IL NEMICO IN CASA
di Vincenzo Rizzuto
A
proposito della violenza contro le donne.
Ogni giorno si legge sui giornali di violenza
sulle donne, una violenza fatta non solo da estranei, ma ancora di più dagli
stessi familiari fra le mura domestiche. È una mattanza le cui cause sono quasi
sempre da ricercare in un distorto, malcelato modo di concepire, da parte
dell’uomo, il rapporto con la donna, che troppo spesso è vista come bene di possesso,
come soggetto che, una volta ‘conquistato’, perde ogni diritto ad autodeterminarsi,
soprattutto dal punto di vista dei sentimenti malamente intesi. Nel caso in cui
poi l’uomo è mafioso, la donna, vicina a lui come moglie, amante, fidanzata o
figlia, è costretta a condividerne ogni scelta, ogni disvalore, ogni amicizia o
inimicizia, diversamente è destinata a pagarne le conseguenze anche con la
morte.
Personalmente, dopo avere dedicato oltre
quarant’anni alla scuola a fianco dei giovani, ritengo che buona parte di
questo maschilismo dilagante dipenda anche dall’assenza totale di educazione
sentimentale nell’atto formativo, a partire dalla scuola primaria fino a quella
secondaria di secondo grado. Ma anche nella famiglia e nelle altre istituzioni
formative, come la Chiesa, l’educazione sentimentale non ha mai trovato spazio
e, per così dire, diritto di cittadinanza. Nella scuola italiana si parla di
tutto, anche di sesso degli angeli, ma mai e poi mai di educazione
sentimentale. Qualche docente, che di volta in volta ha provato a farlo, è
finito sulla graticola e ha rischiato di rimetterci non solo il posto ma di
andare anche in galera. Le stesse famiglie di fatto hanno sempre preferito che
i loro figli scoprissero il sesso e discutessero di sentimenti non nelle aule
scolastiche con personale specializzato, come medici, docenti di scienze,
psicologi o pedagogisti, ma di nascosto e da soli, o con i coetanei riuniti in
congreghe non sempre raccomandabili, informate e guidate sempre più dalle
perigliose strade del piccolo schermo televisivo o del cellulare, su cui
viaggia la spazzatura più pericolosa. Attraverso questi mezzi i giovani di ogni
età, senza alcun sostegno e guida, vengono a contatto con realtà virtuali
allettanti e, ahimè, troppo spesso terribilmente distruttive di ogni sano
costume morale ed etico. In quei piccoli schermi, così, l’educazione
sentimentale, di cui è parte integrante anche la dimensione sessuale, invece di
diventare culto del bello, rischia di trasformarsi in disvalore, in feticcio che
rende l’uomo schiavo dell’edonismo più sfrenato, in nome del quale è pronto ad
utilizzare qualsiasi strumento e a trattare gli altri come mezzo, come merce.
In questa logica aberrante, la donna spesso viene percepita non più come
soggetto di pari diritti, ma come strumento da utilizzare per raggiungere il
piacere, e da distruggere quando si rifiuta di sottomettersi e obbedire.
A questo stato di cose, che si configura ormai
come un assurdo pedagogico nell’atto educativo dei nostri giovani, ha contribuito
e contribuisce anche una certa chiusura ideologica del cattolicesimo nostrano
più bigotto, che ha sempre arricciato il naso e fatta la voce grossa ogni volta
che da qualche parte è stato proposto di introdurre nelle scuole l’educazione
sentimentale come disciplina curriculare. E allora è lecito chiedersi: a
quando la risoluzione del problema di fronte al brutto, orribile spettacolo
della violenza quotidiana contro la donna? Perché non si vuole capire che tale
violenza è soprattutto una questione culturale, che riguarda la formazione di
base dell’uomo; una questione che non può ulteriormente essere affrontata con
il ricorso alla sola, sterile condanna del reato, perché la condanna non
risolve il problema, e viene applicata quando già il reato è stato
irrimediabilmente consumato.