UN PIANETA IN PASTO ALLE MULTINAZIONALI
"EXPO: NUTRIRE IL PIANETA O LE
MULTINAZIONALI?"
di Vittorio Agnoletto
Vittorio Agnoletto |
Pubblichiamo l’intervento di Vittorio Agnoletto al
Convegno Internazionale tenutosi a Milanoil 26 e il 27 di giugno scorso, sotto il titolo “Expo:
nutrire il pianeta o le multinazionali?” Segnaliamo gli scritti precedenti di Emilio Molinari,
Gianni Barbaceto, Basilio Rizzo.
Un
sant'uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese: «Signore, mi
piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno». Dio condusse il sant'uomo
verso due porte. Ne aprì una e gli permise di guardare all'interno. C'era una
grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola si trovava un grandissimo
recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant'uomo sentì
l'acquolina in bocca. Le persone sedute attorno al tavolo erano magre,
dall'aspetto livido malato. Avevano tutti l'aria affamata. Avevano dei cucchiai
dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere
il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma poiché il manico del cucchiaio era
più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca. Il
sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: "Hai
appena visto l'Inferno".
Dio e l'uomo si diressero
verso la seconda porta.
Dio l'aprì. La scena che
l'uomo vide era identica alla precedente.
C'era la grande tavola
rotonda, il recipiente che gli fece venire l'acquolina.
Le persone intorno alla
tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi manici.
Questa volta, però, erano
ben nutrite, felici conversavano tra di loro sorridendo. Il sant'uomo disse a
Dio: «Non capisco!»
“È semplice”, rispose Dio,
“essi hanno imparato che il manico del cucchiaio troppo lungo, non consente di
nutrire sé stessi, ma permette di nutrire il proprio vicino. Perciò hanno
imparato a nutrirsi gli uni con gli altri! Quelli dell'altra tavola, invece,
non pensano che a loro stessi... Inferno e Paradiso sono uguali nella
struttura, La differenza la portiamo dentro di noi! Mi permetto di aggiungere:
"Sulla terra c'è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non per
soddisfare l'ingordigia di pochi. I nostri pensieri, per quanto buoni possano
essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il
cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo".
Mahatma Gandhi
Gandhi |
Ho
scelto di iniziare con questo testo perché credo che rappresenti proprio il
dramma che vive il pianeta in questo momento, abbiamo cibo per sfamare tutti e
abbiamo quasi un miliardo di affamati. Qual è la situazione nella quale si
svolge tutto quello che abbiamo ascoltato fino ad ora? Abbiamo già avuto modo
di analizzare qual è e come si è modificata la distribuzione della ricchezza
nel pianeta.
Nel 2001 a Porto Alegre e
a Genova noi contestavamo un mondo dove il 20% della popolazione controllava
l’80% della ricchezza. Sono passati 14 anni e i dati forniti da Credit Suisse,
una banca che di economia e finanza legale e non solo se ne intende, fotografano
questa situazione: lo 0,7% della popolazione controlla il 44% della ricchezza,
e se osserviamo le due fasce più ricche della popolazione scopriamo che l’8,6
controlla l’85,3% della ricchezza del pianeta. Ma la cosa più sconvolgente è
che il 70% della popolazione possiede meno del 3% della ricchezza mondiale.
Ecco perché abbiamo ragione quando con gli indignados diciamo che siamo il 999
x mille. Allora che allora appare chiaro chi si sta confrontando in questi
giorni in Grecia: da una parte i poteri economici/finanziari, dall’altra parte
un popolo trasformato in una massa sempre più impoverita. È sufficiente
rivedere velocemente questa diapositiva per comprendere qual è la
concentrazione attuale del potere economico/finanziario nel mondo: questa diapositiva
illustra come è cambiato il mondo bancario in vent’anni negli Stati Uniti, per
strada vediamo ancora tutte i nomi delle banche qui rappresentate, ma alla fine
come potete vedere afferiscono solo a quattro grandi gruppi.
