di
Cataldo Russo
Non
so cosa rimarrà di questa brutta esperienza. Parlando con amici e conoscenti mi
pare prevalga la voglia di rimuovere la tragedia e ritornare alla normalità.
Anch’io penso si debba ritornare alla vita di sempre, uscire, recarsi al
lavoro, andare a prendere figli o nipoti a scuola, abbracciare un amico, bere
un caffè al bar e sedersi sui mezzi di trasporto pubblici senza avere paura del
possibile “untore” che ci sta accanto.
Credo
sarebbe sbagliato, però, non voler analizzare e riflettere su ciò che abbiamo
vissuto, su come abbiamo reagito, a chi abbiamo creduto, chi ha gestito
l’informazione, come ha agito il governo, quali decisioni sono state adottate e
chi le ha condizionate. E ancora, come siamo andati a letto la sera dopo aver
seguito le terribili notizie delle ultime edizioni dei telegiornali e che sogni
abbiamo fatto, se non altro per capire dove si è sbagliato, se si è sbagliato,
e quale lezione dobbiamo trarre dai giorni della pandemia per non ripetere gli
stessi errori perché, come dice il detto latino: Errare humanum est,
perseverare autem diabolicum.
La
paura è il più delle volte una lente infida che ci fa inciampare più sulla
nostra stessa ombra che non sul gradino che ci sta davanti. La paura da sempre
condiziona il nostro agire. Un essere spaventato è strumentalizzabile e
facilmente dominabile. Lo sanno bene politici, religiosi, sette, capi clan e
chiunque voglia esercitare il proprio potere sul prossimo.
In
tutte le emergenze, di qualsiasi natura siano, a salire in cattedra, ancor
prima della professionalità, della conoscenza, della ricerca e della
razionalità, sono la bugia, le illazioni, le notizie false costruite ad hoc da
menti malate, le credenze, sempre dure a morire, e l’improvvisazione.
La
pandemia ha avuto un effetto devastante soprattutto sulle nostre psiche perché
ci è piovuta addosso in un momento in cui sembravamo essere affetti da un
delirio di onnipotenza. Un periodo in cui tutto strabiliava e ci faceva
sognare: la medicina con trapianti al limite della fantascienza, la tecnologia
con le sue mirabolanti invenzioni, i trasporti con le loro velocità
supersoniche, le comunicazioni senza tempi di attesa. Bastava un click per
collegarci con mezzo mondo e avere qualunque informazione, così come era
sufficiente un fischio per accendere le luci di casa o di un negozio e una app
per accendere caldaie, cellulari, elettrodomestici, eccetera.
Poi
è arrivato lui, un battere piccolissimo, invisibile, ma capace di insediarsi
nei nostri alveoli polmonari e distruggerli nell’arco di poche ore.
Noi,
protesi a stabilire record, a sperimentare la vita su altri pianeti, a
raggiungere la perfezione in molte discipline sportive e in molti ambiti
artistici e culturali, noi abituati a infrangere tabù e fronteggiare sfide che
le generazioni passate non avevano lontanamente immaginato, affascinati da
dimissioni post operatorie lampo per interventi che una volta richiedevano
settimane di ricoveri e che ora si fanno in day-hospital, siamo stati messi
alle corde da un nemico invisibile, dal diametro di 100-150 nanometri, ossia
600 volte più piccolo del diametro di un capello umano. Un nemico che non è da
nessuna parte e che è in ogni dove. Che non sai quando arriva, ma che è sempre
dietro l’angolo. Che ti si intrufola dentro direttamente dalla bocca e dalle narici
o toccando superficie su cui si è subdolamente adagiato e mimetizzato.
Io
non ho competenze per dire dove e quando la scienza ha sbagliato, perché di
sbagli ne ha commesso anche lei, né so quanto machiavellismo ci sia stato nella
classe politica che, nel tentativo di tranquillizzare l’opinione pubblica, ha
finito con il ritardare le misure di contenimento, che andavano adottate un
mese prima, e con il minimizzare la virulenza di un nemico super attrezzato per
il ruolo del terminator.
