RAZZA E COSTITUZIONE
di Franco Astengo
Ecco
che cosa enuncia l'articolo 3 della costituzione repubblicana:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
è compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto
eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del paese."
Il tema è
delicatissimo, investe diverse sfere della conoscenza e della riflessione umana
ed è complicato da affrontare particolarmente quando non si dispongono degli
strumenti culturali adatti. Pur tuttavia
è il caso, almeno a mio giudizio, di allargare il dibattito e stimolare la più
ampia riflessione.
La notizia è questa:
“Non esistono le razze umane: siamo tutti
esseri umani, uguali al 99,9% del DNA. E’ per questo che gli scienziati
italiani chiedono di togliere quella parola “razza” dalla Costituzione, una
parola piegano priva di significato scientifico. A farsi portavoce della
proposta, lanciata ufficialmente giovedì al Collegio Ghisleri di Pavia, con il
sostegno di Fondazione Umberto Veronesi e Merck, è il genetista e accademico
dei Lincei Carlo Alberto Redi. Che la riassume così “la razza è una fake news”.
È evidente l’ambito puramente scientifico dal quale nasce la
valutazione (“la razza è una fake news”) e l’assoluta più larga concordanza che
ne scaturisce anche spostando il discorso sul piano etico e filosofico. Ed è da
questa concordanza che sortisce la riflessione riguardante il testo
dell’articolo 3 della Costituzione Repubblicana e di conseguenza nell’ambito
storico -politico. In questo
senso debbono essere considerati due punti:
1)La fase storica nella quale nasce
il testo della Costituzione e in particolare l’articolo 3: L'art. 3 della
Costituzione (che CALAMANDREI definì"il più importante e il più impegnativo")
non si limita a sancire un’eguaglianza di natura astratta e formale ma, aspetto
questo particolarmente significativo e tipico della Costituzione dell'Italia
repubblicana, nel secondo comma impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l'uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese. È questa la cosiddetta uguaglianza di fatto.
L'obbligo
del rispetto di tale principio non è imposto solo al Parlamento e alla
Magistratura, ma a ogni singolo Cittadino ed anche alla Pubblica
Amministrazione la quale, in base all'art. 97 della Costituzione,
deve organizzarsi in modo da assicurare la "imparzialità".
Atti e
provvedimenti, di natura legislativa e amministrativa, recentemente adottati o
in programma, sembrano in rotta di collisione con tali prescrizioni. Le ampie e
diffuse critiche, il costituirsi o ricostituirsi in tutto il Paese di
associazioni e movimenti, anche estranei ai partiti, che pongono al centro
della loro azione e preoccupazione un tema, come quello dell’uguaglianza, che
sembrava definitivamente radicato nella mentalità e coscienza civica (anche se, purtroppo,
mai del tutto attuato) evidentemente costituiscono il sintomo di un’incombente
minaccia a quel principio. Quel testo nacque all’indomani di quella che può
essere considerata, proprio sul piano della discriminazione razziale la più
grande tragedia della storia: quella dell’Olocausto. Il concetto di razza (e di
supremazia razziale) era stato ben inculcato nel senso comune di massa dal
fascismo e dalla monarchia con le leggi razziali promulgate nel 1938. Ed era
naturale che non fosse sufficiente, al momento della stesura della Costituzione
Repubblicana, il solo lascito di una battaglia culturale tale da avversare
quello che poteva essere considerato l’aleggiare di un tragico “spirito del
tempo” in materia. Occorreva un sanzionamento giuridico al massimo livello e
ciò avvenne appunto attraverso l’inclusione del termine “razza”nella stesura
dell’articolo 3;
2)La domanda che oggi ci si deve
porre è questa: ci troviamo in un frangente storico che ci consente di
considerare superato quel “tragico senso comune di massa” al riguardo del
concetto razzistico (razzistico e non razziale) attraverso un’adesione diretta
sul piano formale all’incontestabile e apprezzabile verdetto scientifico? Il dubbio sta proprio su questo punto. Se ci
guardiamo attorno esaminando con attenzione le pulsioni più forti che
attraversano la società di massa non possiamo fare a meno di accorgerci che
quella di natura “razzista” è ancora assolutamente persistente, anzi trova
nelle sue espressioni più negative forti incoraggiamenti nell’attualità della
situazione sociale concreta. Incoraggiamenti che trovano alimento anche nel
riferimento proprio a quel passato che l’inserimento del termine “razza”
all’interno del testo dell’articolo 3 della Costituzione intendeva
efficacemente combattere e sconfiggere, almeno sul piano giuridico. In
conclusione non è possibile considerare superato il concetto di “razza” nel
sentire comune sul piano storico e politico ben al di là delle inoppugnabili
determinazioni scientifiche. Tanto più
che potrebbero verificarsi mutamenti nella direzione politica assolutamente
imprevedibili nel loro orientamento attorno ai temi più delicati come quello di
cui ci stiamo occupando. Ancora una
volta è necessario ribadire come la Costituzione nasca da un complesso intreccio
sul piano filosofico, politico, storico e quale esito di fatti (il fascismo, la
seconda guerra mondiale) non ancora cancellati (per fortuna) nella coscienza
del Paese. La Costituzione rappresenta un argine, un limite invalicabile e
superarla -soprattutto per quel che riguarda la prima parte in ogni suo
elemento, nella considerazione dei passaggi politici che ne determinarono la
stesura del testo -costituirebbe un pericolo per l’equilibrio già precario
della democrazia italiana. Questo almeno è un sommesso parere: il dibattito
naturalmente è aperto.