014
l'Italia ha perduto il 25% della propria base manifatturiera, la ragione è
proprio questa".
Queste
recentissime dichiarazioni del ministro Calenda
hanno aperto un forte dibattito all’interno dell’area di governo, con
risposta del responsabile economico del PD Nannicini (già consigliere di Renzi
a Palazzo Chigi nel ruolo di elaborazione del job act), e si collegano anche
con una interessante intervista rilasciata al Corriere della Sera ( pubblicata
il 2 Agosto) dal presidente e dall’amministratore delegato di Cassa Depositi e
Prestiti, Gallia e Costamagna ,pone in rilievo una questione sul quale da tempo
dovrebbe essere aperta una discussione di fondo. In entrambe le occasioni
emerge, infatti, con grande chiarezza il deficit di politica industriale che
l’Italia accusa ormai da molto tempo e dovuto dal vero e proprio disastro creato nei settori
strategici dalle privatizzazioni, a partire dallo scioglimento dell’IRI : Dal
’93 al 2000 l’IRI ha venduto partecipazioni e rami d’azienda i cui proventi
andarono al Ministero del Tesoro, suo unico azionista; è uscita completamente
da interi settori economici: bancario (cedute le partecipazioni detenute nelle
tre banche di interesse nazionale: Comit, Credit e Banca di Roma), siderurgico,
impiantistico, alimentare, delle telecomunicazioni (cessione della
Stet-Telecom), autostradale, delle costruzioni dell’ingegneria e delle
infrastrutture edili. Vende le compagnie di navigazione e di linea. Ultime
operazioni sono state l’uscita dal sistema aeroportuale e la cessione della
quota ancora posseduta in Finmeccanica. Il 27 giugno del 2000 l’Assemblea
Straordinaria dell’IRI spa delibera lo scioglimento dell’IRI mettendolo in
liquidazione a partire dalla data del 1 luglio 2000 secondo un processo che si
concluderà nel novembre 2002: il suo patrimonio residuo è incorporato nella
società Fintecna, che fa parte appunto del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti.
Rievocato
questo passaggio storico rimane da ricordare, nell’attualità, come il quadro
generale sia comunque quello del rapporto tra internazionalizzazione dei
processi e ruolo dell’intervento pubblico in economia (come ben dimostrato del
resto dall’intervento del governo francese nella vicenda dei cantieri navali).
Da considerare, ancora, il ruolo dell’industria bellica e del suo rinnovamento
tecnologico in una fase di fortissima ripresa delle procedure di riarmo da parte
delle grandi potenze (pensiamo a navi, aerei, ecc) e all’impegno che questo
comporta nei vari bilanci statali e
nella pianificazione industriale.
Andiamo
allora per ordine nel valutare ciò che è successo con le privatizzazioni
seguite alle dismissioni e poi allo scioglimento IRI
1) Inutile ricordare ciò che è
accaduto nel settore bancario. Nell’intervista citata i vertici di CdP parlano
della partecipazione al fondo Atlante (10%) come di un “toppa” per non far
saltare l’intero sistema. Ed è tutto detto, lo si capisce addirittura leggendo
l’intervista;
2) L’Italia ha il più alto consumo
di acciaio al mondo e dispone di una produzione insufficiente (ad esempio
importa laminati piani) ed è ormai costretta, come sostengono gli intervistati,
a “tifare” Ilva cioè gli indiani, con tutte le conseguenze del caso.
3) Anche rispetto ad Alitalia non
si ritiene di dover riferire e commentare più di tanto: i risultati della
privatizzazione sono sotto gli occhi di tutti e anche i ridicoli balletti alla
ricerca di partners più o meno probabili;
4) Al riguardo delle
telecomunicazioni (settore
strategicamente decisivo) appare evidente l’estrema debolezza e ritardo
accumulato nel settore (oltre a vicende poco edificanti come quella dei
“capitani coraggiosi”) portando Telecom in mano ai francesi e istruendo una
finta concorrenza in termini di “cartello”. Un quadro di vero e proprio
arretramento.
