LE RAGIONI DELLA SCISSIONE
di Franco Astengo
Al
di là dell’esito concreto della vicenda interna al PD (che ci sia o non ci sia
la scissione) è il caso di indagare a fondo la situazione che si sta profilando
ricercandone le cause:
1).Primarie:
istituzionalizzazione del sacrificio e del tragico senso di colpa che non trova
una possibile riconciliazione. Da qui l’origine “vera” della scissione non
tanto a livello di singoli ma a dimensione “sistemica”
come si cercherà di argomentare.
2).Le
primarie diventano il momento della legittimazione mitica che consegna a una
persona la segreteria del partito, il controllo degli organismi dirigenti, il
potere di nomina dei parlamentari e la guida del governo, l’elezione del capo
dello Stato. Congiunte al premio di maggioranza, le primarie in astratto rendono
possibile un comando assoluto che s’insinua, a partire dai riti del gazebo, in
ogni ambito del potere pubblico (Il nuovismo realizzato di Michele Prospero.)
Un comando assoluto che segna il confine tra il partito leaderistico (il PSI di
Craxi), il partito – azienda con un capo (Berlusconi) e il partito personale
(PdR)
3).Ancora
una volta si dimostra come le forme della politica abbiano regole invalicabili
che quando si superano attuando forzature più
o meno forti, come nel caso dell’attualità, alla fine si rivelano pericolose per l’equilibrio degli
assetti democratici. Per questo motivo l’eventuale scissione del PD (che se
fosse mancata lo sarebbe soltanto per un atto di mero opportunismo) presenta in
sé una sua razionalità: appare tutt’altro che inspiegabile proprio perché
origina da un’evidente forzatura attuata in partenza, fin dai tempi dei
plebisciti al riguardo delle candidature Prodi e Veltroni. Plebisciti, infatti,
e non primarie “all’americana”. Plebisciti che consegnano un indiscutibile
“potere di nomina”.
Nonostante l’esito del
referendum del 4 Dicembre non è stato ancora sventato il pericolo di una
codifica formale di un regime personalistico – autoritario che si intendeva e
si intende realizzare in Italia sulla base di assunti dettati da poteri
economici e finanziari esterni al sistema politico e ispirati nella sostanza
dal documento di Rinascita democratica stilato dalla loggia massonica segreta
P2 nel 1975. Sulla base di questi primi
punti fermi è necessario indagare a fondo il fenomeno della personalizzazione
così come questo si è realizzato nel corso degli ultimi decenni all’interno del
quadro complesso del sistema politico italiano.
Scrive Rossana Rossanda: “
Penso che oggi ci sia un bisogno
spontaneo della gente di avere più una persona cui collegarsi che un’idea”.
Questo fatto avviene in un
momento di crisi profonda delle identità collettive e di vera e propria
destrutturazione dell’agire politico ormai diluito nei rivoli del
corporativismo.
Un fenomeno chiarito già
negli anni centrali del “secolo breve” da Max Weber che, preso atto
dell’esistenza di una tensione verso un legame rivolto al riguardo del leader
da parte delle masse in ragione della ricerca del successo e quindi
dell’esigenza di controllo del potere, spiegava come in assenza di una forte
spinta ideale viene a mancare una capacità d’interpretazione degli eventi.
Sottolinea Weber, con
un’affermazione di straordinaria attualità legata proprio al “caso italiano”: “
anche sui trionfi politici esteriormente più efficaci pende la maledizione
della nullità”. Sembra proprio la fotografia del PdR all’indomani del vantato (e
inesistente) 40,8% alle elezioni europee del 2014. Inesistente perché
pochissimi hanno valutato quel risultato per quel che valeva anche sul piano
numerico, drogato dall’astensione più elevata nella storia della Repubblica. Quello
della presenza o dell’assenza della spinta ideale rappresenta il confine tra la
direzione vera di un’organizzazione di massa che può anche essere interpretata
da un soggetto identificato personalmente e il demagogo vanitoso che ride,
recita, s’immerge nella finzione e la scambia egli stesso per il vero.
I partiti tramontavano e
la nuova parola magica “leadership” risuonava nel mondo della politica italiana
e procedeva senza che a nessuno venisse in mente un controllo analitico del suo
significato.
Un’analisi non fatta che
avrebbe dovuto svilupparsi, invece, attorno ad un punto: “il potere della
persona” in Occidente rappresenta, in un’interpretazione di lungo periodo, una
perdita secca rispetto a secoli di storia politico – giuridica occidentale che
hanno separato la persona fisica dal potere.
Quando, da parte di
analisti tacciati di eccessivo pessimismo, si accenna a un “arretramento
storico” in atto è proprio a questo tipo di fenomeni cui si fa riferimento.
Un fenomeno del tutto
diverso da quello, ad esempio, della solitudine del presidente americano che,
come sottolinea Mauro Calise nel suo fondamentale “Il partito personale”:
“trascende sì la funzione rappresentativa e concentra una grande autorità di
comando ma questa è protetta, come accade nei sistemi sviluppati, da istituzioni
complesse, da organizzazioni pubbliche che funzionano come procedure”.
Tutto questo non è inteso
dalla personalizzazione all’italiana che discende dall’idea mal interpretata
delle “vocazione maggioritaria” e dal conseguente meccanismo di primarie intese
come plebiscitanti.
Su questi punti avviene la
scissione: una rottura di fondo tra il soggetto che intende incarnare il
plebiscito e il sistema democratico. Ben oltre a ciò che accadrà nella
dimensione ridotta del PD tra chi entrerà e chi uscirà dalla porta girevole,
tra un Pisapia che entra, un D’Alema che esce e un po’ di tremebondi che
restano sull’uscio. I nodi verranno sicuramente al pettine e le scissioni dalla
realtà si misureranno con il concreto.