L’INDIVIDUALISMO DIFENSIVO
di Franco Astengo
Il ministro Lollobrigida
La sortita sulla sostituzione etnica non può essere
derubricata a “voce dal sen fuggita” o a episodio.
Considerate circostanze e provenienza (culturale) di chi l’ha
pronunciata questa affermazione deve essere considerata come frutto di una
lunga sedimentazione di pensiero da parte di un gruppo che alla fine sta sì
cercando di praticare la politica politicienne per esercizio di potere
usando la maschera della democrazia ma che in realtà trae le sue origini e le
sue convinzioni profonde da tutt'altra visione del potere, della regolazione
sociale, del ruolo delle istituzioni pubbliche. In realtà la
domanda che è necessario porsi riguarda il contesto nel quale è caduta un’affermazione
del genere. Oggi ci troviamo in una fase di
transizione nel corso della quale per svariate ragioni che sarebbe troppo lungo
analizzare, l’evoluzione della civiltà dei consumi di marca occidentale sta
subendo una torsione nella sua prospettiva di sviluppo illimitato e di
pervasività della propria egemonia. Il modello
occidentale di marca reaganiana-tatcheriana e adottato dalla globalizzazione
clintoniana-blairiana e dell’Ulivo mondiale ha provocato stridenti e
insopportabili contraddizioni (ed è questo punto che riguarda direttamente la
sinistra).
Per rispondere a questo stato di cose in atto (che corrisponde
alle difficoltà della globalizzazione e all’evidenziarsi di come non ci si
trovi "alla fine della storia") sta emergendo una sorta di
“individualismo difensivo” che sembra prendere il posto dell’aggressivo
“individualismo competitivo” che aveva caratterizzato la fase centrale dalla
crisi del 2008 e anni seguenti.
Un “individualismo difensivo” che si pone, quale elemento diffuso
di percezione sociale, in relazione proprio all’agire politico e al ruolo delle
istituzioni. La linea di demarcazione tra l'individualismo difensivo e
il collettivismo corporativo è molto sottile: una combinazione che ha portato
negli anni alla scomposizione del dissenso e del consenso che ormai sono esercitati su “single
issue” il più delle volte in contrasto tra di loro. Le scelte (di consumo, di vita, anche elettorali) vengono appunto
effettuate dai singoli in funzione della propria conservazione di ruolo e di
status (compresa l'idea della supremazia del proprio colore della pelle),
chiedendo proprio alle istituzioni di operare in funzione conservativa prima di
tutto nella logica del "rifiuto del diverso". È nata così quella
particolare forma di populismo che abbiamo verificato porsi in atto nella
nostra realtà nazionale con l’emergere di diversi soggetti: dalla Lega, al PD
(R), al M5S. Forme populiste di conservazione dell’egoismo poi
sconfinate in ipotesi di tipo sovranista e nel richiamo a una mal digerita
“identità nazionale” esercitata in funzione proprio dell'individualismo
difensivo.
Nel dibattito politico abbiamo assistito alla scomparsa del
concetto di una rappresentanza non soltanto connessa a una visione teorica
anche utopica ma semplicemente legata ad una visione generale di stampo
universalista (quella dalla quale nacquero i concetti di diritto dei popoli e
di stato sociale).
L’evoluzione di questo stato di cose si sta verificando nel
realizzarsi di forme inedite di azione politica rispetto a quelle classiche
della democrazia liberale (circolano già esempi di “democrazia illiberale” in
Europa cui si ispira proprio il soggetto cui appartengono gli epigoni della
sostituzione etnica) in una fase geopolitica nella quale emergono
vere e proprie tensioni imperialiste all’interno stanno trovando posto logiche
- appunto - di sostituzione etnica.
In questo senso la situazione italiana non è certo provinciale, anzi
appare modernamente inserita in un confronto dal quale potrebbero sortire soluzioni
che sono già state definite di "arretramento storico" (dal ripristino
della logica dei blocchi; al conflitto globale condito dall’escalation
nucleare; al ritorno di forme totalizzanti di sopraffazione coloniale).
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