FRATTURE VECCHIE E NUOVE
di
Franco Astengo
Enrico Letta
Nel
seguire vecchi schemi Ezio Mauro (“Il campo del Papa straniero” - la Repubblica
del 15 marzo) individua quattro “angoli” che, dall’esaltata segreteria Letta in
avanti, dovrebbero confrontarsi nel disastrato sistema politico italiano
all’interno di un “campo progressista” destinata a contendere il Paese alla
destra: una cultura democratica figlia della tradizione del centrosinistra ( o
ancor meglio dell’Ulivo tanto evocato in questi giorni), un populismo moderato
in via di definizione, un ambientalismo nascente in cerca di affermazione, un
laburismo residuale con venature d’opposizione.
Tra
questi soggetti, secondo l'analisi di Mauro, dovrebbe sorgere una contesa
democratica per disputarsi il capitale culturale, sociale e simbolico di questo
ipotetico “campo progressista” (dietro l’angolo si intravedono il sistema
elettorale maggioritario e la riedizione del tentativo del “bipolarismo
temperato”).
Questa analisi finisce con il tralasciare
almeno due questioni di fondo: a) la radicalità delle “fratture” emergenti che
appare tale da richiedere una contrapposizione ben più netta di quella possibile riesumando antiche
culture di semplice “protezione degli esclusi dalla globalizzazione” (tanto più
in tempi di ridisegno sociale complessivo a causa dell’emergenza sanitaria) b)
la necessità di modellare l’agire politico rispetto al tipo di competizione che
si aprirà con il modello che sarà proposto dall’evoluzione tecnologica.
La
domanda, in sostanza, è questa: come si sarà capaci di affrontare la fase di
emersione dell’intelligenza artificiale in sostituzione dell’intelligenza
sociale?
Stanno
per saltare gli “angoli” descritti da Mauro: non esiste più una “utopia verde”
sulla quale basare l’affermazione dell’ambientalismo (al di là di possibili
effimeri mini-successi elettorali) dal momento in cui il capitale ha scelto la
“transizione ecologica”; allarga il suo campo il laburismo che è chiamato a
verificare la nuova complessità delle contraddizioni e assieme a proporre una
nuova visione non relegabile nella marginalità di un’opposizione politicista;
appare del tutto insufficiente una cultura democratica imperniata su
modificazioni apparentemente razionalizzatrici dell’impianto istituzionale in
Italia, come in Europa.
Opera di Max H. Sauvage (2021)
Così
vanno rimescolandosi le carte con il nostro sistema politico in ritardo.
Un
sistema inadeguato rispetto alle esigenze che si stanno imponendo, prima di
tutto, ad una “Italia fuori d’Italia” rispetto all’Europa e al nuovo livello di
scontro che sarà determinato dal riprofilarsi delle grandi potenze (Cina/USA;
nuovo ciclo atlantico; penetrazione russa, turca, cinese nel cuore del
Mediterraneo soltanto per fare degli esempi) in lotta essenzialmente per il
primato nelle fonti di accesso alla trasformazione tecnologica.
Si
è già ricordata la radicalità dei cambiamenti in atto: una radicalità che
reclama, recupera, promuove identità nel confronto tra destra e sinistra.
La
contesa sull’egemonia al riguardo dell’indirizzo che sarà assunto
dall’evoluzione tecnologica costituirà il vero punto di rottura del futuro.
Cosa
proporrà la destra? Ciò che sta accadendo: l’isolamento progressivo, il
termitaio globale, l’incattivimento degli hater, il condizionamento mentale
delle masse (Giuseppe Genna “Grillo va preso sul serio” L’Espresso 14 marzo
2021). Non basta anche la contrapposizione proposta da “Laudato sì”: anche in
quel caso è insita l’idea della riduzione nella portata delle “fratture” in
atto.
Nella
piena consapevolezza della totale insufficienza e genericità di questo
tentativo di riflessione mi permetto allora di richiamare due questioni:
1). quello
dell’esigenza di una presenza politica della sinistra capace di recuperare in
profondità i due concetti base di uguaglianza e solidarietà non limitandosi
alla semplice “protezione sociale”;
2). Una sinistra capace di
ampliare il proprio bagaglio di riferimento fino a comprendere la gran parte
dello spazio dei già ricordati “angoli”.
È
questo il senso del riproporre l’idea del “socialismo della finitudine”.
Olga Tokarczuck
Scrive
Olga Tokarczuk, premio Nobel per la letteratura: “La paura di fronte al
virus ha richiamato le condizioni ataviche più banali, che i colpevoli sono
altri e loro, sempre da un altrove, portano il pericolo” e ancora “Davanti
ai nostri occhi si dissolve come nebbia al sole il paradigma della civiltà: che
siamo i signori del Creato, possiamo tutto e il mondo ci appartiene” (Il
Corriere della Sera 3 aprile 2020).
Così
si pone un interrogativo: è davvero finita l’era delle “magnifiche sorti e
progressive” e ci troviamo nella condizione dell’essere finito, limitato,
imperfetto?
Oppure
è il caso di rassegnarci al dominio della tecnologia e di porre il genere umano
al servizio dell'intelligenza artificiale?
Chi
intende continuare a pensare alla giustizia sociale dell’uguaglianza pare
proprio trovarsi davanti a un bivio.
Il
"limite" può rappresentare la sola opposizione ad uno scenario
futuribile che non può non essere immaginato come dominato da una sorta di
"potere estraneo".
Preso
atto della necessità di comprendere questa necessità della condizione di
“limite” come definire, allora, un nuovo obiettivo di sviluppo.
Si
era discusso, tempo addietro, sulla possibilità di elaborazione di un progetto
di “società sobria” come “terza via”: forse quell’eventualità potrebbe essere
già superata e un nuovo modello di vita ci sarà imposto dai fatti e dal governo
assoluto della tecnica.
Si
pone così davvero il tema di un mutamento come indica la Tokarczuck.
Se
vogliamo contrastare l’affermarsi definitivo dell’egemonia della forza basata
sull’esclusività del dominio della tecnologia e della conseguente
concentrazione di potere, bisognerà disegnare quello che mi permetto di
definire come un “socialismo della finitudine”.
Non
servono voci figlie della catastrofe.
Si
pensava di “cercare ancora” per trovare vie di nuovo sviluppo e modificare le
grandi storture della modernità.
Adesso
siamo davanti alla necessità di un ripensamento generale ad un livello che non
avremmo mai immaginato e che potrebbe essere indicato come “di civiltà”.
Dobbiamo
provare a muoverci pensando a quella dimensione propria di un orizzonte del
“limitato” che richieda l’affermazione di una ricerca sull’uguaglianza non solo
economica e sociale.
Si
tratta di rifletterci e di trovare la strada per adeguare la nostra pratica
politica, anche se abbiamo disperato bisogno di ritrovare tutto il pragmatismo
necessario che serve per affrontare le lotte del giorno per giorno che,
beninteso, continuano.
Olga Tokarczuck |