LA CONCENTRAZIONE DELLE BANCHE NEGLI USA
Vediamo ora cosa accade
nel campo del cibo. Vediamo chi sono “I padroni del nostro cibo”.
Anche qui la
situazione non è diversa, una decina di grandi gruppi controllano completamente
il mercato. Ad ognuno di questi gruppi afferiscono decine di loghi diversi, ognuno
di noi quando va a fare la spesa si illude di poter scegliere, ma alla fine chi
ci guadagna sono sempre loro, “i soliti noti”. Potete vedere ad esempio che
l’acqua di Expo, la S.Pellegrino è una controllata Nestlè . Queste multinazionali
controllano il cibo e lo trasformano anche in prodotto finanziario: nel 2003 il
mercato dei futures sui generi
alimentari era stimato intorno ai 13 miliardi di dollari, cinque anni dopo,
durante la crisi, divenne 20 volte più elevato; il 50 % di questo aumento,
secondo fonti non ufficiali, era dovuto ad investitori riconducibili più o meno
direttamente a Wall Street. Per ricostruire il potere delle multinazionali
durante tutta le filiera della produzione del cibo ci facciamo aiutare dalle
diapositive di un utilissimo lavoro di ricerca svolto da Centro Nuovo Modello
di Sviluppo di Francuccio Gesualdi, che in gioventù fu allievo di don Milani
alla scuola di Barbiana.
La diapositiva precedente
illustrava chi controlla il mercato finale le merci. Questa diapositiva illustra
chi controlla la filiera della produzione mondiale dai campi, dai semi alla
nostra tavola. Come potete vedere ci sono tutte le sigle delle grandi
multinazionali: Syngenta, Du Pont; Baer; Cargill, Barilla, Nestlè, Ferrero ecc.
Per forzare la produzione
dei terreni l’agricoltura industrializzata ricorre ai fertilizzanti, in
particolare a quelli azotati, prodotti in impianti industriali che richiedono
una grande quantità di idrocarburi per produrre l’energia necessaria alla loro
produzione. Potete vedere le principali aziende. Per fare un esempio delle
conseguenze di questo tipo di agricoltura è sufficiente ricordare che in India,
le coltivazioni di riso che ricorrono alla chimica necessitano di circa 2500
millimetri di pioggia l'anno, mentre per quelle tradizionali la dose necessaria
è attorno ai 300 millimetri.
Il glifosfato è un
erbicida, di proprietà intellettuale della Monsanto fino al 2001. In pochi
giorni distrugge ogni pianta infestante, tranne un particolare tipo di soia, quella
appunto che si vuole coltivare (Roundup Ready). L'Organizzazione Mondiale della
Sanità ha recentemente collocato il glifosato tra i prodotti che potrebbero provocare
tumori. Il glifosato è diffusissimo non solo nell'agricoltura OGM e non solo in
agricoltura ma ad esempio anche nei giardini. La Monsanto ha definito le
ricerche sule quali si è basata la decisione dell'OMS “scienza spazzatura”. Proseguendo
nel ciclo alimentare il mercato delle sementi è di 40 miliardi di dollari 5
multinazionali controllano il 60% del mercato: Monsanto, Du Pont; Syngenta,
Bayer,Dow. Il mercato dei pesticidi vale 41 miliardi di dollari e 6
multinazionali controllano il 76% del mercato mondiale: Monsanto, Du Pont;
Syngenta, Bayer,Dow e Basf come vedete 5 su 6 sono le medesime.
