Neoliberismo
e "Capitalesimo"
di Giovanni
Bonomo
“Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene
libero senza esserlo”
J. W. Goethe
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Quando il precettore Pangloss, intento ad
istruire il giovane Candide a vedere il mondo che lo circonda con ottimismo,
gli dice che nonostante le continue controversie e disavvenure si vive pur
sempre "nel migliore dei mondi possibili", Candide lo guarda
con disincantata perplessità, perché ha compreso che l'unico ottimismo
possibile è quello della ragione.
Il
pensiero unico dell'attuale società neoliberistica afferma, proprio come
Pangloss nel noto romanzo umoristico di Voltaire, che il mondo in cui viviamo è
l'unico mondo possibile. Un mondo in cui, grazie alla libera concorrenza, si
otterrebbero più efficienza e redditività. Fino al punto in cui il valore
economico diviene l'unica discriminante tra ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato. Il neoliberismo impone che il mercato debba regolarsi senza
l'intervento pubblico, seguendo la legge della domanda e dell'offerta: ciò che
non ha senso economicamente va eliminato.
L'attuale
progressiva riduzione delle sovranità statali e nazionali a cui stiamo
assistendo, con la conseguente perdita di controllo dei sistemi finanziari e
produttivi, sono una conseguenza della idelogia neoliberista dello "Stato
minimo", del laissez-faire. Una concezione che nulla ha a
che vedere con lo Stato minimo teorizzato nell'Ottocento da
Immanuel Kant e da John Stuart Mill, che intendevano uno Stato non più
dispotico e tiranno bensì democratico, sociale, partecipato. Certamente non uno
Stato indebolito e ridotto ai minimi termini dall'ideologia del profitto e
dalla privatizzazione dei servizi essenziali.
Non
mi stanco mai di sostenere, perché l'ho detto e scritto più volte a proposito
di Intelligenza Collettiva, che oggi può essere possibile, tramite Internet e
uno sforzo di consapevolezza da parte di tutti, conquistare nuovi spazi di
democrazia partecipativa, diretta e trasparente, che può sostituire i partiti
tradizionali. Si potrebbe creare una rivoluzione nel modo di pensare la
politica, una “rivolta sociale” volta alla presa... delle decisioni collettive
per una società trasparente. Se i vari social networks fossero
usati in modo costruttivo, anziché come giostre per pensieri deboli,
l'informazione di regime, che ci nasconde la verità sulle decisioni politiche,
non riuscirebbe più a condizionarci, smetteremmo di essere indifferenti alla
cosa pubblica o rassegnati (e mi viene da dire anche inadempienti al dettato
costituzionale dell'art. 4 comma 2: "ogni cittadino ha il dovere di
svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società"). Del resto la possibilità di partecipare,
sia in via diretta che mediata, alla formazione delle decisioni collettive, e
di realizzare l'esercizio della sovranità popolare per creare uno Stato
sociale, viene sancito nella nostra Costituzione, che oltre al modo
di partecipare alla politica nazionale in modo indiretto, tramite le
associazioni partitiche (art. 49) e le petizioni alla Camere (art. 50),
prevede, all'art. 71 comma 2, la proposta da parte di almeno 50.000
elettori di progetti di legge di iniziativa popolare. Il neoliberismo ha
invece costretto le menti a concentrarsi sul profitto, sull'economia di mercato
più che sulla politica, sulla libertà di iniziativa economica più che sui
servizi pubblici, sull'individualismo scaltro più che sulla solidarietà
sociale. E'
intuitivo, come ci disse in musica Giorgio Gaber, che la vera libertà è quella
positiva, di partecipazione, "libertà di...", non quella negativa,
"libertà da...", che ci viene inculcata dall'ideologia del profitto
ad ogni costo. E' anche vero, come ci ricorda Norberto Bobbio nel noto saggio Liberalismo e Democrazia, che "tra le richieste dei liberali,
di uno Stato che governi meno possibile e quelle dei “democratici” di uno Stato
in cui il governo sia il più possibile nelle mani dei cittadini si rispecchia
il contrasto fra due modi di intendere la libertà, che si è soliti chiamare
libertà negativa e libertà positiva, e tra i quali si danno, secondo le
concezioni storiche ma soprattutto secondo il posto che si occupa nella
società, giudizi di valori opposti: solitamente coloro che stanno in alto
preferiscono la prima, quelli che stanno in basso la seconda". Ma qui
sta il discrimine tra neoliberismo, globalizzante e totalizzante, a vantaggio
di pochi, e vero liberalismo, reale e socialmente sostenibile, a vantaggio di
tutti. Candìde sostiene che un liberalismo reale e democratico è ancora
