VOGLIONO PRIVATIZZARE TUTTO:
QUANDO ANCHE L’ARIA?
Lo sapevate che ci sono luoghi
dove i governi
impediscono alla gente di
raccogliere l’acqua piovana?
Emilio Molinari risponde al
direttore de l’Unità
***
“Figlio, se vuoi
sapere da che parte stanno,
ascolta cosa propongono, verifica
cosa realizzano”.
(Un operaio comunista al suo figlio
anarchico)
«Lo Sblocca Italia è di sinistra»
di Erasmo D’Angelis
È vero.
Confermo a Marco Bersani, che
oggi siamo l’ultimo Paese sovietico d’Europa e non a caso in una buona metà
dell’Italia i servizi pubblici locali sono i peggiori del continente, proprio
là dove è abnorme il numero di municipalizzate che raggiungono la cifra
record di 7.170, di cui oltre 2.700 strumentali, e la norma è l’anomalia
dello stesso «padrone» (il Comune) che nello stesso tempo affida il servizio
(a chi?), lo regola, definisce piani e tariffe, controlla sé stesso, fa il
gestore e, appunto, il proprietario.
Possiamo fare in queste condizioni un salto nell’efficienza e nel futuro, con gli investimenti che servono per garantire i migliori servizi ai cittadini, risparmiare sui costi di gestione, fare economie di scala, mettere in cima trasparenza e legalità? O non è «di sinistra» superare questo magma unico al mondo con una politica industriale di aggregazioni, fusioni, e sinergie, eliminando un mare di aziende comunali in default da decenni, tecnicamente fallite, che pompano debito pubblico, e mettono in mostra scandali impressionanti come l’inverosimile biglietteria parallela dell’Atac di Roma che si trascina in bilancio un profondo rosso da 1.6 miliardi? [È questa fotografia dissestata il bene comune o comunale che va difeso?] O non è meglio capire, e anche per questo è nata Utilitalia, come passare da 2.400 aziende idriche in house che investono ogni anno la media di 10 (dieci!) euro ad abitante, il nulla, ad aziende dimensionate e in grado di realizzare opere e interventi in difesa dell’acqua bene comune, come accade in diverse Regioni e nell’Europa migliore dove si investono ogni anno dagli 80 ai 120 ad abitante?
Questa parcellizzazione abnorme e unica in Europa, va superata. Qui non siamo nel 1903 quando il parlamento dichiarò per legge la municipalizzazione di tutti i servizi pubblici: dai lavatoi al gas, dalle farmacie ai bagni pubblici, dalle tramvie agli acquedotti. Quello era un Paese con povertà dilagante, industrialmente all’anno zero. La civiltà e il progresso si misurava allora dalla gratuità e universalità dei servizi. Oggi i Giolitti, Zanardelli, Turati, Costa, Sturzo e Montemartini sforbicerebbero centinaia di cda, creando pochi e grandi «player» pubblici in settori chiave per la qualità della nostra vita e dell’ambiente come rifiuti acqua, energia, gas, elettricità, mobilità. Non difenderebbero lo status quo perché non difende né i lavoratori né gli interessi pubblici. Il paradosso è che in tutti i talk show e nei luoghi comuni la stessa parola «municipalizzata» nel vocabolario corrente è purtroppo diventata emblema di caste, clientelismi, sprechi, appalti pilotati, tangentopoli, poltronifici. Ma se provi a toccare questo sistema, scatta il riflesso della «liquidazione del bene comune», ultimo alibi fornito ai politici furboni che vogliono gestire le proprie clientele con il corredo di bilanci dissestati, affidamenti oscuri e servizi a singhiozzo. La verità è che dove i Comuni, nel centro-nord, hanno saputo aggregare le loro aziende creando multiutility di successo di cui sono azionisti, quotandole in borsa e partecipate da migliaia di cittadini investitori, i servizi funzionano e garantiscono occupazione anticiclica. E i Comuni le controllano decisamente bene. Acea o Iren o Hera non sono «private» ma in mano pubblica sia quando i «sindaci padroni» cambiano management, sia un minuto dopo averlo fatto quando decidono piani di sviluppo e dividono gli utili. I soci industriali privati sono minoranza. Dove resiste, invece, il nostro «socialismo municipale» i servizi agonizzano.