Dupont il 15 settembre
2014 è stata condannata dalle autorità USA ad una multa di quasi 2 milioni di $
per aver fornito rapporti non veritieri su l’erbicida Imprelia: Nel 2013 e 2014
ha speso circa 20 milioni di $ per attività lobbistica verso i partiti
statunitensi. Se ora passiamo velocemente ad analizzare la situazione degli OGM
possiamo vedere come alcuni prodotti sono ormai in gran parte prodotti solo
OGM: la soia al 74%, il cotone al 70%, il mais al 32% e la colza al 24%. Negli
Stati Uniti la Monsanto (Monsanto e Syngenta 54% mercato) organizza gruppi
simili ad una polizia privata, conosciuta come 'polizia dei geni' (con
riferimento ai semi e non alle capacità intellettive!), che organizzano
controlli a sorpresa verso chi coltiva soia per verificare se alcune colture si
sono contaminate casualmente con geni OGM. Dopo di che la Monsanto porta in
tribunale i malcapitati portando al fallimento numerose aziende. Su una
confezione di sementi della Monsanto in India era scritto “Attenzione: i semi sono trattati con il veleno. Non usare come alimento,
mangime o come olio”; se lo dicono
loro…
Se poi passiamo al
commercio dei prodotti agricoli ci imbattiamo nell'ABCD le quattro multinazionali
così chiamate per le loro iniziali: ADM (Archer Daniels Midland); Bunge,
Cargill e Dreyfus (Luis) che si gestiscono la quasi totalità del commercio di
cerali, soia e oli di semi.
La situazione non è molto
diversa se analizziamo l’industria della carne. Potete vedere che le sigle sono
più o meno le stesse Servono 15.415 litri di acqua per produrre 1kg di manzo,
4325 per 1 kg di pollo mentre solo 336 litri per 1 kg di fagioli.
Le due diapositive che
seguono illustrano prendendo ad esempio il caffè e le banane come viene
ripartita la suddivisione dei guadagni provenienti dal prezzo di vendita, il
salario del lavoratore pesa per le banane solo il 6,7 % e per il caffè il 7%.
Come potete vedere anche in
questo caso il controllo di gran parte del mercato è nelle mani di pochissime
aziende, alcune tristemente note per il trattamento riservato ai lavoratori. Se
poi diamo un occhio alla distribuzione sia a livello mondiale come in Italia ci
accorgiamo che anche questa è controllata da un numero molto limitato di
aziende alcune con un fatturato da capogiro pensiamo alla Walmart, azienda
statunitense con un fatturato nel 2011 di 318,9 miliardi di dollari. Siamo quindi
di fronte a degli oligopoli, ad un meccanismo a “clessidra”, tanti sono i lavoratori
sparsi nel mondo, pochissimi sono i padroni dei semi, fertilizzanti, pesticidi,
pochissimi sono i signori del commercio, e della distribuzione, mentre superato
il collo di bottiglia, miliardi sono i consumatori. È evidente come qualunque
ipotesi di cambiamento negli assetti di potere economico e finanziario e quindi
qualunque ipotesi di cambiamento politico possa derivare solo da un’alleanza
tra coloro che stanno agli estremi della clessidra: i produttori e i consumatori. Questo schema vale a
livello globale ma vale anche in Italia e non solo tra produttori e consumatori
di beni materiali, ma anche tra produttori e consumatori di servizi. È
difficile condurre una battaglia vincente nel campo dei pubblici servizi senza
un’alleanza tra i lavoratori e i cittadini che usufruiscono di tali servizi.
Questo vale per la scuola e lo vediamo con le grandi mobilitazioni di questi
giorni, vale nei servizi soci-assistenziali e in quelli previdenziali. Lavoratori
e utenza devono riuscire a trovare obiettivi in comune tra loro per vertenze
complessive. Ovviamente prodromico a questo è la capacità dei lavoratori
situati in collocazioni differenti nella filiera produttiva di trovare tra loro
punti di contatto, interessi comuni e piattaforme condivise, evitando di cadere
nelle trappole che il capitale dissemina costruendo contrapposizioni
artificiali. Questo vale a livello internazionale come a livello nazionale e
locale. E’ evidente il tentativo del capitale di contrapporre vecchi e giovani,
lavoratori dipendenti e partite IVA, precari ecc. Di tutto ciò abbiamo esempi
quotidiani basta penare alla vicenda e al ricatto verso i precari della scuola
e o le vergogne dei licenziamenti politici ad EXPO. Questa capacità di
costruire alleanze e reti tra lavoratori e tra lavoratori, consumatori e
cittadini utenti è fondamentale per la costruzione di qualunque coalizione
sociale, Come ben sa Maurizio Landini.