Ancora una volta siamo andati alla guerra impreparati, proprio com’è accaduto durante le due guerre mondiali, con il numero degli ospedali che negli ultimi venticinque anni, complici tutti i governi ma soprattutto quelli di destra, era stato quasi dimezzato, con pochi posti in rianimazione, senza un numero sufficiente di respiratori, con i medici di famiglia ridotti a minimi termini e per questo sovraccarichi di pazienti, con una sanità privata interessata solo a fare profitti a discapito della sanità pubblica. Stante queste condizioni di carenze strutturali, chi s’è trovato in prima linea, medici, infermieri, personale sanitario, assistenti di comunità, operatori di servizi primari, ha dovuto combattere il nemico senza le dovute attrezzature. Mancavano camici, mascherine, guanti, perché l’opulento occidente ha delocalizzato la produzione di questi articoli in Cina, in Pakistan, in quanto il costo unitario di ciascuno di esso è appena sufficiente a sfamare un passero e quindi non consente i guadagni da capogiro cui gli imprenditori nostrani sono abituati.
Ancora una volta siamo andati alla guerra impreparati, proprio com’è accaduto durante le due guerre mondiali, con il numero degli ospedali che negli ultimi venticinque anni, complici tutti i governi ma soprattutto quelli di destra, era stato quasi dimezzato, con pochi posti in rianimazione, senza un numero sufficiente di respiratori, con i medici di famiglia ridotti a minimi termini e per questo sovraccarichi di pazienti, con una sanità privata interessata solo a fare profitti a discapito della sanità pubblica. Stante queste condizioni di carenze strutturali, chi s’è trovato in prima linea, medici, infermieri, personale sanitario, assistenti di comunità, operatori di servizi primari, ha dovuto combattere il nemico senza le dovute attrezzature. Mancavano camici, mascherine, guanti, perché l’opulento occidente ha delocalizzato la produzione di questi articoli in Cina, in Pakistan, in quanto il costo unitario di ciascuno di esso è appena sufficiente a sfamare un passero e quindi non consente i guadagni da capogiro cui gli imprenditori nostrani sono abituati.
Il
Governo, pur con gli errori che ha commesso, non è rimasto inerme e ha cercato
di fare quello che ha potuto, stretto come s’è trovato fra presidenti di
regioni determinati più a trarre vantaggi elettorali dalla pandemia che non a
fare fronte comune contro il nemico, e una comunicazione che ancora una volta
ha strumentalizzato la tragedia per fare show più che per informare. Le
informazioni sono state troppo spesso contraddittorie, tanto da indurre in
errore molte persone. Per esempio, non s’è capito fino in fondo se mascherine,
guanti e quant’altro, servono oppure no a noi comuni cittadini. Questo dubbio
amletico è destinato a durare a lungo per i troppi cacasenno che sicuramente
continueranno a dire la loro. Basandomi sull’esperienza, dico che non ho mai
visto il fabbro ferraio togliere il ferro incandescente dalla fucina senza
l’uso delle pinze.
Anche
la scienza m’è sembrata smarrita, confusa, spesso interessata più alla
cinepresa che non al laboratorio. Fior di ricercatori e scienziati, almeno così
ci sono stati spacciati, hanno trascorso intere giornate a farsi riprendere
anziché sperimentare, ricercare, capire, dare direttive univoche.
La
cosa, comunque, che mi ha lasciato più sconcertato è stata la protervia di
molti capi di governo che si sono approcciati al problema quasi con spocchia e
con un senso di superiorità e superficialità che ha dell’incredibile, come se
la questione dovesse riguardare solo la Cina, l’Iran, La Corea, l’Italia e non
già tutto il mondo. Molti, troppi governi sono apparsi propensi più a spolpare
i resti dei cadaveri dei vicini, proprio come fanno le iene, anziché prendere
atto della diffusione del virus e adottare quelle misure di buon senso che
avevano sperimentato o stavano sperimentando gli Stati che per prima hanno
dovuto fare i conti con il male.
Raccapriccianti
sono stati gli atteggiamenti di capi di governo come Boris Johnson, che è
arrivato a teorizzare cinicamente la “terapia del gregge”, quella teoria
secondo la quale si ottiene l’immunizzazione dei sopravvissuti dopo lo
sterminio dei più deboli e che pertanto ci saremmo dovuti abituare alla perdita
di persone care, o il presidente USA Donald Trump che, affetto com’è dalla patologia dell’onnipotenza, ha quasi irriso
il nemico e incoraggiato lo spirito calvinista degli americani a continuare a
rincorrere i raduni, le feste, la ricchezza e il successo. Spero che quando si
uscirà dall’emergenza, perché se ne uscirà, si faccia una seria riflessione e
si prenda consapevolezza che si è vinto solo una battaglia, ma non la guerra, e
che pertanto la sanità va riqualificata e potenziata e la ricerca deve
continuare ad andare avanti senza deporre le armi perché il nemico è destinato
a risvegliarsi. E quando lo farà sarà sempre più agguerrito e potente.