Forse varrebbe la pena eliminare approcci forzatamente demagogici e ideologici che hanno finora impedito alla sinistra e anche all’ambientalismo di affrontare il tema con la concretezza che merita. Riconoscendo che le grandi aziende di servizi dei sindaci difendono la qualità e l’orgoglio nazionale, e sarebbe ora di non vedere nemici dove non ci sono. Anche perché le alternative non esistono al momento. Dall’aprile 2011, nessun ente locale può indebitarsi e il «fiscal compact» rende impossibile coprire i deficit delle aziende comunali. Infine, davvero vogliamo raccontarci la favola che stiamo privatizzando tutto con il decreto «Sblocca Italia»? A 21 anni dalla legge Galli, non applicata proprio nelle regioni del Sud, eccetto la Puglia, più in ritardo, come si elimina la vergogna di 5 italiani su 10 non allacciati a fognature e depuratori in quelle Regioni? Come si smaltiscono i rifiuti eliminando un mosaico di discariche che sono emergenze stratificate da medioevo? Finalmente un Governo ha stabilito per legge tempistiche e commissariamenti per garantire l’affidamento del servizio ad aziende industriali serie il cui controllo sarà pubblico, ma che possano finalmente fare il loro mestiere. Alla svelta, perché dall’Unione europea per i rifiuti e per l’acqua non depurata sono in arrivo multe per centinaia di milioni l’anno.
Possiamo fare in queste condizioni un salto nell’efficienza e nel futuro, con gli investimenti che servono per garantire i migliori servizi ai cittadini, risparmiare sui costi di gestione, fare economie di scala, mettere in cima trasparenza e legalità? O non è «di sinistra» superare questo magma unico al mondo con una politica industriale di aggregazioni, fusioni, e sinergie, eliminando un mare di aziende comunali in default da decenni, tecnicamente fallite, che pompano debito pubblico, e mettono in mostra scandali impressionanti come l’inverosimile biglietteria parallela dell’Atac di Roma che si trascina in bilancio un profondo rosso da 1.6 miliardi? [È questa fotografia dissestata il bene comune o comunale che va difeso?] O non è meglio capire, e anche per questo è nata Utilitalia, come passare da 2.400 aziende idriche in house che investono ogni anno la media di 10 (dieci!) euro ad abitante, il nulla, ad aziende dimensionate e in grado di realizzare opere e interventi in difesa dell’acqua bene comune, come accade in diverse Regioni e nell’Europa migliore dove si investono ogni anno dagli 80 ai 120 ad abitante?
Questa parcellizzazione abnorme e unica in Europa, va superata. Qui non siamo nel 1903 quando il parlamento dichiarò per legge la municipalizzazione di tutti i servizi pubblici: dai lavatoi al gas, dalle farmacie ai bagni pubblici, dalle tramvie agli acquedotti. Quello era un Paese con povertà dilagante, industrialmente all’anno zero. La civiltà e il progresso si misurava allora dalla gratuità e universalità dei servizi. Oggi i Giolitti, Zanardelli, Turati, Costa, Sturzo e Montemartini sforbicerebbero centinaia di cda, creando pochi e grandi «player» pubblici in settori chiave per la qualità della nostra vita e dell’ambiente come rifiuti acqua, energia, gas, elettricità, mobilità. Non difenderebbero lo status quo perché non difende né i lavoratori né gli interessi pubblici. Il paradosso è che in tutti i talk show e nei luoghi comuni la stessa parola «municipalizzata» nel vocabolario corrente è purtroppo diventata emblema di caste, clientelismi, sprechi, appalti pilotati, tangentopoli, poltronifici. Ma se provi a toccare questo sistema, scatta il riflesso della «liquidazione del bene comune», ultimo alibi fornito ai politici furboni che vogliono gestire le proprie clientele con il corredo di bilanci dissestati, affidamenti oscuri e servizi a singhiozzo. La verità è che dove i Comuni, nel centro-nord, hanno saputo aggregare le loro aziende creando multiutility di successo di cui sono azionisti, quotandole in borsa e partecipate da migliaia di cittadini investitori, i servizi funzionano e garantiscono occupazione anticiclica. E i Comuni le controllano decisamente bene. Acea o Iren o Hera non sono «private» ma in mano pubblica sia quando i «sindaci padroni» cambiano management, sia un minuto dopo averlo fatto quando decidono piani di sviluppo e dividono gli utili. I soci industriali privati sono minoranza. Dove resiste, invece, il nostro «socialismo municipale» i servizi agonizzano.
