L’invidia
di Puccini
di Giovanni Bianchi
Lucca. Puccini con Odissea |
Dietro l'icona
Cosa
sta dietro l'icona, fattasi così penetrante, di papa Francesco? Tutte le
soggettività residue della storia e delle storie: i poveri, le donne, i giovani
(non in quanto categoria del narcisismo), i popoli: che non sono un dato etnico
dell'antropologia, ma un costruzione politica. Gente che prova a vivere, che si
mette alla sequela di ideali, gente comunque generosa, masse prese in giro dai
leaders, gente che canta come gli alpini sull'Ortigara cantavano Ta-pum.
Gente
di periferia e di provincia, sradicati urbani, sfollati, deplacés che costruiscono baracche sognando case modeste. Quelli
che la politica "senza fondamenti" ha reso invisibili perché non li
vuole vedere. Gramsci li avrebbe annusati subito e ci avrebbe scritto un
articolo sull’"Ordine Nuovo".
La
politica ridotta a pubblicità di se stessa e dei poteri che la mettono in scena
non vede i soggetti. E se li vede, prima li ignora e poi li distrugge nella
broda della "società liquida". Questa politica rispetta soltanto i
"sottosistemi" luhmanniani. È fatta di soggetti teatrali,
spettacolari, va per eventi, adora i cantanti che urlano dal palco. Si unisce
da comparsa alle loro canzoni, ondeggia, asseconda i versi, i tempi, le pause
dell'idolo.
Gli
israeliti nel deserto danzavano intorno al vitello d'oro fatto costruire da
Aronne con intenti sacri e umanitari. Adesso anche il vitello canta,
confidenziale o a squarciagola, e tutti gli altri, la massa e non più il
popolo, gli van dietro estasiati.
Sono
giovani simpatici, talvolta bellissimi, dotatissimi, sono nati a Cernusco sul
Naviglio e parlano in inglese etoniano. Ma erano meglio gli alpinotti sull’Ortigara,
sporchi, dialettali, strapaese, che cantavano Ta-pum. Puccini dichiarò che avrebbe dato il secondo atto della Bohème per averla scritta lui quella
canzone disperata e umanissima: canzone di un popolo povero e in guerra, e
mandato a morire.
Perché
"buca" papa Francesco? Confrontato a Stings o a Vasco è un vecchio
signore paludato di bianco, lo zucchetto in testa, che sa di seminario di
Venegono, pochissimo poliglotta, che non mira a stupire. Cerca di essere
saggio, non si sforza di apparire brillante. Non promette futuri scintillanti
in ville hollywoodiane e neppure s'affanna troppo a predicare paradisi
ultraterreni. Niente nel suo lessico dimesso che alluda ai contrappassi anche
passionali messi in scena dai predicatori dell'Isis.
Arredare il paradiso?
Nell'ultima
enciclica, non soltanto ecologica, invita a rispettare e sistemare questa nostra
terra disastrata perché arredare il paradiso -per chi ci crede- è affare di un
Altro, sempre per chi ci crede. Intanto prendiamo sul serio il pianeta, gli
stomaci e i volti che popolano la terra, più e
meglio di quanto non faccia l’Expo. Anche per chi vuole guadagnare il
regno dei cieli la responsabilità è anzitutto, e per tutti, terrena. Meno
giaculatorie, meno santuari, meno incenso, e più attenzione fraterna. La strada
che scende da Gerusalemme a Gerico è sempre in funzione, sempre trafficata da ladroni
senza scrupoli e malcapitati viandanti. Quindi i buoni samaritani continuino a
stare in cammino ed evitino di chiedere prestiti allo Ior o di iscriversi a
Mafia-Capitale. Abbiamo archiviato l'icona storica del militante e stiamo gualcendo quella del volontario. Come comportarsi? Chi siamo? Come tentare di essere
oggi uomini sensati, solidali, accoglienti e felici? Perché non possiamo
esserlo da soli, rinchiusi nell'idolatria consumistica dell'immagine di questo
mondo? Siate uomini, non devoti, invita populisticamente il titolare di San
Pietro. Quello che ha tutta l'aria di preferire tuttora i sobborghi di Buenos Aires
al colonnato del Bernini. Ci siamo accorti che stanno tornando in campo, nella
quotidianità e nella storia, le religioni? Perché i napoletani di Scampia e
quelli dei Quartieri Spagnoli passano all'Islam? Loro, così disincantati e
insieme così superstiziosi? Perché mollano San Gennaro per Maometto? Ma che
ritorno sarà mai?
Il debito con l’illuminismo
Continuo
a ritenere da cattolico in ricerca che sia importante mettere a tema il debito
nei confronti dell'illuminismo. Continuo a pensare che dopo che Habermas e
Ratzinger si sono interrogati poco più di un decennio fa a Monaco di Baviera su
come il cristianesimo possa aiutare la democrazia, sia tempo di tematizzare
l'apporto dell'illuminismo nei confronti del cristianesimo. (Paolo di Tarso
approverebbe l'operazione.)