possibile, purché si basi su un “nuovo umanesimo”, su un cambiamento radicale
del modo di pensare anche la politica, incentrata sull'uomo anziché sul profitto,
sulla conoscenza anziché sull'ideologia. Abbiamo ancora la possibilità di
vincere la nostra assuefazione all'idea che l'attuale globalizzazione è
inevitabile, se solo pensassimo e riflettessimo criticamente sul
fatto che il mondo non è costituito solo da ciò che è, ma da quello che
potrebbe esistere e che sarebbe realizzabile con la buona volontà di tutti. Lo
scetticismo di Candìde alle idee "politicamente corrette" del suo
precettore Pangloss, con il suo superficiale e acritico ottimismo, è il primo
germe di una riflessione critica che tutti possiamo iniziare. Mi impegnai ad
affrontare la questione, che interessa l'intera economia mondiale, in una videointervista a Paolo Gila che
trovate su Canale Europa TV, a proposito del libro del noto giornalista
economico-finanziario RAI che già presentai presso il mio salotto: Paolo Gila, dopo l'opera I signori del rating, ci ha spiegato, con
il suo libro successivo Capitalesimo. Ritorno al feudalesimo nell'economia mondiale perché il capitalismo sta diventando un nuovo feudalesimo
e chi domina veramente lo scenario economico e politico mondiale. E' un libro che ci
illumina sul fatto che ci troviamo inconsapevolmente costretti in un pensiero
unico che ha minato fin dalle fondamenta il pensiero occidentale. Ciò che è
accaduto in questi ultimi anni, a partire dalla fatidica diffusione dei mutui
subprime, ha disvelato un'incongruità culturale fra il percorso etico, che
dovrebbe segnare il cammino in ogni ambito, e quello del malaffare, speculativo
e inumano. Lasciatemi
ancora riportare, con mie sottolineature, le significative parole che si
leggono in quarta di copertina: "Il
capitalismo è come un aereo entrato in un vuoto d’aria. Le sue ali hanno perso
portanza e non si trova un sistema per tenere in volo l’apparecchio. In
quindici anni, con il il tracollo delle borse asiatiche del 1998, lo scoppio
della bolla della new economy del 2001 e la crisi dei mutui sub-prime del 2008,
sembra proprio che il sistema economico globale sia stato messo in ginocchio. Ma quello che è successo è forse ancora più grave: il
capitalismo non è finito, si sta trasformando in qualcosa di diverso, che
ricorda da vicino l’avvento del Feudalesimo dopo il collasso del
mondo antico. Il capitalismo sta diventando «Capitalesimo», un sistema
capillare e inesorabile di controllo assoluto su un territorio frammentato, una
sorta di Sacro Romano Impero della finanza, coi suoi feudatari sempre
più potenti, i suoi marchesi, i suoi baroni, i vassalli, i valvassori e la sua
plebe sterminata, sempre più povera. La reale ricchezza prodotta da tutte le nazioni e pari a circa 70000
miliardi di dollari, ma l’ingegneria finanziaria ha creato ad arte un valore
virtuale di scambi che vale trenta volte tanto. Siamo immersi in
un’immensa contraffazione, ormai strutturale, che è la vera causa del vuoto
d’aria dell’aereo del capitalismo, ma che viene difesa e gestita con pugno di
ferro dai nuovi Signori della Terra, coloro che hanno i mezzi e le conoscenze
per sfruttarla a proprio vantaggio". Ma la situazione di schiavitù finanziaria in cui tutti
(tranne i pochissimi potenti feudatari della finanza) viviamo, è descritta con
parole che non fanno meno male dal giurista Paolo Maddalena, nel suo recente libro Il territorio bene comune degli Italiani, di cui riporto questo significativo
estratto (anche qui con sottolineature mie): "Non siamo affatto in presenza di una ordinaria e
ricorrente “crisi economica”, ma di una “crisi di sistema” provocata da un
atteggiamento della finanza internazionale fortemente speculativo, che
impedisce di fatto una reale ripresa dell'economia. D'altro canto, la forza dei
mercati finanziari, strenuamente sostenuta dal Fondo monetario internazionale,
nonché dalla Commissione europea e dalla BCE, è tale da impedire, si ripete
“impedire”, che i paesi in difficoltà si risollevino economicamente, poiché a ogni
minimo cenno di debolezza, questi paesi sono assaliti, non solo dalle agenzie
di rating, che immediatamente li declassano, ma anche e soprattutto dalle
reazioni degli stessi mercati, i quali, ritenendo meno appetibili i titoli del
debito pubblico, pretendono un aumento dei tassi di interesse da pagare,
giustificandolo con la minore affidabilità di questi stessi paesi, con il
conseguente maggior rischio degli investitori. De deriva che un paese che ha
bisogno di essere aiutato, si vede invece costretto a maggiori sforzi economici