Forse varrebbe la pena eliminare approcci forzatamente demagogici e ideologici che hanno finora impedito alla sinistra e anche all’ambientalismo di affrontare il tema con la concretezza che merita. Riconoscendo che le grandi aziende di servizi dei sindaci difendono la qualità e l’orgoglio nazionale, e sarebbe ora di non vedere nemici dove non ci sono. Anche perché le alternative non esistono al momento. Dall’aprile 2011, nessun ente locale può indebitarsi e il «fiscal compact» rende impossibile coprire i deficit delle aziende comunali. Infine, davvero vogliamo raccontarci la favola che stiamo privatizzando tutto con il decreto «Sblocca Italia»? A 21 anni dalla legge Galli, non applicata proprio nelle regioni del Sud, eccetto la Puglia, più in ritardo, come si elimina la vergogna di 5 italiani su 10 non allacciati a fognature e depuratori in quelle Regioni? Come si smaltiscono i rifiuti eliminando un mosaico di discariche che sono emergenze stratificate da medioevo? Finalmente un Governo ha stabilito per legge tempistiche e commissariamenti per garantire l’affidamento del servizio ad aziende industriali serie il cui controllo sarà pubblico, ma che possano finalmente fare il loro mestiere. Alla svelta, perché dall’Unione europea per i rifiuti e per l’acqua non depurata sono in arrivo multe per centinaia di milioni l’anno.
Risposta a Erasmo D'Angelis
di Emilio Molinari
Prima
dei contenuti colpisce il linguaggio di quanto scrive Erasmo D'Angelis nuovo
direttore dell’Unità (giornale fondato da Antonio Gramsci) su il Manifesto,
rivolgendosi a Marco Bersani a proposito di privatizzazione dei servizi
pubblici locali e idrici in particolare. Rozzo, con paradossi estremi, nel
giudicare coloro che difendono il servizio pubblico. D'Angelis dice che l'Italia è “l’ultimo paese sovietico d’Europa” e
chi sostiene i servizi pubblici è fermo a Giolitti (liberale) cioè ad un Paese
arretrato e miserabile, dove“la civiltà e il progresso si misuravano
nella gratuità e nell’universalità dei servizi” (presumo intendesse
l’universalità del diritto all’acqua potabile).
Ne discende che per l’ex presidente
di Publiacqua Spa il diritto è un qualcosa che si acquista e la partecipazione
dei cittadini alla cosa pubblica, testuali parole di D'Angelis, “si esprime comprando azioni delle imprese”
e giocando in borsa.
È un modo di pensare che
merita di essere ripreso, perché vi si possono leggere, brutalizzate, le
fondamenta di quel pensiero politico e di quella cultura amministrativa che
oggi, come un cancro, sta uccidendo la Comunità Europea, la Grecia, la
democrazia; che strangola i Comuni, li spinge alla privatizzazione ricattandoli
con lo Sblocca Italia (che per l’Erasmo è di “sinistra”, cretini noi a non capirlo) e si sta disfacendo non solo
delle aziende municipalizzate ma anche delle Istituzioni.
Io, lo confesso, sono vecchio
ed ho rispetto per la storia. Penso che ci siano diritti e servizi fondamentali
che attengono alla vita degli essere umani, l'accesso ai quali deve essere
garantito a tutti, universalmente e
gratuitamente (nel minimo) per vivere
decentemente. Questa è la missione della politica dei “beni comuni” dalla
rivoluzione francese in poi.
Non so se Turati e altri
socialisti, oggi, avrebbero cambiato idea come dice l’Erasmo; so che questo è
il pensiero della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e delle
Costituzioni italiana ed europee nate dalla Resistenza e lo è stato della politica d’ogni colore... fino all’arrivo dei
Chicago Boys.
Noi, inoltre, non abbiamo mai
parlato di totale gratuità per tali servizi, abbiamo detto che non si devono
fare profitti e che si deve garantirne l’accesso; abbiamo detto poi che la
fiscalità generale deve garantire tali servizi e la loro efficienza e che
questa è una priorità superiore agli armamenti, ad Expo, alle grandi opere
inutili disseminate sul territorio italico ed alle migliaia di Enti inutili.
Chiariamoci subito alcune
questioni: il movimento dell’acqua non ha mai difeso gli ottomila Enti
pubblici, molti dei quali inventati dalla casta. Le domande, a questo
proposito, sono altre.
Perché, se
proliferano gli Enti inutili, per la casta politica che li ha generati diventa
un buon pretesto per privatizzare servizi essenziali come quelli idrici, dello
smaltimento dei rifiuti o del trasporto pubblico?
