L’arresto del mariuolo.
di Franco Astengo
Venticinque anni fa, 17
febbraio 1992, l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa rappresentò l’avvio del
rotolarsi di una valanga che travolse tutto il sistema politico italiano (in combinato
disposto, è bene ricordarlo, con la caduta del muro di Berlino avvenuta due
anni e mezzo prima).
Naturalmente
avremo, a questo proposito, articolate ricostruzioni e analisi ma in questo
momento mi farebbe piacere prendere atto di una sintesi contenuto nel libro di
Giuseppe Tamburrano (uno degli “sconfitti”) “La Sinistra Italiana 1892-1992”, recentemente pubblicato dalla
Fondazione Nenni. Queste le ultime righe del testo: “Dobbiamo rivoltare l’Italia come un calzino” disse il magistrato
Camillo Davigo. E’ stata rivoltata l’Italia ne è uscito Berlusconi.
Dopo
Berlusconi, aggiungiamo, è arrivato addirittura Renzi con il suo tentativo di
cambiare non solo la Costituzione ma addirittura la natura Parlamentare della
Repubblica (e a fianco di Renzi il “tragico” M5S). Una fase, quella tra il 1992
e oggi che rappresenta un monumento all’insipienza, l’arroganza, il
pressapochismo di un’intera classe politica.
Una
fase di arretramento culturale, crescita abnorme delle diseguaglianze sociali,
sottrazione di democrazia. Ritorniamo alle conclusioni i Tamburrano: “Ventiquattro anni dopo, lo stesso Davigo,
diventato nel frattempo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, ha
detto in un’intervista al “Corriere della Sera” (22 aprile 2016): i politici oggi rubano senza vergogna, è
peggio di tangentopoli”.
Quest’affermazione
del magistrato già componente del Pool “mani
pulite”e ricordato da Tamburrano non è certo tacciabile di qualunquismo,
almeno a nostro giudizio, ma dettata
dell’evidenza del fallimento della velleità di rispondere al malaffare con i
partiti personali culla di quella che è stata definita “antipolitica”, con le
liste civiche e i Sindaci eletti senza simbolo di partito. È stato un grande
abbaglio quello di pensare di rispondere al procedere e all’intensificarsi del
processo corruttivo avvenuto in assoluta continuità con il periodo dei grandi
processi e dell’implosione del sistema attraverso l’invenzione di figure
salvifiche provenienti dalla cosiddetta “società civile”.
Nel frattempo la
corruzione è diventata sistema coinvolgendo giurisdizioni diverse, P3, P4,
imprese e funzionari, faccendieri di vario ordine e grado: anche in virtù della
divisione tra responsabilità amministrative e responsabilità politiche attuata
attraverso le leggi “Bassanini”.
Dietro
alle nuove forme di corruzione non c’è più la vecchia mappa dei partiti: oggi
operano veri e propri comitati d’affari a conduzione privata che invadono il
campo dell’amministrazione pubblica,
sfruttando anche nuovi campi d’intervento offerti dall’emergenza, come
nel caso delle calamità naturali e delle ondate di migrazione. Si sono così
create delle potenze private che operano nella gestione del pubblico
intendendola come una sfera economica da conquistare al fine di sviluppare le
proprie possibilità di lucro.
“La corruzione odierna (Michele Prospero
“Il nuovismo realizzato”) è figlia non
tanto dell’invadenza dei partiti ma
della debolezza estrema dei partiti che nei territori sono soppiantati da
figure spregiudicate indifferenti a colori politici. Essi conquistano lo spazio di governo in ragione delle risorse che mobilitano a proprio sostegno e dell’odore di
affari che promettono di annusare una volta insediati al potere”.
La
differenza con tangentopoli può essere così individuata, in conclusione, nell’emergere, in luogo dell’antica logica di scambio, di una commistione
inestricabile tra imprese, politici, “società civile”, faccendieri,
rappresentanti di organi statali in un coacervo nel quale gli affari sono
–appunto- il tratto comune distintivo. La sola risposta sarebbe quella di
ricostruire soggetti collettivi capaci di sviluppare spazi per l’esercizio di
una politica democratica: ma tutti gli indicatori sembrano dimostrarci che
l’establishment, al centro come in
periferia, si muove esattamente in direzione contraria.