LA MOSSA DEL DRAGO
di Alfonso Gianni

Draghi
Appena, con inusitata energia,
il Presidente Mattarella ha dichiarato di volere dare a Mario Draghi il mandato
per formare il prossimo governo - “un governo di alto profilo che non debba
identificarsi con alcuna formula politica” - si è aperta la discussione
sull’opportunità o meno di un governo tecnico. Ma tutto si può dire del governo
Draghi, se si farà, tranne che si tratti di un governo tecnico. I precedenti,
nati sotto quella definizione, Ciampi, Dini, Monti sono tra i governi che hanno
più inciso nella vita materiale del paese - vedi per esempio le pensioni - e
quindi hanno fatto politica, nel senso più pregnante del termine. Nello stesso
tempo troppo diverse sono le condizioni oggettive e soggettive per poter fare
paragoni stringenti con quelle situazioni. Con Draghi abbiamo una
compenetrazione tra governance
europea e governo nazionale. È persino riduttivo dire che per l’ignavia delle
classi dirigenti politiche ed economiche del nostro paese ci tocca il “pilota
automatico”, un commissario tecnocrate. Qui abbiamo l’ingegnere costruttore,
non solo il suo robot.
Mario Draghi ha interpretato diverse fasi della
costruzione dell’Europa, qualunque fosse il suo ruolo pubblico o privato. Almeno
quattro e tutte decisive, di cui è possibile seguire una successione
cronologica, salvo parziali sovrapposizioni temporali. L’epoca delle grandi
privatizzazioni, quelle decise a bordo del Britannia,
per cui il nostro paese divenne il secondo dopo l’Inghilterra thatcheriana
per volume nel valore delle dismissioni dei beni dello Stato, accompagnate dal
fanatismo rigorista che finirà per partorire l’assurdo Fiscal compact e l’accanimento brutale nei confronti della Grecia.
La famigerata lettera assieme a Trichet al governo italiano del 5 agosto del
2011 che tracciò un percorso di lacrime e sangue puntualmente eseguito dai
governi che seguirono. Il lancio, seppure tardivo rispetto ad altre parti del
mondo, della politica monetaria espansiva, con il Quantitative Easing.
Per arrivare all’intervento sul Financial Times del 25 marzo dello scorso anno, nel quale il debito
(quello “buono”, non per fini assistenzialistici o per tenere in vita imprese
zombie, preciserà altrove) smetteva di essere un tabù e allo stesso tempo si
denunciavano i limiti di una politica monetaria espansiva non accompagnata da
modifiche strutturali. Senza però indicare quali e l’omissis non è di poco peso.
![]() |
Draghi |

Mattarella
Svolgendo la pellicola si ha la visione precisa del
costruirsi di una politica, quella del tempo della lotta di classe dopo la
lotta di classe - avrebbe detto Luciano Gallino - agita dal punto di vista dei
vincitori. Con Draghi quindi non assistiamo alla morte di tutte le politiche.
Ma al funerale di quella di cui sopravviveva solo un ingannevole crisalide, una
volta che la rappresentanza politica di una delle parti del conflitto sociale
era stata - e si era - cancellata.
Renzi canta vittoria, volendo fare credere che tutto
deriva da una sua abile pensata politica. E c’è chi, credendo così di fargli
una critica, accredita questa interpretazione. Ma che gli obiettivi di Renzi
non riguardassero il miglioramento del Recovery
Plan era chiaro fin da prima. Se fosse stato veramente quello il punto
avrebbe ritirato le ministre prima e non dopo il passaggio in Consiglio dei
ministri del Piano di resistenza e resilienza (per inciso: che pessimo nome!).
I suoi obiettivi erano altri, assai più profani. In primo luogo quello di
inquinare il terreno di un possibile idillio fra Pd e M5S. In secondo luogo, ma
anche invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, di sbarrare la
strada alla crescita di consensi verso Giuseppe Conte che avrebbe potuto
permettere a quest’ultimo la fondazione di un partito o almeno di una
formazione elettorale che avrebbe tolto spazi a quelli già miseri di Italia
Viva.


Renzi
Le modalità di formazione del nuovo governo presentano
non poche anomalie, anche sotto il profilo costituzionale. Lo si può anche
definire un governo del Presidente nei limiti in cui questa definizione ha senso
in un sistema che ancora mantiene la forma del governo parlamentare. Senza
indulgere a disutili dietrologie, l’insolito attivismo del Capo dello Stato ne
ha certamente determinato l’atto di nascita, nel vuoto umiliante di iniziativa
delle forze politico-parlamentari, in una situazione che tutti a parole hanno
dipinto tanto drammatica da assimilarla a quelle postbelliche.
Se si guarda dal buco della serratura dell’oscillazione
dello spread non si sono verificati
crolli drammatici come nel passato. Ma questo dimostra solo la compenetrazione
della nostra economia nel quadro internazionale e le attese legate
all’innovativo intervento europeo. Ma non risolve il problema della diminuzione
dell’occupazione, con giovani e donne le prime vittime, o lo sprofondare del
nostro Mezzogiorno.
