di
Fulvio Papi
Ho letto che verrà restaurato
nella scuola l’insegnamento di “educazione civica”. Su questo argomento
fiorirono testi importanti come quello di Norberto Bobbio e altri di rilievo
più o meno importante. Il risvolto didattico fu un fallimento che probabilmente
ha due ragioni fondamentali, gli insegnanti non sono per nulla preparati a
insegnare l’educazione civica. Molti si limitavano a leggere con ovvi commenti
alcune norme della suprema Legge dello Stato come se fosse un catechismo. Altri
tentavano un minimo di sfondo storico che, tuttavia, era costituito da formule
politiche troppo semplificate al punto da apparire burocratiche e prive di
senso. Mi spiace che, in certe occasioni, vengano ripetute. Non so se siano arrivate
delle disposizioni per questo insegnamento. Dall’esperienza e da una certa
riflessione suggerirei di non allontanarsi troppo da tre linee fondamentali.
Mi pare molto importante formarsi su alcuni princìpi
fondamentali della nostra Costituzione mettendoli in relazione di senso con le
trasformazioni sociali che sono accadute in questi settanta anni. Che la
Repubblica sia fondata sul lavoro (contemporaneamente sul dovere e sul diritto)
si può ripetere, ma bisogna spiegare come si può ripetere e perché. E qui
bisogna fare riferimento alle modificazioni radicali che sono intervenute nel
lavoro e negli effetti sociali che esse hanno provocato. Quando fu discussa la
Costituzione il lavoro agricolo era prevalentemente manuale, ora si avvale di
diverse tecnologie che trasformano la stessa figura dell’agricoltore, sul
lavoro e nella vita sociale. La Costituzione garantisce la libertà di stampa.
Ma al tempo vi erano autorevoli giornali competitivi tra loro, e la libertà era
la garanzia per ognuno di far valere le proprie opinioni. Oggi l’informazione
(che diventa tout court formazione) è dominio delle televisioni e del potere
della rete informatica. Il concetto stesso di libertà va almeno problematizzato
e tolto da quella vaga intuizione metafisica che copre in realtà un
autoritarismo di natura pubblicitaria. Questi temi mi paiono da insegnare. Poi
mi pare fondamentale mostrare che i sistemi politici attuali hanno senz’altro
le loro radici nella riflessione teorica intorno al comando delle città,
dall’età di Pericle (governo per il popolo, non del popolo) sino all’impero
macedone. Ci sono opere (quella di Vegetti su tutte) che facilitano questo
lavoro a chiunque voglia farne oggetto di insegnamento. Perché la Costituzione
garantisca una forma di potere politico piuttosto che altre si può leggere bene
nelle pagine della storia greca e si può anche capire quando e perché possa
entrare in crisi. E poi a questi ragazzi che molto spesso vogliono difendere
l’ambiente naturale, si mobilitano contro l’invasione dei rifiuti, contro
l’incoscienza dei loro concittadini, mostrano la virtù (un poco ideale) della
solidarietà, fargli leggere un libro letteralmente perfetto, educativamente
essenziale come Piccoli maestri di Meneghello. Queste sono indicazioni
di massima. L’insegnante seguirà la sua strada, ma l’importante è che
l’insegnamento di educazione civica non segua il destino disastroso ma ironico
dell’insegnamento della filosofia. Se no è molto meglio, ma veramente molto
meglio, ascoltare alla televisione gli Angela, padre e figlio che sono
intelligenti, istruttivi, cordiali.