Torniamo al cibo.
Quello che abbiamo visto
in queste diapositive è ciò che sta dietro a molti dei prodotti che vengono
pubblicizzati ad Expo e che vengono venduti nei ristoranti lì collocati. Alcune
di queste aziende sono presenti in forze con i loro loghi, alcune sono
addirittura sponsor. Non è difficile capire come vi sia un legame stretto tra
tutto ciò e il TTIP, ossia un accordo commerciale che consegna il potere alle
multinazionali. E non è certo il primo caso. Il NAFTA l'accordo di libero
mercato entrato in vigore nel 1994 tra Canada, Messico e Stati Uniti per la
maggior parte dei contadini poveri è stata una batosta: il prezzo del mais
delle multinazionali statunitensi era nettamente inferiore, 1,3 milioni di messicani
sono stati costretti a lasciare le loro terre, i salari sono precipitati e per esempio
dove a causa dell’emigrazione sono rimaste solo donne e bambini, i nuclei
familiari sotto il livello di povertà sono cresciuti del 50 %. È risaputo che
la produzione alimentare odierna sarebbe sufficiente per sfamare 12 miliardi di
persone, eppure, anche se siamo meno di 7 miliardi, vi sono 850 milioni di persone
che soffrono la fame e le ragioni stanno nei meccanismi del mercato, nel ruolo
di multinazionali che non esitano distruggere il cibo quando tale atto è utile per
far crescere i prezzi e i profitti. L’enciclica di Francesco "LAUDATO SI" è molto chiara denuncia
l’attuale situazione ma già nel 1992, l'allora Papa Giovanni Paolo II, aveva
parlato del "paradosso dell'abbondanza": da una parte, cibo a
sufficienza; dall'altro, la persistenza di fame. Il paradosso continua. Nulla è
cambiato.
Il 2015 è l'anno nel quale
si concludono gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciati dall’ONU e nel
quale vengono lanciati gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile, destinati, stante
la situazione attuale, anch’essi ad un sicuro insuccesso. In questo campo
fortissimi e di lunga data sono gli intrecci tra multinazionali e potere
politico. Ad esempio John Block, segretario dell'agricoltura degli Stati Uniti
sotto la presidenza Reagan
sosteneva. “(…) l'idea che i Paesi in via di sviluppo debbano riuscire a sfamarsi da
soli è un anacronismo di un'epoca ormai lontana. Potrebbero garantirsi meglio
la sicurezza alimentare affidandosi ai prodotti agricoli statunitensi, che sono
disponibili nella maggioranza dei casi a prezzi inferiori”.
