ITALICHE BAGGIANATE
di Luigi Mazzella
È molto
verosimile che in un Paese, sconfitto nella seconda guerra mondiale ed oggetto
di particolare attenzione nel Trattato di pace imposto dalle Potenze vincitrici
del conflitto, soprattutto sotto l’aspetto dei limiti alla sua crescita
economica, ogni ipotesi di riforma della Carta Fondamentale costitutiva dello
Stato (detta, per l’appunto, “Costituzione”) sia sottoposta a un rigoroso
vaglio dei Servizi di intelligence, in nome e per conto degli Stati
egemoni in Occidente. È, in conseguenza, abbastanza
probabile che si ripetano quelle spinte già sperimentate dai governi
in carica nei tempi passati come quella, per esempio, diretta al
Ministro delle Finanze Ezio Vanoni per sollecitare una rapida riforma del
sistema tributario italiano, in applicazione del principio di progressività
delle aliquote inserito (spontaneamente o fatto inserire con moral suasion)
nella nostra Costituzione, in occasione del boom economico detto (dagli
ingenui) “Miracolo italiano”. Il fine (certamente non unico ed esclusivo) di
quella riforma fu, a detta di molti economisti, di contenere la crescita
economica italiana dovuta alla mancanza di aliquote sufficientemente alte per i
redditi elevati (gli unici idonei a incrementare la produzione). È, in via
ulteriormente gradata (secondo il linguaggio degli avvocati), del tutto
inutile intervenire nel dibattito sul cosiddetto “premierato” (formula quanto
altra mai “equivoca”) prima che esso sia varato con tutti i
consensi necessari.
Lo si farà quando giungerà il momento di partecipare a quella consultazione
popolare (referendum) così poco amata dall’iperattivo,
precedente “aspirante costituente”, il cattolico prodiano Matteo Renzi. Comunque,
qualche preliminare considerazione eminentemente politica si può sempre fare.
In un Paese in cui la tendenza all’assolutismo autoritario ha variegate
colorazioni che vanno dal bianco religioso, al rosso post-comunista e al nero
neo o ex fascista la propensione a varare riforme per avere un uomo (o una
donna) solo (o sola) al comando del “popol morto” di carducciana
memoria è, come dicevano i Romani, “una vis maior cui resisti non potest”. La motivazione
invocata è sempre quella di porre un rimedio alla storica instabilità
governativa in Italia che, a causa dell’esperienza delle adunate oceaniche di
piazza Venezia, richiama sempre alla mente sostanziali limitazioni della
libertà individuale per le quali, peraltro, un primo passo è stato
già costituito dal crollo dei partiti politici voluto dagli
anonimi e occulti (si fa per dire) sostanziali fondatori della
cosiddetta “Seconda Repubblica”.
Dopo i cincischiamenti intorno alle ultime e più recenti leggi elettorali
che hanno operato, sempre sull’esempio di un altro famigerato precedente
legislativo, la “magia” di trasformare una minoranza in maggioranza
che governa la vera maggioranza, quella dei dissenzienti, oggi dopo il
tentativo fallito di Massimo d’Alema, si ritorna all’ipotesi di
eleggere direttamente il Presidente del Consiglio dei Ministri chiamato
“premier” per scimmiottare gli Inglesi e per non ripetere la dizione “Capo del
Governo” amata, a suo tempo, da Mussolini. La “solfa” è sempre la stessa: un
popolo di irriducibili assolutisti seguaci di verità ugualmente apodittiche e
tutte smentite clamorosamente (nei risultati promessi) dalla Storia,
irrazionalisti conclamati per il loro attaccamento alle
utopie (irrealizzabili per definizione) anziché convertirsi all’uso della
ragione e alla ricerca di possibili accordi di governo (come ancora avviene da
qualche parte anche in Occidente) per salvare il Paese e contribuire
all’arresto del declino di una cosiddetta civiltà (morente) continuano a
“beccarsi” come galli in un pollaio dinanzi a un pubblico che,
disgustato dallo spettacolo, va sempre di più assottigliandosi.