5) Nella stessa intervista già
citata ai vertici di CdP si lamenta il blocco di molti progetti
infrastrutturali (si accenna alle carceri e agli impianti di illuminazione
pubblica). Esistono sotto questo aspetto quattro punti di vera propria sofferenza
che l’intervista ai vertici di CdP non affronta: la rete ferroviaria, quella
idrica, l’assetto geologico, le autostrade. Per quel che riguarda le ferrovie
pensiamo all’incompetenza dimostrata, nel corso degli anni, dal management
sulla vicenda dall’Alta velocità;
6) Nell’insieme l’industria, sul
piano occupazionale, è calata negli ultimi 16 anni dal 32% al 28% complessivo (
e si vanta la percentuale dello 0,9% nell’aleatoria prospettiva dei “posti
vacanti”, in ogni caso prevalentemente destinati, nell’eventualità, ai
servizi). Settore dei servizi dove si esercitano sfruttamento intensivo e
lavoro nero, in condizioni complessive di lavoro insopportabili come dimostra
l’analisi riguardante l’intero settore della logistica e dell’e-commerce.Dal
punto di vista della struttura industriale siamo di fronte non soltanto di una
diminuzione di peso specifico ma ad un
vero e propri depauperamento dal punto di vista della capacità di know- how, di
innovazione, di progettualità.
7) La vantata manifattura italiana
si esercita in settori soprattutto- come non ci stancheremol mia di far
rilevare - ad alta intensità di sfruttamento della manodopera e scarsa
valorizzazione del know-how, con interi comparti dove lo sfruttamento è
esercitato direttamente da imprese a capitale e personale straniero (esempio i
cinesi a Prato nel tessile).Capitale straniero che esercita appunto un livello di sfruttamento
intollerabile, con quote fortissime di lavoro nero. Questa riflessione vale anche
per la vantata crescita della produttività industriale contabilizzata nel
trimestre scorso. Lo stesso “Sole 24 ore” denuncia il ritardo nell’insieme del
quadro di relazioni industriali. Naturalmente governo e opposizioni si occupano
prevalentemente di sgravi e decontribuzione ignorando completamente la
necessità di creazione di lavoro vivo.
Il giudizio,
a questo punto appare scontato e anche la valutazione per il futuro. È certa l’assoluta insufficienza del quadro industriale e
infrastrutturale del Paese soprattutto al riguardo del quadro europeo.
In
conclusione possono essere evidenziati, come punti di riflessione sulla
materia, questi quattro punti:
1) Il primo punto di analisi
riguarda l’assoluta fragilità del sistema di cui è indicatore primario il gap
tra la crescita media dell’Italia 0,9% rispetto alla media europea 1,9% (fatto
salvo tutto le scetticismo rispetto a questi dati che pure debbono essere
comunque assunti sul piano dell’analisi)
2) La valutazione di “fragilità
sistemica” e avvalorata dal fatto che tutto il quadro è “drogato” dal
“quantitative easing” portato avanti dalla BCE;
3) Altro indicatore che desta
grande preoccupazione è quello riguardante il fatto che il tasso di crescita
più elevato è relativo al Nord Est: ancora una volta “distretti per l’export”.
Un punto di debolezza perché modello
territoriale inteso esaustivamente senza alternative sul piano industriale;
4) Il nodo di fondo rimane quello
della struttura industriale del Paese assolutamente carente nei settori
strategici .Si comprende a questo modo la relativa ripresa al Sud e l’ulteriore
calo nel Nord Ovest: si arretra ancora proprio negli asset fondamentali della
produzione industriale per via dei due elementi di ritardo già poc’anzi
richiamati: l’innovazione tecnologica e il deficit infrastrutturale. In ogni caso
rimane il nodo di un piano industriale che non si potrà elaborare e portare
avanti (nell’eventualità di si voglia pensare concretamente) senza un
riferimento di intervento e gestione pubblica. In questo senso va inteso il
richiamo allo scioglimento dell’IRI compreso in questo intervento. Scioglimento
dell’ IRI che a distanza di tanti anni può ben essere considerato come
fortemente negativo per l’industria italiana.