di
Franco Astengo
Francesco Cossiga |
Con questo intervento si intende sollevare un punto di discussione riguardante la sinistra di allora (e di conseguenza la sinistra di oggi, o quel che ne rimane) sul tema del riconoscimento politico delle Brigate Rosse durante i 55 giorni del rapimento Moro.
Il
tema è stato recentemente sollevato per il tramite della pubblicazione da parte del
“Corriere della Sera” (7/8 agosto) di alcuni documenti tratti dall’archivio
privato di Francesco Cossiga che l’ex-Capo dello Stato aveva donato alla
Biblioteca della Camera dei Deputati.
Dalla
lettura di questi documenti è emersa la conferma dei contatti, epistolari e di
persona, mantenuti una volta cessato dal suo ufficio di Presidente della
Repubblica proprio da Francesco Cossiga con i principali esponenti delle BR.
Sull’argomento
è poi intervenuto l’ex-magistrato Gian Carlo Caselli, ospitato dallo stesso “Corriere
della Sera” con un articolo titolato “Le lettere di Cossiga ai terroristi? Il
riconoscimento che loro volevano”.
Caselli
sostiene - appunto - che l’atteggiamento di Cossiga nell’interlocuzione ex-post
tenuta con Curcio, Gallinari e altri abbia corrisposto a quel “riconoscimento
politico” su cui le BR avevano sempre puntato e che finalmente si sarebbe
realizzato nell’occasione, come del resto evidenziato da un testo di Curcio a
Cossiga nel quale si accenna ad “una visione più chiara dei sentieri percorsi”.
Inoltre Cossiga, sempre rivolto a Curcio, precisava che l’ipotesi di
eterodirezione delle BR da parte di CIA e/o P2 avrebbe costituito “una
vergogna, una falsità, una viltà, un’espressione di malafede”.
Di
conseguenza sarebbero stati questi i punti “dei sentieri percorsi” e della
“autonomia di direzione politica” sui quali sarebbe avvenuto, secondo Caselli,
il riconoscimento politico delle BR.
Sicuramente
a impedire questo riconoscimento non furono sufficienti le sentenze della
Magistratura. Di conseguenza vanno ricordate alcune questioni. L’impostazione di partenza
delle BR era già propriamente politica e non di mero esercizio terroristico e
quindi provvista oggettivamente di una visione strategica. A parte ciò bisogna
affermare con chiarezza che il riconoscimento del ruolo politico delle Brigate
Rosse era già avvenuto molto tempo prima. Il riconoscimento politico delle BR
si era verificato proprio durante i 55 giorni del rapimento Moro. In quel
momento le BR realizzarono, infatti, un intervento fondamentale nel provocare
una deviazione di diversi equilibri all'interno del sistema politico.
Il
“caso Moro” rappresentò l’unico episodio di terrorismo/lotta armata che abbia
direttamente inciso sul quadro politico. Non entro qui nel merito della
diatriba riguardante l’eventuale etero direzione del gruppo terroristico.
Aggiungo invece che la faglia “fermezza/trattativa” apertasi in quel momento
proprio sulla base della qualità di intervento esercitata dalle BR è risultata
frattura di fondo nel sistema politico italiano. Una frattura di dimensioni
quasi al livello di quella “intervento/non intervento” nella Prima guerra mondiale.
L’obiettivo
di chi riuscì ad imporre, sulla base dell’iniziativa terroristica, quella
divisione come centrale nel convulso dibattito di quei giorni non era tanto
quella di arrestare la “terza fase” morotea, quanto di impedire il consolidarsi
del sistema a “bipartitismo imperfetto” uscito dalle elezioni del 1976. Il
consolidamento della “solidarietà nazionale” era possibile per l’assenza di una
proposta alternativa avendo il PCI deciso di congelare la propria forza (oltre
12 milioni di voti il 20 giugno del 1976) dentro il recinto della “conventio ad
excludendum” della “rappresentanza nazionale della classe operaia” e del
rapporto con i ceti medi interno al solco togliattiano.
I
dirigenti del PCI consideravano infatti l’espressione dell’arco costituzionale
la sola alternativa possibile all’isolamento all’opposizione (come dall’elaborazione
berlingueriana emersa dopo i fatti cileni): fermo restando, in ogni caso, che
la DC avrebbe conservato comunque il suo ruolo “pivotale” (Andreotti avrebbe
parlato di “teoria dei due forni”).
