di Franco
Astengo
La formazione del nuovo governo imperniato
sull’alleanza tra PD e M5S ha sicuramente modificato, sia pure in via
provvisoria, quella dinamica interna al sistema politico che avrebbe dovuto
vedere a breve (secondo un’ipotesi rivelatasi di corto respiro) un confronto
elettorale imperniato attorno alla centralità della crisi della democrazia
liberale classica, attaccata da una parte dalla “democrazia illiberale”
proposta dalla Lega e dall’altra dalla “democrazia diretta” proposta - appunto -
dal M5S.
Nel breve periodo toccherà verificare, invece, la
coesistenza tra una visione della democrazia liberale presente nel PD che pure
ha sofferto una stagione molto “hard” di personalizzazione e oggi pare trovarsi
da questo punto di vista in una sorta di fase di transizione rispetto al tema
della “forma partito” e una visione della “democrazia diretta” agita attraverso
il web dal Movimento 5 Stelle: visione della “democrazia diretta” uscita
rafforzata, almeno dal punto di vista della percezione mediatica, dall’esito
della consultazione svoltasi sulla piattaforma Rousseau proprio nel merito delle scelte di governo.
È il caso allora di riflettere
ancora una volta su questi temi a partire da un discorso riguardante il valore
del suffragio universale e della rappresentanza politica. Storicamente è stato sulla comprensione del valore della rappresentanza
politica che si verificò la grande spinta verso il suffragio universale
(maschile e femminile). Suffragio universale intenso come possibilità di
espressione piena proprio della rappresentanza politica, sulla base della quale
si formarono i grandi partiti europei della classe operaia della prima
rivoluzione industriale. Se si chiude la porta alla possibilità di una pienezza
d’espressione della rappresentanza, come sta avvenendo in Italia da molto tempo
con le leggi elettorali via, via, elaborate nel tempo dalla crisi sistemica
degli anni ’90, allora tutti gli altri livelli di rappresentanza “settoriale” o
“neo-corporativa” compresi quelli di genere finiscono con il non disporre del
valore di fondo, quello proprio della piena espressione della rappresentanza
delle proprie sensibilità e delle proprie opzioni politiche anche sul piano
istituzionale. Nel più recente passato si è verificata una soffocante rincorsa
verso la “governabilità” intesa quale fine esaustivo dell’azione politica e
anche istituzionale. Una dinamica che ha finito con il far perdere valore
qualsiasi altro concetto di alternativa o anche soltanto di “diversità”. La
grande contraddizione, nello specifico del “caso italiano” (definizione che
vale ancora, sia ben chiaro sia pure in senso opposto a quello che vi si
attribuiva negli anni’70) è con il dettato costituzionale.
La Costituzione disegna con grande chiarezza lo scenario della centralità
del Parlamento e della presenza nelle istituzioni di un largo spettro di
rappresentatività, sia sotto l’aspetto delle idealità che delle capacità
progettuali.
Siamo al punto in cui, per cercare di evitare le tagliole degli
sbarramenti, a molti non appare più possibile presentarsi con il volto delle
grandi idealità della storia politica d’Europa e d’Italia e ci si maschera da
“altro” com’è avvenuto con le forze residuali delle diverse tradizioni della
sinistra storica.
Un atto d’ignavia politica dettato da condizioni storiche all’interno delle
quali il sistema si è frapposto con tutti i mezzi alla possibilità di una
limpida espressione di appartenenza, anche ideologica.
Nell’occasione attuale siamo di fronte a un governo che ha avuto “via
libera” da una consultazione diretta attraverso il web (quindi non pienamente
trasparente o almeno sospettabile di non esserlo) che ha avallato la formazione
di un esecutivo basato su di un’ardita manovra di palazzo.
Si può allora parlare di “mistificazione” sia della “democrazia diretta”
sia del principio di rappresentanza”?
Molti obietteranno con
l’osservazione che comunque in questa occasione si è difesa la democrazia e
sbarrata la strada all’estrema destra.
Da un certo punto di vista è sicuramente vero: ma se i soggetti
protagonisti di un’operazione di questo tipo fossero appartenuti ad altra - opposta - sponda politica?
Il sistema conserva quindi tutta la sua fragilità in rapporto allo sfrangiamento
in atto nella società italiana. Un sistema che pare proprio non essere in grado
di fornire una risposta alla propria crisi di rappresentatività in un quadro
sociale in cui emergono istanze conservatrici, egoistiche, corporative.
Emerge il tema dell’assenza di una capacità di pedagogia democratica da
parte dei soggetti politici. Non basterà certo la riduzione del numero dei
parlamentari. È necessaria una constatazione di fondo circa la necessità di
affrontare questa situazione di difficoltà che si è cercato di descrivere e che
espone la democrazia italiana al rischio di soggiacere a meccanismi di “scambio
politico di massa”, come del resto è avvenuto nel corso delle ultime campagne
elettorali. È proprio dalla difficoltà nel definire questi nodi dell’agire
politico all’interno della modernità il punto dal quale ripartire se s’intende
ragionare sul serio sulle forme di espressione della soggettività nel difficile
intreccio tra sociale e politico.