RECOVERY FOUND. MA IL SUD DOV’È?
di Pino Aprile
Ma parli sempre di Pnrr, il Piano
nazionale per la ripresa (nel senso che prima prendevano i soldi del Sud e li
giravano al Nord: 870 miliardi in 17 anni, fonte Eurispes; mentre ora se li
“riprendono”) e la resilienza? E mentre la casa brucia (ci stanno portando via
il futuro), di cosa dovremmo parlare: del colore della tappezzeria? E forse
poteva venirmi in mente un esempio meno pericoloso. Chi ama gli aforismi di
Oscar Wilde (e poi dicono che i terroni sono ignoranti...) sa che le sue ultime
parole, dedicate alla tappezzeria dell'alberghetto parigino in cui finì i suoi
giorni, furono: «O se ne va quella carta da parati, o me ne vado io» e rese
l'anima a Dio o a qualche altro (per la cronaca, dopo la sua morte, cambiarono
la carta da parati).
A Sud (e solo a Sud) con sgomento e appelli a vuoto alle istituzioni
nazionali, si parla della difficoltà degli enti meridionali di partorire, a
tambur battente, progetti di grandi opere capaci di assorbire le risorse
europee del Recovery Fund, perché mancano le strutture, gli uffici tecnici, le
competenze per amministrare tutti quei miliardi (troppi Comuni del Mezzogiorno
non possono permettersele, hanno organici ridotti, con età media più alta, più
contratti precari e compensi più bassi); da Nord, ogni tanto si parla pure di
questa difficoltà dei nostri Comuni, ma per preparare l'atto di accusa: i soldi
per voi c'erano, ma non siete capaci di usarli (colpa vostra) e, con l'accusa,
si giustifica la conseguenza: per non perderli, il governo è costretto a
spostare quei soldi su progetti che sono al Nord; o preferireste che li
rimandassimo indietro? Peccato che i governi italiani, di qualsiasi colore e da
sempre (alcuni tanto di più, altri poco di meno) abbiano sempre investito al
Nord quasi tutte le risorse pubbliche (ovvero i soldi di tutti gli italiani) e
al Sud ancora aspettano il treno per Matera e in tutte le regioni meridionali
messe insieme circolano meno treni che nella sola Lombardia. Le Ferrovie sono
di Stato e Trenitalia è una finta società privata che ha come socio unico il
popolo italiano, ma opera solo a beneficio di una parte, agli ordini di governi
succubi del Pun, il Partito unico del Nord.
Una parte rilevantissima dei soldi del Recovery Fund dovrà essere spesa dai
Comuni. E quelli del Sud, nonostante le loro difficoltà, hanno dato prova di
iniziativa e coesione che, se fosse stata altrove, la vedremmo lodata su ogni
foglio nazionale un giorno sì e l'altro pure: si sono associati, in più di
cinquecento, indifferenti agli schieramenti politici delle giunte, per
difendere insieme il loro diritto alla “ripresa e resilienza”, come da titolo del
Pnrr. E, accortisi delle orecchie da mercante dei governi, prima il Conte2, poi
Draghi, hanno raccolto in un corposo e dettagliato “Libro Bianco”, in cui son
riportati progetti, suggerimenti, Comune per Comune, o per aree che interessano
il territorio di più Comuni. Una base preziosissima per un governo davvero
intenzionato a investire nel Mezzogiorno, per ridurre il divario (dallo Stato
stesso costruito) fra Nord e Sud. Invece, come fosse carta straccia.
Scusate se sono costretto a ripetermi, avendolo scritto tante volte: “Sud è
mettere qualcuno in condizione di non poter fare e non poter essere, e poi
rimproverarlo per non fare e non essere”.