Giulio Andreotti |
Sicuramente pesavano gli elementi di “guerra
fredda” in quel momento ancora cogenti.
Per
chi intendeva impedire il solidificarsi del “bipartitismo imperfetto” in “solidarietà
nazionale”, la sola possibilità, per introdurre in campo una “strategia
dell’alternanza”, era allora rappresentata dalla necessità di “rompere” il
quadro determinatosi con l’esito delle elezioni del 1976.
L’affaire Moro offrì così l’opportunità di aprire
una dinamica diversa nel sistema politico. Una dinamica diversa realizzata,
sulla base delle richieste delle BR, con l’assunzione da parte del PSI di una
posizione di distacco dal quadro della solidarietà nazionale in una ricerca
(teoricamente giusta) di un proprio spazio di autonomia e di riequilibrio
elettorale.
Proprio sul punto della capacità di porre il
dilemma “fermezza/trattativa” come frattura sistemica centrale il PSI realizzò
un recupero di insediamento identitario e si verificò allora l’intrinseco
riconoscimento politico delle BR, molto meglio che condonare qualche anno di
carcere alla Besuschio.
Tutto
questo come fatto politico oggettivo e senza tema di individuazione di un
meccanismo di collegamento.
Deve
essere riconosciuto: le
BR, infatti, furono evidentemente presenti nel sistema politico come componente
autonomamente attiva e provvista di un proprio disegno strategico, in una forma
posta al di fuori da altre ipotesi e/o sospetto di complotto o trama.
Un
riconoscimento politico quello ottenuto dal principale soggetto del terrorismo
italiano arrivato non certo per uno scambio di lettere o attraverso visite in
carcere.
Su
“fermezza” e “trattativa” si realizzò una rottura di fondo provocata dalle BR,
che non fu più saldata, non essendo disponibile nel sistema un corrispettivo di
alternativa sul piano politico e di governo.
Il
punto di frattura fu quello dell’assenza d’alternativa e non certo quello dell’uscita
del PCI dalla maggioranza avvenuta a gennaio 1979 (“casus belli” lo SME)
fornendo così al PSI l’opportunità di ricostituire il centro sinistra subito
dopo le elezioni anticipate.
Fu
la divisione “sistemica” su “fermezza” e “trattativa” avvenuta in assenza di
possibilità di produrre un diverso equilibrio nel sistema che determinò quella
divisione a sinistra portata in fondo fino all’estinzione della “Repubblica dei
Partiti”, mentre non era riuscito il cosiddetto “riequilibrio a sinistra”
perseguito dal PSI.
Risultò
decisiva, in quel frangente storico, l’assenza di una possibilità d’alternativa
in un sistema bloccato nel “bipartitismo imperfetto” e senza indicazione di
alcuna “terza via”.
L’interscambio
possibile tra i due partiti di sinistra si rivelò nei fatti molto limitato e le
perdite del PCI si diressero prevalentemente in 3 direzioni: l’astensione, i
radicali e successivamente le liste verdi.
E. Berlinguer |
I
partiti, tra il 1979 e il 1992 non risultarono in grado di ritrovare una
propria capacità di coesione istituzionale allorquando Tangentopoli, Trattato
di Maastricht, Caduta del Muro di Berlino si succedettero, in un periodo breve
e convulso, come fatti che avrebbero imposto un complessivo smarrimento
d’identità.
Si
produsse così una sindrome da sconfitta epocale cui i grandi partiti di massa
si arresero senza condizioni.
Questa
analisi è stata esposta non solo per il gusto di un dibattito rivolto al
passato ma soprattutto perché si ritorni, almeno sul piano analitico, intorno
al fatto che all’epoca era assente un disegno di alternativa e/o alternanza
inteso come soluzione immediata al “blocco” del sistema politico italiano.
Su
questo punto si dovrebbe, ancor oggi, riflettere anche circa la mancata
capacità di presenza da parte di alcune correnti eterodosse della sinistra
italiana, pur presenti dagli anni ’60 in una vivacità di dibattito ideologico e
politico cui non seguì però una conseguenza di scelte politiche.
Nell’attualità
andrebbe impostato un ragionamento sul permanere dell’assenza di una
prospettiva alternativa.
Una
prospettiva di alternativa che avrebbero il dovere di elaborare i diversi
soggetti, organizzati o meno, ancora presenti nella sinistra senza arrendersi
al mediocre politicismo imperante.