di
Fulvio Papi
Antonio Rosmini |
Ho
letto nella rivista Rosminiana “Charitas”
del Centro Studi Filosofici Rosminiani di Stresa la ripresa di un articolo
dalla rivista “Il Carabiniere” nel
quale si racconta ai lettori la tesi che ritiene possibile l’avvelenamento di
Rosmini nell’ultimo anno della sua vita. Confesso che la notizia mi ha
sbalordito, sia in se stessa, sia in quanto “fatto” ripreso da due diverse
riviste così lontane tra loro quanto al loro senso.
Certamente
la morte, quale che sia, di un filosofo, di un teologo o di uno scrittore non
altera per nulla il suo valore come contributo all’intelligenza collettiva. La
notizia può invece destare un certo interesse dal punto di vista della verità
storica e del suo senso, che può essere politico, culturale, religioso o semplicemente
frutto malvagio di una patologia familiare o individuale.
Nel
caso di Rosmini, data la statura intellettuale della sua figura, il peso della
sua opera nella cultura italiana e, suppongo, le interpretazioni possibili, la
notizia di una morte non naturale apre legittimi interrogativi.
In
ogni caso la breve nota di “Charitas”
così prosegue: “Si tratta di un aspetto dai contorni poco chiari dai quali
emerge la possibilità reale di tale avvelenamento, ma lascia senza risposta
circa chi sia stato il mandante. A volere la morte di Rosmini poterono essere
non pochi.” Lo scritto individua almeno quattro piste sulle quali indagare:
quella politica (governo austriaco), religiosa (missione diplomatica
“fondamentalista”), familiare (dissidi interni), l’araldica (parenti
svantaggiati da quella relazione politicamente invisa all’impero). L’articolo
termina dicendo che nel “giallo” mancano le ultime pagine.
Non
ho proprio per niente una cultura storica tale da inoltrarmi in qualsiasi ipotesi.
Mi pare tuttavia che il luogo dove viveva Rosmini gli ultimi anni della sua
vita (il collegio di Stresa) fosse il meno adatto per un assassinio che non
fosse più che ben organizzato, come quello di un solitario fanatico.
Tuttavia
cercare di venire in chiaro potrebbe essere interessante, non per la sua opera teologico-metafisica,
ma per il modo sociale in cui veniva percepita la sua personalità, in un
contesto politico, familiare e religioso. Per quanto mi riguarda e per il poco
che ho studiato le opere del Prof. Ottonello, credo di poter dire che dal punto
di vista filosofico (teoretico) Rosmini richiama un Hegel rovesciato: laddove
nel pensatore tedesco c’è un’unità
immanente che si svolge nel tempo, in Rosmini vi è un’unità trascendente che fonda le figure culturali fondamentali: la
conoscenza, la morale, il diritto, l’economia. Ma sono intuizioni che
richiederebbero un’ampia ricerca.