Perché la
questione morale, l’inefficienza, la corruzione degli amministratori pubblici
devono essere impugnate dagli stessi come ragione per svendere al privato il
patrimonio pubblico?
Perché il
Sud viene presentato come il modello corrotto ed inefficiente, dimenticando che
i servizi idrici del sud (salvo Napoli e l’acquedotto pugliese in house che
se la cavano) sono già stati tutti privatizzati?
Perché non
si denuncia che in Italia gli investimenti nei servizi sono 10 euro per persona
all’anno contro gli 80/120 in Europa ?
Chi non investe sono coloro
che tagliano la spesa pubblica e strangolano i Comuni e tutti quei privati a
cui è stata affidata la gestione del 50% dei servizi idrici italiani (in
particolare Acea, Iren, A2A, Hera, Suez,
Veolia, tutte quotate in borsa).
Vorrei fare una scommessa,
sicuro di vincerla: sono convinto che tutti gli amministratori indagati per
corruzione siano stati sostenitori delle privatizzazioni!!!
Perché non si vuole vedere
quali disastri hanno fatto nel nostro Paese i privati: Parmalat, Cirio, Fiat,
Ilva e poi Telecom, Alitalia ecc.?
Provi, D'Angelis, ad andare in
Liguria ed a chiedere ai cittadini un po' anziani cosa pensano di Iren, o provi
a Milano a chiedere come funziona la quotata in borsa A2A; vedrà quanta
nostalgia per la vecchia municipalizzata AEM che funzionava benissimo.
È immorale, questo sì,
sentire tanta furia privatizzatrice e tanto accanimento contro ogni gestione
pubblica da chi ricopre da anni ruoli di amministratore della cosa pubblica.
Erasmo D'Angelis è stato:
Consigliere regionale, Presidente di Publiacqua, Presidente della Commissione
Ambiente, Sottosegretario alle infrastrutture e trasporti e infine responsabile
dell’Ente contro il dissesto idrogeologico.
È mai possibile che uno che
ha ricoperto tante cariche pubbliche e gestito direttamente aziende pubbliche,
debba essere l’accusatore della mala gestione e si permetta di definire i
movimenti ed i 27 milioni di cittadini che hanno votato per la
ripubblicizzazione come retrogradi sovietici?
Viene spontaneo chiedersi: ma dove ha vissuto e dove vive
costui? Dove si è costruito una
simile lettura del passato e del presente, dell’Italia e dell’Europa?
In Europa e nel mondo le cose
vanno in modo diverso da quanto D'Angelis sostiene: Parigi, Bordeaux, Nizza,
Stoccarda, Berlino, Napoli, hanno ripubblicizzato; in Olanda ed in Belgio non
hanno mai privatizzato; l’Irlanda è stata percorsa da manifestazioni per
l’acqua pubblica; la Commissione del Parlamento europeo ha di recente votato
per l’acqua diritto umano e aperto la discussione sul bene comune non
mercificabile.
Dal marzo 2000 al marzo 2015
si sono verificati nel mondo 235 casi di rimunicipalizzazione dell'acqua in 37
Paesi diversi, per un totale di più di 100 milioni di persone; la maggioranza
delle città sono in Francia (94) e negli USA (58, tra cui Atlanta e Houston);
in Colombia Bogotà, in Argentina Santa Fè, Rosario, Mendoza, la provincia di
Buenos Aires, in Guinea Conakry, in Uganda Kampala, in Mali Bamako, in
SudAfrica Johannesburg, in Malesia Kuala Lumpur, ecc.
Tutti bolscevichi? Tutti non
hanno capito la “modernità”?
I ricercatori dell’Università
di Greenwich hanno anche indicano le ragioni di insoddisfazione per la gestione
privata: scarsi investimenti in infrastrutture; degrado nella qualità
dell'acqua; mancanza di trasparenza sui costi e sull'aumento delle tariffe;
crescita esponenziale dei costi; rischi ambientali; non trasparenza
finanziaria; riduzione dei posti di lavoro e prestazione di servizi scadenti.
Infine mi chiedo: ma il
nostro detrattore della cosa pubblica si è accorto che anche il Papa è uno
degli ultimi sovietici? Ha letto l'Enciclica dove si dichiara, senza se e senza
ma, che l’acqua potabile è un diritto umano e non si deve privatizzare né
mercificare? Che facciamo, rottamiamo anche il Papa?