Un’idea in netto contrasto
con la logica della sovranità alimentare. Pochi anni dopo Block entrerà a far
parte dell'esecutivo della John Deere e diventando presidente della Food
Distributors International, multinazionali, delle macchine agricole e della
grande distribuzione. Non c’è solo la denutrizione. C’è anche quella che viene
definita la “fame nascosta”, quando nella nutrizione vi è una carenza di minerali
e/o vitamine di quelli che vengono definiti micronutrienti. Ci si riferisce a
questo con il termine “cibo spazzatura” (junk food o trashfood), ossia prodotti
ad alto contenuto calorico ma di scarso valore nutrizionale. Ed è questo il
cibo dei poveri il cibo dei fast food che può ad esempio condurre all'obesità,
che in tal caso non è certo un esempio di buna salute. Secondo i dati ufficiali
sono circa 2 miliardi le persone che soffrono di malnutrizione o di fame
nascosta. Questo è uno dei problemi
nel quale ci si imbatte anche nelle mense scolastiche o quando c’è
un’alimentazione a base di merendine ecc. Con una simile alimentazione si
abbassa la spesa ma anche la qualità dell’alimentazione. Ma non sembra questa
una delle principali preoccupazioni del nostro governo, considerato che è stato
l’unico ad opporsi in sede OMS ad un documento che invitava i Paesi a limitare
la presenza di zuccheri nell’alimentazione per bambini. Da difendere prima dei bambini c’erano gli affari della multinazionale di casa dei dolci che non a
caso ha inondato con la sua presenza EXPO. Ma le aziende non si fermano davanti
a nulla, nemmeno nella pubblicità. A Natale, Oscar Farinetti, ha messo sul
mercato le bottiglie “Bolla ciao” e “Barolo Resistenza”. È partita una
petizione per chiedere a Eataly di ritirarle dalla commercializzazione; consideriamo
blasfemo l'uso in chiave commerciale di questi nomi che fanno riferimento a
momenti fondativi della convivenza repubblicana e della storia italiana
piegandoli violentemente alle ragioni del mercato. Credo che non ci sia nulla
da aggiungere a quanto detto recentemente da Stedile a proposito di EXPO:
“Certamente non si risolverà il problema della fame, realizzando esposizioni
per migliorare l'immagine delle imprese che causano la fame.” Ed infatti la
“Carta di Milano” e il documento sulla “FOOD POLICY” proposta dal Comune di Milano
non mettono in discussione nulla di tutto questo. Sono documenti vuoti che
hanno rubato il linguaggio ai movimenti ma ne hanno ignorato le ragioni. La
“Carta di Milano” non parla del diritto all’acqua per ogni essere vivente, non critica
gli OGM e la proprietà dei semi, non parla del Land Grabbing ossia dell’accaparramento
della terra da parte di stati e multinazionali quegli stessi che invece
espongono tranquillamente ad EXPO. Dal 2007-2008 più di 20 compagnie italiane
hanno acquistato centinaia di migliaia di ettari di terreno agricolo in giro
per il mondo, principalmente in Africa per cominciare i test per produrre biomasse.
La domanda mondiale di biocarburanti non tende a diminuire, e le previsioni
dicono che nel 2020, salirà fino a 172 miliardi di litri. Con questo andamento
crescente, saranno necessari ulteriori 40 milioni di ettari di terreno da
convertire in coltura di biocarburanti. L'Europa è il motore centrale di land
grab, perché importa gran parte delle materie prime che utilizza per la produzione
di biocarburanti. La “Carta di Milano” non parla della finanziarizzazione della
filiera agroalimentare, non spiega che c’è chi si augura che i prezzi salgano
perché in tal modo guadagna, non parla delle sovvenzioni dell’Unione Europea
alle multinazionali dell’agrobusiness col risultato che, attraverso una
concorrenza sleale, obbligano migliaia di piccole aziende europee a chiudere e
condannano alla miseria milioni di contadini africani. Sono documenti centrati principalmente
sulla lotta allo spreco consumato nella vita quotidiana dai singoli cittadini.
Obiettivo giusto ma non certo l’unico, né il principale.
SI È PERSA UN’OCCASIONE
Con questa iniziativa che
segue quella del 7 febbraio, abbiamo osato sfidare il reato di lesa maestà che
sembra colpire tutti coloro che osano criticare EXPO. Si rischia di essere
incriminati per alto tradimento, accusati di mettere a rischio l'immagine del
Paese, quindi gli interessi economici delle “nostre” aziende ed infine, se hai
delle simpatie di sinistra, di attentare alla stabilità della giunta milanese. “Tutti
pazzi per EXPO” è il grido che unisce il mondo scientifico, le università, le numerosissime
fondazioni e gran parte della mitica società civile milanese. Trionfa il
pensiero unico, nessuno vuole rimanere fuori dalla torta o almeno dal cono di
luce che lo potrebbe sfiorare. Il testimone passa da una mano all'altra senza alcun
imbarazzo tra chi tutela interessi economici di qualche multinazionale e chi ha
nel proprio DNA la storia del pensiero critico milanese e nazionale.
