di Franco Astengo
“...Chi ha intuito che l’uomo
della strada era stanco di programmi socio-economici e cercava soprattutto
un’emozione calcistica, ha proposto di andare alle elezioni come si va alla
partita: non con documenti politici ma con tamburi, striscioni e fischietti.
Così ha ottenuto buoni risultati..”.
Una
sintesi felice questa elaborata da Luigi Zoia, comparsa in un suo articolo
“Benvenuti nell’epoca del risentimento” pubblicato dall’Espresso del 7 ottobre.
Nel
testo in questione si premette che: “della politica non si può fare a meno: in
qualche forma tornerà”.
Però
vi si aggiunge: “La metamorfosi dell’Occidente viene dal profondo. E’ un errore
pensare che durerà poco”.
Argomentazioni
che richiedono l’interrogarsi, ancora una volta, sulle origini del fenomeno che
stiamo vivendo, in particolare nelle vicende italiane.
Da
dove proviene, quale meccanismo è scattato, per far sì che la percezione
dell’agire politico sia così profondamente e
rapidamente mutata?
La
prima causa di questo fenomeno appare essere quella dell’assunzione di un dato
di vera e propria egemonia del cosiddetto “pensiero unico”.
Ci
siamo trovati improvvisamente al centro di una gigantesca espressione di
“pensiero unico” del capitalismo che ha afferrato tutto il periodo dagli
anni’80 del secolo scorso ad oggi ,causando effetti che risulteranno ancora
duraturi nel tempo e ponendo così in atto quello che è stato giù definito come
un vero e proprio “arretramento storico” .
Un
“arretramento storico “ posto sia sul piano della crescita delle diseguaglianze
(e di conseguenza nel concreto della fortissima riacutizzazione della
contraddizione di classe dopo la fase di allentamento verificatasi nei
trent’anni seguiti alla seconda guerra mondiale). Disuguaglianze poste al livello
già vissuto negli ultimi decenni dell’800 e nei primi del ‘900 . Disuguaglianze
così profonde da mettere in discussione le stesse espressioni di agibilità
democratiche raggiunte con il welfare state e le forme di Stato e di Governo
(molto articolate fra loro) raggiunte in Occidente dopo la seconda guerra
mondiale. Nello specifico questo fenomeno della crescita a dismisura delle
disparità economico - sociali si è accompagnato, per quel che ci riguarda, alla
costruzione dell’Unione Europea. Una costruzione avvenuta per tappe forzate
nella convinzione che di là del traguardo ci fosse una sorta di Regno di
Bengodi fondato sulla globalizzazione di un mercato infinito: il quadro era
bianco o nero, o si stava con il progresso o si era contro parteggiando per l’oscurità.
Tutto il pensiero “critico” accumulato tra il XIX e il XX secolo è stato
obliato oppure si è pensato fosse crollato e coperto dalle macerie dell’URSS e
del Muro di Berlino. L’insieme d’ingiustizie e disuguaglianze derivanti
dall’accettazione di questo “pensiero unico” ha rappresentato la causa
principale di quello che è stato definito come” rancore diffuso”. Un rancore
diffuso che ha preso “forma politica” attraverso la radicale messa in
discussione del concetto stesso di “rappresentanza ”.
Ha prevalso l’idea della “democrazia del
pubblico”, della partecipazione diretta alle scelte al di fuori da una presenza
d’intermediazione mediatoria (rappresentata principalmente ma non
esclusivamente dai partiti), del rapporto diretto tra il Capo (o l’impersonalità
del web abilmente gestito e manipolato)
e le masse . Nel solco di Le Bon si è
passati rapidamente dalla “Democrazia del Pubblico” alla “Democrazia
recitativa” (così definita da Emilio Gentile). “Democrazia Recitativa” il cui
significato profondo deve essere interpretato come quello di un
rapporto tra “ceto politico” e “società” inteso alla guida di chi recita
uno spettacolo e chi vi assiste, in sostanza “il pubblico” appunto.
Si
è così compiuto il capolavoro di consentire spazio soltanto all’espressione del
rancore: la più facile da interpretare in questa commedia degli orrori. Rancore
che ha le sue giustificazioni ma che si presenta come base per soggetti
politici che lo interpretano in funzione dell’utilizzo del potere senza
presentare mai un’idea di programma politico, ma soltanto di “contratto” con il
popolo. Scrisse Croce del fascismo (che pure aveva contribuito a far passare
nella logica dell’assorbimento e della “normalizzazione”): “il fascismo con il
potere quale unico programma”.
Questo
perché il potere è ineliminabile :ed è questa la ragione di fondo per la quale
la politica tornerà. La resa al “pensiero unico” e quindi al rancore si è così
verificata perché accanto all’abbandono dei
programmi socio-economici di cui scrive Zoia, si è verificata la perdita
di quanto si accompagnava a quei programmi: l’utopia del cambiamento e
l’affermazione di un sistema di valori che riconoscevano quell’utopia ma che,
insieme, dovevano essere applicati anche nel concreto del quotidiano.
Nacque
così, ad esempio e per restare in Italia, la Costituzione repubblicana.
Si
è verificato un ulteriore passaggio in quello che abbiamo definito
“arretramento storico” che ci ha riportato al notabilato politico e alla
risposta da fornire esclusivamente agli interessi che riguardano quel
notabilato in termini di potere e di
privilegi.
Conservazione
degli interessi e dei privilegi che si verifica in maniera molto più marcata di
quanto non avvenisse al tempo della “partitocrazia” (definizione, tanto per
ricordare, già usata da Maranini fin dagli anni ’50). Si dimostrerà nel tempo
l’evidenza del sorgere di un’ulteriore espressione di frustrazione collettiva
nel momento in cui si verificherà l’incapacità a trasformare le cose da parte
di un progetto partito dal rancore e limitato alla “pars destruens”. A quel punto sarà necessario essere preparati nel
proporre un’alternativa che a fianco dei noiosi progetti socio-economici
collochi il sentimento di un’elaborazione rivolta verso il futuro, di un
disegno che riguardi il divenire sociale nel suo orizzonte strategico. Su
questo punto siamo davvero tutti impreparati: si tratterebbe di prenderne
finalmente atto di questa impreparazione complessiva accantonando le nostre
modeste supponenze , le nostre ridotte arroganze, le nostre stupide certezze. Il
“dovere del dubbio” torni a ispirare i luoghi più impegnati della riflessione
politica. In questo momento però sarà bene ricordare che non bastano buoni
sentimenti espressi “in nome del popolo”: servono profondità di pensiero e
autorevolezza (cultura più coerenza) nell’espressione.
Obiettivo:
invertire la rotta nella percezione di massa dell’agire politico.
Ma
ciò non potrà avvenire soltanto aggiornando la storytelling ma riorganizzando complessivamente sia la riflessione
sia l’azione. Torna a questo punto il tema del rapporto
struttura/sovrastruttura e del tipo d’intermediazione e sintesi da realizzare
in quel senso.
Gramsci
avrebbe parlato d’imprescindibilità del partito nello Stato moderno, noi
potremmo ricominciare a parlare dello stesso argomento (il partito) dentro a
quell’idea già evocata di “ritorno alla politica”.