di
Franco Astengo
Costi
della politica e oligarchia parlamentare
Stiamo
velocemente scivolando verso la data di svolgimento del referendum (e delle
elezioni regionali) e strada facendo crescono le incognite: da quella riguardante
l’attribuzione di un valore politico alla differenza di partecipazione che si
rileverà tra regione e regione nella logica (perversa) dell’election day fino
alla previsione degli effetti che l’esito del voto avrà (o non avrà) sugli
equilibri di governo.
Certamente
ci troviamo in una fase di fortissima fibrillazione anche in previsione di un
lavoro di grande portata nella distribuzione di risorse (i momenti di forte
elargizione di spesa sono sempre stati i più complicati per i governi, anche
per quelli fondati su coalizioni molto più solide dell’attuale).
Nel
dipanarsi della matassa della propaganda pare però essersi allentata la
“visibilità” di un argomento che pure era stato indicato dal M5S come l’ architrave
dell’impianto che sopraintendeva all’operazione riduzione del numero dei
parlamentati: quello dei “costi della politica” o più volgarmente quello dei
“costi della casta”.
Eppure
si tratta di un tema che deve essere ripreso e specificato al meglio allo scopo
di compiere scelte ragionate e coerenti.
Per
contrastare la deriva populista della “casta” era stato detto, molto
semplicemente dai sostenitori del “NO”: “invece di ridurre il numero,
diminuiamo gli emolumenti”.
A
questo punto però la questione va ripresa e completata all’interno di un’argomentazione
complessiva che potrebbe essere riassunta in 3 punti:
1). La riduzione del numero
dei parlamentari, in presenza di una legge elettorale che ne prevede, in
sostanza, la nomina di una buona parte con procedura dall’alto rappresenta un
provvedimento di rafforzamento dell’oligarchia e di riduzione ulteriore nella
qualità culturale e politica di deputati e senatori. Mantenuti intatti stipendi
e privilegi si ridurrà semplicemente la possibilità di accesso dal territorio
al Parlamento. A questo modo si intensificheranno gli assalti alla diligenza,
senza guardare tanto per il sottile a clientele e a “gigli magici”. Il metodo
clientelare risulterà sempre più quello più sicuro per essere inseriti nei
pochi posti a disposizione. La cosiddetta “casta” (termine orrendo) con la
riduzione di numero sarà così sempre più “casta” arroccata nel Palazzo. Un
arroccamento logico tanto più che l’estensione nella dimensione territoriale
dei collegi renderà molto difficile la presenza dei parlamentari nei luoghi
d’elezione (c’è da tener conto anche che il sistema dei collegi uninominali
prevede sempre un certo numero di “paracadutati”, sottraendo ulteriore spazio
alla territorialità della rappresentanza). La riduzione di numero porterà anche
riflessi nella vita interna delle organizzazioni politiche con una sicura
crescita di cordate, correnti, frazioni organizzate esclusivamente allo scopo
di a strappare il maggior numero di candidature possibili per la propria
corporazione.
2). Mentre si sta svolgendo
la “bagarre” pre-elettorale appare del tutto ignorata la questione dei costi
della politica a livello regionale. Prima di tutto ci sarebbe da stabilire il
grado vero di efficienza degli Enti regionali sul piano legislativo aprendo
anche una riflessione sugli effetti istituzionali e politici dell’elezione
diretta del Presidente e lo spostamento dell’attività verso le facoltà di
nomina e le capacità di spesa. Temi di cui nessuno parla: il dibattito sulla
funzione costituzionale e istituzionale delle Regioni (in ispecie dopo quello
che è accaduto durante l’emergenza sanitaria) sembra essere diventato un tabù.
Le Regioni hanno inoltre rappresentato, in questi anni, un vero e proprio “buco
nero” al riguardo della commistione (un nodo che rimane da sciogliere) tra
“costi della politica” e “questione morale”. Anche in questo caso si è ridotto
il numero dei consiglieri ma mantenuto intatto il quadro degli emolumenti e dei
privilegi provocando quel fenomeno già richiamato di una ulteriore” concentrazione
nell’esercizio del potere”;
3).
È
possibile affermare, allora, che il vero obiettivo nella riduzione del numero
dei parlamentari è quello dell’ulteriore svilimento dei consessi elettivi nel
loro insieme. Una vera e propria “sottrazione di ruolo” già avviata con
l’elezione diretta dei Sindaci, la degradazione delle province a ente di
secondo grado, lo spostamento d’asse verso l’esecutivo nella produzione
legislativa, la modifica dei regolamenti parlamentari, l’esagerata reiterazione
di dpcm e voti di fiducia.
Non
sono questi argomenti estranei l’uno all’altro e citati a capocchia.
L’obiettivo
della degradazione delle assemblee elettive (parlamento, consigli regionali,
consigli comunali) fondate sul principio della rappresentanza politica fa parte
di un disegno molto preciso di esaltazione della governabilità intesa come fine
esaustivo dell’azione politica e di annullamento dei corpi intermedi. Si sta
cercando di costruire un impianto istituzionale misurato fuori dalla cornice
costituzionale con gli organismi elettivi ridotti a mera sede di ratifica delle
decisioni degli esecutivi e degli organi monocratici.
Verrebbe
voglia di citare la Camera dei Fasci e delle Corporazioni oppure il documento
per la “Rinascita Nazionale” della P2.