Reggio Calabria
il lungomare
Non c'entra la difficoltà di progettare e spendere dei meridionali se
l'ente che deve fare le ferrovie le fa solo per alcuni e altri no. Se le
regioni del Nord hanno 65 chilometri di strada ferrata ogni mille chilometri
quadrati di superficie, come l'Austria, il Regno Unito, la Danimarca, eccetera
e quelle del Sud sono solo 45, a livello di Romania, Serbia (ma sopra il Kenia,
consoliamoci). Se disonesti e razzisti al governo non avessero imposto di
progettare grandi opere solo a Nord, a spese di tutti (e quello che si dice per
le ferrovie vale in ogni altro campo, dagli asili ai porti), oggi il Sud non
avrebbe il problema di “dove poggiare i miliardi per fare cosa”. Orrenda, ma
azzeccatissima la previsione di Ercole Incalza, già massimo dirigente di
ministeri tecnici (Lavori pubblici, Trasporti): quando l'Italia avrà speso i
soldi del Recovery Fund (sempre che da Bruxelles non arrivi uno stop per lo
schifo che si sta combinando), fra dieci anni, il Nord si troverà tante altre
infrastrutture che lo porranno a livello delle più attrezzate regioni europee
(e già adesso...): con la Torino-Lione, il terzo valico Genova-Milano-Rotterdam,
il tunnel del Brennero, il “corridoio“ Baltico-Adriatico via Tarvisio e l'asse
Torino-Milano-Venezia ad alta velocità. Insomma, la parte del Paese che già ha
tanto, avrà tantissimo, a spese di quella che ha già pochissimo e fra dieci
anni vedrà accresciuta, non accorciata, la distanza con il resto del Paese e
d'Europa (e magari, anche il Kenia, avendo la fortuna di non dipendere da
Trenitalia, avrà superato il Mezzogiorno per qualità e quantità di rete
ferroviaria).
il lungomare
Cosenza, fra Crati e Busento
Sono indegni i trucchi con cui vengono sottratti i soldi destinati al Sud,
da quelli per gli asili ai trasporti, all'economia verde, al punto che gli
investimenti per l'idrogenizzazione (il passaggio della produzione di energia
al gas meno inquinante), nel Pnrr varato dal governo Conte 2, erano in buona
parte nel Mezzogiorno e giustamente: la sub-regione a minor emissione di
anidride carbonica è in Puglia, la Capitanata (grosso modo il Foggiano), tanto
che è oggi a “CO2 negativa”, nel senso che ne elimina più di quanta ne produce.
Nel Pnrr di Draghi, quegli investimenti previsti dal Pnrr Conte2 sono scomparsi
e sono stati spostati al Nord, tanto che nemmeno un euro sarà speso al di sotto
della Val Padana.
Ma, a chiacchiere, il governo e la ministra al (contro il?) Mezzogiorno,
Mara Carfagna, dicono che al Sud sarà speso il 40 per cento dell'intera somma
del Pnrr, 82 miliardi (capirai che favore, di fronte al 70 per cento che
avrebbe dovuto essere). Un sito specializzato, Will-media, ha fatto un
conticino da terza media: Il Pnrr vale 222,1 miliardi; il 40 per centro di
222,1 è 89, non 82. Mancano 7 miliardi, ovvero: quanto costerebbe il Ponte
sullo Stretto di Messina. Quindi, il 40 chiacchierato è, di fatto, 36.
Ora, di ufficiale non c'è nulla (ci mancherebbe: il male ama il buio!), ma
già cominciano a circolare le previsioni pessimistiche, secondo cui sino al 95
per cento dei soldi del Pnrr finirebbe al Nord, altro che 70 al Sud, no, 40,
no, 36, no...
Esagerano? Qualcuno ricorderà che il professor Gianfranco Viesti, docente
di Economia applicata all'università di Bari ripercorse le pagine del Pnrr e
dei progetti ministeriali, trovando per il Sud, dichiarati, solo 22 miliardi,
non 82. Quindi, il 10 per cento, non il 40 (in realtà 36). Ma per
l'interconnessione economica Nord-Sud, il 41 per cento di quanto si spende a
Sud va al Nord per l'acquisto di materiali e competenze, quindi quel 10 per
cento diventa, effettivo, appena 6 (70, 40, 36... bla, bla, bla).
Veduta di Catanzaro
Dobbiamo preoccuparci? Sì, e tanto. Ma sembra che la cosa non ci riguardi,
a giudicare dal “non allarme” dei maggiori dirigenti meridionali, dai
presidenti di Regione ai parlamentari agli stessi imprenditori. Qualcosa sembra
smuoversi, lodevoli tentativi si registrano, il numero di esperti e politici
sempre più impegnati nel grido di allarme, cresce. Ma si rischia sia troppo
poco, troppo tardi. Quei soldi, il Recovery Fund, con cui l'Europa mira a far
rinascere il Sud, potrebbero essere il prezzo del biglietto del definitivo
funerale, se non obbligheremo il governo, la comunità nazionale a rispettare le
ragioni e gli scopi di questa grande impresa europea.
Se no, per tornare a Oscar Wilde, prossimo alla fine, senza più mezzi,
ordinò una bottiglia del più costoso champagne per accomiatarsi dal mondo: “Presumo
che mi toccherà morire al di sopra delle mie possibilità”.
Wilde (irlandese) aveva qualcosa di meridionale.
[LaC News24 -12 dic. 2021]