e, quindi, a sicura maggiore recessione, fino al totale default. Si può dunque
affermare che i tassi del debito pubblico hanno perso qualsiasi elemento di
stabilità, e che la loro sorte è decisa arbitrariamente da un ristretto gruppo
di speculatori (una quindicina), che diramano ai loro “dipendenti” (che
superano le 600.000 persone) le linee da seguire. Una trappola mortale che ha
come fine ben esplicito, non quello di aiutare detti paesi a
risollevarsi, diminuendo il debito pubblico, ma, al contrario, quello di
costringerli a ulteriori misure di austerity, e quindi a ulteriore recessione e
all'impossibilità assoluta di ridurre il debito, considerato che il debito può
ridursi con lo sviluppo e non con la recessione. Dunque, l'obiettivo pratico e
ignobile che la speculazione finanziaria si prefigge di raggiungere non è
affatto la riduzione del debito pubblico, ma il suo aumento, con l'inevitabile
conseguenza che i paesi in difficoltà dovranno, come del resto sta già
avvenendo, svendere al miglior offerente (sia esso arabo, cinese, russo, o
della mafia di qualsiasi località) il proprio territorio. Si
creeranno così Stati senza territori, e cioè Stati che non saranno più Stati,
ma semplicemente popoli e individui senza patria ridotti allo stato di
schiavitù, le cui sorti saranno sempre più nelle mani dei cosiddetti
“speculatori-creditori”. Ed è doveroso rimettere in evidenza che la “trappola”,
costruita dagli speculatori finanziari, trova il suo ferreo strumento di
trasmissione nelle prescrizioni europee e del Fondo monetario internazionale,
evidentemente ispirate anch'esse da speculatori finanziari senza scrupoli, che
ci stanno portando a morte sicura. Nessuno può negare infatti, che in questa
situazione, invocare l'austerity, aumentare il peso delle imposte e delle
tassazioni in genere, producendo ulteriore, sicura, recessione significa
rendere matematicamente impossibile la riduzione del debito pubblico, e ci
costringe a pagare i nostri (presunti) debiti svendendo il nostro territorio,
perdendo l'indipendenza nazionale, e diventando schiavi del potere finanziario". L'autore prosegue
spiegando come le misure di austerity finora adottate hanno portato solo a
elevatissime e insostenibili tassazioni, a cui ha già fatto seguito una
recessione economica spaventosa, che ha prodotto una rilevantissima e crescente
disoccupazione, mentre il debito pubblico, anziché diminuire, è salito in modo
impressionante, portando i paesi debitori a debiti sempre maggiori, con la
conclusione della svendita del loro territorio e della totale miseria. E' ancora possibile,
in questa drammatica situazione, riprendere il discorso su un liberalismo
autentico che nasca dalla democrazia? Candìde ha sempre sostenuto che ogni
potere separato priverebbe della sovranità i cittadini, li renderebbe mezzi
nelle mani dei pochi privilegiati e a disposizione per il loro fini. Ogni
potere separato è potere sottratto. La democrazia, base di un vero liberalismo,
si presenta perciò anche come moralità, come realizzazione istituzionale dell’imperativo
kantiano che impone a tutti: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia
nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai
semplicemente come mezzo”. L’ideologia neoliberista ha anestetizzato una
generazione, ma ora i cervelli svegli hanno ripreso a porsi delle domande. E al
solito privilegiato politico che ci dice che la democrazia presa alla lettera è
impossibile perché impraticabile, rispondiamo con un’altra domanda: è possibile
non prenderla alla lettera? La democrazia è nata più volte, diversa ogni volta
perché ogni volta ha alimentato nuove speranze. Winston Churcill, mastino
conservatore, la voleva minimalista: la peggior forma di governo a eccezione di
tutte le altre. Così come il nostro ex presidente Pertini: “meglio la
peggiore delle democrazie alla migliore delle dittature”. Ma Albert Camus,
nel 1944, in un articolo sulla rivista clandestina “Combat”, la definiva “uno
stato della società dove ciascun individuo possieda in partenza ogni chance, e
dove la maggioranza del Paese non sia tenuta in una condizione indegna da una
minoranza di privilegiati”. Eguali chance di partenza, va sottolineato. L'autentico
liberalismo procede insieme alla democrazia. E perfettamente liberista è l’art.
3 della nostra Costituzione, che al secondo capoverso, giova ricordarlo, recita:
“È compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Che proprio
tale articolo suoni affetto da socialismo al delicato udito di qualche
"liberale", ci dice solo come il privilegio e il potere di casta siano
pronti a spingersi fino all’odio per la logica.