IL LIBRO
di
Rita Morandi
Rassegna
sul racconto a cura di Cesare Vergati per Bookcity 2023.
Una
mattina all’alba mentre ancora cercavo di prolungare il sonno avvolgendomi
meglio nelle coperte… in quello stato di dormiveglia in cui spesso mi capitava
di stare, mi apparve lui… “il Libro” come uscito dal nulla piano piano
dall’ombra. Provai una strana sensazione di appartenenza… quel libro io già lo
conoscevo… era come se lo avessi visto o meglio facesse parte di me, di una
qualche mia parte nascosta. Lo guardai a lungo, avrà avuto più o meno un
migliaio di pagine… lo toccai per aprirlo ma non vi riuscii. Ne vedevo invece,
molto bene la copertina, grigia come una cornice e dentro un riquadro
trasparente dove vi era un paesaggio… un disegno in bianco e nero fatto a
matita e carboncino, niente penna né china, dal colore tenue e sbiadito. Notai
che c’era anche un po’, ma poco, di verde vescica. Quello che vi era scritto
dentro non lo vedevo ma sentivo che era il libro che avrei voluto scrivere, il
mio libro, tra i tanti, quello “perfetto”. Sapevo tutto questo ma non riuscivo
ad aprirlo per vederne il contenuto come se qualcosa trattenesse la mia mano ad
avvicinarmi. Man mano la coscienza ritornava e mi svegliai. Non ci pensai più.
Rimase in me, però, la certezza che questa prima apparizione sarebbe stata
seguita da altre. La notte seguente, infatti, di nuovo il libro apparve dal
nulla, uscì dall’ombra e questa volta, invece di rimanere sospeso nell’aria, lo
vidi appoggiarsi su un tavolo con al suo fianco una penna. Rividi la copertina,
erano le nebbie e la foschia del paesaggio che mi attiravano, un paesaggio
tagliato da fili sottili come una sottile fila di arbusti. Ancora voi siete che
mi chiamate, voci nella brughiera, voci lontane…
Come
fosse un fatto naturale aprii il libro che inaspettatamente si lasciò aprire e
cominciai a scrivere nella prima pagina e poi nella seconda e nella terza. Al
risveglio non ricordai niente di ciò che avevo scritto, forse erano versi, un poema
forse, fatto di gocce preziose che cadevano in un oceano dove tutto era
perfetto ed eterno, ma era solo una sensazione, non ricordavo nulla.
Seguirono
altre notti in cui le pagine, tornate vuote, ricominciavo a riempire e scrivere
e scrivere e al mattino non ricordavo. Attendevo con ansia di addormentarmi per
poterlo rivedere. La copertina, sempre la stessa, mi chiamava ad aprire il
libro che ogni volta aveva le pagine bianche che attendevano di essere riempite
dalle mie parole. Ogni notte lo riempivo e la notte seguente era di nuovo
bianco e dovevo riscriverlo. Come nel sogno ero così cosciente di scrivere
un’opera stupefacente, il libro più bello che avrei mai scritto, cosi al
mattino la frustrazione di non ricordare nulla mi faceva disperare. Fu così che
ricorsi ad uno stratagemma, mi venne in mente che spesso avevo l’abitudine di
parlare nel sonno, così chiesi a qualcuno che dormiva nella mia stessa casa
vicino alla mia stanza se avessi parlato e cosa avessi detto. Avrei avuto così
qualche indicazione.
Mi
disse che sì, certo, avevo parlato e molto anche ma non riusciva a ricordare
niente che fosse sensato, niente di logico né di dicibile.
Lo
pregai di ascoltare ancora nelle notti seguenti e di fare molta attenzione, gli
dissi che per me era una questione di vitale importanza.
Per
diverse notti mi ascoltò e al mattino mi riferì sempre la stessa cosa, le frasi
sconnesse, le parole senza significato, finché si stancò di dirmi del mio
parlare senza un senso ed io smisi di chiederglielo.
Andai
avanti così ancora per qualche notte finché in una di queste una voce dalla
brughiera in lontananza mi disse: non ti è dato ora di sapere ciò che scriverai
in questo libro, non ti appartengono ancora quelle parole che scriverai in
futuro e che per ora non trovano un senso, per questo devi continuamente
riscriverlo. Da quella notte non lo sognai più.
Ricordai
allora che molto tempo prima del momento in cui accaddero questi fatti, dopo
aver cercato per molti anni nella biblioteca della mia casa il libro dalla
copertina azzurra che probabilmente avevo sognato, lo trovai a Parigi su uno
scaffale di una piccola libreria e lo riconobbi come il libro scritto da me secoli
prima in un’altra vita in quella stessa città. Non potei non fare questa
associazione. Capii allora che il libro che stavo scrivendo nel sogno in quelle
notti, parole che aspettavano di venire alla luce, sospese in quella dimensione
onirica che viaggiano come carene associative misteriose, enigmatiche per gli
uomini diurni… capii allora che quel libro non mi riguardava ancora, non era
come tutti gli altri che avevo scritto e avrei dovuto aspettare molto tempo
affinché fosse il mio libro, e sarebbero passati forse secoli, in un’altra
epoca che avrei vissuto nel luogo rappresentato in quella copertina, con quelle
voci che ora mi chiamavano da quelle lontananze… chissà… forse…
[ottobre
2023]