Le istituzioni di
qualunque colore beatificano l'evento che con le sue proprietà taumaturgiche risolverà
le difficoltà dell'economia lombarda e dei cittadini milanesi. Ma la realtà ci
racconta una storia diversa. In EXPO si trovano opere belle e brutte, come in
ogni fiera, ma nulla che abbia a che fare con l'impegnativo
titolo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Si denuncia la drammatica
situazione attuale ma poi si dà spazio ad alcuni tra i maggiori responsabili
che hanno creato quella stessa situazione. Si dice: c'è un miliardo di persone
che soffre la fame e ci si affida alla McDonald's o Eataly due facce della
medesima medaglia, cibo globalizzato e di scarso nutrimento per le masse, cibo d'eccellenza per
l'élite; si ripete che 1,5 miliardi di esseri umani non hanno accesso
all'acqua, ma ci si consegna alla Nestlè posta sotto accusa dall'UNICEF per le
politiche commerciali aggressive per le forniture di latte in polvere ai
neonati. Si scrive la “Carta di Milano” ma si dimentica l'accaparramento delle
terre, la privatizzazione dell'acqua e dei semi, le sovvenzioni alle grandi
aziende dell'agro-business. Che poi qualcuno con EXPO riesca a mangiare di più
è vero. Lo raccontano le quotidiane iniziative della magistratura: ma forse non
si pensava a costoro quando si è scelto il titolo di EXPO. Ancora una volta è
emerso l'inestricabile intreccio tra politica, imprenditoria corrotta,
affaristi di ogni sorta e l'immancabile presenza della criminalità mafiosa.
Non c'è traccia delle
decine di migliaia di posti di lavoro che EXPO avrebbe lasciato in eredità a Milano,
mentre sono evidenti i diritti calpestati quando a decidere il licenziamento di
centinaia di lavoratori, senza fornire alcuna motivazione, sono prefettura e
questura. La disoccupazione giovanile raggiunge cifre mai viste, ma migliaia di
giovani vengono fatti lavorare gratuitamente in EXPO con l'illusione di rafforzare
in tal modo il proprio curriculum. Quale sarà il destino futuro dell'attuale
sito di EXPO non si sa, il rischio è che alla fine prevalgano appetiti
speculativi. Non viene comunicato quanti sono i visitatori, quasi fosse un
segreto di stato. Il timore sui risultati economici è legittimo; se tutto andasse
bene suonerebbero le fanfare a Palazzo Chigi, al Pirellone e a Palazzo Marino. Non
si tratta di “gufare”, il rischio è che a nove mesi dall'inaugurazione, con il
sorgere del nuovo anno, ci si ritrovi con un pesante debito sulle spalle dei
cittadini milanesi, lombardi e di tutto il Paese. Senza che l'EXPO per altro
abbia nutrito nessuno in giro per il Pianeta. Per queste ragioni pensiamo che
si sia persa un’occasione fondamentale in particolare, vista la sua
collocazione politica, da parte della giunta milanese. C’era l’opportunità di
fare di Milano il centro di una discussione di proposte in grado di
confrontarsi con il destino dell’umanità, di raccogliere le sfide più alte del
pianeta, fatte d’ingiustizie inaccettabili e di sofferenze inenarrabili ma
almeno in parte evitabili. Nulla di tutto questo, con sofferenza ne prendiamo
atto. È per tutte queste ragioni che abbiamo scelto di organizzare iniziative
come questa, di portare al livello più alto possibile le nostre critiche ad
EXPO stando ben attenti a non essere utilizzati come specchietti per le
allodole, per giustificare qualcosa che è una via di mezzo tra Dysneland e una
grande fiera. Dove tutto è mercato.