Dunque
ripetiamo: perché le religioni e i loro uomini tornano in campo? Perché
occupano la scena e lo spazio che prima tenevano le politiche? Perché la
rivoluzione e le riforme le propone il Papa e non il vecchio Castro o l'aitante
Obama?
L'ipotesi
che continuo a ripetere è che mentre le politiche governano la scena del mondo,
le religioni continuano ad occuparsi (in qualche modo) dei problemi del mondo e
degli uomini in carne ed ossa. Il Nazareno e Maometto si sono rimessi per
strada e per periferie, mentre le politiche frequentano i talkshow e i summit. Il dispiegarsi della politica
"senza fondamenti", tutta maschere e niente soggetti. Tutta Borse e
statistiche, e niente poveri diavoli. L'Indice di Gini come il Talmud che
nessuno sfoglia più. Avete in mente l'ultima sceneggiata andata in onda a
Bruxelles? Mentre il nostro Renzi si teneva astutamente fuori dagli sguardi, la
strana coppia tedesca -Angela Merkel e Wolfgang Schӓuble- recitava l'ultimo atto della farsa Ordoliberalismus. Fu grande scenario un
tempo l’ Ordoliberalismus: quando
ancora calcavano le scene Ludwig Erhard ed Helmut Kohl.
Deutschland über
alles?
Ero
a Berlino con la famiglia il giorno dell'anniversario della riunificazione
tedesca. Già allora Angela -la massaia decisionista che ancora non ha smaltito
il tanfo della cucina della DDR (anche i tanfi talvolta ritornano)- si esibì in
un mediocre sermone sulle difficoltà similfrancesi e similinglesi dell'inculturazione.
Fece perfino meglio quel presidente della Bundesrepublik che
fu fatto dimettere con l'accusa di essersi fatto pagare le ferie da un amico
imprenditore, e che una recente sentenza di tribunale ha mandato assolto, senza
toglierlo ovviamente da un oblio totale. In quell'occasione fu il vecchio
Helmut a risolvere la situazione giocando d'anticipo. Dubitando della
"ragazza" da lui accompagnata al vertice della CDU, aveva provveduto
a rilasciare il giorno prima un'intervista. E su tutti i quotidiani tedeschi
campeggiava la sua frase lapidaria: Europa
ist ohne Alternative: l'Europa non ha alternativa.
Adesso invece la povera Europa prende
lezioni di lungimiranza e generosità da oltre oceano: da Obama, da Krugman e da
Stiglitz. E manda in scena di fronte alla platea mondiale un'Unione nuda,
litigiosa, impotente e derelitta. Senza politica perché senza sogno.
Uno è costretto a ricordare che gli
ultimi sogni europei (l'Europa "a due polmoni" e cose del genere) li
hanno fatti i papi, il cardinale Martini e perfino Gorbaciov, con la sua
"casa comune". Ci voleva più Italia nella tetra Bruxelles, avvolta
dalla nebbia della tirchieria mentale. Dovevamo rappresentare di più e far
pesare la memoria dei De Gasperi e degli Altiero Spinelli. Perché la strana
coppia berlinese, con il codazzo di altri ex dell’Europa che fu Orientale,
hanno picconato l'Europa e il suo destino. Strano, ma talvolta davvero
ritornano.
Angela, la massaia, per non
compromettere la cena tedesca, sontuosa, e ancora con quel perenne sentore di crauti.
Wolfgang, che si è ostinato con tigna teutonica a recitare la parte
dell'avidità e del dottor Stranamore. È finita, con la pleonastica presenza del
presidente-coppiere Juncker, prestato dal Lussemburgo bancario, che l'Europa
s'è ritrovata alla fine totalmente nuda in cospetto al mondo intero: non un bel
vedere, così spogliata di aura e di leadership. Questo è il problema. Non la
resa di Tsipras, il volenteroso ragazzo di Atene chiamato a tirare il sipario
non si sa se su un paio di rappresentazioni oratoriane delle tragedie di
Eschilo e di Sofocle (lui ha citato l’Antigone)
o su un dimenticato capolavoro di Aristofane. E il nostro Matteo? È uscito dal
cono d'ombra e sta parlando d'altro in un altro talkshow. L'unico italiano che
non si è eclissato e ha tenuto il punto si chiama Mario Draghi. Non è il mio
beniamino. Ma lui il suo copione c'è l’ha e lo ha saputo recitare senza timori
reverenziali. Conosce perfettamente gli spettri e gli scheletri nell'armadio
sia del Bel Paese come della terra di Socrate. Lui l’ha trovato il coraggio che
Don Abbondio diceva uno non se lo può dare. Per sognare Europa ci vuole
coraggio. Come per tenerla insieme, per darle un futuro dignitoso e per
amministrarla senza quell'avidità che contraddistingue un potere finanziario
che alla prova dei fatti si è mostrato incapace di governare perfino se stesso.
Che tocchi sempre a un vecchio Papa,
che viaggia pericolosamente vicino agli ottanta, fare la parte del bimbo che
dice che l'imperatore è davvero e da troppo tempo nudo?